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La svolta buonista e pacifista dei simpatici perdenti Marvel


di Paolo Mereghetti


Chi troppo vuole...

Tomato per la terza volta a dar vita ai Guardiani della galassia dopo che il suo rapporto con la Disney (proprietaria della Marvel) aveva subito una strana interruzione (licenziato nel luglio 2018 era stato riassunto otto mesi dopo), James Gunn ha evidentemente voluto puntare molto in alto, piegando quella che era una scanzonata e divertente commedia fantascientifica agli imperativi politicamente corretti ormai diventati imprescindibili a Hollywood: ognuno ha dentro di sé le potenzialità per riscattarsi; nessuno deve considerarsi un emarginato o un reietto; l'amicizia è il legame più forte che ci sia e per lei si deve essere pronti a correre ogni rischio; la difesa della libertà individuale non può fermarsi solo alle persone ma va estesa a tutte le creature del creato, animali compresi. Nemmeno Kubrick con 2001 aveva puntato tanto in alto...

Peccato che per lasciare tutto questo spazio ai «messaggi», Gunn (che dirige e sceneggia da solo) abbia finito per sacrificare quella che era la caratteristica principale e vincente dei Guardiani e cioè quel loro essere dei simpatici perdenti, così come li avevano messi a punto Dan Abnett e Andy Lanning per gli albi Marvel. O meglio: quella loro caratteristica c'è ancora e in ogni situazione i sette amici - Peter Quill (Chris Pratt), Drax (Dave Bautista), Nebula (Karen Gillan), Gamora (Zoe Saldana), Mantis (Pom Klementieff), l'albero Groot e il procione Rocket - danno, sempre l'impressione di essere capitati lì un po' per caso, senza sapere bene come comportarsi, ma mentre nei due film precedenti questo loro modo di essere diventava la molla per innescare il divertimento e l'avventura, in questo terzo episodio tutto finisce per essere statico e prevedibile, schiacciato sotto un profluvio di discorsi che non riescono mai ad appassionare davvero.

Intanto l'idea vincente del film originale - aver strutturato ogni sequenza come una scena-madre a sé, capace di «epicizzare la sospensione di incredulità» [Mazzarella] - si è dissolta come neve al sole.

La trama è esilissima: Alto Evoluzionario (Chukwudi Iwuji) responsabile della mutazione genetica subita in passato da Rocket, vuole riprenderlo per portare a compimento un suo piano di rifondazione dell'universo, ma il suo inviato - l'irruente e maldestro Warlock (Will Poulter) - riesce solo a ridurre in fin di vita il povero procione. Per salvarlo, Peter deve trovare un codice segreto capace di disinnescare quello che Alto Evoluzionario aveva impiantato nel suo corpo e con i suoi amici parte alla ricerca di chi possa conoscerlo.

Ma soprattutto: i vari gradini di questa avventura non innescano varie avventure ma piuttosto lunghi discorsi dove le differenti posizioni dei protagonisti (il pacifismo di Peter si scontra con l'irruenza mortifera di Nebula, la forza bruta di Drax con l'empatia di Mantis, per non parlare delle scaramucce sentimentali tra Peter e Gamora) dovrebbero catturare l'attenzione dello spettatore.

Ammettiamolo: qualche volta persino i dialoghi di Quentin Tarantino danno l'impressione di essere un po' stiracchiati, figurarsi quelli di Gunn quando per l'ennesima volta sentiamo ripetere che la trappola dove prevedibilmente i nostri stanno per cadere «non è una trappola ma un confronto». O sentiamo gli animali crudelmente mutilati e modificati da Alto Evoluzionario estasiarsi per la visione di un cielo che non raggiungeranno mai.

No, Don ci siamo proprio. E questa, che è annunciata dalla produzione come l'ultima avventura dei Guardiani (anche se dopo 150 minuti di film, dopa gli interminabili titoli di coda con le scontate sequenze «nascoste», un cartello annuncia il prossimo ritorno di Peter Quill/Star Lord), finisce per essere schiacciata dalle sue ambizioni buoniste, perché - ça va sans dire - alla fine tutti troveranno non solo il loro riscatto ma anche quell'anima migliore che tenevano nascosta dentro di sé. Mentre lo scontatissimo lieto fine si apre su una visione biblico-ecologista che non ci risparmia nemmeno una mano michelangiolesca che riporta alla vita chi stava per perderla.






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