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La fantascienza e la dignità della persona


di Antonio Scacco


In un trafiletto apparso sul "Corriere della Sera" del 2 dicembre dell'anno testé trascorso, che un nostro collaboratore e affezionato lettore cagliaritano, il dott. Alberto Corda, si è gentilmente premurato di farci conoscere, Carlo Formenti mette in relazione il romanzo di Bruce Sterling, Distraction (tradotto dall'editrice Fanucci con il titolo Caos Usa), con le manifestazioni anti Wto di Seattle. L'elemento che accomuna l'opera dello scrittore "cyberpunk" alle iniziative dell'International Forum on Globalization, sembra che sia la denuncia del "rischio che globalizzazione economica, liberalizzazione selvaggia e flessibilità totale generino una società del 'lavoro zero', privando milioni di persone del loro reddito e della loro dignità umana'" (1).

Per la verità, non è una novità che uno scrittore di fantascienza si erga in difesa dei diritti e della dignità delle persone contro lo strapotere degli oligopoli. Oggi, si sa, il motivo di fondo che spinge l'uomo ad assumere atteggiamenti di chiusura e a praticare la violenza non solo verso i suoi simili, ma anche verso la natura, è la concezione della vita fondata - come ben ha evidenziato Erich Fromm in Avere o essere? - sulla "modalità dell'avere". In effetti, poiché lo scopo dell'esistenza è di possedere, gli altri diventano i nostri naturali antagonisti, che dobbiamo sbaragliare in tutti i modi possibili nella corsa all'accaparramento dei beni materiali. Rettitudine, pace, armonia non hanno più senso in tale contesto, e falsità, competitività, rancore prendono il loro posto. Poiché la quantità prevale sulla qualità, l'apparire sull'essere, tutto è reificato: l'amore, l'arte, la religione ...

Contro tale ottica disumanizzante, la fantascienza reagisce spesso con opere o che, come I mercanti dello spezio (The Space Merchants, 1953) di Frederik Pohl e Cyril M. Kornbluth, denunciano l'influsso nefasto delle agenzie pubblicitarie o che, come Infinito (Why call them back from Heaven, 1967) di Clifford D. Simak, condannano l'aberrante logica di ridurre l'esistenza umana al piano puramente materiale. Ma il romanzo che, secondo noi, testimonia in modo esemplare l'impegno della fantascienza a spezzare una lancia in difesa dei più deboli, è Il mondo della foresta (The Word for World is Forest, 1972) di Ursula K. Le Guin. Nelle intricatissime foreste di Athshe, un pianeta distante 27 anni luce dalla Terra, vive un popolo di umanoidi alti poco più di un metro, i cui maschi hanno la capacità di sognare, e di controllare i loro sogni, in uno stato tra la veglia e il sonno. Gli Athsiani sono molto ospitali e non sembra che conoscano l'aggressività e la violenza. Tuttavia, i terrestri sbarcati sul pianeta non solo non comprendono i valori originali di questa cultura aliena ma con cinismo e avidità iniziano subito una politica colonialistica di sfruttamento distruggendo l’ecologia del pianeta per impiantarvi una colonia umana e riducendo in schiavitù gl’inermi indigeni.

C’è poi il rozzo capitano Davidson, che nella giungla di Athshe si muove come se fosse in un safari e che considera gli Athshiani (chiamati anche "creechie") alla stregua di animali:

"Sono duri: hanno una resistenza terribile; e non provano il dolore come gli uomini. Tu pensi che colpire uno sia come colpire un bambino, più o meno. Credimi, è invece come colpire un robot, per quello che sentono. Senti; tu ti sei fatto qualcuna delle femmine, e sai che ti danno l'impressione di non provare nulla, né piacere né dolore. Probabilmente hanno i nervi più primitivi di quelli dell'uomo. Come i pesci. Quando ero alla Centrale, prima di venire qui, uno dei maschi domestici mi ha attaccato, una volta. Si, lo so, ti dicono che non lottano mai, ma quello è impazzito. Sono stato costretto quasi ad ucciderlo, perché si decidesse anche solo a fermarsi" (2).

Davidson e gli altri componenti della spedizione - ad eccezione dell'antropologo Raj Lyubov - avranno ben presto l'amara sorpresa di constatare che gli esserini pelosi e verdi di Athshe non sono poi così apatici e inoffensivi come a prima vista sembrano. L'attività sognante, a cui i maschi Athshiani si dedicano anche durante la veglia, non è fuga dalla realtà, arida stasi nel meraviglioso, rinuncia alla lotta. Al contrario, è un'attività creativa che, affondando le sue radici nell'inconscio individuale e collettivo della razza, unisce i due poli dell'oggettività e della soggettività, dell'interiorità e dell'esteriorità. Unità che la cultura terrestre ha ormai ripudiato da un pezzo prediligendo, nell'approccio con la realtà, gli strumenti della logica e dell'astrattezza che meglio si prestano a classificare e quindi a controllare il mondo della natura. Ma ciò a scapito dell'equilibrio mentale e spirituale dell'uomo, il quale si vede costretto a rinunciare alla propria capacità creativa per adagiarsi in un conformismo, forse riposante, ma certo alienante, come fa notare, senza mezzi termini, il capo degli Athshiani, Selver, all'ecologo terrestre Gosse:

"Io so che cos'è un realista, Mr. Gosse. Un realista è un uomo che conosce sia il mondo sia i propri sogni. Voi non siete sani: non c'è un solo uomo su mille, tra voi, che sappia sognare. Neppure Lyubov, ed egli era il migliore di voi tutti. Voi dormite, vi svegliate e dimenticate i vostri sogni, dormite di nuovo e poi vi svegliate di nuovo, e in questo modo passate l'intera vostra vita, e pensate che questa sia l'esistenza, la vita, la realtà. Voi non siete bambini, voi siete adulti, ma insani (3).

