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Fantasia eroica italiana


di Gianfranco de Turris


Gli universi fantastici, svincolati come sono da ogni legge fisica e naturale, da ogni determinismo, da ogni rapporto di causa-effetto, in poche parole dalla "razionalità" come viene comunemente intesa, permettono senza dubbio un dispiegamento senza confini delle facoltà immaginative, imbrigliate soltanto dai limiti che la coerenza della narrazione impone loro. Cosa può esserci di meglio per uno scrittore, che non si senta attratto dal realismo borghese e/o proletario, dalla narrativa sociale o minimalista, che - magari - intende anche criticare il mondo in cui vive ma senza usare le sue stesse armi, senza ricorrere a personaggi, situazioni e sfondi di cui ne ha piene le tasche? Nulla, ovviamente.

Gli italiani che hanno una tradizione di narrativa fantastica cavalleresca interrotta a livello "alto", ma abbastanza continua a livello "basso", popolare e sotterraneo (folklore, fiabe, leggende, storie locali ecc.), non potevano non essere influenzati anch'essi dal grande revival di quel genere letterario che Fritz Leiber ha definito sword & sorcery e L. Sprague de Camp heroic fantasy. Nuova giovinezza per una narrativa che è iniziata negli Stati Uniti con la pubblicazione in edizione tascabile del "Signore degli Anelli" (1965) e si è poi diffusa in tutto il mondo. In Italia, com'è noto, la saga di Tolkien viene tradotta integrale nel 1970 e, indubbiamente, ebbe riflessi e influenze sui lettori e sugli autori che si formarono in quegli anni. E così il 1978, vuole il caso, vide la pubblicazione di due romanzi che possono considerarsi i due volti della heroic fantasy in generale e di quella italiana più in particolare.

Amazon di Gian Luigi Zuddas (nella collana Galassia de La Tribuna) e Le citta del diluvio di Giuseppe Pederiali (in una collana minore della Rusconi) indicano rispettivamente la direzione di un universo immaginario e alternativo in toto al reale, con riferimenti alla tradizione mitica europea; ovvero la direzione di un universo fantastico che ha riferimenti al paese di origine dello scrittore, basandosi su un substrato mitico e leggendario "locale".

Non che la "fantasia eroica" italiana sia nata proprio quell'anno, ma la sua consapevolezza probabilmente sì. In precedenza c'erano stati alcuni esempi (non molti) di racconti italiani inscrivibili senza saperlo e senza volerlo in questo "genere": l'ho già scritto e dimostrato nelle appendici pubblicate a mia cura nelle antologie Heroic Fantasy e Maghi e Guerrieri (Fanucci, 1979 e 1981) che riunivano materiale americano, nelle quali tentai di effettuare per la prima volta "il punto" della questione. Ulteriore riflessione storico-critica, ma di ben più ampia portata, fu quella da me esposta in altre due antologie apparse poco dopo: Le spade di Ausonia e I guerrieri di Ausonia (Akropolis, 1982), erano state pensate nel 1979-80, ma poterono uscire solo dopo una lunga gestazione. Stanno a testimoniare il lavoro fatto da sei scrittori che volevano dimostrare già allora come anche gli italiani sapessero scrivere una loro heroic fantasy originale. Sempre nel 1979, infine, era stato fondato il Premio Tolkien, che esordì con la prima edizione nel 1980: è inutile ricordare quanto impulso ha dato ad autori noti o esordienti per incamminarsi lungo una via che portasse alla fantasy, fosse o meno ispirata dal professore di Oxford e dal suo mondo alternativo.

Qui sta, io credo, l'insieme di avvenimenti e di persone che hanno posto le basi effettive della fantasy italiana. Che vi sia ancora qualcuno che si masturba mentalmente con i "come", i "quando", i "perché" e - magari - anche con i "se", non soltanto lascia il tempo che trova, ma è perfettamente insensato. Ci si può al massimo per la millesima volta rammaricare che non vi siano sufficienti case editrici specializzate e no disposte a leggere, selezionare e pubblicare con regolarità e senza pregiudizi, la narrativa fantastica italiana; che non vi siano riviste sulle quali far apparire racconti di questo tipo e dibattere seriamente, e anche qui senza pregiudizi, la materia. È una vecchia lamentazione, lo so, ma se non la si supererà con i fatti, tutti i discorsi accademici che si potranno fare sulla heroic fantasy made in Italy corrono il rischio di restare tali: teorie sospese nel vuoto senza riscontro sul campo...

L'iniziativa di Diesel di dedicare un suo fascicolo extra alla fantasia eroica scritta da nostri autori, va dunque nella direzione di concretizzare le molte potenzialità oggi in circolazione e che non trovano uno sbocco altrove. Una iniziativa amatoriale, ma che si presenta con una veste esteriore più che dignitosa e con materiale di qualità, pur se ha una sua diffusione limitata, non può che considerarsi un evento positivo.

Le sei storie qui riunite, di lunghezza assai di versa e scritte nell'arco degli ultimi anni, ci sembrano abbastanza indicative delle tendenze in atto nella heroic fantasy firmata da italiani. Avremmo tenuto parecchio anche alla presenza di Gian Luigi Zuddas: purtroppo, però, l'autore di Livorno ha praticamente smesso di scrivere narrativa per dedicarsi al suo lavoro di traduttore. Il che è un vero peccato, se non una vera perdita per la nostra letteratura fantastica ...

