La tesina di S.V.
La tesina di S.V., di Alberto Capitta, ed. Il maestrale, 2023 (20,00 €, 300 pagg.)
Ottimo, è il racconto surreale di un ragazzo che, scavalcata la rete del campetto dove stava giocando a pallone, coi suoi amici, si ritrova a vivere un’avventura, appunto, al di fuori del mondo.
È come se fosse passato attraverso una di quelle porte che ben conosciamo, da Alice in avanti, che portano in un qualche Altrove.
Lui, cercando la palla per la quale l’aveva attraversata, va a vivere dapprima in un vagone abbandonato, per anni, dove vive una vita basilarmente felice, fatta di mille niente che sommati danno un moltissimo.
"… non esisteva al mondo nulla di più divertente di giocare alla vita." (pag. 34)
"L’indomani era una distesa di faccende domestiche da sbrigare e questo, a differenza di milioni di individui nel mondo, mi riempiva il cuore." (pag. 39).
Poi in una stazione di sosta abbandonata, dove troverà solamente degli asini, che in seguito però capirà essere solamente dei parti della sua immaginazione.
Nella quale vivrà per molto altro tempo, inventandosi passatempi come costruire delle strade con dei rametti, per poi passeggiarci.
Poi nella casa di un barcaiolo, unico essere umano che avesse incontrato fino ad allora.
Col quale instaura un rapporto d’amicizia intenso, e al quale riesce, dopo molto, a raccontare la sua storia.
Ma che avrà un brutto incidente, e rimarrà menomato.
Ma che riuscirà ugualmente a portarlo a Gli Amanti, che quegli gli aveva raccontato essere la terra dove erano andati a vivere, secondo una leggenda (ma che il lettore sa essere invece un’esperienza da lui realmente vissuta), degli amanti, che non ne avevano più fatto ritorno.
Nella quale li troverà, e saranno qualcosa di fantasmatico, lei con un pugnale conficcato nel petto, portato come se fosse la cosa più normale del mondo.
E che, dopo averlo ospitato per molto altro tempo, gli procureranno delle ustioni sul viso per averli guardati troppo a lungo, come fossero, e probabilmente erano, appunto, qualcosa di ultraterreno.
Alla fine la palla la ritroverà, portata da quel supplente di cui aveva a più riprese parlato, che aveva portato lui e la classe verso percorsi di conoscenza che li avevano ammaliati, ma, come dirà anche ripetutamente, portati su una strada pericolosa.
Sembrerebbe essere una metafora della vita: "… l’esistenza non fosse quella via flagellata dalla disperanza raccontata dai poeti ma un percorso meno infido e tortuoso, una stradina nella quale non vi è ostacolo, sasso, fosso o guado che non possa essere superato con un po' di spensieratezza. Non è così, e presto l’avrei scoperto." (pag. 18).
Ma, il quadro che ne risulta, è tutt’altro che pessimista, anzi, direi che ciò che se ne ricava è uno sguardo molto positivo, sul mondo, come di un posto nel quale, nonostante possano capitare destini disastrosi, ci si possa, in fin dei conti, stare bene, divertendosi con poco, come fanno i bambini.
E, il tutto, è narrato in un’ottima prosa direi quasi ipnotica, che usa metafore e giochi di parole ad ogni poco, dando spesso un buon effetto umoristico, che fa spesso sorridere: "Il sole veniva giù a catinelle e i fiori lo raccoglievano, se lo versavano addosso, si truccavano le labbra di giallo col poco rimasto sul fondo dei calici." (pag. 142).
Ed è in prima persona; l'insolito titolo è infatti dovuto al fatto che è uno studente che sta esponendo alla classe la propria tesina, tenendoli, ammaliati, per un giorno e una notte interi, al di là di ogni campanella.
Altri contributi critici: "La vita, una conta di privilegi perduti", di Ermanno Paccagnini, "La lettura", 24/12/2023
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