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Per una storia del cinema italiano di science fiction


di Giuseppe Zurlo


Questo lavoro è nato dal desiderio di procedere ad una prima sistemazione e valutazione di un ambito culturale che attualmente ne è privo (1). È stato necessario far fronte ad una serie di difficolta - prima fra tutte la scarsa circolazione (anche e soprattutto televisiva) del materiale filmico oggetto di indagine - ma le considerazioni di un critico cinematografico americano molto attento hanno alimentato la motivazione di fondo:

"[...] sf cinema is [...] the poetry of the atomic age, a shorthand evocation of the pressures that are making us what we are and will be. It is also heir to a strange hieratic beauty and cultural humour which one imagined technology had robbed us of Just as the pop music of the Forties seems more redolent of that age's anxieties and attitudes than its rather self-conscious literature, so phenomena like sf films may one day be seen to represent more completely than any other art form the angst of this decade" (2). (Baxter 1970: 13-14).

Considerazioni - ritengo - riferibili, mutatis mutandis, anche alla nostra sf cinematografica.

Dopo aver individuato la pellicola primogenita e dopo aver esplicitato i criteri di individuazione, proporrò l'analisi di tre dei film che ho potuto visionare (di altri tre ho già proposto la recensione su Future Shock), mi soffermerò su alcuni titoli che, stando ad alcune recensioni, sono di grande valore (su uno di essi mi soffermerò in modo particolare, non solo perché è diventato un vero e proprio cult movie, ma anche perché è stato descritto in modo diverso da vari critici). Infine proverò a trarre le prime conclusioni: "prime" perché - desidero sottolinearlo ancora - questo è un work in progress, un lavoro che chiede solo di essere arricchito, completato e - naturalmente - criticato.


Il primo film italiano di fantascienza

Contrariamente a quanto e accaduto per la sf letteraria, sembra che ormai tutti, studiosi e appassionati, concordino nel considerare Voyage dans la Lune (1902), di Georges Méliès, la prima opera di sf cinematografica. La prima realizzazione italiana in questo campo risalirebbe (condizionale quanto mai d'obbligo) invece al 1920: si tratterebbe di Il mostro di Frankenstein (foriero - forse involontario - di ben altri mostri e mostruosità che di lì a poco avrebbero sconvolto la storia italiana, europea e mondiale), diretto da Eugenio Testa, con Luciano Albertini, Umberto Guarracino, Lidia Albertini e Aldo Mezzanotte. Questa - a dire il vero - è la mia deduzione dalla scheda proposta da Paolo Mereghetti in quello che è il principale punto di riferimento di questo lavoro:

"Uno scienziato riesce a fabbricare un uomo con una formula chimica di sua invenzione, ma la creatura (Guarracino) si ribella al suo creatore e commette ogni sorta di disastri fino a quando sarà ridotto all'impotenza da Sansone (Albertini). Non si ha certezza che ne sia sopravvissuta una copia, ma il film merita una citazione perché è stato l'unico horror prodotto in Italia fino al 1956 (anno in cui Riccardo Freda e Mario Bava realizzarono I vampiri)". (Mereghetti 1994: I, 131).

Se questa è la trama, allora "horror" non è<, a mio parere, il termine appropriato per questo film. Certo, non ho potuto visionarlo (e come avrei potuto, se - qui sta il vero horror - "non si ha certezza che ne sia rimasta una copia"?). Ci saranno senz'altro tante scene truculente (per quello che potevano consentire la tecnologia e la censura dell'epoca), ma il grilletto narrativo ("Uno scienziato riesce a fabbricare un uomo con una formula chimica di sua invenzione") è chiaramente di science fiction. Del resto la sf si combina spesso con altri tipi di letteratura (e – aggiungo - di cinema), gotico e poliziesco in particolare, per ragioni intrinseche alla loro natura narrativa di short story (cfr. B. Brunetti 1989). Come non ricordare, inoltre, che secondo autorevoli critici (R. Scholes-E. S. Rabkin 1979) il primo esempio di sf letteraria è proprio Frankenstein, or the Modern Prometheus (1818) di Mary Shelley? Saranno dunque considerati film di sf quelli in cui il meccanismo narrativo è innescato da un elemento scientifico e/o tecnologico.


