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Gli italiani, popolo di navigatori, di poeti… ma non di fantascientisti!


di Giuseppe Zurlo


Stabilire una data precisa da cui fare iniziare una tradizione di science fiction in Italia, è uno sforzo destinato ad essere vanificato dai risultati delle ricerche di archeologia letteraria che si susseguono con continuità in questi ultimi tempi, riportando alla luce opere che emanano odore di fantascienza appartenenti a periodi a volte assai lontani dal nostro.

Invece, per quanto riguarda la storia delle pubblicazioni specializzate, risulta più agevole individuare il termine a quo.

Nell'aprile del 1952 uscì a Roma, infatti, la prima rivista italiana dedicata interamente alla science fiction, Scienza Fantastica, diretta da Vittorio Kramer, un giovane italo-americano con ambizioni editoriali, e Lionello Torossi, un appassionato di fantascienza che aveva annusato le possibilità che questo tipo di letteratura aveva di imporsi sul mercato italiano. Per l'occasione i due crearono la casa editrice "KraTor", un titolo rilavato dai loro cognomi. L'esperienza si esaurì in un anno, con sette numeri all'attivo, dopo una prima pausa e un cambiamento di formato. Le cause della chiusura di questa interessante ma sfortunata rivista vanno ricercate nella sua cattiva distribuzione, nella mancanza di pubblicità e soprattutto nella spietata concorrenza della rivista mondadoriana "Urania", uscita a pochi mesi di distanza.

Fu dunque "Scienza Fantastica" a dare inizio all'organizzazione della produzione e della diffusione della science fiction in Italia, un'organizzazione ancora incerta ed insicura, come dimostra l'esito della sua esperienza.


Il settimanale diretto da Armando Silvestri

Prima del 1952 diversi giornali e riviste avevano pubblicato racconti di carattere fantascientifico, per lo più di natura verniana, cioè una fusione più o meno riuscita (a seconda degli autori) di avventura e di divulgazione scientifica. In particolare, va ricordato il settimanale Ali (1950), diretto da Armando Silvestri: si trattava di una pubblicazione dell'aeronautica militare del Nord del 1944-45 contenente un inserto, dal titolo "Ali nello spazio", dedicato alle ricerche nel campo della missilistica e a qualche racconto di anticipazione. Ma questa pubblicazione non era interamente dedicata alla science fiction, non era una rivista specializzata come fu invece "Scienza Fantastica".

L'impostazione di quest'ultima assegnava un ruolo fondamentale alla narrativa.

La scelta dei curatori si indirizzò sul racconto e venne concesso ampio spazio ad autori americani, soprattutto ad Isaac Asimov, e ad autori inglesi, in particolare a Arthur C. Clarke, ma anche ad autori italiani, tra cui lo stesso Torossi (con lo pseudonimo di Massimo Zeno), la maggior parte dei quali venne reclutata col sistema del racconto del lettore.

Secondo alcuni critici, la pubblicazione di autori italiani fu una scelta coraggiosa ma, come ha fatto notare G.F. Pizzo, fu in seguito che ci volle coraggio a fare una simile scelta "[...] quando il lettore, abituato dalla discriminatoria politica degli editori (principalmente di Mondadori) si convincerà erroneamente che la science fiction è un genere nel quale gli italiani non potranno emulare in alcun modo gli stranieri" (1). Oltre ai racconti, "Scienza Fantastica" presentava alcune rubriche di informazione scientifica curate da Giancarlo Montini. Una di queste era dedicata agli avvistamenti degli U.F.O. ("Unidentified Flying Objects"), generando un equivoco chiarito solo di recente, quello della coincidenza tra ufologia e science fiction.

Nell'editoriale del direttore, Torossi sottolineava a più riprese il carattere sperimentale della sua iniziativa, e manifestava la volontà di presentare un quadro completo delle tematiche della sua rivista. Il modello di "Scienza Fantastica" non era certo originale, ma ripreso dalla rivista americana "Astounding", all'epoca forse la maggiore rivista di science fiction, il cui direttore, John William Campbell jr., aveva impresso una svolta alla fantascienza americana nella direzione di un maggiore approfondimento psicologico, di un maggiore interesse per i fenomeni psichici parascientifici nonché di uno stile più accurato.


