Suicides, Ltd. (di Antonio Caponetto)
Morire è vivere. Vivere è morire. La Vita è sofferenza. Se vuoi essere felice non hai che una scelta: UCCIDITI
I grandi caratteri a pigmenti colorati gli vennero incontro quando entrò nell'atrio dello spazioporto. Un tempo, in quella gigantesca sala di candidi marmi, lo sguardo veniva catturato da una successione di tabelloni colorati che proponevano anticoncezionali e uomini politici. Adesso l'esclusiva di quello spazio era stata acquistata dalla Suicides, Ltd. Ed anche le tecniche pubblicitarie si erano raffinate.
Le lettere rosso corallo erano sospese in rilievo nell'aria. La scritta non cambiava angolatura e dimensione, quale che fosse il punto da cui la si osservasse. Così era un incombente spada di Damocle che costringeva lo sguardo ad alzarsi. Non le si poteva sfuggire. Era la frequenza delle onde luminose del colore a produrre l'effetto ipnotico. Prodigi della pigmentifigurazione. Per un uomo di istruzione superiore, di medio reddito, era sufficiente fissare per non più di diciotto complessivi secondi la scritta per impararla a memoria e depositarla nell'inconscio dal quale periodicamente sarebbe stata estratta. Un seducente oggetto su un piedistallo, intorno al quale si gira indecisi se lasciarsi vincere dal desiderio o dalla paura.
Tra le ciclopiche colonne che chiudevano il fondo della sala ergendosi tra la terra e il cielo a volta dell'enorme cubatura si aprivano ventidue scale mobili che ingurgitavano con voracità le migliaia di passeggeri che, ogni giorno, transitavano dallo spazioporto per le stelle.
Eddy Poos scelse come un automa la meno affollata tra quelle centrali e vi si diresse, rassegnandosi ben presto alla difficoltà di una traversata che lo costringeva di continuo a variare il passo in funzione dell'impari compito di evitare le traiettorie delle altre centinaia di persone che turbinavano in quel momento nella sala. C'era un biancore accecante, che soffocava quasi. Era una giornata dal sole folgorante e valanghe di luce si riversavano dentro attraverso le grandi vetrate alle sue spalle. Fu costretto a stringere gli occhi per difenderli dalle lame abbaglianti che li ferivano.
Avvicinandosi alla scala si rassegnò ad affrontare la ressa che si faceva sempre più serrata. Tutti avevano fretta, ma ogni piattaforma non poteva contenere più di tre persone per volta. Una marea di teste fluttuava davanti quell'imboccatura d'imbuto, attraverso la quale si precipitava dentro le viscere della terra ad una velocità alla quale spariva presto il piano cui si era appartenuti fine a pochi secondi prima.
Poos riuscì a conquistarsi una piattaforma. Fu costretto ad accelerare il moto di ricongiungimento delle due gambe prima che quella già sulla piattaforma si staccasse pericolosamente dal resto del corpo rimasto indietro. Nonostante la velocità, cui non era ancora riuscito ad abituarsi, trascorsero lunghi minuti prima di arrivare al livello del piano d'imbarco. Quando, arrivato, abbandonò la piattaforma - più attento stavolta nello scegliere il tempo per saltare giù - lo assorbì subito una folla non diversa da quella che si era lasciata alle spalle, nervosa, mulinellante, si annodava e snodava secondo correnti cicliche che invano si sarebbe tentato di ridurre a legge matematica. Un cinetismo incontrollato pervadeva la massa corpuscolare. Sballottato tra gomiti e schiene, Poos teneva alta la testa roteando gli occhi, alla ricerca del proprio Punto d'imbarco.
L'atmosfera era dominata da un tono di basso, continuo, pulsante, il rumore dei motori che muggivano. Lo spazio che conteneva la folla non era meno vasto di quello lasciato al piano superiore. Sul fondale, in mezzo a tralicci di acciaio e cascate di tubi flessibili che disegnavano una mostruosa ragnatela, si scorgevano le bianche fiancate degli shuttle in partenza. Da ciascuna di esse si dipanava un nastro rotante che permetteva l'accesso alla navicella dalla piattaforma d'imbarco.