Donato Altomare non ha bisogno di molte presentazioni. È l'autore che proprio dal suo esordio nel 1980 al Premio Tolkien ha creato il personaggio dell'Artiglio, cioè uno dei pochi portati avanti con continuità da uno scrittore italiano su fanzines, riviste ed antologie. Ad esse si sarebbero affiancate poco dopo le avventure del Cavaliere di Tau, che ha una ambientazione "medievale", mentre il primo s'ispira più evidentemente alla heroic fantasy "alla Conan": Altomare, però, concede più spazi alla magia, alla stregoneria e al sovrannaturale rispetto al modello americano, proprio a partire dallo spunto di partenza, dalle motivazioni che sono all'origine dell'agire del suo personaggio. E da lontano giunse un rumore di tuono, storia di alcuni anni fa rivista per questa occasione, è tipica per trama e stile delle vicende che hanno al centro l'Artiglio.

Fabio D'Andrea è un giovane sociologo che da anni s’interessa di fantastico, in specie nella sua applicazione ai giochi di ruolo. Anch'egli, nei limiti delle possibilità offerte dalla editoria specializzata italiana, ha creato due personaggi seriali: Adrian nell'ambito della fantasia eroica, e Teo Monti nell'ambito del sovrannaturale.

D'Andrea è giunto finalista al Premio Tolkien ed ha vinto due volte il Premio Courmayeur per i racconti ambientati in Valle d'Aosta. Il mondo in cui agisce Adrian, e di cui I diamanti di Kandia è un esempio, risente quindi molto degli scenari dei roleplaying fantastici, i quali a loro volta devono moltissimo - a parte Tolkien - agli scrittori più "immaginifici", a quelli che hanno ideato scenari e società con maggiore fervidezza: E.R. Burroughs, tanto per cominciare, e poi naturalmente Philip Jose Farmer e soprattutto Jack Vance, magari anche Fritz Leiber. Paesaggi, sfondi, personaggi principali e di contorno, trame movimentate, sono tipici di questa heroic fantasy meno bellicosa e più fantasmagorica, un po' autoironica.

Franco Forte è noto soprattutto per le sue storie di fantascienza pura culminate con un bel romanzo, "Gli eretici di Zlatos" (Nord, 1990), quindi è di un certo interesse questa sua incursione nell'universo del mito e della leggenda compiuto con la sorella Silvia. Due cuori nel crepuscolo è una rilettura del Ragnarokr, descritto attraverso gli occhi dei superstiti: l’atmosfera è quella cupa e terribile di uno scontro apocalittico fra la Luce e l'Ombra, dalle cui ceneri rinascerà l'umanità. Una scelta impegnativa, quella dei Forte, ma che lascia pienamente coinvolti e soddisfatti.

Grazia Lipos è senza alcun dubbio l'autore italiano che meglio e con maggiore originalità ha assimilato la lezione tolkieniana sulla creazione di mondi fantastici, la sub-creazione di realtà alternative alla nostra perfettamente coerenti in sé, caratterizzate da una consistenza fuori dal comune, precise come sono sia dal punto di vista socio-antropologico che mitico-simbolico. Pure Gian Luigi Zuddas è su questo piano, ma la scrittrice di Trieste ha dalla sua un universo immaginario estremamente più variegato, e riesce a muoversi con grande sicurezza ed abilità in ognuno di quelli che di volta in volta crea. Anche nei suoi confronti ci si deve rammaricare che la situazione editoriale italiana le impedisca di pubblicare tutti i romanzi ed i racconti che, per una sorta di piacere personale e di voglia sub-creativa, scrive ed è costretta a riporre nei suoi cassetti. Pelle di serpente è un tipico campione della sua produzione che, su una distanza piuttosto lunga, riesce a visualizzare perfettamente un tempo ed un luogo "diversi" dove è perfettamente e credibilmente inserito un culto tra il fisico e lo spirituale.

Errico Passaro si rivelò al Premio Tolkien 1986 con un bel romanzo fantastico di sapore dannunziano (Il delirio, in Immaginaria 2, Solfanelli, 1988), riuscendo però a dimostrare ben presto come quello non fosse il luogo privilegiato della sua narrativa, spaziando in seguito anche nella fantascienza ortodossa, nell'horror e nella fantasy (a parte la sua attività di critico e di recensore su L'Eternauta). Lo stesso dicasi per il tono delle sue storie: non soltanto quello serio e pensoso, non solo quello asciutto e drammatico, ma anche quello satirico ed apertamente ironico, come sta a dimostrare Quel drago! che rovescia uno dei principali luoghi comuni della fantasia eroica: il mostro da sconfiggere, l'avversario da affrontare, la bestia da domare, diventa qui tutt’altra cosa…

Miriam Poloniato è uno dei nomi più noti nell'ambito prima del fandom e poi del professionismo italiani, essendo la sua firma apparsa su innumerevoli fanzines e riviste, avendo pubblicato una antologia di racconti (Le verdi colline della Terra, Solfanelli, 1989) ed avendo vinto il Premio Italia per il miglior racconto pubblicato nel 1990. Caratteristica della narrativa fantastica di Miriam Poloniato è di seguire le orme della favola, della leggenda fiabesca, con la loro ambivalenza che fa oscillare queste forme espressive tradizionali fra il meraviglioso e l'orrorifico, ed i cui simbolismi s'immergono negli aspetti più ancestrali dell'essere umano. Così è per Isolde di Seymur (Solfanelli, 1989), per La regina delle ombre (in L'altro volto della luna, Solfanelli, 1991) e così è per questo Imylde la Bella: tutte vicende di donne la cui femminilità è duplice, positiva e negativa, chiara e oscura, creatrice e distruttrice.

Dopo il numero speciale dedicato al Fantaeros italiano, ecco un altro Diesel sulla heroic fantasy italiana che va a contraddistinguere la pubblicazione di Alberto Henriet e prepara la strada ad altri numeri monografici dedicati ai vari aspetti della nostra narrativa dell'immaginario.






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