Niente dischi volanti a Lucca

La stessa formula di "Scienza Fantastica", con una parte dedicata alla narrativa e una parte dedicata a rubriche varie, dalla divulgazione scientifica al dialogo con i lettori, venne adottata da Urania, uscita nell'ottobre del 1952, edita da Mondadori. Il suo direttore era Giorgio Monicelli, divenuto famoso per aver coniato il termine italiano "fantascienza" traducendo impropriamente dall'inglese "science fiction"; impropriamente perché "fiction", in inglese, denota tutti quei testi che non sono trascrizione fedele di eventi o situazioni reali, ma descrizione di mondi inventati. La parte narrativa di questa pubblicazione, consistente in un romanzo a puntate e in diversi racconti, era presa soprattutto da "Galaxy".

Ad "Urania", chiusa dopo 14 numeri nel 1953, era stata intanto affiancata una collana, I romanzi di Urania, sempre sotto la direzione di Monicelli, in cui furono pubblicati tutti i lavori più significativi apparsi fino ad allora negli U.S.A. e in Inghilterra, La periodicità di questa collana variò in continuazione: da bimensile a trimestrale, da quattordicinale a settimanale. Una delle sue principali attrazioni erano le copertine disegnate da Kurt Caesar (pseudonimo di Cesare Avai), prima, e da Karel Thole, un grafico olandese, poi.

Dopo la morte di Monicelli, la direzione della collana fu assunta da Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Se Monicelli aveva concesso un certo spazio agli autori italiani, pubblicando opere di Emilio Walesko, Franco Enna e L.R. Johannis, i nuovi direttori si indirizzarono decisamente verso la produzione straniera. La motivazione di questa scelta è contenuta in una famosa battuta che Fruttero lanciò durante una trasmissione radiofonica, in cui egli affermò che "i dischi volanti" non potevano "atterrare a Lucca" e che era la tradizione culturale che precludeva agli scrittori italiani la possibilità di scrivere fantascienza. Questa scelta e la sua motivazione furono aspramente criticate da quegli scrittori che si videro negare la possibilità di maturare letterariamente e di farsi conoscere dal pubblico.

Successivamente i dischi volanti sono atterrati con una certa frequenza in Italia, offrendo a volte esperienze interessanti e smentendo seccamente sia Fruttero che R. Valente, il primo direttore dell'edizione italiana di "Galaxy", il quale aveva sostenuto che gli italiani erano "[...] un popolo di santi, di navigatori, di poeti, di precursori, di geni incompresi e certe volte anche troppo compresi, ma non, enfaticamente non, di scrittori di fantascienza. (2).


L'ostilità in Italia alla letteratura fantastica

La tradizione italiana era comunque ostile alla letteratura fantastica, tranne qualche eccezione. Fa notare a questo proposito Roberto Sanesi: A differenza di altre, la cosiddetta tradizione italiana non ha mai mostrato un profondo e costante interesse verso la letteratura fantastica in tutte le sue più diverse accezioni e sfumature, o> per lo meno non si ricordano in questa tendenza né veri e propri capolavori né opere che, dovendosi magari considerare "minori", possano essere assunte oggi a più o meno lontani esempi cui riferirsi. Né un Cyrano de Bergerac, né un Rabelais, né uno Swift, né un Hoffmann, un Poe, un Carroll.

[…] Per riscontrare nella nostra storia letteraria esempi non numerosi ma più frequenti e convincenti, a parte le loro differenze, di una scioltezza di movimenti nell'area del fantastico dal puro divertissement alla costruzione di un racconto utopistico o comunque di un racconto che nel gioco mimetico degli elementi stilistici e dei vari ingredienti dell'assurdo riveli un'intenzione problematica, mi pare si debba arrivare al nostro secolo, ed è ancora un discorso di "eccentrici", agli sconfinamenti di Palazzeschi, di Landolfi, di Buzzati, di Calvino, alcune prove di Berto, di Mario Soldati (3).