L'allegoria politica in "Cuore di cane" di Lattuada

Dal certosino lavoro di Mereghetti si ricavano certosinamente 58 titoli, a cui bisogna aggiungerne altri 8, secondo altre fonti (Fabbrica 1998), e - aggiungo - almeno altri due, per un totale di 68 in circa ottant'anni (vedi filmografia).

I film che ho potuto esaminare direttamente sono solo sei: Totò nella Luna (1958), di Steno; L'ultimo uomo sulla Terra (1963), di Ubaldo Ragona; La decima vittima (1965), di Elio Petri; L'isola misteriosa e il Capitano Nemo (1972), di Juan Antonio Bardem; Cuore di cane (1976), di Alberto Lattuada; Nirvana (1997), di Gabriele Salvatores.

A parte il film con Totò che, come ho già detto (Future Shock, n. 27) deve praticamente tutto alle gags del grande partenopeo e di Ugo Tognazzi, posso affermare che L'isola misteriosa e il Capitano Nemo (con Omar Sharif) è un lavoro "senza infamia e senza lode", mentre L'ultimo uomo sulla Terra (con Vincent Price e Giacomo Rossi Stuart), La decima vittima, Cuore di cane (con Max von Sidow, Mario Adorf, Cochi Ponzoni) e Nirvana sono dei grandi film che non temono il confronto con i capolavori della sf cinematografica inglese e americana. In questa sede mi occuperò pertanto dei film di Ragona, di Lattuada e di Bardem, avendo già proposto il mio punto di vista sui film di Petri (Future Shock, n. 24) e di Salvatores (Future Shock, n. 25). L'ultimo uomo sulla terra è stato così descritto:

"Uno scienziato (Price) è l'unico sopravvissuto sano di un'epidemia che ha trasformato l'umanità in vampiri fotofobici. Cerca un antidoto, e si barrica in casa durante le ore notturne: ma i vampiri si sono scaltriti e non è più tanto facile identificarli. Tratto da un racconto di Richard Matheson (che ispirò il successivo 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra) e girato con due soldi nell'Eur romano spettrale e deserto, un misconosciuto piccolo capolavoro del fantastico, molto in anticipo sui tempi. Impressionanti, in particolare, le coincidenze con La notte dei morti viventi e altri film di Romero (l'assedio degli zombi-vampiri, il tema della paura di essere contagiati, ma anche dettagli come le banconote ormai inutili che svolazzano per strada). Nessun cedimento di tensione, uno spirito amaro e pessimista e un grande Price. Il film, che ebbe in Italia una circolazione ridottissima (anche se ogni tanto passa in televisione), risulta firmato da Sidney Salkow nella versione per il mercato americano." (Mereghetti 1994: II, 168).

Una descrizione non del tutto completa, poiché trascura un particolare importante: infatti il finale del film (ambientato in una chiesa) rivela in modo chiaro la propria natura di allegoria religiosa: Morgan (lo scienziato), come Cristo, versa il suo sangue (puro, incontaminato) per la salvezza dell'umanità. Del resto è chiaro che anche la fotofobia significa altro, cioè che "gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce" (Vangelo di Giovanni, III, 19).

