Scrittori italiani di fantascienza per ragazzi
di Antonio Scacco
Il «boom» dei romanzi di fantascienza per ragazzi di autori italiani è un fenomeno piuttosto recente. Non è che in passato siano mancate del tutto opere appartenenti a questo genere narrativo: chi da un pezzo ha varcato la soglia dell'adolescenza, annovera certamente tra le sue giovanili, appassionanti letture Gli esploratori dell'infinito di Enrico Novelli" (Yambo) e Il raggio naufragatore di Luigi Motta. Ma si trattò in genere di esempi isolati, destinati a non avere molto seguito a causa soprattutto della limitata diffusione, in quel tempo, della cultura tecnico-scientifica. E lo sviluppo della narrativa di science fiction, si sa, è in rapporto direttamente proporzionale al livello di sapere tecnologico e scientifico raggiunto da una nazione. Per quanto riguarda l'Italia, bisogna poi tener conto di una preconcetta ostilità nei confronti della letteratura fantastica in generale (1), tanto che si è arrivato a affermare autolesionisticamente che gli italiani sono «un popolo di santi, di navigatori, di poeti, di precursori, di geni incompresi, ma non, enfaticamente non, di scrittori di fantascienza" (2).
L'uso degli pseudonimi
In effetti, agli inizi degli anni '50 che segnano, con le riviste «Scienza Fantastica» e «Urania», la nascita ufficiale della science fiction in Italia, le prime prove in campo fantascientifico degli autori nostrani non sono un modello esaltante di originalità. Si imitano pedissequamente gli scrittori anglo-americani non soltanto nella scelta dei temi e nell'uso di chiamare Fred o John i personaggi, ma anche nell'assumere pseudonimi anglofoni per firmare le proprie opere. Bisogna attendere il periodo a cavallo degli anni '50 e '60 per trovare, con la fondazione delle riviste «Oltre il Cielo» e «Futuro», i primi segni di una «via italiana» alla fantascienza. I tratti salienti di questa «via» sono stati messi in luce così da Lino Aldani: "... gli elementi che possono di per sé diversificare la narrativa italiana da quella d'oltre oceano, non sono pochi. Anzi tutto, la maggiore chiarezza d'espressione, poi la forma quasi sempre più curata, l'equilibrio, la semplicità o la complessità, ma sempre argomentata, là dove quella offerta dagli americani si presenta spesso tortuosa e gratuita. Infine, (...) una rappresentazione della condizione umana più concreta, più vera, più convincente" (4).
Occorre però chiarire che il tema dell'introspezione psicologica, a cui si deve aggiungere quello non certo secondario della critica sociale, fu portato avanti esclusivamente da «Futuro», mentre «Oltre il Cielo» preferì continuare nel solco tracciato dalla prima fantascienza degli anni '50, pubblico cioè racconti di tipo verniano e avventuroso. Con questa differenza: se nelle riviste degli esordi «Scienza Fantastica», «Urania», «Fantascienza» ...) era dato spazio prevalentemente alla narrativa importata dai paesi anglosassoni ed era respinta ai margini quella indigena o, quando veniva concesso l'onore della pubblicazione, l'autore doveva ricorrere a un nom de plume anglofono, con «Oltre il Cielo» è finalmente concesso spazio senza riserve agli scrittori italiani, tant'è vero che molti di essi abbandonano l'uso dello pseudonimo.
Questo schema che indica, in modo molto sintetico, le linee di sviluppo della fantascienza per adulti in Italia, è applicabile in larga misura alla fantascienza per ragazzi.
In questo settore infatti ritroviamo l'uso, successivamente abbandonato, dello pseudonimo: Gianfranco Briatore ricorre a quello di Johnni Bree in S.o.s. Galassia e Giancarlo Ottani si firma John Ott in Attacco dal Sole. Anche la tematica segue la stessa parabola che abbiamo visto nella fantascienza per adulti, cioè da una fase in cui prevale l'elemento avventuroso si passa ad un'altra in cui l'attenzione è rivolta «alla ricerca dei veri motivi per cui l'uomo cosmico rischia di perdersi e di estraniarsi, alla ricerca di quelli che possono essere i rimedi, sia pure indiretti, per un affrancamento totale dell'angoscia e dei dubbi che la conquista dello spazio e la proiezione nel futuro alimentano" (5).
Certamente, tale polarizzazione attorno ai problemi umani è in perfetta sintonia con quelli che sono gli scopi e la natura della letteratura giovanile, che Tullio Bressan così sintetizza: «La struttura teorica della letteratura giovanile, a livello estetico, etico, psicologico, linguistico e sociale, apre nuovi orizzonti alla stessa e la rende impegnata nella creatività e nella formazione della gioventù, conferendole dignità primaria di cultura e di civiltà, (...) la nostra letteratura si richiama alle radici dell'umanità, ha la facoltà e le finalità di infondere nei giovani quel dovere di crescere in armonia con l'umanità e di lottare per il trionfo della ragione universale" (6).
Sembrerebbe, dunque, naturale e legittimo far rientrare la fantascienza tra i filoni o categorie o generi narrativi che, come la fiaba, la favola, l'avventuroso, il romanzo storico, ecc., costituiscono il mondo della letteratura giovanile. Sennonché a tale omologazione si oppongono due obiezioni di carattere teorico.
La prima è quella formulata nel 1907 da Benedetto Croce, allorché, condannando il Verismo, affermava: «La scienza e l'arte sono inconciliabili, non perché avverse, ma perché diverse (7)". Tale assioma sembrerebbe calzare a pennello alla narrativa di fantascienza, sia perché essa si basa sul canone fondamentale della plausibilità scientifica, sia perché molti suoi romanzi sono incentrati più sul contenuto o idea, che sulla forma. La seconda obiezione è che molti autori di fantascienza non sono propriamente scrittori per ragazzi, né le loro opere, tranne qualche eccezione, sono intenzionalmente a loro dirette. Sarebbe, perciò, netto il contrasto con la definizione di letteratura giovanile, formulata da Maria Goretti, secondo cui essa è "soltanto quella che viene espressamente pensata per il mondo dell'infanzia e a questa diretta" (8).
La soluzione a questi problemi, secondo noi, è quella offerta da Angelo Nobile, per il quale "l'aggettivo "giovanile" ingloba più propriamente anche quelle opere narrative non espressamente e intenzionalmente destinate all'età evolutiva, ma oggetto di appropriazione da parte dell’infanzia, in quanto contenenti elementi - di ordine stilistico e contenutistico - rispondenti ai gusti, agli interessi, alle aspettative e alle esigenze profonde dei ragazzi e che ne costituiscono un repertorio abituale e gradito di lettura» (9).
Il filone catastrofico
Esaminiamo adesso alcuni romanzi che ci sembra documentino in modo esemplare le linee di tendenza della fantascienza italiana per ragazzi, raggruppandoli per comodità espositiva secondo le tematiche che trattano.
