Seydoux, viaggio nel tempo
Léa Seydoux viaggia nel tempo offrendo il suo sguardo morbido eppure imbronciato, spigoloso, modernissimo. Si va avanti e indietro con la bussola della fantascienza, si ritorna all'alba del ‘900 e si attraversano 130 anni.
Léa quando recita, lontana dai cliché, sembra avere tutte le età. Ci si dimentica di quanti anni abbia, e sono 38. Eccola in un futuro prossimo, decide di purificare il suo DNA affidandosi a una società che usa l'Intelligenza artificiale per far rivivere le sue vite passate per mandare in lavanderia i suoi vecchi traumi, cancellare tutte le emozioni.
La Bête di Bertrand Bonello, in gara a Venezia (uscirà per I Wonder), è tutto sulle spalle di un'attrice che al cinema è entrata dalla porta principale nell'altro festival, a Cannes, in La vita di Adele.
Poi Woody Allen, Wes Anderson, è stata Bond Girl in Spectre che le ha dato fama planetaria, l'abbiamo vista nella versione dark e gotica di La bella e la bestia, l'amore che non si deve spiegare ma vivere. Qui incontra un'altra bestia, più terribile: la paura di amare. Al regista ricorda Catherine Deneuve, per come riempie i silenzi, per il senso di mistero infatti non sappiamo mai cosa pensi».
All'ultimo momento Léa rinuncia al Lido, solidale con attori e sceneggiatori contro Hollywood, contro i nuovi contenuti a basso costo, e uno dei motivi della protesta è che le major vogliono sostituire gli interpreti di seconda fascia con le sofisticate tecnologie di IA e dell'Intelligenza Artificiale generativa.
«Non sia paranoica o sentimentale, noi possiamo aiutarla sbarazzarsi degli affetti», le dice il robot. Nel film ha una battuta che sembra scritta per lo sciopero: «Come può dirsi responsabile ed equa, l’Intelligenza Artificiale, col 57 percento di disoccupazione nel mondo?». L'attrice ha mandato un messaggio: «In circostanze diverse sarei stata con voi a sostenere il film, ma è difficile celebrare sapendo che migliaia di persone lottano per difendere la propria fonte di reddito».
Il regista voleva fare «un melodramma, adattando liberamente una novella di Henry James, mescolandola con la fantascienza che al cinema si usa in due direzioni: gli effetti speciali o l'apocalittico. Io, sottraendo, ho cercato una terza strada».
Così disincarna il virtuale e si rifugia nella paura dell'amore. Siamo in un domani non troppo lontano, aspettando una catastrofe nel 2044, mentre regna IA. Però questo è solo uno dei tre capitoli temporali in cui si svolge il film. Ecco il 1910, la luce prima del buio della guerra; e il 2014, perché lo interessava «il mondo prima del Me too. Ma il racconto è unico».
Le emozioni sono diventate una minaccia, l'empatia è debolezza e la debolezza porta alla vulnerabilità, Bonello cita Nietzsche: «La paura è la parte migliore dell'umanità, ti fa sentire vivo, ti obbliga a trovare le soluzioni».
L'Intelligenza Artificiale, educata, si rivolge a Lea in questi termini: «Buongiorno, sono la bambola Kelly. Sono la tua infermiera. Ci diamo del tu?». L'Intelligenza Artificiale è un'opportunità o una minaccia? «È utile per la ricerca medica; diventa una minaccia quando è più forte di te, ed è ciò che succede. In politica, nell'etica e nella morale è un pericolo. Il suo creatore ha detto di aver creato qualcosa di più pericolo sella bomba atomica».
La perdita d'identità scorre nei titoli di coda. Al posto di musica e nomi di attori e maestranze, appare il codice QR, quello del menù ai ristoranti: se si potesse accostare il cellulare allo schermo si verrebbe a sapere chi l'ha fatto questo film. Ci si può sbarazzare del dolore. Il finale, con Léa che abbraccia il suo lui, da un brivido di speranza.
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