La stessa natura allegorica emerge da Cuore di cane (raro esempio di opera cinematografica ispirata dalla sf russa), anche se il contenuto è molto diverso. Il film è ambientato nella Mosca della Rivoluzione d'Ottobre ed è> la fedele trasposizione della tensione satirica, dell'atmosfera grottesca, della trama e della tecnica narrativa (spesso è un cane a narrare in prima persona) dell'omonimo racconto (Sobac 'e serdce, 1925) di Michail Afanas'evic Bulgakov, sequestrato nel 1926 e pubblicato in Russia solo nel 1987 (cfr. Malcovati 1997): il professor Preobrazenskij, geniale quanto maldestro collega del dottor Moreau di wellsiana memoria (Max von Sidow), ed il suo assistente dottor Bormentàl (Mario Adorf), nel tentativo di far ringiovanire il cane Bobby (Cochi Ponzoni - nel racconto il cane si chiama Pallino) con un trapianto di ipofisi e di testicoli lo trasformano invece in un uomo: bella, in particolare, la scena dell'operazione chirurgica, realizzata senza facile spettacolarizzazione e con un unico dettaglio splatter (ante litteram), uno schizzo di sangue di grande potenza metonimica. Ma questa metamorfosi al contrario (ricordiamo che l'inquietante capolavoro di Franz Kafka è del 1915) si risolve in un disastro per il luminare ed il suo assistente. Il cane umanizzato si da un'identità anagrafica (con tanto di nome, patronimico e cognome, secondo la migliore tradizione russa) e professionale: diventa così il compagno Poligraf Pollgràfovic Bobbykov (Pallini nel racconto), vice-direttore della Sottosezione Accalappiamento Animali Randagi del Comune di Mosca, insidia la domestica Zina (Eleonora Giorgi), diffonde un'insopportabile puzza di gatto, occupa una parte della casa di Preobrazenskij in nome del comunismo ed arriva addirittura a denunciate il professore ed il suo assistente per aver svolto "attività controrivoluzionarie". Preobrazenskij e Bormentàl perdono quindi la pazienza e lo ri-trasformano in cane: "La scienza non è ancora riuscita a trasformare le bestie in uomini", sentenzia solennemente e allegoricamente lo scienziato piccolo-borghese.

Lattuada riproduce efficacemente l'atmosfera kafkiana creata da Bulgakov, ma Bardem non riesce a riproporre nella dimensione filmica il senso dell'utopia saint-simoniana, dell'esaltazione della conoscenza scientifica e dell'ambigua simpatia verso i popoli oppressi che caratterizzano (cfr. Suvin 1979: 155-163), insieme al gusto per l'avventura, il celebre "romanzo" di Jules Verne, L'lle mysiérieuse (1875). L'incalzante ritmo delle scene iniziali - ambientate nel periodo della Guerra di Secessione - si attenua progressivamente (risalendo di poco solo in alcune sequenze) dopo che i protagonisti (un gruppo costituito da Steven, il giornalista-voce narrante, un ragazzo di nome Herbert, il lupo di mare Pencott, il ferroviere Smith, l'ex schiavo nero Nudd ed il cane Tom) sfuggono rocambolescamente alla condanna a morte decretata da un tribunale militare sudista, atterrano con una mongolfiera su un'isola misteriosa del Pacifico dove ritrovano Ayrton, un naufrago regredito allo stato selvaggio, quindi fanno conoscenza (in modo un po' avventuroso) con il Capitano Nemo - in realtà il principe indiano Dakkar (Omar Sharif) - che vive circondato da macchine più o meno avveniristiche (che funzionano a "energia del futuro") e che nel finale decede eroicamente, successivamente si scontrano con una banda di pirati riportando una schiacciante vittoria e infine ritornano in patria. Il film, insomma, non è certo un capolavoro e non regge il confronto con 20.000 Leagues under the Sea (20.000 leghe sotto i mari, 1954), di Richard Fleischer con Kirk Douglas (Ned Land) e James Mason (Nemo); tuttavia - parziale attenuante - sembra che esista lo stesso rapporto tra i rispettivi testi letterari di riferimento, se è vero che L'lle mistériouse contiene numerose e clamorose discordanze e incongruenze (cfr. Hobana 1981: 72-94) rispetto al precedente "romanzo" di Verne con Nemo protagonista (tipico elemento di letteratura seriale), e cioè 20.000 lieues sous les mers (1869).