Si può concordare con Sanesi sulla scarsa profondità e continuità di interesse della tradizione italiana verso la letteratura fantastica, anche se, in realtà, esiste un discreto numero di opere "minori" (4).

È anche vero che la presenza di una società e di una cultura ad alto livello scientifico e tecnologico è indispensabile per la nascita e lo sviluppo della science fiction, ma questo non può essere un pretesto per giustificare il veto posto da "Urania" (così si chiamo la collana dopo qualche anno) alla fantascienza italiana, proprio perché in quegli anni l'Italia (almeno quella settentrionale) subiva una potente (e per certi aspetti rovinosa) spinta verso l'industrializzazione e lo sviluppo tecnologico.

Vi erano dunque in Italia le condizioni favorevoli per lo sviluppo della fantascienza: esisteva una tradizione, sia pure poco marcata, un contesto di tipo industriale e aspiranti scrittori.

Venne a mancare, almeno in un primo momento, l'elemento catalizzatore che è la rivista specializzata. Ma Urania continuò imperterrita sulla propria strada caratterizzata da un ostracismo pressoché totale nei confronti degli scrittori italiani. Agli inizi apparvero sulle sue pagine quasi tutte le migliori opere inglesi e americane, ancora sconosciute in Italia, ma in seguito cominciarono ad essere pubblicati testi scadenti, di puro consumo e senza la minima qualità intellettuale.

Si aggiunse a questo la discutibile scelta, esiziale per la reputazione della science fiction in Italia, di tagliare parti del "romanzo" presentato per farlo rientrare in un certo numero di pagine e, inoltre, la traduzione non sempre felice (anche se per questa attività esistevano, come vedremo, seri problemi).

"Urania" (collana) è tuttora in edicola (nel 1986 la direzione è stata assunta da G. Montanari e, in seguito, da G. Lippi) ed è stata successivamente affiancata da altre collane come "I capolavori di Urania", "Millemondi", "Classici fantascienza", "Star-Trek", "La rivista di Isaac Asimov" (edizione italiana della "Isaac Asimov's Science Fiction Magazine"), "Biblioteca di Urania" ed altre ancora.

Intanto si era conclusa nel 1952 la brevissima esperienza di Mondi nuovi (6 numeri), una rivista che aveva tentato senza successo l'abbinamento di fantascienza e fumetto. Era stato proprio il fumetto il veicolo di introduzione della science fiction in Italia: "Superman" circolava già durante il fascismo, ma col nome di "Ciclone", così come "Brick Bradford", che divenne "Giulio" o "Giorgio Ventura". Però l'insuccesso di "Mondi nuovi" e della rivista che tentò di ripetere l'operazione nel 1961, Giro planetario (8 numeri), dimostrò che la formula dell'abbinamento fumetto più narrativa non incontrava i favori del pubblico.

Nel 1953 avevano chiuso battenti "Urania" (rivista) e Galassia (3 numeri), la prima delle tre pubblicazioni con questo nome, uscita a Milano, edita da Orfeo Landini, un costruttore di macchine agricole con ambizioni editoriali. Nel 1955, dopo un anno di vita, chiudeva con sette numeri all'attivo Fantascienza, edita da Garzanti, edizione italiana della rivista americana "The Magazine of Fantasy and Science Fiction". I critici concordano nel ritenere ottime le sue proposte, ma sulle ragioni della chiusura alcuni di essi hanno opinioni diverse. Per G. de Turris si trattava di un divario esistente tra il carattere dei testi (ad esempio testi di "fantasy" o raccontini umoristici "all'americana") e l'esperienza del lettore italiano non così ampia da consentirgli di gustarli; per G.F. Pizzo si trattava invece di una scelta forzata della casa editrice di ridimensionamento dell'intero programma delle riviste da edicola. In quello stesso anno terminò anche una mediocre rivista, Mondi astrali (4 numeri), la prima completamente compilata da italiani.


