Fare riviste
di Vittorio Curtoni
Di vere riviste, nella storia della fantascienza in Italia, ce ne sono state poche: una quarantina in tutto, nemmeno una l'anno (e con punte di moria pressoché totale negli ultimi due decenni circa). Il nostro pubblico non ama la narrativa breve, e le persone interessate a saggistica e informazione sono una sparuta minoranza. Gli editori che hanno avuto il fegato di provarci sono stati costretti, su tempi più o meno brevi, a chiudere; con l'unica eccezione di Ugo Malaguti che prosegue imperterrito da una vita e ha una sua fascia selezionata di lettori.
In questo contesto, mi posso ritenere molto fortunato: calcolando anche "Il Bollettino dello SFBC', una pubblicazione gratuita e dalla periodicità irregolare ma direi autorizzata a fregiarsi del titolo di rivista, e aggiungendo "Robot", "Aliens" e "Isaac Asimov - Rivista di fantascienza", ho avuto il raro privilegio, tra i Settanta e gli Ottanta, di curare, da solo o con altri, ben quattro delle scarsissime riviste italiane. Un piccolo record del quale vado fiero, anche se per ottenere l'incarico si è trattato più che altro di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, e in questo mi è andata bene.
Certo che poi, modestia a parte, qualcosina bisogna sapere fare.
Ripensando soprattutto a "Robot", ma anche al "Bollettino" e ad "Aliens" (la "Isaac Asimov" era in definitiva l'edizione italiana di una rivista americana, pur con un forte intervento mio nella scelta dei testi e con un minimo di contributi dal nostro Paese), direi che la vera essenza del mestiere di curare riviste sta da un lato nel sapersi entusiasmare col trasporto dell'appassionato, e dall'altro nel trovare la freddezza, il distacco che un editor deve avere: oltre al tenersi estremamente aggiornati sulle novità del mercato internazionale, e magari avere quel pizzico di fiuto che ti consente di individuare l'autore di buone potenzialità sin dai primi racconti. O dai primi romanzi. Il che significa leggere come indemoniati, leggere sino ad avere la nausea, poi farsela passare e ricominciare. Dopo un po' di tempo, il divertimento tende a scemare... Ma cosa non si farebbe per la passione e per il piacere di mettere assieme un prodotto soddisfacente?
Ah, dimenticavo un elemento importantissimo: bisogna avere la capacità di circondarsi dei migliori collaboratori reperibili, e coccolarli come si conviene per non lasciarli scappare verso altri lidi. Ho conosciuto, nel nostro ambiente, persone che tendevano ad arroccarsi in vigorosa solitudine, gente che si chiudeva nel proprio maniero e da lì dirigeva con mano ferrea, Bé, io no. Anche se una delle mie rubriche storiche, vive ancora oggi su "Carmilla", si chiama "Solipsismo" (un'etichetta che inventai per "Aliens" e quando la proposi all'editore, Giovanni Armenia, il suo commento fu: "Un titolo perfetto per te, Vittorio!"), posso essere solipsista nell'esprimere le mie opinioni e nel pensarle, ma nell'agire concreto, mai. Cosa sarebbe stata "Robot" senza i Mongini, i Fossati, i Lippi, i Caimmi, i Nicolazzini, gli Arona, i Guerrini, i Weston, eccetera ad libitum? Niente.
Un bel fico secco. la rivista nasceva di mese in mese dai loro contributi, dalle loro idee e proposte, certo coordinate e talora moderate quando qualcuno partiva per la tangente dal sottoscritto; ma una pubblicazione fatta di tante parti diverse, tante rubriche e perché no, tante immagini, è un organismo vivo, una creatura pluricellulare che deve raggiungere un equilibrio interno il più armonico possibile. Questo ho sempre pensato, questo ho sempre cercato di fare, e questo m'insegna l'intera storia della fantascienza (non solo quella, ma limitiamoci al nostro campo): se editors come Campbell o Gold o Pohl o Wollheim sono ricordati come pietre miliari è perché erano in gamba e sapevano allevare bene i propri polli. E creare un pollaio, non una cuccia per cani solitari.
Fare riviste è bellissimo, o almeno lo era ai miei tempi, prima che arrivasse il computer a cambiare praticamente tutte le procedure. Nell'ambito del lavoro non ho mai trovato qualcosa che mi abbia dato la stessa gratificazione, gli stessi continui livelli di eccitazione. Si partiva correggendo i dattiloscritti da mandare in composizione, poi arrivavano le bozze, le si correggeva e contemporaneamente si seguiva il lavoro di impaginazione col grafico: trova il titolo giusto qui, metti un titoletto là, qui ci sono da fare otto didascalie ("dide" in gergo), crescono sei righe bisogna tagliarle, manca una fotografia, c'è una mezza pagina vuota, crescono due pagine… Ragazzi, il caos totale, il bordello più assoluto per giorni di fila, a volte l'emicrania, e cosi divertente, così creativo. Poi partiva l'impaginato per la tipografia, si tirava un sospiro di sollievo, si ricominciava a leggere dattiloscritti poi tornava l'impaginato in fotocopia con le bozze corrette per il riscontro della correzione degli errori, e poi il penultimo stadio, le cianografie del numero completo, e infine gli impianti di stampa, e poi via!, aspettiamo che il magazziniere ci porti le prime copie dallo stampatore, calde e croccanti come brioches...
Chi non ha mai vissuto quest'esperienza non può, semplicemente, avere idea. E dubito molto che oggi, col computer, le emozioni, le lotte e le battaglie da vincere quotidianamente abbiano la stessa intensità, è impossibile. Chi comperava "Robot" in edicola non lo sapeva, se non era del mestiere, ma dietro agni singolo numero c'era un mese secco di lavoro redazionale di varie persone, e solo grazie alla loro intelligenza, creatività, e sagacia professionale il prodotto finale aveva quel certo aspetto, quell'armoniosa (spero) compostezza. Io ero un bravo redattore, e ne godevo immensamente.
Avevo un occhio allenato, sapevo notare la fotografia un po' storta, le didascalie invertite, l'errorunco di stampa. Oddio, non che fossi perfetto, ma insomma me la cavavo bene,
Credo che le riviste delle quali mi sono occupato (e vorrei ricordare anche "Gli Arcani" ed "ESP", che non c'entrano nulla con la fantascienza ma sempre figlie mie) stiano a dimostrarlo. Brindo alla vostra memoria, care amiche di goduriosi giorni frenetici.
Oggi, diciamocelo, a parte "Nova Sf*", "Futuro Europa" e "Carmilla" le riviste di fantascienza non esistono più. Non in edicola. Le si può trovare in rete sotto forma elettronica; le puoi trovare nell’incarnazione amatoriale delle fanzines; e c’è "Urania" che i suoi benemeriti sforzi li fa con l'appendice, ma non è istituzionalmente delegata alla funzione di rivista.
Pure io ho cambiato lavoro, da tanti anni. Non faccio più riviste. Traduco libri a ritmi non eccessivi ma nemmeno troppo lenti, e ultimamente mi diverto spesso, mi annoio più di rado, grazie al cielo. Però non è la stessa cosa, nossignori. Fare riviste era, credo, la mia vera vocazione, e mi sento vagamente spretato, per così dire. Ma se non altro il mio momento di gloria e di piacere l'ho avuto.
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