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Il noir italiano 2


Cani sciolti

Chi sono i cani sciolti? Sono quelli che col movimento noir italiano non c'entrano un bel niente, ma che si sono lasciati attrarre dalla materia poliziesca perché, tutto sommato, è lo specchio fedele di questa nostra società un po' troppo sopra le righe.

Sono autori con formazione e cultura molto eterogenee e che di conseguenza affrontano il genere dai punti di vista più disparati.

Non vorrei essere tacciato di perfezionismo (o nel peggiore dei casi, di mania di catalogazione), ma all'interno di questo gruppo ho proceduto ad un'ulteriore suddivisione.

I cani sciolti strappasorriso.

Si può scherzare anche con il delitto, o meglio ancora, si può ironizzare lasciando le efferatezze e la macelleria priva di qualsiasi forma evolutiva al mercato d'oltreoceano.

Purtroppo i risultati non sono convincenti. C'è qualche sprazzo di ingegno italico, ma il più delle volte le vicende sono mortificate e abbrutite da un eccesso di situazioni farsesche e leggere che ne stravolgono l'essenza stessa.

Giampiero Rugarli è uno che bazzica spesso il genere noir. Lo ricordo, con simpatia, con una storia di spionaggio e lapsus freudiani (La troga - Adelphi 1988) che m'aveva lasciato il sorriso sulle labbra.

Nel 1995 è tornato con L'infinto, forse (Piemme). Daniele Pensa, medico legale, viene coinvolto in una catena di omicidi rischiando di essere ritenuto il colpevole. Come se non bastasse, un ignoto dinamitardo si accanisce contro le più belle opere d'arte del medioevo mettendo a repentaglio la riuscita del Progetto Italia inteso a valorizzare il patrimonio monumentale italiano.

Romanzo in definitiva inutile, con l'unico merito, forse, di non prendersi troppo sul serio (... Gli editori pretendono letteratura, e io detesto la letteratura. Un racconto è un racconto, non le pare? A me piace il gioco. E scrivo per gioco, perché vorrei che si leggesse per gioco. Non conosco altro modo di intendere il romanzo - pag. 155), che tenta di mischiare le carte di un Eco (anche qui!) con quelle terroristico-avventurose di un Riotta (vedere più avanti). L'insieme è scipito e falso con l'unica eccezione del finale in cui un falò di televisori restituisce alla terra i falsi dei e con essi i denti di Ambra (sic!).

Di ben altra fattura è Lune storte, romanzo d'esordio di un ribaldo faentino trentaduenne, Giancarlo Lèucadi. Qui siamo al plagio letterario, ma non per questo detestabile divertissement poliziesco. La traccia, la spina dorsale, il midollo osseo, il punto di riferimento della struttura è Quel pasticciaccio brutto de Via Merulana del grande Gadda. (... Insomma, come facciamo a sapere se l'idea irreversibile che la morte di Mannaro fosse un pasticciaccio ingrovigliato di Accademia venne al dottor Lunardo motu proprio o fosse piuttosto sospinta dall'acuta disamina degli elementi fornitigli da Camilla?}.

A volte addirittura ossequioso (nei confronti dell'ingegnere più importante d'Italia) il Lèucadi ci racconta la storia di un tal Mannaro (professore universitario, che sta per assurgere all'empireo degli ordinari) che viene ucciso in modo inopinato presso una fantasiosa città universitaria. Toccherà al magistrato dottor Lunardo sciogliere l'intricata vicenda e restituire tranquillità agli ambienti.

Al di là dei facili giochi di parola (Lune storte, Mannaro, Lunardo... quasi un carosello per una storia d'ambientazione fantastica, o addirittura il riferimento al Plauto di Homo homini lupus, cioè... l'uomo è un lupo per l'altro uomo) il Lèucadi è debitore di molte altre referenze. Prima di tutto la novellistica italiana: Bembo, Bandello, Poliziano, Machiavelli. Poi lo stesso giallo classico (in fondo è di questo che stiamo parlando!). L'invito al lettore rivolto ad ogni fine capitolo la dice lunga sulle frequentazioni elleryqueeniane dell'autore.

Insomma Lune storte ha la dirittura morale e letteraria di uno sforzo verbale. E diverte... e solo per questo, forse, dovrebbe essere consigliato.