La fine del nostro pianeta per cause naturali o per colpa della follia dell'uomo è un argomento che da sempre ha attirato l'attenzione degli scrittori di fantascienza, tra cui basterà ricordare Olaf Stapledon con Le infinite possibilità della specie (Last and First Men, 1930) e John Wyndham con L'orrenda invasione (The Day of the Triffids, 1951).
Anche nel settore della fantascienza per ragazzi, il tema della catastrofe è ampiamente trattato, ne potrebbe essere diversamente date le minacce nucleari, demografiche, ecologiche, ecc. che ci sovrastano. Al filone catastrofico appartiene il romanzo di Giara Rubbi, Glaciazione anno 2079, in cui una nevicata eccezionale investe il mondo: la Torre Eiffel, la Torre di Londra, il Partenone... scompaiono sotto una coltre di ghiaccio, alta centinaia di metri. La maggior parte dell'umanità perisce nel disastro e i pochi superstiti si rifugiano, a bordo di astronavi, nello spazio, nell'attesa che il manto di neve si sciolga e la Terra possa tomare ad essere abitata.
In questo romanzo, il background tecnologico non è costruito secondo criteri di plausibilità, L'autrice è incerta tra l'esaltazione del progresso tecnico-scientifico e la sua condanna. La sua simpatia va al personaggio di Sara Rivelli, una scienziata esperta di parapsicologia, mentre è decisamente messa in cattiva luce la figura di Sigmund Cophis, lo scienziato che crede solo nei fenomeni quantitativamente misurabili e verificabili. I due personaggi, nell'intenzione della Rubbi, vogliono essere l'esemplificazione della teoria dicotomica secondo cui l'universo «può essere concepito in due modi fondamentali, come una grande macchina o come un grande pensiero. Per molti, moltissimi scienziati è solo una grande macchina di cui credono di aver scoperto già molti congegni» (10).
Ben altro spessore morale e psicologico ha il romanzo di Luciana Martini, Non deve accadere, anch’esso imperniato sul tema della catastrofe (questa volta è un conflitto nucleare). Contrariamente a quanto avviene nei romanzi di questo sottogenere, il nucleo narrativo non è costituito dal solito quadro agghiacciante della decadenza fisica e morale dell'umanità. O meglio, tale drammatica realtà fa da sfondo, mentre hanno la preminenza i sentimenti di angoscia e di paura che attanagliano l'animo dei due bambini protagonisti, Vasili e Theo, rimasti separati dai rispettivi genitori nel girovagare affannoso da una «Città» sotterranea all'altra alla ricerca di un'impossibile via di salvezza.
Con altri bambini, salgono su un aereo che li dovrà portare in un luogo sicuro, ma un guasto li costringe ad un atterraggio di fortuna. In attesa dei soccorsi, Theo, Vasili e un altro loro amichetto, Thomas, si mettono a girovagare per la campagna circostante e, insperatamente, scoprono un'astronave con a bordo un gruppo di uomini, donne e bambini, in procinto di avventurarsi nel cosmo alla ricerca di un pianeta abitabile dove fondare una società migliore. Poiché non c'è spazio per tutti, un adulto si sacrificherà cedendo il proprio posto ai tre ragazzi.
Come sempre nei romanzi catastrofistici, la fine è il principio di un nuovo inizio, è l'alba di una nuova umanità, è la fiducia in un Dio provvido e misericordioso: «Ora voi sapete la verità, ma non dovete avere paura. Quello che accadrà è tutto quello che accadrà agli uomini, ma gli uomini non sono Dio. Noi sappiamo che il mondo morirà, va bene, morirà, e nel mondo non c'è più posto per noi, va bene, spariremo. Ma non significa che tutto sarà finito. Non dovete pensare "per sempre" e "da ogni parte", come ha detto Vasili. Questo, se non ci fosse Dio. Allora, si, tutto e per sempre. Allora si, bisognerebbe avere paura" (12).
Il tema della sopravvivenza
Un altro tema che compare frequentemente nella narrativa di fantascienza è quello della sopravvivenza. Per migliaia d'anni l'uomo è> vissuto abbarbicato alla superficie del suo pianeta che, con la sua atmosfera, i suoi oceani, le sue foreste, lo ha nutrito e protetto come un utero materno. La conquista dello spazio implica, perciò, il trauma di una seconda nascita, tanto più drammatica in quanto biologicamente l'uomo non è adatto a vivere nel vuoto cosmico, e rischi e pericoli attenderanno dietro l'angolo i «padri pellegrini» delle stelle non soltanto nella fase del viaggio, ma anche all'arrivo a destinazione. Un esempio classico di questo sottofilone della fantascienza è rappresentato dal romanzo di Robert A. Heinlein, La via delle stelle (Tunnel in the Sky, 1955), dove si immagina che gli studenti della scuola del futuro debbono affrontare l'esame di sopravvivenza e a tale scopo vengono abbandonati, per alcuni giorni, su un pianeta vergine a lottare, senza più l'ausilio della tecnologia, contro difficolta e insidie anche mortali.
Tra i romanzi italiani di fantascienza per ragazzi che hanno affrontato il tema della sopravvivenza, ricordiamo quello di Danilo Forina, I cavalieri dello spazio, dove facciamo la conoscenza di tre simpatici ragazzi: Marjorie, Larry e Kris, i cui papà astronauti sono impegnati nel «Progetto Beta», un progetto che prevede lo sbarco dei primi uomini su Marte. Effettuato il lancio, l'astronave, quando è ormai a più della metà del percorso Terra-Luna, viene irreparabilmente danneggiata da un meteorite. Purtroppo, gli americani, per recuperare i naufraghi, non hanno pronto un razzo abbastanza potente, come invece lo hanno i russi. Però, le solite beghe di politica internazionale impediscono la collaborazione tra i due blocchi. Allora, Marjorie, Larry e Kris lanciano per televisione un appello a tutti gli uomini della Terra, perché facciano qualcosa per salvare i loro papà. Un ragazzo sovietico, Nikita, ascolta il messaggio e fa in modo che al proprio padre, valente astronauta, venga affidata dal Cremlino la missione di riportare sulla Terra i tre naufraghi dello spazio.
Il romanzo è un messaggio di speranza, un invito a tutti i popoli perché prevalga lo spirito di fratellanza e di collaborazione. Gli astronauti King, Brown e Jeffrey si accingono alla loro impresa senza vano orgoglio, ma con umiltà, augurandosi che «ogni passo in avanti compiuto dalla scienza, ogni scoperta, ogni conquista abbiano come unico scopo il bene dell'umanità» (13). All'arroganza del potere politico che da un summit all'altro vanifica, ormai da decenni, le speranze dei popoli in una pacificazione mondiale, l'autore contrappone la volontà dei singoli di annullare le barriere ideologiche e di far valere, in ogni questione di carattere economico, burocratico e tecnocratico, l'insopprimibilità delle libertà personali, la sacralità dei legami affettivi, il peso della propria umanità.
