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La fanzine è una severa maestra


di Vittorio Curtoni


Perché si fanno fanzine? Per parlare di fantascienza e parlarsi addosso. Per smanie esibizionistiche. Per passare dal ruolo attivo a quello passivo. Per la speranza che servano da trampolino di lancio verso la fama e i soldi. Per sparare un po' di cacca su qualcuno che ci sta antipatico. Per grande generosità e grande egoismo. I moventi dietro le fanzine sono un marasma di spinte consce e inconsce, roba che avrebbe fatto la felicità di Freud, lo si voglia ammettere o no. C'è molto di nobile e molto di ignobile, come in tante delle manifestazioni più significative dell'homo sapiens.

Il primo fandom italiano, quello che nacque nel 1965 e morì prematuramente nel 1968 dopo gli isolati precedenti di Luigi Cozzi ("Futuria Fantasia"), Carlo Pagetti ("Nuove Dimensioni") e Lucio Ciccone ("Nuovi Orizzonti"), fu soprattutto, per quel che posso capire, un tentativo di reazione alle forche caudine di un mercato cattivo con gli autori indigeni. La maggior parte di noi nutriva la vocazione dello scrittore, non del critico: i rari casi di fanzine con propensioni critiche, come la torinese "Sevagram" e la triestina "Hypothesis", restano le classiche eccezioni che confermano la regola. In buona parte, volevamo diventare autori, creare e forgiare l'amata idea della fantascienza italiana; ma siccome il mercato professionale ci ignorava, escogitammo la brillante soluzione di pubblicarci da soli al ciclostile. Un modo faticoso, doloroso, e dispendioso per leggere a vicenda i nostri parti letterari, per comunicare le rispettive visioni del mondo agli amici e compagni d'imprese fanzinistiche, visto che all'epoca non esistevano né il personal computer né Internet, e ogni tentativo di diffusione dei testi doveva necessariamente passare per il supporto cartaceo.

Quanti racconti di esordienti, perfetti sconosciuti, sono stati pubblicati su quei fogli oggi ingialliti, dall'aria così ingenuamente primitiva. Troppi. Anche se non sono mancati i casi di autori già conosciuti che si sono buttati anima e corpo nella mischia, come Luigi Naviglio che pubblicava sulla "Cosmo" Ponzoni i suoi romanzi (come Louis Navire e Lewis Flash) e fu un demone di attività con i "Numeri Unici" e "Verso le Stelle" (quest'ultima, raro esempio di fanzine diventata rivista da edicola nei Settanta), o come Sandro Sandrelli che su "Interplot" e "Plot-Plot" riversava gli acidi corrosivi del suo umorismo sornione.

Io stesso ho mosso su quelle fanzine i primi, traballanti passi di scrittore: un malloppo abbastanza consistente di racconti che è meglio consegnare all'oblio, ma che senza dubbio mi sono stati utili per imparare trucchi e tecniche, per scoprire come si creano personaggi e dialoghi credibili, per passare dalle due o tre stentate cartelle al racconto lungo. E in questo le fanzine, non solo le nostre ma di ogni periodo, sono state una scuola importantissima, magari spesso selvaggia, addirittura casuale, ma essenziale per sviluppare l'abitudine alla scrittura e portare in luce le potenzialità di chi era davvero dotato. Del resto, pensando ai nomi degli autori che hanno fatto la storia della fantascienza italiana, e anche dei critici, dei curatori editoriali, vedo che tanti di loro sono passati prima o poi per il fandom, e questo vorrà pur dire qualcosa. Una linea di tendenza che ha cominciato a invertirsi in anni recenti, con scrittori anche di grande successo (Valerio Evangelisti e Luca Masali, per esempio) che non si sono fatti le ossa sulle fanzine, ma che almeno per tre decenni, dai Sessanta agli Ottanta, ha prodotto tanti risultati notevoli.

Hip hip urrà. Il primo fandom si autogenerò e svanì su un arco di tempo brevissimo: in meno di quattro anni si era raggiunto un livello di saturazione che non permetteva sviluppi, e calò il silenzio.

Probabilmente, anche se non lo sapevamo, avevamo fatto quel che si doveva fare, portato a termine il nostro compito.

Sparso il seme. Ci fu poi un periodo di vuoto, interrotto da sporadiche apparizioni come "Pulsar" e "Adventure Flash", ma già dal 1974 le fanzine ripresero vigore, e da allora sono sempre rimaste con noi, vive e vegete più che mai anche sotto le spoglie dell'elettronica. Una storia che spetta ad altri raccontare; ma, tutto sommato, è bello potermi guardare alle spalle e sapere di essere stato uno dei padri fondatori del grande organismo che è il fandom italiano. Una soddisfazione di quelle che danno un buon gusto alla vita.






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