Nico Orengo con La guerra del basilico compie un'operazione intelligente e divertente. Non si può non amare Sandra, biologa italiana in missione a Montecarlo per collaborare col Museo Oceanografico e alla ricerca dei responsabili della comparsa della Caulerpia Taxifolia, comunemente detta alga assassina, nel mar Mediterraneo.

Non si può non amare Oscar, pensionato stravagante che va alla ricerca di una sedia a sdraio, la stessa usata da Grace Kelly nel film di Alfred Hithcock Caccia al Ladro e che s'imbatte in una misteriosa avventura che l'attrice ha vissuto durante la lavorazione.

Non si può non amare Adriano, eccentrico maitre di un hotel a pochi chilometri dal confine italo-francese, alle prese con una storia infantile indelebile, tra passione e feticismo, rimpianto e dolore.

Non si può non amare l'avvocato Alfio che, pur nella sua visione berlusconiana della vita, pur nella sua spregevole filosofia di sopravvivenza, in definitiva è carico di umanità e di senso civile.

La guerra del basilico, metafora di un'Italia governata imprudentemente, è crocevia di storie e personaggi alla ricerca di certezze.

E letterariamente una miscellanea di generi: dal giallo internazionale (la presenza dell'alga assassina deriva da un esperimento in laboratorio), al sentimentale (gli amori di Sandra, Oscar e Adriano s'assomigliano brutalmente nella loro grigia impotenza) alla commedia brillante (e tutto un ironizzare sul desiderio del possesso), al mistero (qual'è il vero significato della mostruosa. pianta di basilico il cui odore aleggia persistentemente in un tratto della costa ligure?).

Con La guerra del basilico Orengo avrebbe fatto la felicità di Calvino. Storia leggera e buffa, credibile ed incerta, superflua e convincente.

Dunque cuore, sentimenti, inganni, feticci, gonne gialle, alghe, sesso, cinema, Grace Kelly, sole, pesce, costa ligure, costa francese, Montecarlo e basilico. Ecco gli ingredienti di una vicenda misteriosa, ma soprattutto una vicenda di fallimenti. Terribili e, paradossalmente, bellissimi.

Cani sciolti impegnati.

Qualcuno di voi avrebbe scommesso sulla presenza di Dacia Maraini in un articolo come questo?

Anche l'affascinante, brillante, impegnata, ma sì anche mondana, autrice di Isolina e La lunga vita di Marianna Ucrì (tanto per citare alcuni titoli) s'è lasciata avvincere dall'attrazione che esercita il romanzo giallo.

Ne ha scritto uno, Voci (Rizzoli - 1994) e naturalmente a modo suo. Michela Canova, giornalista di una radio privata, dopo una breve assenza dalla sua casa romana, torna e si trova davanti il corpo senza vita di una sua vicina, Angela Bari.

Pochi giorni dopo viene incaricata dal suo direttore di condurre un'inchiesta sulla violenza urbana e, in particolare, sulle sevizie, spesso impunite, contro le donne,

Comincia così un lungo viaggio nella dimensione dell'orrore quotidiano. Viaggio impervio e civile.

Il romanzo però potrebbe essere la cronaca del delitto Montesi, tanto il tempo ed il costume sembrano immutati. E in un mondo brutale e percussivo, Michela beve il latte, viaggia in cinquecento (quella vecchia, non quella nuova!), scioglie dieci gocce di valeriana in un bicchiere d'acqua prima di dormire e si muove al rallentatore come se la Storia la toccasse appena.

La protagonista è una sorta di Masina felliniana, una donna dentro e fuori gli avvenimenti, avvenimenti paradossalmente fermi, pur se realisti ed aggiornati.

Enrico Franceschini con La donna della Piazza Rossa, tenta la carta di un noir a metà strada tra fantapolitica sentimentale e tradizione rocambolesca, in un tempo storico che classificheremmo comunismo-preagonico. C'è tutto in quest'avventura seria e faceta, impegnata e surreale: una russa misteriosa che lancia richieste d'aiuto attraverso gli annunci di una rubrica per cuori solitari, un giornalista italiano che vuol fare il grande scoop della sua vita, la Piazza Rossa, vero deus ex machina della vicenda, coi suoi tunnel labirintici che la percorrono sotto terra, i servizi segreti e Gorbaciov, il KGB e diplomatici discutibili, ladri di icone e donne di cuore.