Lo stesso tema della sopravvivenza è affrontato anche da Gianni Padoan in Robinson dello spazio in un taglio più "tecnologico" che tuttavia non trascura gli aspetti umani della vicenda. Ne diamo la trama.
La missione che si appresta a compiere l'Apollo X-3, mandato in orbita attorno alla Luna con a bordo gli astronauti George Wayne, Robinson Miller e Jim Silverton, non ha nulla di eccezionale: deve far posare sulla faccia nascosta del nostro satellite un LEM-Ricovero contenente le attrezzature per una lunga esplorazione successiva. Ma una volta sganciato il «modulo lunare», per una fatalità che ha una probabilità su un miliardo di verificarsi, l'impatto con una pioggia di meteoriti, i tre astronauti che si consideravano solo dei «portatori d'acqua per i campionissimi di domani» (14), diventano i protagonisti di una cosmica tragedia: l'Apollo X-3 non riesce ad immettersi nella traiettoria di ritorno sulla Terra e si schianta sul suolo lunare. L'unico superstite è Robinson Miller, per il quale inizia una estenuante, disperata lotta per la sopravvivenza, ben più difficile di quella condotta dall'omonimo personaggio immaginario di Defoe. Riceve un primo soccorso da un cosmonauta sovietico, Andrej Kljucev. Ma, poiché la "Vostok" non può staccarsi dal suolo lunare, i due si rifugiano nel LEM-Ricovero, in attesa della spedizione di soccorso americana. Quando questa arriva, poiché c'è un solo posto disponibile sui LEM e l'ordine è di salvare unicamente l'astronauta americano e di abbandonare al suo destino quello sovietico, Robinson Miller rifiuta il cinismo ideologico implicito nella scelta e, in un drammatico finale, riesce a portare in salvo anche Kljucev.
Per apprezzare adeguatamente l'accuratezza dei dettagli tecnico-scientifici del romanzo, bisogna tenere presente che esso - come ebbe a dichiarare lo stesso Padoan in un'intervista (15) - fu scritto prima che l'«Apollo 11» conquistasse la Luna. Ma la validità del romanzo ovviamente non si fonda su un aspetto così facilmente destinato all'obsolescenza a causa del progresso della scienza. A renderne ancora interessante e attuale la lettura sono i risvolti umani della vicenda, la fede nella capacità dell'intelligenza umana a superare gli ostacoli. Nella solitudine del deserto lunare, così Robinson rincuora sé stesso: «La vera presunzione, Robinson, la superbia più nera, è pensare che gli strumenti fabbricati dagli uomini siano superiori alla tua mente, che è stata creata da Dio! Va, Robinson, senza paura! Hai già risolto i problemi più gravi; risolverai anche tutti gli altri che ti si presenteranno» (16). Indubbiamente il profilo psicologico dell'astronauta americano è delineato con tratti abbastanza marcati, e ciò coerentemente con l'eccezionalità della situazione. Ma non ne viene fuori un Superman, bensì un essere umano con i suoi momenti di debolezza, di smarrimento e di paura. Risulta così smentito ancora una volta il luogo comune secondo cui la science fiction poco si presterebbe allo scavo psicologico del personaggio.
Quali altri sogni oltre al consumismo?
Ma l'attenzione dello scrittore di fantascienza non è rivolta alla sopravvivenza soltanto del singolo individuo, ma anche dell'intera razza umana. Oggi, la logica consumistica, la continua produzione di merci, l'accumulo di rifiuti che non si sa come smaltire, stanno portando la Terra alla morte ecologica. La soluzione - avverte Giorgio Nebbia - può venire solo «dalla revisione critica del nostro sogno e del nostro ideale di sviluppo illimitato e fine a sé stesso, e dalla ricerca e scoperta di altri sogni e di altri ideali che concilino una vita dignitosa per l'uomo, partecipe della grande armonia della natura, con l'uso razionale di un patrimonio di risorse assolutamente limitato» (17). In quest'ottica si pone la politica della creazione di Parchi naturali, per salvare dallo sterminio molte specie di animali in via di estinzione. È questo il tema de L'Arma invisibile di Gilda Musa.
In un futuro molto prossimo, in una località non Ben precisa degli Stati Uniti Europei, è in fase di realizzazione un grande Parco naturale, il «Wald Park», per la conservazione e la protezione degli animali in via di estinzione. Sofisticate apparecchiature elettroniche e un folto gruppo di androidi programmati secondo le tre Leggi della robotica di asimoviana memoria, provvedono a distribuire il cibo agli animali e a curare e proteggere dagli incendi la vegetazione. Ma alcuni loschi individui decidono di impedire la realizzazione del progetto. Approfittando del caldo torrido, fanno scoppiare degli incendi e provocano la decimazione degli animali con un letargo artificiale. Quando la sconfitta per i difensori del «Wald Park» sembra inevitabile, ecco che tra uomini e animali si realizza una stupefacente simbiosi mentale che permette di neutralizzare l'arma invisibile che causa la malattia del sonno, di smascherare il responsabile della catena di sabotaggi.
Costruito secondo la tecnica del «realismo fantastico» tipica di Gilda Musa (18), questo romanzo non utilizza toni sensazionalistici o trovate mirabolanti per catturare l'attenzione del lettore. Come nelle altre opere della scrittrice, il futuro, qui, non è «delineato nei suoi aspetti generali, ma solamente illuminato di scorcio, per quel tanto che basta a giustificare la storia in atto» (19). Quello che invece preme alla Musa è mettere in risalto la psicologia dei quattro ragazzi protagonisti, tessere la delicata trama dei sentimenti di solidarietà e di bontà che li legano, delineare le tappe della loro maturazione interiore. Un romanzo dunque che è un chiaro esempio dello psicologismo di questa autrice, per cui, com'è stato osservato, «la sua fantascienza non è che, in fondo, l'ambientazione in luoghi (spaziali o temporali) fantastici dei problemi dell'individuo» (20).
Alla fine di questa prima parte del nostro articolo, una riflessione ci sembra utile di dover sottoporre all'attenzione non solo di quanti si occupano di problemi etici, pedagogici e psicologici, ma anche e soprattutto di quanti, con ostinazione degna di miglior causa, continuano ad osteggiare e a discriminare la fantascienza, arrivando all'assurdo di avanzare "consistenti riserve (…) anche a livello criminologico" (21). Da studi di filosofi della scienza e di sociologi (22), risulta la verità lapalissiana che, nel mondo d'oggi, si è compiuta una svolta antropologica o mutazione storica, mai verificatasi nella storia dell'umanità. La causa? L'avvento della scienza moderna, che ha modificato radicalmente il rapporto dell'uomo con la realtà. L'uomo pre-scientifico la subiva (ricordate il sistema tolemaico"); l'uomo scientifico la domina! I romanzi che abbiamo citato, testimoniano, in modo ineccepibile ed esemplare, questo nuovo rapporto dell'uomo con il mondo.