L'enigma del film di Mario Bava

Questa breve panoramica non può essere completata senza ricordare che Caltiki, il mostro immortale (1959) di Robert Hampton, pseudonimo di Riccardo Freda (3), Space Men (1960) di Anthony Dawson, pseudonimo di Antonio Margheriti (4), e Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava (5) sono stati definiti i migliori film italiani di fantascienza (Curtoni-Lippi 1978).

È opportuno soffermarsi in particolare sui film di Bava per una serie di ragioni. Innanzi tutto, il soggetto è tratto da un racconto di Renato Pestriniero, uno dei migliori autori italiani di sf; inoltre, la sceneggiatura è firmata da uno dei più attenti critici cinematografici italiani, Callisto Cosulich e, ancora una volta, da Alberto Bevilacqua; infine, è stato indicato - a ragion veduta - come fonte di ispirazione di Ridley Scott per la realizzazione di Alien (1979) (cfr. Mereghetti 1994 e Fabbrica 1998) e, stranamente, è stato raccontato in ben quattro modi diversi:

Due astronavi sono in missione intorno a un pianeta sconosciuto; una precipita, e i membri dell'equipaggio vengono dati per morti. Presto però i loro cadaveri scompaiono dalle tombe, e a farne le spese saranno gli astronauti dell'altra nave, atterrati incolumi. Il pianeta è posseduto da una forza malevola, cui neppure la fuga permetterà di sottrarsi. [...]

Mario Bava, grande creatore di atmosfere fantastiche e allucinate, mescola magistralmente "science fiction" e horror in una storia semplicissima, realizzata con pochissimi mezzi ma dal risultato straordinario. Colore, fondi, ambientazione, trovate geniali costellano questo capolavoro, divenuto famoso soprattutto nei paesi anglosassoni e più tardi rivalutato anche da noi con tutta l'opera del suo autore. L'idea centrale del film è quella di trasferire il vecchio tema della "casa infestata" su scala planetaria: il mondo morto dove Bava fa muovere i suoi eroi si popola quindi di strane luci, enormi e incomprensibili resti ossei, reliquie inquiete. Gli zampironi fumogeni, ha più volte spiegato il regista, servivano a nascondere l'assoluta nudità del teatro di posa, ma a film finito da piuttosto l'effetto di una romantica sottolineatura al macabro insieme. L'idea originale degli sceneggiatori era che il film finisse con la fuga degli astronauti dal pianeta della morte, per dirigersi verso la Terra; si sarebbe poi scoperto che si trattava di Adamo ed Eva. Bava si oppose a questa soluzione, e pur mantenendo il finale a sorpresa optò per un diverso, più beffardo scioglimento. (Curtoni-Lippi 1978: 183).

Sul pianeta Aura degli esseri privi di sostanza corporea attaccano gli astronauti per potersi poi reincarnare in essi. Un intreccio non troppo convincente per un film riscattato in pieno dal sofisticato stile di Bava, che ricostruisce a meraviglia il paesaggio extraterrestre, sapiente e suggestiva mistura di rocce e nebbie filmati con uno stile espressionistico. (Mereghetti 1994, II: 148).

Gli astronauti di una spedizione, in orbita attorno a uno strano pianeta sconosciuto, ricevono un messaggio che ne proviene. Contemporaneamente vengono colpiti da improvvisi raptus Mentre L'astronave viene attirata in picchiata su quel mondo. Scesi e ripreso il controllo della situazione, devono fare i conti con una presenza aliena ostile che già prima di loro aveva attirato altre astronavi decimandone l'equipaggio, come risulta dai resti che vengono rinvenuti. Anche nel loro caso, comunque, iniziano ad uccidere, restringendo il numero dei componenti la missione a poche unità. Quando finalmente si rivelano, veniamo a sapere che si tratta di una razza aliena destinata a scomparire per lo spegnimento del loro sole e che ha quindi necessità di salvarsi utilizzando altri corpi come veicoli. Il grande Bava ci raggira con un colpo di scena finale che fa capire che tutta la storia raccontata non riguardava terrestri; astronauti e razza ostile erano, comunque, entrambi alieni. (Fabbrica 1998: 118).