Ogni giorno che passa, il comportamento dei terrestri diviene sempre più intollerabile e crudele. Gli Athshiani sentono che è in gioco la loro sopravvivenza e decidono di reagire alle angherie degli oppressori, i quali restano disorientati di fronte all'inaspettata manifestazione di violenza delle loro vittime. In realtà, l'attività sognante degli Athshiani, poiché, come abbiamo accennato, mette in stretta sintonia l'io con la realtà, è un incentivo a superare il noto per andare verso nuove aree di esperienze, Nella cultura athshiana, colui che è capace di gettare un ponte tra il "tempo del sogno" e il "tempo del mondo", di destrutturare l'esperienza individuale e collettiva per ristrutturarla secondo schemi inediti, è un "dio". Toccherà a Selver, la cui città è stata distrutta e la cui moglie è morta violentata dal capitano Davidson, assumere il ruolo di "dio" e insegnare alla sua gente ad uccidere. I terrestri vengono sopraffatti e costretti a lasciare Athshe. Il capitano Davidson è lasciato in vita dall'etica non-violenta degli Athshiani, ma condannato a passare il resto dei suoi giorni confinato su un pianeta deserto, reso completamente brullo dai coloni terrestri:

"- Vedi, capitano Davidson, - disse il creechie, - siamo entrambi degli dei. Tu sei un dio insano, e io non sono sicuro di essere sano o no. Noi ci portiamo l'un l'altro il tipo di doni che si portano gli dei. Tu mi hai fatto un dono, l'uccisione dei propri simili, l'omicidio. Ora, per quanto posso, io ti faccio il dono del mio popolo, che è quello di non uccidere. Io penso che ciascuno di noi troverà gravoso da sopportare il dono dell'altro" (4).

Purtroppo, l'alto significato umano e morale di questo e di altri romanzi consimili è vanificato da una pletora di opere fantascientifiche che irridono i valori più autentici dell'esistenza umana e finiscono non per liberare l'uomo dalle pastoie della schiavitù di qualsiasi specie, ma per ribadirne ancora di più le catene che lo legano ai moderni idoli: vizio, perversione, relativismo, nichilismo ... Si pensi a romanzi o racconti come Fiore di Lambeth (Lambeth Blosom, 1966) di Brian Aldiss, dove si elogia la prostituzione, a Se tutti gli uomini fossero fratelli a chi dareste in moglie vostra sorella? (If All Men Were Brothers Would You Let One Marry Your Sister?, 1967) di Theodore Sturgeon, dove l'incesto è sbandierato come elemento di armonia sociale, a Monade 116 (The World Inside, 1971) di Robert Silverberg, dove il sano comportamento sessuale è giudicato un retaggio di secoli bui e l'umanità è libera di dedicarsi alla lussuria più sfrenata, a Crash (1973) di James G. Ballard, dove l'uomo non è nient'altro che un intrigo di pulsioni sado-masochiste.

Giustamente ha osservato Gillo Dorfles: "[...] se molti di questi libri (e dei film o dei fumetti da essi tratti) sono effettivamente creati a buon fine, mirano cioè a ristabilire i valori d'una morale prevalentemente sana e saggia, molti apertamente o subdolamente minano questi stessi valori [...] l'aspetto morboso, bassamente apocalittico, tendenzioso, o semplicemente edonistico (o anche quello meramente giocoso, futilmente ironico, grossolanamente madornale) della fantascienza è ancora il più diffuso" (5).

A causa di questa vistosa contraddizione, la cui origine è da attribuirsi, secondo noi, al prevalere in essa della mentalità scientista, che ignora il Sacro e spesso lo osteggia, la fantascienza non riesce a dare un contributo pieno al rinnovamento umanistico. Uno dei pilastri su cui poggia l'umanesimo autentico è il concetto di totalità (6). Tale concetto rimanda ad una visione armonica dell'uomo che, come hanno dimostrato le ricerche condotte dallo storico delle religioni, Mircea Eliade, non è solo faber, politicus, oeconomicus, tecnologicus, ma anche e soprattutto religiosus. Invece, molti scrittori di fantascienza si ostinano ancora a vedere l'uomo alla luce della menzogna, spacciata per scienza dall'evoluzionismo darwiniano (7): l'uomo è un animale che ha avuto la fortuna di prevalere nella lotta per la sopravvivenza.


NOTE

1 CARLO FORMENTI, Fantascienza e "manifesti populisti" alle radici della rabbia, "Corriere della Sera", 2-12-1999.

2 URSULA K. LE GUIN, Il mondo della foresta, Editrice Nord, Milano, 1977, pp. 8-9

3 Ibidem, p. 103.

4 Ibidem, p. 130.

5 GILLO DORFLES, La fantascienza e i suoi miti, in Nuovi miti, nuovi riti, Einaudi, Torino, 1977, p. 225.

6 ANTONIO SCACCO, Educazione tra le stelle. L'umanesimo scientifico e la fantascienza, Levante, Bari, 1992, pp. 14-16.

7 Cfr. GIANPAOLO SARRA, Evoluzionismo: la grande bugia, in "Il Timone" n. 3, settembre/ottobre 1999, pp. 19-22.






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