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Una fantasy all'italiana


di Gianluigi Zuddas


Quando cominciai a scrivere di fantascienza una cosa la sapevo già per certa: se avessi dato retta ad un certo tipo di critici, ai dotti esperti ed a tutti quelli che avevano messo bocca da padreterni sull'argomento, sarei stato finito e bell'e fritto sin da quel momento.

I quesiti che loro si ponevano erano questi: cos'è, letterariamente, la fantascienza? Quale significato sociale ha? Come si fa a farsi leggere dalla gente?

Io avevo le mie risposte, naturalmente, ma il brutto era che non coincidevano per nulla con le illustri opinioni dei saggisti. Secondo costoro la Sf era un genere letterario che si doveva portar fuori dal "ghetto", opera meritoria a cui si dedicavano per passione e bontà d'animo, nobile crociata il cui senso era quello di spiegare al volgo i contenuti culturali delle storie d'astronavi e di mostri spaziali. Contenuto, messaggio, aspetto letterario: tali erano le parole d'ordine che il critico si sentiva obbligato a sfoderare, nel tentativo di far racimolare alla Sf i punti necessari ad essere promossa in Serie A.

Ancor oggi si leggono da molte parti castronate come questa: Qual'è il valore della fantascienza? Semplicissimo, signori profani: la fantascienza ha valore altissimo e meritorio di previsione, ovvero ci apre la porta del futuro disquisendo sulle meraviglie o sulle disgrazie che attendono l'umanità, siano esse tecniche oppure più finemente culturali e antropologiche. Previsione, signori, ecco quel che giustifica l'esistenza di tali romanzi!

Io, che di Sf ho letto tutto, so bene che non un solo dannatissimo romanzo scritto, che so, 30 anni fa, ha mai previsto neppure lontanamente ciò che accade al giorno d'oggi. Prendiamo la situazione ecologica e i danni dell'inquinamento alimentare: prima degli anni '60 gli autori di Sf ignoravano addirittura la parola stessa, figurarsi i drammi dell'ecologia. Prendiamo l'uomo come persona: nei romanzi di Sf classica i protagonisti hanno personalità-tipo identiche a quelle del lettore medio degli anni in cui furono scritti, e ciò all'evidente scopo di far sì che il lettore possa identificarsi col personaggio. Questo è un grave errore, quando magari tali protagonisti sono individui del lontano futuro e perciò dovrebbero esser descritti come molto diversi da noi, psicologicamente. Il film "American Graffiti" ha dimostrato all'americano degli anni '70 che egli non si riconosce più nell'atteggiamento emozionale e comportamentale dell'americano degli anni '50, e di conseguenza dovrebbe essere chiaro che gli autori di storie future hanno il dovere di "prevedere" personaggi "futuri" anche intellettualmente. L'hanno fatto? Diciamo pure che lo hanno sempre evitato come la peste, un po' per pura incapacità, e un po' perché il lettore non riuscirebbe ad "identificarsi".

Prima dell'esplosione della bomba atomica, tale arma non era stata prevista da nessun autore di Sf.

Eppure un certo Leonardo aveva proteso nel futuro la sua ombra di gigante affermando che un giorno una forza terribile sarebbe emersa dall'intimo della materia "facendo cadere a terra morti gli uomini col suo alito, e devastando città e castelli". L'invenzione del radar non è stata prevista da nessuno, prima della seconda Guerra Mondiale, malgrado che gli studi sul sistema-eco dei pipistrelli fossero già vecchi di oltre un secolo. Della televisione se ne occuparono per prime le riviste tecniche che gli autori di fantascienza.

Lasciamo perdere la moderna elettronica, perché i particolari di questa non sfioravano neppure la mente dei vecchi scrittori americani: per loro l'elettricità era già la magia del secolo. In quanto alla situazione politica odierna, sfido chiunque a trovare uno scrittore che si fosse avvicinato ad ipotizzarla. Insomma, la fantascienza ha previsto tutto meno quanto è accaduto nella realtà. Quindi se ne deduce che il suo valore di previsione è zero. Di conseguenza sarà meglio che i critici abbandonino quest'argomento, quando cercano di valorizzare questo genere letterario.

Altro argomento sbagliato che si è sempre cercato di usare è l'aspetto messaggio-sociale, ovverosia veicolare alle masse incolte visioni morali e politiche, umanistiche, sociopropedeutiche, affinché la persona del lettore divenga più nobile ed elevata.

Ora, io non ho niente contro il fatto di inserire, magari fra le righe, una morale o un messaggio culturale. Sovente anzi la cosa è addirittura inevitabile, dato che nel romanzo vengono rispecchiate le vedute personali dell'autore. L'errore consiste nel dare alla cosa un aspetto prioritario.