NOTE
(1) A parte l'Ariosto e pochissimi altri, si deve arrivare ai nostri giorni per incontrare autori che, come Buzzati e Calvino, dimostrino un genuino interesse letterario per il fantastico (cfr. Massimo Del Pizzo, Sulle tracce di una fantascienza italiana, in «Future Shock», n. 3, dicembre 1987, p. 3).
(2) Il direttore dell'edizione italiana di «Galaxy», Riccardo Valente, citato in Lino Aldani, La fantascienza, La Tribuna, Piacenza, 1962, p. 127.
(3) Cfr. Vittorio Curtoni, Le frontiere dell'ignoto. Vent'anni di fantascienza italiana, Ed. Nord, Milano, 1977, p. 53.
(4) L. Aldani, op. cit., p. 141. Il corsivo è nostro.
(5) Ibidem, p. 142.
(6) Tullio Bressan, Sentieri di luce. Teoria della letteratura giovanile, L'Ora del Racconto, Trieste, 1984, p. 82.
(7) La citazione è in Andrea Battistini (a cura di), Letteratura e scienza, Zanichelli, Bologna, 1977, p. 1.
(8) Cfr. Angelo Nobile, Letteratura giovanile, Editrice La Scuola, Brescia, 1990, p. 55.
(9) Ibidem.
(10) Clara Rubbi, Glaciazione anno 2097, SEI, Torino, 1979, p. l08.
(11) Il romanzo è stato pubblicato, nel 1973, dalla Bompiani col titolo: Addio al pianeta Terra.
(12) Luciana Martini, Non deve accadere, SEI, Torino, 1979, p. 91.
(13) Danilo Forina, I cavalieri dello spazio, La Scuola, Brescia, 19762, p. 54.
(14) Gianni Padoan, Robinson dello spazio, AMZ, Milano 19702, p. 18.
(15) Cfr. M. Bartolazzi Guaspari (a cura di), Incontri con Fautore: Gianni Padoan, in «Schedario», n. 109, gennaio-febbraio 1971, pp. 10-13. Il libro di Padoan uscì il 20 luglio 1969, lo stesso giorno cioè in cui Armstrong e Aldrin, a bordo del modulo “Eagle”, si posarono sul suolo lunare. Confrontando il resoconto del viaggio fatto dai mass-media e quello immaginato da Padoan, non si può non ammirare la stupefacente verosimiglianza di quest'ultimo.
(16) G. Padoan, op. cit., p. 112.
(17) Giorgio Nebbia, Presentazione a E. Goldsmith-R. Alien, La morte ecologica, Laterza, Bari, 19732, p. X.
(18) Così l'autrice ha definito la sua «vocazione al fantastico» in un su articolo, Esperienza personale, apparso su «La Collina» (Ed. Nord, Milano 1982, n. 2, pp. 90-96).
Tra gli scrittori di fantascienza per ragazzi fin qui citati, Gilda Musa è l'unica che abbia al suo attivo anche romanzi di fantascienza per adulti, tra cui ricordiamo: Festa sull'asteroide, Esperimento Donna, Giungla domestica, Fondazione Id.
(19) Vittorio Curtoni, op. cit., p. 204.
(20) Gian Filippo Pizzo, Le italiane e la Sf, in «Sf...ere», A.N.A.S.F, Roma, 1982, n. 23, p. 12.
(21) Angelo Nobile, op. cit., p. 93.
(22) Cfr. Enrico Cantore, L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Ediz. Dehoniane, Bologna, 1988, e AA.VV., Il problema della società industriale: progetti di sviluppo e crescita dell'uomo. Atti del XLVIII corso di aggiornamento culturale dell'Università Cattolica, Vita e Pensiero, Milano, 1979.
La scienza in tutte le sue ramificazioni: astronomia, fisica, geografia, ecc., non ha mai mancato di interessare, nel corso dei secoli, poeti e scrittori che da essa hanno preso lo spunto per comporre opere didascaliche e protrettiche. Chi non ricorda il De rerum natura di Lucrezio, dove i "foedera naturae" (la scienza epicurea) e la "callida Musa" (la poesia) sono indissolubilmente legati? E, prima del capolavoro lucreziano, i Fenomeni di Arato, opera imitatissima nell'antichità, che ebbe l'onore di commenti scientifici da parte di famosi astronomi del passato?
Nell'epoca moderna era logico che la presenza massiccia della scienza, con tutte le sue applicazioni tecnologiche, influenzasse ancor più che in passato il mondo delle lettere e determinasse la nascita di una nuova forma di narrativa: la science fiction. Ora, il fatto che gli scrittori di tale genere letterario siano per lo più degli scienziati: Sagan (esobiologo), Asimov (biochimico), Hoyle (astronomo); Clarke (fisico), ecc., ha indotto qualcuno a pensare che la principale finalità dei romanzi di fantascienza sia la divulgazione scientifica.
Il progresso in chiave ottimistica
La realtà e ben diversa. La scienza è si presente, ma vista in chiave umana, culturale e sociale e non semplicemente nell'ottica dell'impresa tecnicistica e scientistica, e la fantascienza stessa non sarebbe altro che l'espressione letteraria, nell'attuale temperie culturale e spirituale, dell'insieme non solo delle ansie, dei timori e delle frustrazioni scaturenti dall'impatto, spesso scioccante della scienza e della tecnica, ma anche delle aspirazioni, dei sogni e dei miti innescati dal progresso, di cui due sono fondamentali: la conquista spaziale, e la previsione del futuro, visto come esplosione tecnologica, spesso con conseguenze distruttive, apocalittiche.
Al primo di questi miti appartiene il romanzo di Domenico Volpi, S.o.s. dallo spazio, che ci fa rivivere il clima di entusiasmo che negli anni '50accornpagnò la messa in orbita dei primi satelliti artificiali.
Il giornalista Jackie Nicky viene inviato alla base spaziale della Sander's Company, nel New Mexico, per una serie di servizi sui preparativi per mettere in orbita un osservatorio astronomico. Ben presto scopre che due alti dirigenti della Sander's, Simmons e Blackbum, hanno ordito un piano criminoso. Approfittando dell'assoluto disinteresse per la Compagnia da parte del suo proprietario, il miliardario Sander, non hanno esitato, per realizzare profitti favolosi, ad impiegare materiale di pessima qualità nella costruzione della stazione orbitale. Fallito il tentativo di informare a mezzo stampa l'opinione pubblica, Jackie decide che l'unico modo per evitare il disastro e la morte di tanti astronauti sia di prendere contatto con Sander stesso.
Gli sgherri di Simmons e Blackbum tentano di impedirglielo e ne nascono inseguimenti, lotte, colpi di scena: tutti gli ingredienti, insomma, del genere avventuroso. Ma quando Jackie riesce finalmente a rintracciare il luogo di villeggiatura dove il miliardario Sander si gode nell'ozio i suoi profitti, e lo convince a fare sospendere il lancio, ormai è troppo tardi. Il fatidico «conto alla rovescia» è già avvenuto e nello spazio gli astronauti, ignari della sorte che li attende, montano l'osservatorio astronomico.