Gli anni del boom, delle riviste italiane

Gli incerti inizi dell'editoria italiana, di fantascienza risentono quindi fortemente dell'esperienza, soprattutto americana, nel campo, un'esperienza che si era consolidata nell'arco di tempo che va dalla metà degli anni Venti agli inizi degli anni Cinquanta. Basti pensare che a metà degli anni Cinquanta "[...] c'erano ben più di trenta periodici americani dedicati essenzialmente alla fantascienza" (5), un folto plotone saldamente guidato da "Astounding", "Galaxy" e "The Magazine of Fantasy and Science Fiction", mentre in Italia, nel 1956, esisteva la sola collana "I romanzi di Urania".

Il 1957 vide però il boom delle riviste italiane di science fiction: fu l'anno dello "Sputnik I" sovietico e dei primi, continui avvistamenti di dischi volanti. In questo contesto nacquero collane, riviste e rivistine, alcune delle quali non sopravvissero per più di un anno alla loro mediocrità.

Le collane Cronache del futuro (1957-1958, 25 numeri), I narratori dell'Alpha-Tau (1957, 9 numeri), Cosmic (1957-58, 3 numeri), Astroman (1957-58, 2 numeri), si distinsero per la qualità molto scadente dei testi proposti, per la stranezza degli pseudonimi usati dagli autori (un misto di greco e di inglese), tutti italiani, e per le copertine recanti immagini di procaci astronaute in costume ridotto all'essenziale. L. Aldani ha dato di questo fenomeno un giudizio molto aspro: "Fu quello un deplorevole fenomeno che non favorì certamente l'avvento di una science fiction italiana, anzi rischiò di comprometterlo seriamente, o comunque lo ritardò." (6).

Lo stesso fenomeno si ripetette nel 1961, l'anno del volo di Yuri Gagarin, con I romanzi del futuro (1961, 6 numeri), Superfantascienza illustrata (1961, 7 numeri), Superspazio (1961-1962, 10 numeri), Fantavventura (1961, 2 numeri), Gli esploratori dello spazio (1961-1963, 11 numeri).

Tranne rare eccezioni, i testi erano pessimi, presi dalla più scadente produzione italiana, inglese e americana. Le copertine facevano concorrenza ai testi, con l'eccezione di quelle disegnate da Kurt Caesar per Le cronache del futuro (1958-59, 11 numeri), un'altra collana che durò proprio grazie alle copertine (almeno così dicono gli esperti del settore) e che si era trasformata nella già citata "I romanzi del futuro".


La rivista più longeva: "Oltre il Cielo"

Ma torniamo al 1957: non fu quello solo l'anno delle "astronaute in bikini" (secondo la nota boutade di Aldani), ma anche l'anno in cui apparve a Roma, per il "Gruppo Editoriale Esse", Oltre il cielo, forse la rivista italiana che ha avuto la durata maggiore (18 anni, per un totale di 155 numeri) e che ha avuto il merito di essere stata la palestra dei migliori specialisti italiani di fantascienza (7).

Secondo il de Turris, che collaborò alla realizzazione della rivista, la formula editoriale di "Oltre il cielo" era nuova per l'Italia.

Era a formato tabloid (circa metà dei normali quotidiani, con notiziari condensati e molto materiale fotografico) e conteneva articoli di divulgazione scientifica, di critica cinematografica, recensioni di libri, presentazioni di autori e naturalmente racconti di fantascienza. Si trattava essenzialmente di una rivista di divulgazione scientifica e di astronautica; fu diretta fino al 1960 da Armando Silvestri, sostituito poi da Cesare Falessi. Silvestri, che fu anche editore di questa pubblicazione, ne ha ricordato così l'impostazione:

"Oltre il cielo" era stato fondato per un'esigenza di divulgazione delle nuove discipline spaziali, che si sviluppavano con terribile crescendo, ma riecheggiando i moduli della narrativa già affrontati nel passato, intesi inserirvi anche una parte riguardante i racconti.