Il fatto è questo, o amico aspirante scrittore: nessuno ti leggerà mai se non sei anche divertente ed interessante. A nessuno gliene importa nulla del tuo messaggio fra le righe, se queste righe non le rendi leggibili fino all'ultima. Vuoi veicolare al lettore certi contenuti? E va bene, ma se non riesci innanzitutto a farti leggere con piacere questi contenuti andranno sprecati, perché nessuno terminerà di leggere il tuo libro!

Dunque i critici non hanno mai detto la cosa più importante, quasi che si vergognino di confessare che la Sf dovrebbe essere divertente ed appassionante. La prima conseguenza seria di tale atteggiamento è stato il nascere di autori che volevano per forza essere impegnati, come quelli dell'americana "New Wave" o di italiani troppo stilisti ed antropocentrici. I loro tentativi di fare letteratura erano abbastanza noiosi, ed i loro messaggi potevo sentirmeli uguali alla televisione, non meno dotti e ponderati. Delle loro proposte intellettuali potevo e posso farne a meno, e così delle loro ricamature stilistiche e d'avanguardia. Dietro ai tentativi di essere impegnati mancavano sempre la passione e le lacrime, l'umorismo, la sofferenza o la voglia pura e semplice di raccontare al lettore un'avventura.

Veniamo ora alla Sf Eroica. Se la fantascienza è considerata bassa letteratura, quel suo ramo più fiabesco ne costituisce il fanalino di coda, l'aspetto meno impegnato. Per un motivo che non ho mai capito bene alcune persone s'intestardiscono a suddividere la Sf in una quantità di filoni, dalla "Sword and Sorcery" alla "Hard Sf", e questo mi irrita. Spesso, nelle storie che io scrivo, mescolo volutamente tutti questi generi, un po' per inclinazione personale e un po' per mostrare che non c'è nulla di strano se un Mago entra in un'astronave, se le mie amazzoni hanno a che fare con dei robot o compiono viaggi nel tempo.

Del genere che tende alla Fantasy ciò che mi affascina non è quello che è stato scritto, bensì quello che ancora nessuno ha scritto. È un campo relativamente poco sfruttato, e devo notare che noi italiani non ci siamo ancora mai cimentati in esso. Questo è importante: scritta da un italiano la Fantasy può anche essere qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo e di davvero originale. È un campo immenso, dove possiamo tranquillamente evitare di ispirarci in qualche modo agli autori americani. Dirò di più: sono convinto che noi italiani siamo mentalmente molto più aperti degli americani su certi temi, su certi possibili personaggi.

Uno dei motivi per cui scrissi "Amazon" - e poi altri quattro romanzi più lunghi sempre con protagoniste le amazzoni - era appunto questo: dovevo dimostrare che la letteratura americana non ha mai avuto il coraggio di uscire da certi schemi, mentre noi italiani possiamo liberarci da molte catene mentali con maggiore facilità. Le amazzoni infatti sono lesbiche, né più né meno, anche se nelle mie pagine vedrete evitati i particolari più scabrosi di tale atteggiamento individuale e sociale. Ma non sono lesbiche che perdono, come invece tutta la letteratura europea ed americana ha insistito ad insegnarci. Nei romanzi, splendidi della Radcliffe Hall o di Violette Leduc, la lesbica è una donna perdente, condannata a pagare prezzi terribili per la sua deformità psichica. In altri romanzi scritti da uomini essa recita parti che gratificano il voyerismo maschile, ed è un personaggio deforme sempre destinato a finire un po' male. Nei miei romanzi, la lesbica riafferma il suo diritto umano a vincere: l'amazzone è spiritosa, avventurosa, fatta per i cieli azzurri e le pianure sconfinate. Francamente non credo che gli scrittori americani, impregnati di maschilismo variamente mimetizzato, riescano a considerare protagoniste di questo genere per costruirvi attorno una storia.

Anche il fatto di usare personaggi femminili come perno delle storie di Sf è stato poco sfruttato, e dedicandomi ad essi sapevo che avrei più facilmente potuto dire qualcosa di mio, di originale. Un giorno spero che vengano pubblicati vari racconti con protagonista Balthis, una ragazzina intraprendente che s'occupa del commercio di rottami in un immaginario panorama di diecimila anni fa. Si tratta, anche in questo caso, di un personaggio nuovo per la fantascienza (ne verrà tratto anche un fumetto) e scrivendo questi racconti mi sono convinto che ci sono ambienti, personaggi e storie, fino ad ora ignorati da quelli che molti di noi considerano i nostri maestri d'oltreoceano. Un rifiuto ragionato degli schemi e delle trame a cui ci hanno abituati gli autori americani deve essere alla base di ciò che si può scrivere in Italia.