Ben presto il materiale di scarto e le apparecchiature difettose cominciano a cedere e alcuni astronauti muoiono. Sander ha una grave crisi di coscienza e, impiegando tutti i suoi mezzi finanziari, organizza una spedizione di soccorso. Prima che la stazione orbitale esploda del tutto, gli astronauti superstiti vengono portati in salvo.
In questo romanzo, la catarsi del lieto fine contribuisce a far vedere in una luce ottimistica il progresso tecnologico, e la conquista dello spazio è interpretata in chiave mitica: «la base formicolava di uomini e di macchine in movimento, e sospesi a un centinaio di metri da terra se ne coglievano le voci e i rumori come un respiro e un canto unico. Quasi immobile l'elicottero nell'aria accanto alla punta di una delle astronavi, con all'intorno altri sette scheletri d'acciaio che andavano coprendosi di piastre argentee, la visione aveva qualcosa di magico» (1). Pur essendo l'opera prevalentemente tesa a lumeggiare gli aspetti umani ed educativi della vicenda, non manca l'impegno di informare correttamente e senza appesantire su questioni di carattere tecnico, anche se certi dati forniti sono da considerarsi ormai superati.
Cambia lo scenario astronomico
Se fino a qualche decennio fa le storie ispirate a viaggi sulla Luna o sugli altri corpi del sistema solare suscitavano interesse nel lettore in quanto molti enigmi astronomici non erano stati svelati, adesso che le sonde automatiche ci hanno portato per così dire dentro casa i misteri dell'atmosfera di Venere, delle sabbie rosse di Marte e degli anelli di Saturno, gli scrittori di fantascienza ambientano le loro trame su mondi lontani anni-luce dalla Terra. Nascono così romanzi imperniati sulla costruzione di gigantesche astronavi propulsione fotonica, le uniche in grado di varcare l'abisso siderale che separa una Galassia dall'altra. Su questo tema si basa il romanzo di Gianni Padoan Sirio, ultima speranza la cui la trama è la seguente.
Nel 2072 l'umanità ha finalmente raggiunto la meta faticosamente inseguita attraverso i secoli: la liberazione dalla schiavitù del lavoro. Ma il tempo libero ha prodotto una grave malattia sociale, la noia, dai cui effetti la gente cerea di liberarsi ricorrendo alla violenza e al delitto. Il Governo Mondiale non sa trovare rimedi efficaci, diviso com'è tra due forze egemoni che hanno sostituito quelle geopolitiche di un tempo: i cibernetici e i sociologi. I primi hanno il controllo dello sviluppo tecnologico e industriale e sono fautori dell'applicazione dell'automazione ad ogni aspetto della vita umana, i secondi invece si battono per una crescita in senso umano della società. Ad accrescere la tensione ecco che un giorno dal sistema doppio di Sirio giungono dei segnali che fanno supporre l’esistenza di una forma di vita intelligente.
Per chiarire il mistero, si decide di inviare tre cosmonavi a propulsione fotonica che, in ricordo dell'impresa di Cristoforo Colombo, vengono battezzate Nina, Pinta e Santa Maria. I sociologi, convinti che per l'umanità l'unico antidoto contro la noia sia il pionierismo dello spazio, appoggiano senz'altro il progetto e a uno di loro, Gordon Moore, per l'occasione soprannominato “Capitan Sirio”, viene affidato il comando delle cosmonavi.
Ma la decisione non trova d'accordo i cibernetici che da un successo dei sociologi temono un duro colpo al loro prestigio. Da qui tutto un susseguirsi di intrighi, attentati, colpi di mano. Durante il volo di trasferimento dalla Terra alla Luna, «Capitan Sirio», per la manomissione all'impianto d'aria dello Space Shuttle, rischia di morire soffocato e si salva grazie alla sua ingegnosità. Sulla Luna a salvarlo sono invece le facoltà paranormali della sua amica, la psicologa Karin Jensen, quando l'elicottero che lo trasporta per una visita alle industrie alimentari precipita al suolo per sabotaggio.
Intanto sulla Terra la lotta si fa sempre più aspra. I cibernetici, per sostituirsi ai sociologi nell'impresa di contattare i Siriani, decidono di far crollare il Governo Mondiale e organizzano in ogni angolo del globo rivolte capeggiate dai «Figli del Nulla». Ma Gordon Moore, con un pizzico di fortuna, riesce a battere sul tempo gli avversari, si impadronisce con un arrembaggio dell'incrociatore spaziale Armstrong, catturando la commodoro Tania Volynova a cui generosamente risparmia la vita, e incolume si dirige con i suoi compagni alla volta del pianeta Marte, da cui con le cosmonavi spiccherà il gran balzo verso Sirio. Lungo gli anni-luce del viaggio, lo sosterrà la convinzione che «l'uomo per sua natura deve vivere per gli altri (...). Ci siamo sforzati per secoli di costruire l'età dell'oro. Ci siamo riusciti; ma soltanto per accorgerci, quando ormai era troppo tardi, che quella che dovevamo creare era invece l'età dell'amore» (2).
È un romanzo di stampo verniano. Abbondano le spiegazioni tecnico-scientifiche: che cos'è la fusione nucleare e cosa la differenzia dalla fissione, come funziona un motore a fotoni, qual è il significato della diminuzione periodica della luminosità nelle stelle lontane anni-luce, ecc. Ma spesso tutto ciò rimane un dato puramente esteriore che ha l'effetto di rallentare il ritmo narrativo. È chiara la condanna verso chi usa il progresso scientifico (i cibernetici) per ridurre l'uomo uguale alle macchine, ma le forze antagoniste (i sociologi) non mancano di ambiguità: non esitano infatti a ricorrere alla persuasione occulta per strappare alle masse il consenso alla spedizione su Sirio.
La manipolazione del tempo
Oggi, la possibilità di spostarsi velocemente in treno, in jet, in automobile, ha modificato nell'uomo la coscienza del tempo, che non è più visto come una realtà assoluta ma suscettibile di accelerazione e rallentamenti, di essere cioè manipolata. Ciò ha determinato la nascita, in seno alla fantascienza, del sottogenere narrativo dei viaggi nel tempo, grazie ai quali è sempre possibile rivivere eventi del passato o proiettarsi nel lontano futuro e persino assistere alla fine del nostro pianeta. I romanzi che appartengono a tale sottogenere della science fiction e il cui modello esemplare è rappresentato da La macchina del tempo (The Time Machine, 1895) di Herbert George Wells, rivelerebbero, secondo Sergio Solmi, l'ansia «di una società delusa nel suo inconscio da tutto il suo attuale condizionamento, e in disperata ricerca di nuovi miti e nuovi mondi in cui sfuggire» (3). A tale cliché si ispira il romanzo di Massimo Grillandi, Il pianeta dei mostri.