Le postazioni terrestri preposte al controllo degli spazi interstellari sono in allarme: un pianeta mai localizzato prima d'ora, Aura, sembra infatti attirare magneticamente le astronavi che passano nelle sue vicinanze. L'allarme è stato lanciato dal comandante Sullivan, anch'egli calamitato dal pianeta, su cui atterra con tutto l'equipaggio. Qui, i resti di altre astronavi fanno supporre che i loro occupanti si siano uccisi l'un l'altro, ma le indagini di uno scienziato rivelano ben altro. Sul misterioso pianeta si trovano infatti "cadaveri viventi" che hanno bisogno di impossessarsi continuamente di nuovi corpi in cui prolungare all'infinito la loro esistenza. I membri dell'equipaggio di Sullivan vengono sterminati metodicamente, mentre il comandante arriva a scoprire che lo scopo ultimo degli alieni è trasferirsi sulla Terra, dove avranno molte più vittime a disposizione. Con grande astuzia l'uomo riesce a sfuggire agli alieni e ad abbandonare il pianeta maledetto, ma sospetta che alcuni suoi compagni sopravvissuti si siano trasformati in zombi. Le forze terrestri unite sventeranno il pericolo definitivamente. (Rossi-Fontana 1998: 218-219).

Come è possibile che esistano quattro descrizioni (e probabilmente ne esistono altre) che, pur avendo elementi comuni, sono sostanzialmente diverse? I casi possono essere i seguenti: (a) esistono versioni diverse dello stesso film - (b) la trama è talmente polisemica (di ispirazione surrealista: alla Bünuel, tanto per intenderci) da consentire diverse descrizioni e interpretazioni - (c) tre degli autori delle recensioni non hanno visto il film - (d) nessuno degli autori ha visto il film. Pur non avendo potuto vedere il film, ho buoni motivi per propendere per l'ipotesi (b).


Varietà di temi e di qualità del cinema italiano di fantascienza

A questo punto si impongono alcune considerazioni di carattere generale.

- Tra il primo (1920) ed il secondo film (1958) passano quasi 40 anni.

Nessun film è stato realizzato negli Anni Trenta e Quaranta. Il grosso della produzione è concentrato negli Anni Sessanta (23), Settanta (16) e Ottanta (19); negli Anni Cinquanta ne sono stati prodotti 5 e negli Anni Novanta (non ancora conclusi) solo 4! È abbastanza evidente che la realizzazione di opere di sf cinematografica è stata (ed è) pesantemente condizionata dalle situazioni storiche, politiche, culturali ed economiche in cui si è trovato il nostro paese nei decenni presi in considerazione: l'avvento del fascismo (che favorì la cinematografia dei telefoni bianchi e soprattutto quella di propaganda), la guerra, la scarsa diffusione di cultura scientifica e di tecnologia avanzata, la spietata concorrenza del "prodotto" americano, lo scarso sostegno economico - pubblico e/o privato - assegnato al cinema italiano in generale (con le dovute eccezioni).

- Anche se non molto sofisticati, gli effetti speciali adottati in quasi tutti i film sono comunque efficaci (la fantasia e l'arte di arrangiarsi - virtù tipicamente italiche - funzionano, eccome, anche in ambito cinematografico) e funzionali al racconto. D'altra parte è chiaro che i registi italiani (con le dovute eccezioni) non hanno mai avuto a disposizione gli stessi strumenti tecnologici e finanziari dei loro colleghi americani...

- Diversi autori, e non solo di sf, ma anche di western (caso emblematico quello di Sergio Leone che nel 1964 firma con lo pseudonimo di Bob Robertson il celebre Per un pugno di dollari) soprattutto negli Anni Cinquanta e nei primi Anni Sessanta, firmano, appunto, i loro lavori con pseudonimi anglosassoni ed ambientano le loro storie (con poche eccezioni) in contesti anglosassoni con personaggi dai nomi anglosassoni: più o meno quanto accade nell'ambito della sf letteraria nostrana negli stessi anni quando i dischi volanti - soprattutto per la già ricordata concorrenza americana - sono molto riluttanti ad atterrare a Lucca (figuriamoci a Bari)... (6) Ragioni commerciali, certo, ma anche una forma di ironia verso il pubblico e soprattutto verso la critica cinematografica dell'epoca.