A chi non ha fiducia ricordo questo: il baricentro della cultura e della tecnica si sta spostando dagli U.S.A. verso l'Europa. Qualche anno fa gli americani affermavano che le uniche cose importanti accadevano a New York, e forse non avevano torto; ma oggi sono costretti a guardare all'Europa. Che ci crediate o meno, abbiamo un sacco di cose da insegnare loro, ed io invito gli scrittori italiani di fantascienza a darci dentro con fiducia. Può anche darsi che americani e anglosassoni abbiano detto tutto circa la classica Sf spaziale, però quello della Fantasy è un campo che non hanno ancora sfruttato bene, un terreno su cui possiamo piantare la nostra bandiera.

Sono sempre stato convinto che per poter scrivere bisogna essere buoni lettori, e non solo di fantascienza. Per creare un ambiente di Fantasy che stia in piedi, infatti, è necessario avere nella testa tutto ciò che si può imparare dai saggi di divulgazione scientifica, sulle materie più diverse. L'ambiente in cui si muovono i personaggi non deve essere mai campato in aria, ma avere solidi aspetti realistici.

Faccio un esempio: nei miei romanzi sulle amazzoni, che si svolgono in un immaginario Nord-Africa di diecimila anni fa, talvolta compaiono i cavalli. Orbene, l'archeologia ci insegna che il cavallo come lo conosciamo oggi esiste solo dal 1500 a. C. epoca in cui emerse da incroci fra razze molto più piccole. Lo stesso dicasi del ferro, che io pervicacemente colloco in quella che è invece l'età del bronzo. Il mio problema fu quindi di rendere plausibile la loro esistenza in tempi antecedenti. Ora, pur giocando a mio piacere con gli enormi "buchi" dell'archeologia per collocare in essi intere civiltà, vi erano aspetti di questa materia che non avrei potuto ignorare altrettanto facilmente.

In queste cose, o si guarda di farci una cultura o si fanno errori enormi. Per dirne una, bisogna andare sul sicuro quando si tratta di stabilire qual’è il clima di una determinata zona in una certa epoca; bisogna sapere quali piante vi possono crescere, qual'è il tipo di agricoltura e di artigianato che fornisce il sostentamento ad una popolazione; quali sono i gioielli, le stoffe, i materiali d'uso comune.

Ora, io ammetto che faccio parlare le amazzoni come se avessero fatto per lo meno il liceo, fornendole di una personalità che non è del tutto giustificata dal loro retroterra tecnico e culturale. Ammetto anche di aver preso a calci le conclusioni di certi archeologi i quali non sarebbero certo d'accordo con me nello stabilire cosa accadeva nel Nord-Africa pre-egizio.

Però attenzione: anche scrivendo un romanzo di Fantasy è necessario badare a non sballarle troppo grosse, circa questi particolari, altrimenti non si fa altro che prendere in giro il lettore.

Se un autore mi presenta il suo eroe mettendogli in mano una spada di ferro, bisogna che questi abbia alle spalle A: miniere e fonderie con tanto di mano d'opera, B: un fabbro capace di ottenere leghe di acciaio dolce (il ferro puro è anche oggi difficoltoso da ottenersi) e C: una società i cui aspetti evolutivi siano coerenti. Oppure i gioielli: non è facile sfaccettare le pietre dure, a meno che la società che si descrive non sia giunta a disporre di strumenti appositi, quindi un protagonista di Fantasy deve muoversi in un ambiente già abbastanza evoluto se vuole portare addosso le pietre dure tagliate ad arte. Lo stesso dicasi per particolari come le lastre di vetro per le finestre, le serrature degli scrigni, la carta, le stoviglie da cucina di un certo tipo, le fibbie, ecc. Molti dei più famosi eroi della fantascienza "Eroica" sono stati dipinti dai loro autori con attorno oggetti anacronistici, non coerenti con il mondo in cui vivono.