In vacanza a Cape Colin nel Mar dei Carabi, due ragazzi, George e Simon, rispettivamente di 14 e 15 anni, vedono emergere dal mare un vascello manovrato da mostruosi rematori, che, dopo aver toccato la sommità del cielo, torna ad inabissarsi. Una mano uscita dal gorgo depone sulla spiaggia una cabina: è una macchina del tempo. I due ragazzi, incuriositi, penetrano al suo interno e, toccato a caso un pulsante, si ritrovano in Val d' Aosta, all'inseguimento di uno stambecco che li porta nel castello di Ebalo Magno di Challant. Quando una frana minaccia di seppellirli, ecco che un vortice li risucchia e li riporta a Capo Colin.
George e Simon decidono di usare maggiore prudenza nel toccare le varie manopole della cabina. Ma non sanno che essa è sensibile alla voce umana, al cui suono si rimette in funzione, trasportandoli nella Francia Settentrionale, nella villa di un personaggio immaginario, Giscard de La Vigne, vissuto agli inizi del sec. XIX. Il domestico che, custodisce la villa in attesa del ritorno del suo padrone, partito al seguito di Napoleone Bonaparte per la campagna di Russia del 1812, possiede poteri straordinari, tra cui la longevità, che è frutto dell'energia vitale che succhia dagli esseri inanimati e animati che gli stanno attorno. Temendo per la loro vita, George e Simon fuggono dalla villa e si ritrovano dentro la cabina, in cui una forza misteriosa li spinge a premere alcuni comandi, che li fanno incarnare in due funzionari dell'imperatore della Cina Waiwangh. Guardando, assieme all'imperatore, dentro una sfera di cristallo, George e Simon seguono tutte le imprese di Genghiz Khan fino alla sua morte e ai suoi funerali.
Tomati a Cape Colin, i nostri, stufi di viaggiare nel passato, sentono il desiderio di visitare lo spazio siderale e premono il relativo tasto. Eccoli, questa volta, su una nave di metallo, il cui equipaggio è costituito da alieni privi di occhi, con ammoniaca al posto del sangue e tentacoli invece di braccia. Sono gli abitanti del pianeta Cliumen del sistema di Alpha Centauri, illuminato dalla nebulosa di Lyon II. Mentre la nave naviga, emerge dalle acque un mostro che, prima, la fa sprofondare negli abissi e, poi, la proietta nello spazio cosmico, dove si trasforma in astronave, Dopo un vagare senza meta, alla fine il veicolo spaziale è attratto nell'orbita di un pianeta, le cui autorità, pena la disintegrazione, costringono gli astronauti ad atterrare. Agli occhi di George e di Simon si presenta un paesaggio incantevole, dove il suolo sembra un giardino sterminato; ma scoprono anche che vi vige un regime dittatoriale, che programma nei minimi particolari la vita degli individui. Ai trasgressori è comminata la pena di morte. I due terrestri chiedono e ottengono di essere portati in riva all'oceano, dove vedono luccicare, dietro un cespuglio, la sagoma familiare della loro cabina temporale.
Il romanzo è una scorribanda a briglie sciolte nell'immaginario. Le convenzioni narrative più disparate - horror, vampirismo, favola, fantascienza, ecc. - vengono mescolate con disinvoltura e senza una precisa strategia, se non quella di stupire il lettore, fino a disorientarlo e a diseducarlo con affermazioni relativistiche del tipo: «Possiamo essere anche eroi (...) e dei più puri che mai l'umanità abbia conosciuto; ma all'occorrenza - ed è una necessita che si presenta spesso - non esiste bassezza di cui non siamo e non saremmo capaci, pur di raggiungere il nostro vero e altissimo scopo» (4).
In genere, gli spostamenti nel continuum spazio-tempo vengono effettuati mediante un particolare congegno: la macchina del tempo. A volte, però, i crononauti vengono sbalzati avanti o indietro nel tempo per un fatto puramente accidentale, come accade nel romanzo di Marino Cassini, Gli ultimi sopravvissuti.
Lo scienziato Barnett vuole sperimentare un ricetrasmettitore televisivo in grado di inviare a notevole distanza, con un raggio laser, suoni e immagini. Per l'esperimento vengono predisposti due gruppi: uno, con a capo lo stesso Barnett, a trenta metri sotto il deserto del Nuovo Messico, e l'altro in un batiscafo al largo della costa californiana, a mille metri di profondità. Quando l'esperimento sembra riuscito, ecco che dall'apparecchiatura ricetrasmittente si sprigiona una grande bolla di luce che proietta gli sperimentatori nella seconda metà del sec. XXIII. Ma è un mondo sconvolto che si presenta ai loro occhi e i pochi sopravvissuti sono regrediti ad una forma di civiltà primitiva.
La catastrofe è stata causata dal passaggio: in prossimità della Terra, di una cometa dal nucleo eccessivamente denso.
Data la massa fuori del comune, l'attrito con l'atmosfera ha fatto aumentare la temperatura provocando lo scioglimento dei ghiacciai. I gas tossici sprigionatisi dalla cometa hanno poi completato la tragedia.
Leggendo un diario trovato in quello che un tempo era stato un osservatorio astronomico, Barnett apprende che un gruppo di giovani scienziati, rappresentanti le diverse branche del sapere, è riuscito a fuggire su Marte, utilizzando proprio l'invenzione che secoli prima aveva provato, senza successo, lui stesso. Lo scienziato riattiva le «camere ad effetto B» e riesce a mettersi in contatto con i terrestri sopravvissuti su Marte e a riportarli sulla Terra: «E a un tratto il cubo di vetro, quasi spinto da una forza misteriosa, cominciò lentamente a sollevarsi verso l'alto per permettere all'uomo che si era materializzato al centro di uscire. L'uomo, un negro che aveva ai suoi piedi una grossa scatola metallica, si mosse...» (5). E la civiltà ricomincia un nuovo ciclo.
Spesso, nei romanzi di fantascienza per ragazzi, le convenzioni narrative di questo genere servono - come abbiamo già avuto modo di evidenziare - da pretesto per imbastire sermoni moraleggianti intorno ai problemi che più affliggono l'umanità d'oggi: la pace, l'ecologia, il conflitto nucleare... Niente di tutto questo ne Gli ultimi sopravvissuti di Cassini. Qui, il cliché tipico della fantascienza, cioè la premessa scientifica o pseudo-scientifica sviluppata in modo logicamente plausibile, è applicato in modo corretto e originale, e il giovane lettore è invogliato a interessarsi quasi naturalmente ai problemi sociali e scientifici perché essi gli vengono presentati non in forma nozionistica, ma nel rispetto di quella «componente emotivo-fantastica, proporzionata alle esigenze della sua età, e tale che renda i fatti, le notizie e, in genere, i contenuti modellabili dal gioco della fantasia» (6).