Le scelte, però, desideravo che fossero preferibilmente italiane, e questo in accordo con tutta la precedente opera di divulgazione condotta nelle altre pubblicazioni - "Il politecnico", "L'ala d'Italia", "Avventure nel cielo", "Ali" - nelle quali avevo sistematicamente cercato di stimolare i nostri scrittori (specialmente i giovani) a dedicarsi a questi temi (8).

I racconti, a sfondo tecnico e scientifico, scritti da autori italiani per la maggior parte senza pseudonimo, risentirono profondamente agli inizi (almeno fino al 1963), secondo de Turris, dell'influenza delle science fiction anglofona, nella scelta dei temi, nella caratterizzazione dei personaggi (persino nei loro nomi), nel taglio narrativo.

Questo era inevitabile, del resto, data la formazione letteraria degli autori e la scarsa presenza di modelli di riferimento nostrani; però non significa mancanza di idee e di stile: basti pensare che sulle pagine di "Oltre il cielo" pubblicarono i loro primi racconti Lino Aldani e Sandro Sandrelli, due tra i maggiori scrittori italiani di fantascienza, e offrirono la loro collaborazione personaggi che poi avrebbero ricoperto un ruolo di primo piano sulla scena della science fiction italiana, seppure con altre caratteristiche: Inísero Cremaschi, scrittore già affermato e direttore di "La collina", periodico dell'editrice Nord; Ugo Malaguti, scrittore e poi anche direttore di "Nova Sf" (editrice Perseo Libri, Bologna); Vittorio Curtoni, critico ed ex direttore, insieme a G. Montanari, di "Galassia" (La Tribuna, Piacenza), e poi, da solo, di "Robot" (Armenia, Milano); lo stesso Montanari e infine Carlo Pagetti.

"Oltre il cielo" si pose dunque come polo alternativo a "Urania"(collana) per la produzione di science fiction italiana. Se "Urania" si caratterizzò per l'accentuato ostracismo verso gli scrittori italiani, per l'impostazione ripresa dalle riviste americane (in particolare da "Galaxy"), per l'opera di divulgazione scientifica svolta senza convinzione, "Oltre il cielo" puntò decisamente sugli scrittori italiani, sulla qualità della divulgazione scientifica e sulla novità dell'impostazione editoriale.

Bisogna però notare che la maggior parte degli scrittori italiani che pubblicarono su "Oltre il cielo" produssero successivamente un tipo di fantascienza diverso da quello prodotto, voluto e incoraggiato da A. Silvestri (prima), una science fiction di carattere verniano, e da Cesare Falessi (dopo), una di tipo avventuroso. Aldani, ad esempio, maturò un tipo di scrittura caratterizzato dalla creazione dell'effetto di suspense, dalla descrizione di un avvenimento straordinario, dalla mancanza di cura della attendibilità del dato scientifico, nella convinzione che "[la] science-fiction non è, come molti credono, scienza vestita di fantasia, ma esattamente il contrario, cioè fantasia purissima pudicamente ricoperta dai veli di una elaborazione razionale, non importa se dispiegata paradossalmente" (9).

Intanto, sempre nel 1957, era uscita a Udine un'altra rivista con il titolo di Galassia, edita e diretta da Luigi Rapuzzi, in arte L.R. Johannis. Solita impostazione, rubriche più racconti, con alcune rubriche che si occupavano di scienze e parascienze varie (dalla clipeologia all'archeologia misteriosa), un'altra rubrica dedicata al racconto del lettore (su cui esordì Sandro Sandrelli), ed i racconti di provenienza inglese e americana. Durò per soli 5 numeri.

I romanzi del cosmo (1957-1967, 202 numeri), collana edita da Ponzoni (Milano), fu certamente, per diffusione, la più importante collana, dopo "Urania". I suoi curatori (addirittura nove, tra cui ritroviamo L. Rapuzzi) intesero presentare una fantascienza di puro consumo, di pura evasione. Furono pubblicati molti autori "made in Italy", cioè italiani sotto pseudonimo anglofono (tranne che sugli ultimi due numeri), mentre il vero nome veniva spacciato per quello del traduttore. Gli stranieri non subirono un trattamento migliore: furono tradotti male e furono vittime, anche qui, della politica della forbice, già adottata da "Urania", come abbiamo visto. Verso gli autori italiani fu adottata una strana politica: a periodi di piena (1959-1960) s'alternarono periodi di magra spaventosa (1962-1963).