- Esiste una notevole varietà tematica, descrivibile utilizzando il binomio sf-altro tipo di letteratura: dalla sf-horror a quella umoristica e parodistica, dalla sf sociologica e/o psicologica a quella extraterrestre, dalla sf fortemente caratterizzata in senso scientifico-tecnologico a quella catastrofica, senza perdere di vista le esplicite trasposizioni di opere letterarie e le combinazioni tematiche. Anche la qualità è estremamente varia: dalle opere penosamente di basso e penoso livello al grande film, passando attraverso una nutrita serie di opere tutto sommato dignitose.


È tempo di spazzare via la polvere dell'oblio

In conclusione, spero che possa presto vedere la luce un lavoro più ampio, organico e completo sui cinema italiano di sf, augurandomi che questi scarni appunti possano essere di una qualche utilità. In particolare ritengo sia necessario indagare a fondo sulle strutture produttive di cui si sono serviti i registi ed approfondire poi il discorso (che in questa sede ho potuto solo accennare) sui modi in cui essi hanno riprodotto sub specie filmica la angst (per riprendere l'immagine di Baxter) ed il senso comune (nel senso gramsciano) dei periodi in cui hanno realizzate i loro lavori.

Le opere di tanti grandi registi (penso, in particolare a Freda e soprattutto a Bava, conosciuti e stimati più all'estero che in Italia) e di tanti coraggiosi produttori (alcuni noti, altri un po' meno) sono quasi del tutto coperte dalla polvere dell'oblio (e non è solo una metafora) a vantaggio - spesso - di tanta produzione straniera di basso livello, e spazzar via la polvere sarebbe un coraggioso atto culturale, la giusta valorizzazione (dove c'è da valorizzare, ovviamente) di una parte importante del nostro patrimonio culturale. Lo dico con molta serenità, alieno - orgogliosamente alieno - da sciocchi sentimenti culturali xenofobi e sciovinisti.



NOTE

(1) La ricerca preliminare svolta mi consente di affermarlo, e desidero rivolgere un ringraziamento particolare al Prof. Scacco per il prezioso aiuto offertomi.

(2) "[...] il cinema di sf [...] è la poesia dell'età atomica, un'evocazione stenografica delle pressioni che ci stanno rendendo ciò che siamo e che saremo. È anche l'erede di una bellezza strana e ieratica e di un umore culturale di cui, si immaginava, la tecnologia ci avesse privato. Proprio come la musica pop degli Anni Quaranta sembra più impregnata dell'odore delle ansie e delle attitudini di quell'epoca di quanto lo sia la sua letteratura piuttosto auto-cosciente, così fenomeni come i film di sf potranno un giorno essere visti come rappresentazione più completa di qualsiasi altra forma artistica della angst [paura] di questa decade".

(3) Freda è deceduto a Roma il 20 dicembre 1999 (era nato ad Alessandria d'Egitto il 24 febbraio 1909): per fortuna ci hanno pensato gli autori del programma tv Fuori Orario a ricordarne la figura, proponendo numerose interviste e tre esempi della sua vasta ed estremamente varia produzione (Romeo e Giulietta, 1964 - L'orribile segreto del dottor Hichcock, 1962 - Non canto più, 1943) che comprende - tra l'altro - film di grande livello (e all'epoca anche di grande successo di pubblico) come Aquila nera (1946) e I miserabili (1947).

(4) Nato a Roma il 19 settembre 1930. Oltre ai film di sf (vedi filmografia), Margheriti ha diretto anche film horror (il notevole Danza macabra, 1964; La vergine di Norimberga, 1964; I lunghi capelli della morte, 1965), peplum (I giganti di Roma, 1964; Ursus, il terrore dei Kirghisi, 1964) e avventurosi (lo sceneggiato RAI L'isola del tesoro, 1972, tratto dal celebre romanzo di R. L. Stevenson).