Su ogni nastro, la densità dei puntolini neri che si agitavano, testimoniava senza equivoco quali, tra le oltre cinquanta destinazioni che la Anglo-Dutch Spacelines Corporation proponeva ai propri clienti, incontrassero i maggiori favori del pubblico.
Quando lo shuttle aveva completato il suo carico di puntolini, la lunga rotativa si ripiegava su sé stessa, fino a ridursi un moncherino della piattaforma d'imbarco. Di lì a poco i simboli e colori della Anglo-Dutch Corporation, l'inconfondibile conchiglia gialla in campo rosso, cominciavano a scorrere verso l'alto, e sparivano ben presto alla vista, lasciando vuota la rampa da cui lo shuttle si era staccato.
Poos si fece largo tra un capannello di turisti giapponesi. Dalle poche parole che gli riuscì di isolare in mezzo al babelio di voci comprese che si accingevano a completare il tour degli Stati uniti d'America visitando le Colonie d'oltremare. Tutti eccitati, si toccavano continuamente la fronte, dove erano state installate loro le fotocamere neurali, quasi nel puerile timore che potessero spostarsi dalla loro posizione.
Poos arricciò il naso pensando al cinismo con cui le agenzie di viaggio convincevano i turisti a recarsi lassù. Le fotocamere erano inutili, perché nessuno avrebbe conservato le immortalate immagini di quei luoghi. Ma quelle si fissavano comunque dentro colui che avesse avuto la ventura di visitare quegli insediamenti desolati e come un verme parassita sarebbe con il tempo cresciuto dentro un sentimento di disperata oppressione. Gli ingegneri pubblicitari sostenevano da tempo che le colonie potevano diventare un eccellente strumento promozionale. Una semplice azione di pressione subliminale sarebbe stata sufficiente a scatenare la corsa per liberarsene fine alla più vicina Filiale per un Contratto. Ma i legali della Compagnia avevano avvertito che una campagna pubblicitaria di questo tipo sarebbe stata considerata una violazione del Divieto di istigazione al suicidio. Pubblicizzare il prodotto, ma non costringere il pubblico a comprarlo.
Eddy Poos scacciò con irritazione quei pensieri. Stava ancora cercando l'indicazione del proprio imbarco.
I computer della Spacelines Corporation erano in combutta con quelli che gestivano lo spazioporto. Quasi ogni mese decidevano di spostare la disposizione dei Punti d'imbarco. Era impossibile fare affidamento sulla propria memoria; e migliaia di persone vagavano alia ricerca della scritta luminosa che li riguardava, maledicendo i computer e il loro gusto per le novità.
Poos ripassò accanto ai turisti giapponesi, che evidentemente erano stati piantati in asso dai loro computer-accompagnatore e adesso smarriti si erano acquietati. Percorse ancora alcune centinaia di metri, finché, dal lato opposto a quello in cui la piattaforma l'aveva deposto al Piano d'imbarco, trovò l'indicazione che cercava.
In otto lingue, caratteri digitali luminosi comunicavano:
LUNADUE CIMITERO CATTOLICO
COINCIDENZA PER ROMA S.T.
L'ultima indicazione giustificava la lunga fila di persone, in coda alla quale prese posto anche lui. Fino all'ultima volta quella rotta aveva contato poche decine di passeggeri. Ma adesso la possibilità di prendere l'astronave per la città spaziale di Roma aveva moltiplicato il numero di persone che vi si imbarcavano.
Aveva visitato Roma S.T. e non dava tono ai suoi compagni di viaggio. Era senz'altro la più bella delle città spaziali. Gli architetti italiani che l'avevano realizzata avevano seguito in maniera assai fedele il modello della città terrestre. Tra le dieci città spaziali messe in orbita, Roma S.T. era senz'altro la meglio riuscita, più maestosa di Mosca S.T., più calda di Parigi S.T., più vitale di Delhi S.T. Ancora oggi, dopo trent'anni, sembrava fosse al primo posto nella lista delle richieste di residenza.
