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Mi emoziono con Liliana Cavani la regista delle nostre ombre


di Carlo Rovelli


Una interminabile standing ovation nella Sala grande del Palazzo del Cinema ha accolto l'annuncio ufficiale del Leone d'oro alla carriera a Liliana Cavani. Così si è aperto l'ottantesimo festival del Cinema di Venezia.

Poi è sceso un silenzio emozionato e Charlotte Rampling, serissima, quasi religiosamente, ha iniziato a parlare di Liliana, e del Portiere di notte, il film che ha fatto incontrare e ha trasformato la vita di queste due donne straordinarie, che hanno segnato il cinema. «Liliana non ci dà una risposta», ha detto Charlotte, con la voce calda e lontana, aggiungendo sommessamente «per quanto ne so».

«Non fa nessun tentativo di dimostrare una logica, di analizzare, per quanto ne so».

«Lei ci mostra nel senso più radicale cosa è mostruoso, non tanto nella forma di una catarsi, ma nella forma di un colpo, un elettroshock, un grido». Poi, quasi trattenendo il respiro, «Liliana ha percepito che dentro di me c'erano ombre. Si è dovuta fidare che avessi il coraggio istintivo e la forza di fissare l'attenzione a esplorare gli angoli più oscuri dell'anima. Ricordo che Dirk Bogarde voleva condurre la nostra danza di Eros e Thanatos verso l'Amore. Ma Liliana ci ricordava che la nostra danza riguardava il desiderio, e il desiderio è qualcosa di molto più oscuro e terribile di quello che alla nostra società moderna piacerebbe pensare.»

Poi, allargando lo sguardo sull'intera produzione artistica di Liliana Cavani: «Nell'intero suo cinema, Liliana ci ha fatto confrontare con la bellezza, la bruttezza, e con ciò che non è risolto. Nel suo incessante interrogarsi attraverso i suoi film e documentari, ha inviato nel mondo un flusso di passione e di messaggi complessi». Infine, quasi in un sussurro, nel silenzio assoluto della grande sala: «Hai preso in mano le nostre ombre, Liliana. Appartengono al centro della distanza che condividiamo».

Liliana, radiosa e emozionata sul palco, ha accolto il Leone d'oro con un sorriso disarmante e felice. Una standing ovation forse ancora più interminabile l'aveva accolta al Festival nel pomeriggio alla presentazione del suo film, L'ordine del tempo, nelle sale, a testimoniare l'intensità e la vastità dell'affetto e dell'ammirazione che la avvolgono.

È un affetto e una ammirazione, io credo, che hanno radici profonde, che Charlotte Rampling ha saputo evocare in un sussurro. Nella scena iniziale de I cannibali, Liliana Cavani ancora giovanissima metteva in scena una Milano con le strade cosparse di morti. Liliana ricorda che solo più tardi si è resa conto che da bambina era scesa in strada e aveva visto morti distesi nella piazza della sua città. I cannibali era una versione moderna dell'Antigone di Sofocle.

Anche L'ordine del tempo si apre con una discussione su una tragedia greca: l' Alcesti, ri-discussa nella modernità con una superficialità solo apparente. Nella intensa conferenza stampa del pomeriggio e nelle brevi parole di ringraziamento nella Sala Grande del Palazzo del Cinema, Liliana ha ricordato ancora una volta, come fa sempre, la reazione profonda che le aveva suscitato la sua ricerca di testimoniane sui campi di sterminio nel primo dopoguerra.

E a chiudere un cerchio che purtroppo non si chiude, sempre nella conferenza stampa sono arrivate le parole agghiaccianti di Ksenia Rappoport, che nell'Ordine del tempo ha la parte di Paola, grande amore di Enrico, il fisico della storia. Ksenia, che vive a Mosca, racconta la vita di un bambino, un figlio, che cresce, si affaccia alla vita, viene chiamato per combattere, e subito muore. È la realtà, oggi. Ecco, Liliana Cavani non ci intrattiene: ci mette di fronte alle ombre, che non sono fuori di noi, sono dentro di noi.

Lei appartiene a quella generazione che ha toccato l'orrore, e nel nostro paese dalla memoria corta cerca continuamente ancora di ricordarci qualcosa.

Ma non solo. Nel suo cinema, come ha accennato Charlotte Rampling, c'è la bellezza.

C'è lo sguardo che non vuole dare risposte, su tutto ciò che è irrisolto. Tre film su San Francesco, anzi «Francesco», come lo chiama Liliana, dicendo sorridente che Dante ne parla pieno di ammirazione, e lei si fida di Dante ... Una spiritualità atea intensa e profonda, capace di guardare dentro l'animo anche senza voler capire. E alla «fratellanza» fra gli esseri umani, come valore altissimo, che Liliana ritorna sempre. Accettarsi, fra le luci e le ombre.

Nell'Ordine del tempo una straordinaria e tormentata Francesca Einaudi, nella parte di Giulia, vivace e brillantissima fisica, intreccia un meraviglioso dialogo senza risposte con una splendida suora di clausura, sua intima amica, perfettamente interpretata da Angela Molina, che ha gli occhi che brillano dell'eternità.

Nell'incontro, tutte le nostre domande più profonde emergono nella assoluta semplicità e onestà di un dialogo dove entrambe le donne mostrano senza riserbo la profondità dei loro dubbi.

Liliana, hai preso in mano le nostre ombre, ma non solo, anche le nostre luci, grazie.






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