(5) Sanremo, 31 luglio 1914 - Roma 26 aprile 1980. "Formatosi come operatore, divenne in seguito direttore della fotografia; lavorò con moltissimi registi, anche all'estero, mettendosi in luce per le grandi qualità tecniche e l'abilità nel creare effetti speciali. Il suo debutto come regista risale al 1960, quando diresse il suo migliore e innovativo film, La maschera del demonio, una cupa storia vagamente ispirata a un racconto di Gogol, che riscosse un grande consenso anche presso la critica. Specialista del genere horror, fu regista di solido mestiere anche in altri generi, dal mitologico (Le fatiche di Ercole, 1957) al thriller (La ragazza che sapeva troppo, 1962), al western (La strada per Fort Alamo, 1965).": Così in "Enciclopedia Microsoft ® Encarta ® 99. (c) 1993-1998 Microsoft Corporation. Ai titoli suddetti occorrerebbe però aggiungere, a mio avviso, oltre a Terrore nello spazio e Diabolik (1968) anche I tre volti della paura, film in tre episodi (1963), che presenta un finale a dir poco geniale, frutto della sceneggiatura firmata da Marcello Fondato e dal grande scrittore Alberto Bevilacqua, che finisce col caratterizzarlo come metafilm. Altro capolavoro della copiosa produzione di Bava è senz'altro Operazione paura (1966).

(6) Ci pensa un cineasta americano (guarda caso), Nathan Juran, a farne atterrare uno: si tratta di A trenta milioni di km. dalla Terra (20 million Miles to Earth), U.S.A. 1957, ambientato proprio in Italia con scene finali al Colosseo (Fabbrica 1998).


Bibliografia

Baxter, John, Science Fiction in the cinema, Paperback library. Edition, New York 1970 (non esiste, per quanto ne sappia, una traduzione italiana).

Brunetti, Bruno, Romanzo e forme letterarie di massa, Edizioni Dedalo, Bari 1989.

Curtoni, Vittorio - Lippi, Giuseppe, Guida alla fantascienza, Gammalibri, Milano 1978.

Fabbrica, Moreno, Ritorno al futuro. La fantascienza in 201 film, Demetra, Colognola ai Colli 1998.

Hobana, Ion, 20.000 pagine alla ricerca di Jules Verne, Nord, Milano 1981.

Malcovati, Fausto, Introduzione a M. Bulgakov, Cuore di cane. Diavoleide. Le uova fatali, Newton Compton, Roma 1997.

Rossi, Fabio - Fontana, Paolo, Il film di fantascienza, Antonio Vallardi Editore, Milano 1998.

Scholes, Robert - Rabkin, E.S., Fantascienza. Storia, scienza, visione, Pratiche Editrice, Parma 1979.

Suvin, Darko, Metamorphoses of Science Fiction, Yale University Press, New Haven and London, 1979.


Filmografia (aggiornata al 1998): film italiani per regia, produzione o co-produzione (segnalata solo quest'ultima).