Avanzare una richiesta di residenza ormai era un investimento per gli eredi. Le città spaziali replicanti avevano rappresentato un'idea brillante per sfuggire alle sovrappopolate metropoli del pianeta. Ma anche se solo le famiglie più facoltose potevano permettersi di pagare le tasse municipali, anch'esse avevano esaurito presto i loro spazi. Nelle città spaziali la vita era poi ancor più noiosa che sulla Terra. Il fatto che fossero abitate da miliardari le rendeva uno dei mercati più floridi della Suicides, Ltd.
Era giunto il suo turno al chek-in. Consegnò la propria tessera di viaggio alla fessura che veniva indicata dalla freccia. La consolle di controllo era tutta lì: una fessura ed una griglia per un altoparlante. La Anglo-Dutch continuava a considerare quella linea secondaria, di quelle dove era giudicato antieconomico installare un androide. Non era piacevole avere a che fare con uno scatolone, sia pure intelligente.
- Poos, Mr. Eddy?
- Si, sono io.
- Lei lascerà lo shuttle alla stazione di Lunadue e poi prenderà navetta per la sua destinazione.
- Lo so Non è la prima volta che faccio questo viaggio.
- Il suo viaggio è completamente a carico della Suicides, Ltd.?
- Confermo.
- Qualifica?
- Dirigente, classe AAA
- Matricola?
- Numero 337 ED 5392.
- Numero di conto?
-741
- Grazie, Mr. Poos, tutti i dati sono stati verificati. Esatti.
Poos abbozzò un sorriso, dimentico che il suo interlocutore non poteva certo ricambiarglielo.
- Su Lunadue per ogni informazione o necessita si rivolga ad uno degli sportelli della compagnia, contrassegnati dalla C verde. Faccia buon viaggio, Mr. Poos. Saremo lieti di riaverla presto tra i nostri clienti.
La fessura risputò la tessera, che egli prese, oltrepassando poi rapidamente la barriera d'ispezione contro i materiali indesiderati. Mentre prendeva posto, in piedi sul nastro trasportatore pensò all'ipocrisia di quell'ultima frase. La Anglo-Dutch Corporation aveva il monopolio dei collegamenti spaziali. Era riuscita a conquistarlo con la frode, ricattando non meno della metà dei rappresentanti dell'ONU. Un’operazione brillante, che poi era stata ripetuta dalla Suicides, Ltd. durante le votazioni sulla legge Conrad.
Poos avvertì la vibrazione un attimo prima che il sottofondo si arricchisse del rombo dei motori di uno shuttle in partenza. Nonostante la distanza che separava ogni rampa si chiese se quelle vibrazioni non si sarebbero propagate fine a loro, compromettendo la stabilità dei passeggeri sul nastro. Sotto di lui scorreva il vuoto per alcune centinaia di metri, giù giù fino agli stadi di accensione dei vettori, dove nessun essere umano avrebbe mai potuto mettere piede per l'altissima temperatura che si produceva a ogni partenza. Solo un computer, solitario e metodico, poteva sovrintendere a quella sorta di fucina di Efesto.
Quando il nastro lo depositò sulla piattaforma di accesso alla nave spaziale, entrò senza indugiare. Il giallo e l'azzurro erano i colori dominanti dell'arredamento interno. La hostess, che lo stava accogliendo con un grande e luminoso sorriso, era bionda e con un paio di spettacolari occhi celesti. Sedotto dalla visione, non rinunciò alla tentazione di mostrare il suo tesserino per farsi condurre al posto assegnatogli.
La hostess diede un'occhiata molto professionale alla tessera, poi intensificò di una tonalità di fascino il proprio sorriso.
- Mi segua, la prego, Mr. Poos.
Si incamminò lungo il corridoio della sala passeggeri. Seguendola, Poos ebbe modo di ammirarne le gambe affusolate, inguainate da calze con la cucitura che usciva diritta dal tacco a spillo. Poos lodò in cuor suo il computer che aveva disegnato quell'androide. Tanta cura per dettagli così sensuali era rara in un mondo al quale le donne avevano imposto l'unificazione della biancheria intima.