Franceschini, dall'alto della sua pratica giornalistica (è corrispondente di Repubblica a Mosca) si diverte tutto sommato a ingarbugliare la matassa. Ci riesce con mestiere sicuro e con un pizzico d'ironia a discapito di un presunto impegno che forse non lo si vuole divoratore d'intenti.

È un tentativo di giocare col presente, di sdrammatizzare gli eventi e di vedere col senno di poi quel che la Storia ci ha davvero riservato, a cominciare dal disfacimento dell'ex impero sovietico.

Ultimamente lo scrittore ci ha riprovato con una storia che si svolge tra le viscere di New York, Amore e guerra nel 1999. Lo vedremo nei dettagli nelle recensioni del prossimo numero.

Cani sciolti evanescenti.

Altra categoria. Per carità, non ce ne vogliano i puristi, ma non sappiamo come classificare (nella valutazione di un movimento è necessario anche questo) scrittori come Fortunato, Riotta, Spinato, Montanari, che frequentano il noir come il carnivoro frequenta i pasti vegetariani e con assoluta nonchalance. Della serie: tentar non nuoce alla salute. O forse l'ennesimo approccio ad un travestimento di fine secolo (come direbbe Filippo La Porta).

Mario Fortunato bazzica altri ambienti. Ha esordito nel 1988 con Luoghi naturali (Einaudi), libro di racconti accolto molto bene dalla critica e che presentava un autore alle prese con un linguaggio deciso e sapientemente calviniano. Autore che poi ha proseguito il suo itinerario senza mai staccarsi da un civile e consapevole impegno sociale. Con Sangue si addentra nei meandri della letteratura di genere. Costruisce una storia gialla-nera in un contesto che sente vicino: gli ambienti omosessuali. Una passione sbocciata in una discoteca, dove alcol e droga viaggiano indisturbati, e finita in una notte di sangue nella toilette del locale.

L'adesione di Fortunato a certi modelli imposti non significa necessariamente la perfetta riuscita dell'intreccio e della vicenda. Lo stile, abbandonato quello aggraziato e leggero degli esordi, diventa meno personale, ma ritmico, quasi a scandire le asprezze di un ambiente tipicamente da discoteca. E gli avvenimenti languono in un'ambientazione sociologica risaputa e la trama non risolve mai la dicotomia (che per altro potrebbe risultare suggestiva, anche se non originale) tra amore e morte.

Era stato Marco Ferri? Ma chi, in questo caso, chi voleva accusare? Marco non avrebbe mai accusato nessuno: aveva troppa voglia di morire. Luigi se ne rese conto all'improvviso. Non a caso, gli aveva parlato tutta la notte del passato, dei ricordi di entrambi, di ciò che non è più.

Altro giornalista e altro noir: Gianni Riotta con Ultima dea. Col romanzo di Franceschini divide un po' la passione per gli intrecci rocamboleschi e per la contemporaneità che incombe (la fine del comunismo).

Ad essere sinceri non è nemmeno facile raccontare la trama. C'è un tale affollamento di personaggi in questa avventura postmoderna, in cui la contaminazione colta dilaga qua e là, che si rischia di rimanere spiazzati.

C'è un professore austero di nome Thomas Diognetus, c'è suo fratello Graham che fa l'avventuriero ed è, insieme al socio Gamorekian, trafficante di codici rubati. Ci sono Willy e Cinzia, due ragazzi che cercano l'amicizia, ma anche una pistola che non si sa dov'è. E poi una setta carismatica, alcuni prelati del Vaticano ecc.

Insomma, permettetemi un paragone birichino. Riotta sta alla letteratura come Berlusconi sta alla politica. In Ultima dea c'è sfrontatezza, eccesso, a volte buon gusto perché no, e una straripante voglia di stupire: anche l'infantile meccanismo per cui molti personaggi si chiamano col nome di un sillogismo medievale ne è la riprova.

E a questo riguardo come non citare le lodi sperticate che il professor Eco ha rivolto all'autore, forse per questa audace commistione di spy-story e medievalismo.

Il romanzo di Riotta è fondamentalmente un esercizio di stile, un'avventura pirotecnica e frenetica dove può succedere di tutto e il tutto all'improvviso è rimesso in discussione.

Un copione cinematografico? Pure.

Uno zapping letterario? Passi anche quello.