Per completare il panorama dell'editoria italiana di science fiction del 1957, bisogna aggiungere un altro titolo: Fantascienza (1957-1961), edita dalla SAIE, la prima collana per ragazzi oltre che la prima collana rilegata da libreria, che pubblicò mediocri autori francesi. Due anni dopo uscì I libri del duemila, casa editrice AMZ, dalle caratteristiche simili, che presentò buoni autori americani e italiani.


La polemica tra "Galassia' e "Futuro"

Nel giugno del 1958 apparve l'edizione italiana di Galaxy, per la editrice Due Mondi (Milano), diretta da R. Valente. Furono pubblicati autori come Robert Sheckley, William Tenn, Frederick Pohl e Theodore Sturgeon, la cui science fiction riprendeva i temi della narrativa distopica e proponeva preoccupate e preoccupanti riflessioni sociologiche. Questa rivista passò poi alla casa editrice La Tribuna (Piacenza) e fu curata da M. Vitali e Roberta Rambelli.

Su "Galaxy" apparve un'interessante rubrica, "Accademia", dedicata ad aspiranti autori; un'iniziativa simile era stata presa da "Urania" con "Il marziano in cattedra", in cui venivano dati consigli per l'elaborazione di una storia di fantascienza e in cui i curatori ironizzavano spesso e volentieri sulla qualità degli aspiranti scrittori.

Secondo Ugo Malaguti (10), si trattò di due iniziative che non aiutarono certo la crescita della science fiction italiana, poiché crearono nel pubblico l'idea che gli aspiranti autori italiani fossero degli incapaci. Dopo la breve parentesi del 1959 con Poker d'assi (2 numeri), rivista che pubblicava anche gialli ed enigmistica, un esperimento ripreso nel 1966 con I tris (la cui sezione narrativa era curata da S. Sandrelli), vide la luce, nel 1960, un'altra pubblicazione dell’editrice La Tribuna, e cioè Galassia. Sempre sulla linea della social science fiction, alla sua guida vi fu prima R. Rambelli, poi U. Malaguti e infine la coppia Curtoni-Montanari. Soprattutto con gli ultimi due direttori, ma anche con Malaguti che ha al suo attivo tre numeri tutti dedicati alla fantascienza italiana, "Galassia" concesse molto spazio ad autori italiani senza pseudonimo, promuovendo una science fiction che poggiasse le basi sul "background" culturale italiano.

Sotto la direzione di R. Rambelli, "Galassia" fu invece bersaglio sistematico delle critiche dei direttori di "Futuro" (soprattutto di Aldani e di Massimo Lo Jacono), primo perché non pubblico autori italiani (a questi fu dedicato solo il fascicolo n. 9, settembre-ottobre 1961), mentre era piuttosto generosa con gli stranieri, poi per la diversa concezione della fantascienza che animava le due riviste: una science fiction in cui fosse curata l'attendibilità del dato scientifico, per "Galassia", una science fiction che fosse prima di tutto valida letteratura, per "Futuro".


"Gamma", una delle più importanti riviste italiane di sf

Nel 1962 nacque Interplanet, rivista ideata e diretta da Sandro Sandrelli, coadiuvato negli ultimi tre numeri da Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, edita per i primi quattro numeri da La Tribuna e per i restanti tre da Dell'Albero (Torino). L'idea era stata quella di avvicinare scrittori della letteratura "mainstream" alla fantascienza, contribuendo in tal modo al conferimento di dignità letteraria a quest'ultima. Con questa prospettiva furono pubblicati, ad esempio, racconti di Moravia, Buzzati e Landolfi che, seppure di indubbia qualità letteraria, non dovettero stimolare molto il pubblico, se la rivista chiuse nel 1965 per difficolta di carattere finanziario. Sempre nel 1962 apparve una nuova edizione di The Magazine of Fantasy and Science Fiction, diretta da G. Jori per l'editrice Minerva (Milano), rivista di non eccelsa qualità che cessò le pubblicazioni nel 1963 dopo soli 10 numeri.