La hostess si era fermata in corrispondenza del suo posto, dove lui scivolò ricambiandola con un sorriso, ben misero rispetto a quello portentoso realizzato dai motori facciali dell'androide. Era stanco, dopo la maratona percorsa nello spazioporto. La poltrona era comoda e le si abbandono con sollievo. Diede un'occhiataccia infastidita allo schermo universale di cui era dotata come tutte le altre. L'infernale marchingegno poteva essere attivato, all'improvviso, da chiunque volesse rintracciarlo dovunque lui si trovasse. Di schermi universali era disseminato l'universo conosciuto e il genere umano era costretto a portare quella croce, dalla quale non c'erano difese. Era durato poco l'apprezzamento per quella invenzione, giusto il tempo di provare la novità. Poi ci si era accorti del disastro, perché non c'era possibilità di spegnere la ricezione. Un canale bilaterale perennemente aperto con tutti gli altri uomini. Ma ormai il guaio era stato fatto. Adesso era come vivere in un acquario.
In quel momento lo schermo era escluso dal canale di comunicazione. Vi campeggiava una scritta: La morte è una cosa meravigliosa. Viverla nel modo migliore è la tua ultima occasione. Non sprecarla.
Emanata da diffusori nascosti, circolava per l'abitacolo aria di primavera di Bach.
Scelse dal catalogo sulla destra dello schermo Blade Runner, un vecchio film che aveva visto molto tempo prima e che gli era piaciuto. Era un reperto archeologico, a colori e sonoro, solo bidimensionale.
Ma a Poos non piacevano granché i film moderni, preferiva quelli d'epoca, per quanto visibili fossero le imperfezioni, le incongruenze, i difetti di recitazione e di regia. In quei tritatutto che erano i banchi di memoria dei computer adesso veniva scaraventato un sacco di materiale, tutte le trame che scrittori, registi e disegnatori avessero mai inventato, e libri di storia, saggi di psicologia e di comportamentologia, favole e leggende. Da quel guazzabuglio, come un baro che, mescolando le carte, prenda a suo piacimento un poker o una scala, il computer traeva una nuova storia. Ma era tutto troppo asettico, pensava Eddy Poos, privo di slanci, di colpi di follia, tuffo diventava troppo credibile, previsto.
La hostess era di nuovo vicino a lui ora, si chinò spargendo brillii di luce e refoli di Chanel.
- Le sue valigie sono state imbarcate nella stiva, a cura del servizio bagagli della Compagina. Le saranno riconsegnate all'arrivo su Lunadue. Sarà sufficiente che lei si rechi all'ufficio riconsegne, mostrando la tessera d'imbarco. Grazie e buon viaggio.
Restò a guardarla sbalordito, mentre lei ripeteva le istruzioni al passeggero successivo. Adesso capiva la fattura classica di quell'androide, che l'aveva tanto colpito. Doveva essere un bel residuato, non convertito, risalente a molti anni prima, quando ci si portava ancora dietro una valigia.
Trent'anni prima erano stati installati i Punti Automatici di Spaccio. Ormai ce n'era uno ogni cento metri, in ogni ambiente. Bastava presentare la Carta del credito universale per ottenere qualsiasi cosa di cui si avesse bisogno. Né si acquistava per conservare. Con l'avvento della produzione usa & getta niente sulla Terra veniva usato per più di una volta. Avere dei bagagli era da dissociati mentali.
Ricordò il suo primo viaggio spaziale. Anni prima, da ragazzo, con i compagni di scuola. Ricordò suo padre. E due valigie. Due pesanti, enormi, imbarazzanti valigie che trascinavano arrancando per le sale e i corridoi dello spazioporto. Il padre lo stava accompagnando. Eddy aveva sperato che lui non venisse, che fosse occupato altrove. Ma la fortuna aveva ignorato le sue preghiere. Il padre gli aveva detto di preparare i bagagli, di farsi trovare pronto quando sarebbe passato a prenderlo con l'aircraft. Si era fatto trovare vestito, ma senza bagagli. E il padre, senza capire, aveva provveduto lui stesso a riempire delle sue cose due vecchie, rigide, ingombranti valigie. Eddy stava attraversando lo spazioporto con lo sguardo nel vuoto.
Cercava di farsi invisibile. Già allora non c'era quasi più nessuno che portava bagagli in viaggio. Era una cosa che saltava subito all'occhio. Prima di giungere al Punto d'imbarco dove il preside della scuola aveva dato appuntamento a tutti, tentò di salvarsi dall'inevitabile.