Una furba messinscena? Eh si.

Lontano però dalla viscerale impudicizia del noir più serio.

L'accusa rivolta a molti scrittori italiani di essere bravi, culturalmente aggiornati, spigliati, ma proprio per questo esageratamente disinvolti ed evanescenti, per una volta tanto ha centrato il bersaglio.

Giampaolo Spjnato, classe 1960, appartiene a quella nutrita schiera di giovani che ha approfittato di una tendenza (appunto il noir) per esordire letterariamente. O almeno, così pensiamo noi.

Il suo Pony Express, presentato come una storia metropolitana d'amore, mistero e motoscooter (approccio ruffianamente giovanilistico) è, alla prova dei fatti, un'ingarbugliata vicenda di ricerche, rincorse, rifugi, dove tutti sembrano possedere un'altra identità, o la propria dismessa. E dove un finale sbrigativo non risolve fino in fondo i dubbi di un'avventura ambigua e tutto sommato poco raccomandabile.

Ad un ragazzo, ormai preda di manie depressive, (... l'ossessione toccò il culmine quando, in pieno giorno, riconoscendo lo scalpiccio di passi sui sassi, giù in cortile, credetti di vedere occhi che mi spiavano dalle fessure della serratura abbassata. Erano frutto della mia fantasia malata, naturalmente, follie che derivavano dalla poca dimestichezza con quel rigido regime di clausura) un giorno arriva una telefonata.

L'interlocutore lo chiama Delta I e gli dice che deve fare alcune consegne urgenti e che di fronte a tali responsabilità non può tirarsi indietro.

Il ragazzo ignora sia l'identità di Delta I sia il contenuto delle consegne che deve fare, però è incuriosito e crede, in assoluta buona fede, che un'occasione del genere possa rappresentare una via d'uscita alla sua apatia.

Ma è anche un gioco pericoloso.

Come pericoloso è stare dietro a un romanzo che perde le proprie potenzialità dopo le prime pagine e affonda in una indifferenza che divora anche le fondamenta della struttura stessa.

Delude anche La Perfezione di Raul Montanari. Siamo in un paesino di montagna dove c'è un bel lago e i protagonisti sono due donne che è ben difficile ricordare, un olandese di schwarzeneggeriana memoria e un giovane con l'hobby delle flessioni solitarie e con alle spalle un terribile incidente dove trovarono la morte i genitori.

La storia, che regge orgogliosamente per le prime novanta pagine, slitta miseramente nelle ultime, là dove sarebbe necessario resistere per offrire ai lettori spiragli intelligenti, facendo crollare inopinatamente il castello delle costruzioni psicologiche dei personaggi.

Insomma, un risultato deludente per un giovane autore che aveva dato prova di ben altra sostanza col suo esordio letterario Il buio divora la strada.


Siamo ai saluti, come direbbe un presentatore televisivo. Questo non m'impedisce di trarre delle conclusioni e avvertire i lettori di questo articolo sulle impennate che il genere ha avuto negli ultimissimi tempi.

Il noir italiano è paradossalmente in buona salute. Dico paradossalmente perché l'intellighenzia nostrana continua a trattare con sfiziosa indifferenza il poliziesco mentre le case editrici sembrano finalmente puntare su una letteratura che i più considerano on the road, genuina, realistica e al passo coi tempi. Specchio nient' affatto ingannevole di una società, coi suoi atroci meccanismi, in perenne movimento.

Non è nemmeno scontato dire (anzi, i puristi potrebbero tacciarci di insensatezza) che il noir accoglie al suo interno tentativi di forme narrative e linguistiche le più disparate ed evolutive.

Con ogni probabilità il genere lavora ad una risoluzione letteraria meglio del mainstream più consolidato.

Ma a volte questa proliferazione risulta incontrollata e caotica. E le tematiche (società dei consumi, caduta dei valori, culto del divertimento e del denaro...) piuttosto che esplodere nella testa e fra le mani degli stessi scrittori, miseramente implodono offrendo uno spettacolo sciatto e inconsistente.

Dunque: c'è la sostanza, c'è il mestiere (soprattutto questo!), ma c'è anche la tendenza a cavalcare gli eccessi che spettacolarizzano i conflitti ed il tragico.

Gli ultimi romanzi noir apparsi in libreria (troverete esposizioni più dettagliate nelle pagine delle recensioni) ne sono una conferma. Due nomi su tutti: Claudia Salvatori e Claudio Camarca.