È facile, allorché si parla ad esempio di imprese marinaresche, dimenticare che navi di grosse dimensioni si poterono costruire solo dopo l'invenzione del chiodo, mentre in precedenza si andava con gli incastri lignei e non si poteva affrontare l'alto mare. Non si può essere faciloni descrivendo la struttura e la velatura delle navi: Colombo non avrebbe mai osato affrontare l'Atlantico senza quella grossa invenzione che fu la Caravella, uscita dopo lunghi studi dalla scuola di Enrico il Navigatore. Tant'è vero che la Santa Maria, che una caravella non era, fece una brutta fine a Santo Domingo. Dietro la navigazione d'alto mare deve esserci una società già arrivata ad un certo grado di evoluzione. Cristoforo Colombo non era un idiota, e lo aveva detto fin dall'inizio che della Santa Maria non si fidava. Un eroe della fantascienza di cappa e spada stia dunque attento a quali sono le navi su cui compie le sue imprese. E gli autori… Bè, per scrivere un racconto sui vichinghi ricordo che dovetti imparare tutto sulla tecnica di costruzione dei loro drakkar.

Nei romanzi di Fantasy le guerre non mancano quasi mai, e tuttavia gli scrittori americani hanno sovente ignorato dei preziosi particolari di colore locale, in specie per quanto riguarda le tecniche storiche della guerra. Gli stessi eserciti sono, diciamo così, un'invenzione abbastanza recente, dato che perfino qualche secolo fa accadevano fatti strani e singolari. Ad esempio vi sono state Nazioni in cui il popolo non aveva il privilegio di combattere, riservato per lungo tempo ai nobili. Più sovente gli eserciti erano composti da gruppi separati i quali, se gli girava storto, si limitavano a starsene ad osservare la battaglia oppure andavano altrove per conto loro. Anche le uniformi non è che siano un'invenzione di vecchissima data e furono dovute al fatto poco entusiasmante che in loro assenza delle truppe alleate erano capaci di massacrarsi a vicenda. E che dire dell'elegante signore che due secoli orsono andavano a far merenda presso i campi di battaglia per godersi il cavalleresco spettacolo? 0 degli indiani d'America, che fino ai tempi di Custer consideravano la guerra una specie di bastonatura incruenta dove lo scopo era di togliere l'onore all'avversario toccandolo con una bastonata? La guerra non è sempre stata la cosa che sappiamo oggi, e ciò andrebbe tenuto presente anche quando questi romanzi di Fantasy si svolgono su altri pianeti.

Potrei fare lunghi discorsi anche su ciò che erano i duelli faccia a faccia nell'antichità, cominciando dall'esempio di Achille che sdegnò di darsi da fare finché i troiani non lo offesero uccidendo Patroclo, e finendo a quel che succedeva in Europa finché non vennero introdotte le regole non scritte del duello.

C'erano atteggiamenti mentali e pratici del tutto diversi, forse oggi psicologicamente incomprensibili.

Mi piacerebbe anche far notare gli stranissimi comportamenti della nobiltà, che perfino nell'Inghilterra del quattordicesimo secolo armava vascelli dediti alla più terribile pirateria o inviava scherani a rapinare i viaggiatori sulle strade maestre. Sovente nei romanzi si descrive la figura del Re che governa il suo regno ...

Amici, qui a Livorno c'è la fortezza medicea strutturata per puntare i cannoni in primo luogo sulla città stessa, e non già su eventuali assalitori. Il Re glorioso tipo Carlo Magno che si vede in tanti romanzi, è una figura con pochi riscontri nella realtà.

Una cosa in cui non credo è lo scrivere romanzi e racconti in cui appaiono manifestazioni supernormali di magia classica e di esoterismo, come la materializzazione di esseri fatati, i geni che avverano i desideri, gli animali parlanti, i colpi di bacchetta magica. Non mi divertono. Mi piacciono assai di più i chiromanti che leggono nella sfera di cristallo mentre con un piede sotto il tavolino vi pompano nascostamente il fumo dentro, oppure i demoni che appaiono nel pentacolo, ma che sotto la mascheratura nascondono il garzone del Mago entrato attraverso una botola. I miei draghi hanno all'interno un meccanismo a vapore costruito un po' follemente, e se permetto agli Dei di scendere su un campo di battaglia per manifestarsi ai mortali essi lo fanno a bordo di una scassata astronave, imprecando per la scarsezza di carburante. Alla figura dell'essere magico, preferisco quella del meccanico, magari alle prese con un marchingegno dagli effetti fantastici, ma con le mani onestamente sporche di grasso. Il cavallo alato della favola non mi affascina come quella splendida macchina di muscoli frementi che è un normale cavallo lanciato al galoppo, capace di correre nel vento con cieco coraggio per portare in salvo l'eroina in pericolo finché il suo gran cuore non schianta nello sforzo irragionevole. E trovo che ci sia molta più poesia nelle ingenue lacrime di una contadinella ignorante che nell'apparizione di mille fate. Ed in quanto agli uccelli ed ai mostri parlanti, o hanno l'apparato vocale identico al mio e al vostro, oppure parlare non possono. Il contrario non mi ha mai convinto.






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