Nel 1963 fu avviata ancora un'iniziativa dell'editrice La Tribuna: si tratta di una collezione di libri, "Il Science Fiction Book Club", affiancato in seguito dalla collana "La bussola SFBC", sempre sotto la direzione di R. Rambelli sulla linea adottata da "Galassia". Le due collane, interrotte nel 1966, furono riprese e unificate sotto la direzione di Curtoni e Montanari. Nel 1963 era uscita anche "Futuro", su cui sarà svolto un discorso a parte.

Nel 1964, un'altra effimera rivista mensile (solo 4 numeri), Futuria (Zillitti Editore, Milano), diretta da Franco Enna, su cui apparvero solo autori stranieri.

Nel 1965 uscì in edicola Gamma (in tutto 27 numeri), secondo G.F. Pizzo "[...] una delle più importanti pubblicazioni italiane, forse la migliore in assoluto" (11). Il direttore era Valentino De Carlo, che era anche critico cinematografico, affiancato da Ferruccio Alessandri, un grafico di grande valore. Quest'ultimo ci offre un'importante testimonianza sulla organizzazione d'avanguardia della rivista:

In due leggevamo originali, trattavamo con autori, agenti, editrici americane, traducevamo, mettevamo in piedi la rivista, calcolavamo la diffusione, litigavamo coi distributori, correggevamo le bozze, seguivamo la stampa, facevamo il servizio abbonamenti e arretrati, accumulavamo le rese in cantina, spazzavamo per terra. Contemporaneamente De Carlo continuava a fare il giornalista e io il grafico, per necessità di sopravvivenza. E ogni settimana trovavamo anche un paio d'ore per dormire. Nel tutto io facevo anche le copertine (12).

L'impostazione editoriale di "Gamma", come ci fa sapere G.F. Pizzo, prevedeva la pubblicazione dei "precursori" della science fiction (Swift, Verne, Jack London) e di scrittori poco noti; la presentazione di autori nuovi (come J.G. Ballard), la pubblicazione di autori italiani di vecchia (i "precursori": Oronzo Marginati, Anton Germano Rossi) e nuova data (i contemporanei: Roberto Vacca e altri). Su questi ultimi "Gamma" fu sempre in contrasto sia con "Galassia" che con "Futuro". Per quanto riguardava la parte dedicata alla critica, la rivista si avvalse della collaborazione di critici come Vittorio Spinazzola e Carlo Pagetti.

"Gamma", edita fino al quinto numero dalle Edizioni Gamma (Milano) e poi dalle Edizioni delle Scorpione (Milano), chiuse nel 1968, travolta dalla crisi che nel 1967 aveva investito il mercato italiano di fantascienza.


Il fenomeno delle "fanzines"

Nel 1967 avevano chiuso baracca "I romanzi del cosmo" e iniziative nate nel 1966, come Proxima (4 numeri) e Fantascienza Sovietica (7 numeri); "Oltre il cielo" navigava in cattive acque, mentre le varie "fanzines", valide o meno valide, scomparivano ad una ad una.

Il fenomeno delle "fanzines" aveva avuto inizio in Italia sul finire del 1964. Le pubblicazioni italiane di questo tipo, in quel periodo, venivano elaborate sul modello americano. inevitabilmente, in quanto la "fanzine" e il "fandom" sono fenomeni di importazione americana. In Italia la situazione era la seguente: "[...] dall'ottobre del 1964 al dicembre del 1965 erano in circolazione cinque fanzine; nel corso del 1966 il totale saliva a undici, nel 1967 scendeva a dieci e nel 1968 precipitava a due" (13).

In genere i critici non sono stati molto teneri con queste pubblicazioni. Curtoni parla di "infantilismo velleitario" (14) a proposito delle loro impostazioni, sottolineando inoltre la estrema litigiosità delle loro redazioni (in perenne contrasto tra di loro), la trascuranza quasi totale della critica e il contrasto tra i rombi di montagna delle loro dichiarazioni e i topolini partoriti dalla loro attività.

de Turris sostiene che con le "fanzines" "[...] una vera critica non è sorta, [...] in genere sulle loro pagine non sono stati affrontati in profondità i problemi della fantascienza" (15).