La prima con Schiavo e padrona e il secondo con Ordine pubblico giocano pesanti.

Claudia Salvatori, avvezza al giallo fin dalla più tenera età, s'appropria di tematiche sessualmente scottanti perdendo però il senso della misura e del buon gusto (il nostro giudizio non ha nulla a che vedere col bigottismo moralistico). Claudio Camara, già giovanilisticamente pasoliniano sia con la penna che con la macchina da presa, sfugge ad ogni controllo e autarchicamente (anzi, anarchicamente) s'invola verso terre bruciate dove il senso del vuoto è angosciante, ma ancor di più è frastornante il senso di distacco con la realtà così com'è.

Si, lo riconosciamo: inevitabili deviazioni, ma troppo febbrili ed esasperate. Siamo di fronte ad un'esplosione di energie (il romanzo di Camarca, se vogliamo, è assai muscolare) che non ha però freni e mostra i limiti di un radicalismo doloroso, ma fine a sé stesso.

Per fortuna c'è sempre chi, tra strade tortuose e sconsiderevolmente in salita, preferisce percorsi già battuti senza per questo offrire sunti esistenziali da fondi di magazzino o educatissimi e deamicisiani filosofeggiamenti di riporto: Salvatore Piscicelli.

Lo scrittore-regista (anzi, meglio dire regista-scrittore: ricordate Le occasioni di Rosa e Immacolata e Concetta?) ci regala un noir sapiente, leggero, quasi simenoniano: La neve a Napoli. Ambientazione desueta appunto. Questa neve che copre il capoluogo partenopeo, la costa amalfitana, il Vesuvio minaccioso, sembra indicare, nell'attesa della sua scomparsa e del ritorno alla normalità, la possibilità di un disvelamento, ancor più che giuridico-penale, sociologico.

Tony Tarallo (nome di per sé napoletanissimo), povero e squattrinato investigatore privato, che non assomiglia a Marlowe, anche se fisicamente si difende bene, ma ricorda piuttosto il Maigret (che investigatore non era) che s'aggira tra le nebbie dei porti, deve indagare sul presunto suicidio di una facoltosa manager del luogo. Lungo la strada s'imbatterà anche in una serie di orribili delitti che ha come vittime tre bambini ed un giro di prostituzione infantile.

E in più deve fare i conti anche con la realtà del posto, coi giochi camorristici che sembrano tenere i fili di molti destini.

Piscicelli non sbandiera finezze psicologiche, rinuncia alla facile tentazione di una lingua gergale e vernacolare, non si nasconde dietro mimetismi lessicali, preferisce piuttosto una esplicita consequenzialità senza trucchi ed inganni.

Quel napoletano (Tarallo) che non ama Napoli (inaudito no?) è una piccola lezione di umanità. (... Era fermo da troppi anni. Forse era venuto il tempo di cominciare a pensare di togliere le tende, di preparare la sacca da viaggio, anche se non c'era nessun posto dove aveva veramente voglia di andare. Era tornato perché si era reso conto che un posto vale L'altro).

La neve a Napoli è un thriller misurato, ma efficace, realista, ma non invadente, contenuto e non sbrodolato, provinciale eppur universale (siamo lontani dalle argomentazioni del movimento neo-noir, che privilegia le situazioni estreme).

Dico provinciale perché sul punto ci sarebbe da soffermarci. Mi limito a dire che alcune zone d'Italia hanno i loro esegeti e cantori del noir.

Pensiamo a Mario Coloretti che da un po' d'anni ci racconta Reggio Emilia e dintorni (Dietro la luce 1992, e Delitti di Maggio 1994) o Nino Filastò, scrittore di generi nel senso più ampio, che colora d'oscuro le province toscane (La tana dell'oste) con qualche spunto legal ed esotico (La moglie egiziana).

Piscicelli, pur avendo scritto un poliziesco del luogo, sconvolge il luogo (quella neve è audace e materialmente quasi impossibile) con buona pace dei napoletani pummarola e mandolino.


Bibliografia riassuntiva (per chi ha deciso di darsi al delitto).