Gli alieni cattivi...
Fin dall'antichità, l'interrogativo «esistono altri mondi abitati?» non ha mai smesso di stuzzicare la mente degli uomini. Interrogativo che scrittori e pensatori hanno, a loro volta, alimentato con le loro opere e le loro congetture: da Luciano di Samosata che nella Vera storia ci parla dei Seleniti e dei loro lauti banchetti a base di aria e ranocchi arrostiti, a Voltaire che nel suo Micromegas ci presenta due extraterrestri provenienti uno da Saturno e uno da Sirio, a Giordano Bruno che nell'opera De infinito universo et mondi sostiene la dottrina dell'infinità dei mondi, la sola degna dell'infinita potenza di Dio. Oggi, l'enigma che altri corpi celesti siano abitati da creature intelligenti non è certo stato risolto, ma la speranza che qualcuno da lassù ci risponda è più viva che mai.
Tale esigenza radicata da sempre nell'inconscio collettivo non poteva non essere recepita dalla narrativa di fantascienza, che è lo specchio del nostro tempo, e ne è nato il tema degli alieni. Proiezione spesso delle nostre diffidenze e paure verso il diverso, come peraltro denota l'aggettivo latino «alienus», l'abitatore di altri mondi è rappresentato a volte, specialmente nella science fiction degli esordi, con lo stereotipo del BEM, acronimo di Bug-Eyed Monster (mostro dagli occhi d'insetto), essere malefico e dalle sembianze non sempre in armonia con i canoni della bellezza umana. A tale cliché sono accostabili in qualche modo gli alieni descritti da Clara Rubbi in Il pianeta tutto d'oro, romanzo che chiude la trilogia iniziata con Glaciazione anno 2079.
David e Silvie, per sfuggire all'invecchiamento a cui sembrano condannati i sopravvissuti al secondo diluvio universale che ha sconvolto la Terra, penetrano con altri otto compagni nell'iperspazio, viaggiando alla velocità della luce. Al ritorno, gli anni trascorsi che per effetto della relatività sembrano ai crononauti pochi minuti, in realtà sono centodieci. Conseguenza: David, Silvie e compagni sono ancora freschi e belli, mentre i loro coetanei sono tutti morti e restano solo i loro figli e i loro nipoti. Per quanto riguarda la Terra, essa non sembra ancora abitabile: le acque sono evaporate ma una serie di eruzioni vulcaniche ha ricoperto la superficie di un magma luminoso la cui natura è difficilmente sondabile dall'alto delle astronavi. È necessario penetrare oltre il manto delle nubi e toccare terra.
Proposta ragionevole, quella di David, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo... l'accanita opposizione di Igor, un essere bellissimo ma talmente freddo che si sospetta sia una creatura artificiale. Ad aiutare David è un suo coetaneo, certo Gunther, centenario pure lui ma vecchissimo perché non ha preso parte alla spedizione nell'iperspazio, preferendo affidarsi alle tecniche (maldestre) degli scienziati. Gunther ha uno strumento infallibile per svelare la vera natura di Igor: il favoloso anello del Nibelungo.
Con uno stratagemma il vecchio marpione fa toccare l'anello a Igor e questi va in tilt: meraviglia, era un robot! Diventato capo indiscusso della flotta, David ordina ai superstiti di sbarcare sulla Terra: ad accoglierli, ahimè, non ci sono né fronde stormenti, né uccelli cinguettanti, né onde mormoranti, ma una dura e rugosa lastra d'oro. I terrestri non si perdono d'animo e, prima di abbandonare il pianeta, decidono di esplorarlo palmo a palmo.
David, Silvie e gli altri otto crononauti penetrano in una grotta sotterranea dove scoprono un tempietto con nove statue tutte d'oro, raffiguranti nove guerrieri con tanto di spada e di corazza. Mentre, inseguiti da un dinosauro inferocito, cercano di guadagnare l'uscita, un'eruzione vulcanica sotterranea travolge i nostri eroi. David e qualche altro si salvano, ma di Silvie nessuna traccia. Però essa è viva, anzi è il simbolo della Terra stessa pre-diluvio: se cercata con amore e costanza dai sopravvissuti, l'Eden rispunterà dalla crosta d'oro che ricopre il pianeta. Portavoce di tale oracolo sono i nove guerrieri tutti d'oro, che finalmente rivelano la loro identità: sono gli unknown, gli esseri ritenuti dagli uomini nemici ma in realtà loro amici, e i loro sforzi per impedire la partenza delle astronavi terrestri verso altri pianeti avevano lo scopo di far capire che “quei mondi non devono essere violati dagli uomini. La nostra sede naturale, quella che Dio ci ha destinato dal principio della creazione, è questa, soltanto questa”. Per farla breve, David ritrova Silvie addormentata in mezzo ad un bosco, tra i due rinasce l'antico amore, assopito ma non spento, e convolano a giuste nozze con una cerimonia il cui fasto ricorda quello della nobiltà feudale. Come regalo di nozze, i guerrieri dorati provvedono a spaccare a colpi di spada la crosta d'oro che ricopre la Terra, dando così avvio al «Progetto Eden 2199».
Come il lettore avrà notato, le inverosimiglianze, in questo romanzo, sono sparse a piene mani: vulcani che eruttano oro fuso, frantumazione della crosta d'oro a colpi di spada, esplorazione planetaria condotta con metodi pre-scientifici, anello del Nibelungo... Ma quello che soprattutto dispiace è il tentativo di far giungere di soppiatto al lettore messaggi di stampo autoritario. L'organizzazione sociale, ad esempio, è di tipo piramidale: la base non fa che inchinarsi al volere del leader del momento; e la donna svolge un ruolo subordinato o tutt'al più di consigliera rispetto al maschio, che rimane l'arbitro di ogni decisione e il protagonista di ogni impresa degna di essere ricordata. Più grave ancora ci sembra il ricorso ad elementi di carattere religioso per sostenere concezioni opinabili e soggettive, quale l'ipotetico veto divino alla conquista del cosmo da parte dell'uomo.
… e gli alieni buoni
Nella narrativa di fantascienza, accanto al cliché dell'alieno ostile all'uomo, c'è anche quello del good alien, portatore all'uomo di un messaggio di speranza e di pace. Sotto tale veste sono presentati gli alieni che compaiono nel romanzo di Lise Loewenthal, Ecap: missione pianeta Terra.