Il fenomeno si ripetette negli anni Settanta, questa volta con minore improvvisazione e con maggiore serietà. Le migliori "fanzines", secondo Curtoni, furono quelle che tentarono di sviluppare un serio discorso critico ed egli cita nel suo saggio, come esempi, Sevagram (a cura di Riccardo Valla), Hypothesis (a cura di Carrara, Marigonda e Volli), L'aspidistra (a cura di Riccardo Leveghi), Numeri unici (a cura di Curtoni e Naviglio) Verso le stelle (a cura di Naviglio).

Intanto, in pieno periodo di crisi, U. Malaguti dava vita a Nova Sf per conto dell'editrice Libra (Bologna), risolvendo subito il problema della distribuzione con il sistema della vendita per posta. Impostazione ormai scontata, con critica e narrativa, questa ultima consistente in racconti americani degli anni Trenta tendenti più al meraviglioso che al contenuto sociale. Gli articoli riprendevano vecchi argomenti come l'astronomia e la clipeologia, e nuovi come il cinema e il fumetto di science fiction. Qualche anno più tardi, Malaguti avrebbe affiancato a questa rivista due collane, "Gli slan", in cui apparivano "romanzi" lunghi non pubblicabili su riviste," e "I classici della fantascienza", su cui venivano pubblicati lavori già apparsi in Italia, ma in versione integrale e in una nuova traduzione.

Chiudiamo qui, per limiti di spazio, questa panoramica dedicata alle riviste italiane di fantascienza ripromettendoci, in una seconda puntata, di parlare delle diverse iniziative fiorite dagli anni Settanta a oggi.



NOTE

(1) G.F. Pizzo, Profilo storico, in L. Russo (a cura di), Vent'anni di fantascienza in Italia (1952-1972), La Nuova Presenza, Palermo, 1978, p. 9.

(2) R. Valente, citato in L. Aldani, La fantascienza. Che cosa è, come è sorta, dove tende, La Tribuna, Piacenza, 1962, p. 127. Aldani concludeva il suo saggio ribaltando ironicamente l'affermazione di Valente: "[...] essendo noi italiani giusto appunto un popolo di navigatori, di poeti e di precursori, possiamo essere anche, enfaticamente anche, scrittori di science fiction" (p. 144).

(3) R. Sanesi, A proposito di fantascienza, in G. Gattegno, Saggio sulla fantascienza, F.lli Fabbri, Milano, 1973, pp. I-XIX.

(4) I. Cremaschi (a cura di), Universo e dintorni. 29 racconti di fantascienza, Garzanti, Milano, 1978. Dello stesso Autore l'intervento pubblicato in L. Russo, cit., pp. 60-61.

(5) R. Scholes-E. Rabkin, Fantascienza. Storia - Scienza - Visione, Partiche Editrice, Parma, 1979, p. 102.

(6) L. Aldani, cit., p. 132.

(7) Di questa rivista usci anche un'edizione francese, "Au-delà du ciel", che ne compromise la durata perché costosissima.

(8) A. Silvestri, in L. Russo, cit., p. 51.

(9) L. Aldani, cit. p. 17.

(10) U. Malaguti, La fantascienza italiana negli anni '70, in "Nova Speciale", n. 1, supplemento a "Nova Sf", n. 34, giugno 1976.

(11) G.F. Pizzo, cit., p. 14.

(12) F. Alessandri, in L. Russo, cit., p. 67.

(13) V. Curtoni, Le frontiere dell'ignoto. Vent'anni di fantascienza italiana, Ed. Nord, Milano, 1977, pp. 63-64.

(14) Ibidem.

(15) G. de Turris, Breve storia della fantascienza in Italia - Parte III: Fandom e Fanzines, in "Pianeta" n. 27, marzo-aprile 1969, p. 139.






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