Abluzione:

Augusto De Angelis - Il banchiere assassinato - Gialli Garzanti - 1975

Carlo Manzoni - Che pioggia di sberle, bambola! - Theoria - 1989

Giorgio Scerbanenco - Cinque casi per l'ispettore Jelling - Frassinelli - 1995

Fruttero e Lucentini – A che punto è la notte - Oscar Mondadori - 1979

Laura Grimaldi - Il sospetto - Oscar Mondadori - 1989

Umberto Eco - Il nome della rosa - Bompiani tascabili - 1984


Antologie:

A.A.V.V. - Nero italiano. 27 racconti metropolitani - Oscar Mondadori - 1990

A.A.V.V. - I delitti del gruppo 13 - Metrolibri - 1991

A.A.V.V. - Neo noir, 16 storie e un sogno- Il Minotauro - 1994

A.A.V.V. - Giorni violenti, racconti e visioni neo noir - Data News - 1995

A.A.V.V. - Neo noir, deliziosi raccontini col Morto – Stampa Alternativa - 1995

A.A.V.V. - Giallo, nero e mistero – Stampa Altemativa - 1994


Romanzi:

Andrea G. Pinketts - Il vizio dell'agnello - Feltrinelli - 1994

Andrea G. Pinketts - Il senso della frase - Feltrinelli -1995

Daniele Brolli - Animanera - Baldini & Castoldi - 1994

Monica Vodarich - Una trappola per Peggy - La Tartaruga - 1993

Lorenzo Marzaduri - Rito mortale - Transeuropa - 1989

Massimo Carlotto - La verità dell'alligatore - E/O - 1995

Carlo Lucarelli - Falange Armata - Granata Press - 1993

Carlo Lucarelli - Indagine non autorizzata - Oscar Mondadori - 1993

Carlo Lucarelli - Lupo mannaro - Theoria – 1994

Barbara Garlaschelli - O ridere o morire - Marcos y Marcos - 1995

Remo Guerrini - L'estate nera - Mondadori - 1992

Remo Guerrini - Schermo nero - Mondadori - 1994

Massimiliano Governi - Il calciatore - Baldini & Castoldi - 1995

Giampiero Rigosi - Il sentiero - Theoria - 1995

Edoardo Nesi - Fughe da fermo - Bompiani Panta - 1995

Mauro Covacich - Colpo di lama - Neri Pozza-1995

Eraldo Baldini - Bambine - Theoria – 1995

Pino Cacucci - Outland rock - I gabbiani Mondadori - 1991

Pino Cacucci - Puerto Escondido - InternoGiallo - 1990

Pino Cacucci - In ogni caso nessun rimorso - Longanesi - 1994

Pino Cacucci - Forfora - Granata Press - 1993

Giancarlo Narciso - Le zanzare di Zanzibar - Granata Press - 1995

Marcello Fois - Ferro recente - Metrolibri - 1992

Marcello Fois - Meglio morti - Granata Press - 1994

Cesare Battisti - Travestito da uomo - Granata Press – 1993

Ivan della Mea - Il sasso dentro - InternoGiallo - 1990

Piero Meldini - L'avvocata delle vertigini - Adelphi - 1994

Dell'Angelo & Sorlini - Il libro di Baruc – Il Giallo Mondadori - 1994

Danila Comastri Montanari - Mors tua – Il Giallo Mondadori - 1990

Enrico Solito - Uno studio in Holmes - La biblioteca del vascello - 1995

Bruno Ventavoli - Pornokiller - E/O - 1995

Giampiero Rugarli - L'infinito, forse - Piemme - 1995

Giancarlo Léucadi - Lune storte - Longanesi - 1995

Nico Orengo - La guerra del basilico - Einaudi - 1994

Dacia Maraini - Voci - Rizzoli - 1994

Enrico Franceschini - La donna della Piazza Rossa - Feltrinelli - 1995

Mario Fortunato - Sangue - Einaudi

Gianni Riotta - L'ultima dea - Feltrinelli

Giampaolo Spinato - Pony Express - Einaudi

Raul Montanari - La perfezione - Feltrinelli

Claudia Salvatori - Schiavo e padrona - Marco Tropea editore - 1996

Claudio Camarca - Ordine pubblico - Baldini & Castoldi - 1996

Salvatore Piscicelli - La neve a Napoli - Mondadori - 1996

Mario Coloretti - Delitti di maggio - Giallo Mondadori - 1994

Nino Filastò - La moglie egiziana - Giunti - 1996






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