Recensione di Marcello Bonati a "Il castello di lord Valentine"
Ecco che dunque Silverberg torna a scrivere fantascienza, dopo l'annuncio del suo ritiro che aveva destato tanto scalpore. E torna con un tipico romanzo fiume, come tanti che ultimamente siamo abituati a vedere nelle nostre librerie.
Principalmente si tratta di un ingegnosissimo gioco ad incastri, che si rifà agli stilemi classici della fantasy, ovvero, innanzi tutto una nettissima e mai smentita divisione fra "buoni" e "cattivi", oltre che essere frequentemente costellato di simboli che mettono in movimento zone del nostro inconscio collettivo non indifferenti. L'azione si svolge su Majipoor, un pianeta gigante su cui vivevano pochi milioni di indigeni prima che arrivassero le astronavi dei terrestri; non che ci sia stato un genocidio di alieni, ma bensì una sorta di "apartheid", tanto per intenderci.
Su Majipoor vivono poi altre razze aliene di diversa provenienza. Il potere è così distribuito; vi è un Pontifex che corrisponde più o meno .al nostro concetto di imperatore, ed ha il potere legislativo, e poi un Coronal, con il potere esecutivo.
La trovata, quello che dà i1 tocco, il sapore al romanzo, è il suo iniziare a storia già avviata, ovvero con Valentine che, svegliandosi, si ritrova ad assistere ad una festa in onore di Lord Valentine ... un puro caso di omonimia? All'inizio il Valentine "povero" crede che sia così, ma poi, gradualmente, ritornano in lui i ricordi, e capisce di essere lui il vero Coronal e che colui che siede sul trono non è che un usurpatore, Dominin Barjazid, figlio del re dei sogni, Simonan Barjazid.
Come si può facilmente capire, con un tale metodo il lettore è estremamente facilitato nella sua opera di costruzione del quadro, sia perché da una parte si è matematicamente sicuri che quel Valentine è il protagonista, per intuizione minimale, basata sulla coscienza dei meccanismi basilari della Fantasy, sia perché in quel modo la recherce che lui compie è la stessa che si attua nella psiche del lettore.
Gli antefatti verranno rivelati solo verso la fine, quando Valentine, dopo essersi fatto riconoscere e essersi fatto dare protezione da sua madre, la Signora dell'1sola e dal vecchio Pontifex, suo padre, si mette in marcia verso il Castello; acclamato di città in città dai cittadini, a dire il vero un po' sconcertati da quell'improvviso e così importante cambiamento del loro mondo, pensa: "Sembrava prodigiosamente familiare entrare in una grande città lungo i viali fiancheggiati da folle acclamanti. Valentine ricordava, sebbene gli sembra essere i1 ricordo di un sogno, l'inizio della grande visita di stato incompiuta, quando nella primavera del suo regno era andato sul fiume sino ad Alai - sor, sulla costa occidentale, e aveva attraversato il mare per raggiungere l'isola e s'era inginocchiato accanto a sua madre nel tempio interno, e quindi aveva intrapreso il grande viaggio per mare verso occidente, fino a Zimroel, e le folle l'avevano acclamato a Pipiplok e Velathys e Narabal, nei tropici lussureggianti. Le palme, i banchetti, i festeggiamenti, lo splendore, e poi a Til-O-mon, altre folle, altre grida: -Valentine! Lord Valentine!-E a Tilomon rammentava una sorpresa: Dominin Barjazid, il figlio del Re dei Sogni, era venuto da Suvrael per accoglierlo e onorarlo con un banchetto, perché abitualmente i Barjazid rimanevano nel loro regno assolato, lontani dall'umanità a curare le macchine che inviavano i sogni, a mandare i messaggi notturni per istruire, comandare e punire. E il banchetto a Til-O-mon, e la caraffa di vino versata da Barjazid e poi Valentine s'era trovato a guardare la città di Pidruid dall'alto d'un dosso di calcare, con vaghi, confusi ricordi di essere cresciuto nello Ziorel occidentale. Adesso, dopo tanti mesi, gridavano di nuovo il suo nome per le vie di una grande città, dopo la lunga, strana interruzione." (pag. 408-409).
Comunque, al di là della trama, di cui non vi dico come va a finire, terrei a far notare alcune particolarità che mi hanno colpito.
Innanzi tutto il tono su cui è tenuta l'intera narrazione, ovvero un tono parecchio aulico, che rende l'idea di quella civiltà in modo soddisfacente dell'atmosfera appunto medioevalistica che vi si respira a pieni polmoni. I protagonisti sono un numero estremamente ristretto, la cui caratteristica principale è quella di essere come calamitati dal vero Valentine, durante l'intero corso della vicenda. Molto apprezzabili i due episodi centrali, in cui Valentine cerca, poi riuscendoci, di avere udienza presso sua madre, prima, e poi presso suo padre, il vecchio Pontifex. Il primo mi ha ricordato parecchio la Divina Commedia di Dante, l'ascesa dell'eroe dall’inferno dei suoi pensieri confusi e dilaniati, al purgatorio delle varie prove che i "pellegrini" devono superare per accedere ad un "livello" più elevato, al paradiso di delizia che è l'incontro con la Madre; in questa "madre" io vi riscontro gli antichi echi della mitologia pagana della Grande Madre", soprattutto mediterranea-latina. Il secondo invece mi ha fatto venire in mente il "processo" di Kafka. Non sto qui ora ad approfondire queste mie intuizioni, se cosi è poi lecito chiamarle, per il semplice fatto che, con molta probabilità a voi faranno o hanno fatto venire in mente altre cose, se non addirittura non vi stimoleranno o hanno stimolato affatto. Nel complesso un romanzo decisamente troppo lungo, che, per di più, avrebbe potuto benissimo essere accorciato senza togliere nulla né alla trama né all'atmosfera, anzi, sicuramente ne avrebbe guadagnato. E a guadagnarci, invece, è Silverberg, che per questo romanzo ha firmato un contratto per una cifra astronomica; che l'annuncio del ritiro fosse una trovata pubblicitaria? Dagli americani aspettiamoci questo ed altro!
Sull'ultimo "Cosmoinformatore" (ormai non è più l'ultimo, ndr) il primo di questo 1983, infine, leggo che il caro Robert ha scritto un romanzo intitolato "Le Cronache di Majpoor"… non so proprio se lo leggerò. (Uscirà, il romanzo, nella Fantacollana della Nord)
Comunque, se non avete mai letto Silverberg, vi prego vivamente di non accantonarlo, caso volesse, per questa mia recensione; "Monade 116", "Vacanze nel Deserto", "Vertice di immortali", "Mutazione", "Il figlio dell’uomo" e tanti altri sono veri gioiellini.
Un consiglio per Silverberg; vai a prendere lezioni da Herbert e da Delany, se proprio vuoi scrivere romanzi - fiume!
Altri contributi critici:
"Recensione" di R.D. Geis su "Dimensione Cosmica" 9.
A proposito di castelli, vi consiglio caldamente la lettura di "L'ultimo castello" di Jack Vance su Robot speciale n. 5, ed. Armenia, 1977, pag. 49; quello merita, veramente.
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