Visti vani i tentativi di poter stabilire un contatto con i terrestri adulti a causa della loro incredulità, gli abitanti di Ecap, un pianeta evolutissimo di una lontana Galassia, pensano di superare l'ostacolo servendosi dei ragazzi, e mandano sulla Terra il giovane Mik. Esteriormente niente rivela la sua natura aliena e i cinque ragazzi terrestri che una sera lo incontrano, in un primo momento si sentono presi in giro. Ma quando vedono che Mik può cambiare a piacimento il colore della propria pelle e che il suo organismo può essere facilmente preda dell'atmosfera inquinata del nostro pianeta, si arrendono all'evidenza e decidono di aiutarlo a diffondere tra i ragazzi terrestri e, per mezzo loro, tra gli adulti il messaggio di Ecap, che cioè tutto sulla Terra, a causa dell'inquinamento, morirà avvelenato se non si correrà immediatamente ai ripari. Ma Mik, un po' per l'ostilità degli adulti, un po' per la sua naturale curiosità giovanile che lo porta a maneggiare un fucile carico da cui parte accidentalmente un colpo che ferisce lievemente un terrestre, non riesce a compiere la missione e, quando dopo una settimana, l'astronave aliena toma a prenderlo, ammette il suo fallimento.
Gli alieni non si scoraggiano e promettono ai cinque terrestri, diventati amici inseparabili di Mik, di far loro visitare Ecap se compiranno qualche gesto che dimostri la loro volontà a collaborare. Così avviene e i giovani si ritrovano su Ecap, dove constatano che non esiste inquinamento, tecnologia e natura convivono in perfetto equilibrio, l'educazione è basata sull'amore e non sulla repressione e le classi sociali sono eliminate in quanto «ognuno fa il lavoro che ama di più. E non esiste il denaro, ognuno riceve quello di cui ha bisogno (...). La cosa più importante è che ognuno dia il meglio di sé e che sia felice (...), in questa maniera uno lavora per l'altro e tutti si aiutano a vicenda" (8). Ma la felicità di Ecap è minacciata dagli Uomini Specchio, esseri di un pianeta vicino, che vivono schiavi dei loro istinti e che spesso, eludendo il sistema difensivo degli Ecapiani, seminano il terrore nelle loro città e rapiscono gli abitanti. Aggrediti dagli Uomini Specchio, i ragazzi terrestri, anziché con l'odio, reagiscono con l'amore e ottengono il risultato insperato di far rappacificare i due popoli. Dopo questo gesto, la stima per essi cresce enormemente nell'animo degli Ecapiani, e Mik accompagna i suoi amici allo spazioporto per il ritorno alle loro famiglie, sicuro che l'avvenire della Terra è in buone mani.
L'incontro con una civiltà aliena è calato in un'atmosfera di plausibilità scientifica e in un contesto psicologicamente realistico. Gli Ecapiani sono, si, una razza che ha superato molti dei problemi che tuttora affliggono i terrestri, ma hanno a loro volta qualcosa da imparare, come sta a indicare l'episodio degli Uomini Specchio, dove la Loewenthal stigmatizza la tendenza attuale ad affidarsi, nella soluzione dei conflitti, agli strumenti tecnologici trascurando l'importanza dei sentimenti umani.
La Loewenthal ha dato un seguito alla storia di Mik e dei suoi compagni terrestri in Il messaggio di Ecap, ma occorre dire che qui l'elemento fantascientifico funge da cornice esteriore, non si armonizza bene con i fatti della vita reale (si consideri, ad esempio, la parte puramente folkloristica che ha, nel sequestro di Mik, l'astronave ecapiana) e finisce col cadere nell'inverosimiglianza. Ineccepibili invece i messaggi educativi offerti ai giovani lettori:): lo spirito di cooperazione, l'amicizia, il sacrificio della propria vita per un ideale superiore (la morte di Lenticchia in difesa di Mik) e, soprattutto, l'esortazione a non credere che esistano soluzioni preconfezionate per i tanti problemi che assillano l'umanità.
La fantascienza privilegiata rispetto al mainstream
Dalla panoramica tracciata della narrativa italiana di fantascienza per ragazzi, emerge un dato molto importante per l'attuale momento di difficoltà economica e, in primis, spirituale che non solo l'Europa, ma il mondo intero sta attraversando: lo stimolo alla creatività. Come ha scritto il Premio Nobel per la medicina, Peter Brian Medawar, essa «forse non può essere appresa, ma può certamente essere incoraggiata e favorita. Possiamo avviarci verso le idee creative mediante la lettura e la discussione, guidati dal sano principio per il quale non si troverà mai una risposta a una domanda che non sia stata formulata nella mente" (9). La fantascienza è, in tal senso, privilegiata rispetto alla letteratura principale o, come si suole chiamare, con termine preso dalla lingua inglese, mainstream. Non si vuol certo affermare che la costante e attenta lettura di opere che ci parlano della nostra vita futura, conduca sic et simpliciter alla elaborazione di idee creative in senso popperiano. In realtà, è difficile per uno studente liceale o universitario (meno che mai per chi frequenta la media inferiore) proporre una nuova teoria o progettare un esperimento falsificazionista o rilevare una contraddizione interna ad una teoria (10). La fantascienza sarebbe, dunque, una fucina solo di idee nuove e non anche di idee nuove «e» buone?
Ci sia consentito, a mò di conclusione, citare un brano di James Gunn: "Poe ebbe un'influenza letteraria, Verne ebbe un'influenza sociale; e con Verne, non con Poe, inizia l'impatto della fantascienza nella società. Igor Sikorsky, l'inventore del primo elicottero vero e proprio, si interessò al concetto di un velivolo che potesse alzarsi verticalmente quando da ragazzo, in Russia, lesse la traduzione di Robur il Conquistatore; e lo speleologo Norman Casteret disse che fu il Viaggio al Centro della Terra a mettergli per primo in testa l'idea delle esplorazioni sotterranee. Byrd, Beebe, Yuri Gagarin, Marconi, Santos Dumont e molti altri hanno ammesso di essere stati ispirati dai romanzi di Verne!" (11).
NOTE
(1) Domenico Volpi, S.o.s. dallo spazio, La Scuola, Brescia 19612, p. 31.
(2) Gianni Padoan, Sirio, ultima speranza, AMZ, Milano 1976, p. 188.
(3) Sergio Solmi, Della favola, del viaggio e di altre cose, Ricciardi, Milano 1971, p. 96.
(4) Massimo Grillandi, Il pianeta dei mostri, S.E.I., Torino 1980, p. 77.
(5) Marino Cassini, Gli ultimi sopravvissuti, Le Stelle, Milano 1984, pp. 186-187.
(6) Rita D'Amelio, La lettura come esperienza, Adriatica Editrice, Bari 1980, p. 29.
(7) Clara Rubbi, IL pianeta tutto d'oro, SEI, Torino 1987, p. 147.
(8) Lise Loewenthal, Ecap: missione pianeta Terra, La Scuola, Brescia 19814, p. 130.
(9) Peter Brian Medawar, Induzione e intuizione nel pensiero scientifico, Armando, Roma, 1971, p. 89.
(10) Cfr. Dario Antiseri, Epistemologia e didattica delle scienze, Armando, Roma, 1987, p. 159.
(11) James Gunn, Storia illustrata della fantascienza, Armenia, Milano, 1979, p. 118.
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