1) Titoli ricavati da Mereghetti 1994: Edgar G. Hulmer, Antinea, l'amante della città sepolta, Italia-Francia 1961; Herbert Wise (Luciano Ricci), Il castello dei morti vivi, Italia-Francia, 1964; Robert H. Oliver, Il castello della paura, 1973; Pier Francesco Pingitore, Ciao Marziano, 1980; Pasquale Festa Campanile, Conviene far bene l'amore, 1976; Alberto Lattuada, Cuore di cane, 1976; Elio Petri, La decima vittima, 1965; Lamberto Bava, Demoni, 1985, e Demoni 2 - L'incubo ritorna, 1986; Mario Bava, Diabolik, Italia-Francia, 1968; Tinto Brass, Il disco volante, 1963; Steno (Stefano Vanzina) Dottor Jekill e gentile signora, 1979; George A. Romero - Dario Argento, Due occhi diabolici, 1990; Francesco Laudadio, Fatto su misura, 1984; Eugenio Testa, Il mostro di Frankenstein, 1920; Armando Crispino, Frankenstein all'italiana. Prendimi, straziami che brucio di passione, 1975; Mario Mancini, Frankenstein, 1980, 1989; Roberto Faenza, H2S, 1968, Giuliano Montaldo, Il giorno prima, Italia-Francia-Canada, 1987; Emidio Greco, L'invenzione di Morel, 1974; Alberto Sordi, Io e Caterina, Italia-Francia, 1980; Sergio Martino, L'isola degli uomini pesce, 1979; Juan Antonio Bardem, L'isola misteriosa e il capitano Nemo, Italia-Francia-Spagna, 1972; Mario Orfini, Jackpot, 1992; Robert Hampton (Riccardo Freda), Caltiki, il mostro immortale, 1959; Mel Welles (Ernst von Theumer), Lady Frankenstein, 1970; Aurelio Chiesa, Luci lontane, 1988; Marco Ferreri, Famiglia felice, episodio di Marcia nuziale), 1965; I Marziani hanno dodici mani, Italia-Spagna, 1963; A. Lattuada, Matchless, 1967; Marco Poma, Mefisto Funk, 1987; Castellano e Pipolo, Mia moglie è una bestia, 1988, Enzo G. Castellani 1990 - I guerrieri del Bronx, 1982; Marino Girolami, Il mio emico Jekyll, 1960; Anthony Dawson, Il mondo di Yor, 1983; Paul Morissey, Il mostro è in tavola... barone Frankenstein, Italia-Francia-RFT, 1994; Giorgio Ferroni, Il mulino delle donne di pietra, Italia-Francia, 1960; Silvano Agosti, N.P.. - il segreto. 1971; E. G. Castellari, I nuovi barbari, 1983; Ugo Gregoretti, Omicron, 1963; Luigi Bazzoni, Le orme, 1975; M. Bava, Gli orrori del castello di Norimberga, Italia-RFT, 1972; M. Bava, Le spie vengono dal semi-freddo; Primo Zeglio, 4... 3... 2… 1… morte, Italia-Spagna-RFT, 1967; Vittorio Rambaldi- Rage - Furia primitiva, Italia-USA, 1988; Vincent Dawn (Bruno Mattei), Robowar - Robot da guerra, 1988; John Old jr. (L. Bava), Shark rosso nell'oceano, 1984; Paolo Bianchini, SuperAndy - Il fratello brutto di Superman; M. Bava, Terrore nello spazio, Italia-Spagna, 1965; F. Laudadio, Topo Galileo, 1987; Steno, Totò nella Luna, 1958; Ubaldo Ragona, L'ultimo uomo sulla Terra, 1963; Ugo Tognazzi, I viaggiatori della sera, 1979; Bruno Bozzetto, Vip, mio fratello superuomo (cartone animato), 1968; Franco Prosperi, Wild Beast - Bestie feroci, 1984; Pupi Avati, Zeder, 1983; Lucio Fulci, 00-2~Operazione Luna, Italia-Spagna, 1965; L. Fulci, Zombi 3, 1988.

2) Titoli segnalati in Fabbrica 1998 (assenti in Mereghetti 1994)-Roger Vadim, Barbarella, Francia-Italia, 1968; Anthony Dawson (Antonio Margheriti), Il pianeta degli uomini spenti, 1961- Space Men, 1959, Criminali della galassia, 1965, I diafanoidi vengono da Marte, 1965 – Il pianeta errante, 1965 - La morte viene dal pianeta Aytin, 1966; Gabriele Salvatores, Nirvana, Italia-Inghilterra-Francia 1997.

3) Altri titoli - Carlo Vanzina, A spasso nel tempo, 1996; Sergio Gobbi, Rewind, Italia-Francia 1998.






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