Recensione di Gian Filippo Pizzo a "Deus X"
Norman Spinrad è uno degli scrittori di fantascienza più attenti a recepire le istanze del mondo che ci circonda. Il suo Jack Barron e l'eternità (Fanucci) era una notevole anticipazione di quello che sarebbe stato il mondo della persuasione televisiva attraverso i talk-show (e persino della "parolaccia in diretta"), mentre Il Signore della Svastica, parodia di Mein Kampf, assume nuova luce di fronte al fenomeno dei naziskin e della xenofobia razzista. Notevole anche l'inedito Russian Spring del 1991, che immaginava la vita prossima nella Unione Sovietica gorbacioviana e che invece è stato superato dagli avvenimenti (dove si dimostra che la storia è più potente persino dell'immaginazione... ).
Il suo ultimo romanzo, Deus X, sembra strizzare l'occhio al fenomeno del cyberpunk, ma in realtà se ne discosta notevolmente, anzi Spinrad non rinuncia a qualche frecciatina nei confronti di William Gibson, rimproverandogli la confusione tra la realtà fisica e la realtà virtuale che emerge dai romanzi cyberpunk (e che invece è il punto di forza della corrente che eredita nel modo più intelligente la tematica dell'apparenza e della realtà di un Dick o anche di un Ballard).
Spinrad tiene invece ben separati i due mondi della realtà e del virtuale, ma lo stesso riconosce l'importanza di questo ultimo aspetto della vita contemporanea, chiedendosi se un programma di simulazione di personalità abbia, nella rete di computer, un effettivo aggancio con la persona. Si tratta di un vero e proprio "clone", anche se cibernetico? (Notare che nel mondo futuro di Deus X i cloni fisici hanno avuto riconosciuta dalla Chiesa l'esistenza di un'anima individuale). E, come replicante informatico, possiede un'anima? E, in quest'ultimo caso, visto che la vita cibernetica è potenzialmente infinita, ciò non contrasta con la credenza in un'anima immateriale che sopravvive al corpo?
Per essere un americano, Spinrad dimostra una buona conoscenza della tematica teologica e dei problemi etici del cattolicesimo e riesce a trasferirla in un romanzo che, al di là del tema, ha comunque una buona dose di azione. Per accennare alla trama pura e semplice, diciamo che protagonista è un "investigatore informatico" che si deve inserire nel ciberspazio (chiamiamolo pure così, alla Gibson) alla ricerca della personalità virtuale di un prelato che vi è stato integrato per trovare una risposta ai quesiti sopra esposti. Come finisce, non lo diremo: la storia avrà sì il suo lieto fine, ma la sua interpretazione la lasciamo al singolo lettore.
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