- Papà, queste valigie mi saranno di peso. Su Marte faremo molti campi, ci dovremo spostare ogni notte.
Rifare ogni volta i bagagli mi farà perdere un mucchio di tempo. Penso che non abbiamo avuto una buona idea a prepararle. Forse è meglio che le riporti indietro. Eh? che ne dici papà?
- Perché vorresti andar via senza nulla? Che idea! Come faresti? Dovresti prendere tutto quel che ti serve da quegli orribili spacci automatici, che sono sempre guasti, su Terra, su Marte figuriamoci. E poi sono i tuoi oggetti, quelli di cui un uomo ha bisogno. Questa mania di non conservare nulla, passerà presto, vedrai. La mattina quando ci si sveglia, il rasoio, lo spazzolino da denti sono gli unici appigli reali con la tua sostanza, mentre tutto intorno passa e cambia più veloce del giorno e della notte. Sai quante volte mi sono risvegliato in camere d'albergo, senza sapere dove fossi, chi fossi? Poi vedevo i miei libri sul comodino. E tornavo in me.
Ma Eddy non era stato ad ascoltarlo. Aveva visto gli amici, tutti a mani vuote, ridevano, giocavano, correvano. Alcuni si erano fermati e li guardavano. L'umiliazione e la rabbia gli arsero il cuore, la vergogna gli curvò le spalle. Sentiva su di sé una pressione fisica, gli sguardi di derisione dei coetanei, delle ragazze. Quel viaggio fu un incubo. E quella fu la prima volta che odiò suo padre.
L'altoparlante annunciò che mancavano appena tre minuti alla partenza. Si affrettò mettere in bocca una delle pastiglie sedative che portava sempre con sé in viaggio. Schiacciò le spalle sullo schienale, mentre le cinture di sicurezza gli avvolgevano la vita. Cercò di scacciare qualsiasi forma di idea dalla sua mente.
Chiuse fuori da sé ogni immagine. La vibrazione dell'accensione sembrò partire da dentro i suoi polmoni, per comunicarsi solo in un secondo momento alle pareti della nave, alle poltroncine, per ultimi ai motori. Il cuore saltò in gola quando cominciò l'accelerazione. Nessuno in quel momento poteva neanche sbattere le palpebre. Solo Bach continuava imperterrito a suonare. La pastiglia gli si scioglieva da sola in bocca, lasciando sul palato un disgustoso sapore di tabacco. Gliela aveva imposta un computer-medico, quando lo aveva esaminato al ritorno da uno dei suoi primi viaggi. Era successo quando era cresciuto tanto da poter guardare attraverso l'oblo Aveva visto i nembi di nuvole che venivano sfrecciati attraverso lo squarcio che la velocità forsennata aveva prodotto in mezzo a loro. Aveva visto la prospettiva schiacciarsi a deformare le costellazioni in grottesche macchie luminose. Aveva percepito che stava abbandonando la Terra per uno spazio infido e non solido. Lo aveva colto il terrore. Aveva tentato di sganciare con furia le cinture, ma quelle erano fatte in modo da reagire a qualsiasi forza. Si era procurato degli inutili lividi sul corpo ma senza sentire dolore perché poi era svenuto. Lo avevano sbarcato in completa catalessi. Aveva temuto che per lui i viaggi spaziali sarebbero stati per sempre proibiti. Pochi, ma c'erano coloro che non riuscivano ad affrontare lo straniamento di quel tipo di viaggi. Per non parlare delle idiosincrasie di tanti altri, delle scaramanzie, dei riti strani. Ciascuno aveva un suo modo di esorcizzare la paura. Non c'era nessuno che non ne avesse.
Quando si sentì sicuro osò riaprire le palpebre. Sbirciò con la coda dell'occhio oltre l'oblo. La vista dello Scorpione nella configurazione che era familiare lo rasserenò. Lo shuttle aveva abbandonato l'atmosfera terrestre e adesso scivolava placido tra le tenebre profonde. Le stelle gli facevano da corona luminosa, ma di una luce fredda, senza calore. I raggi del sole infondevano sicurezza, queste erano radiazioni che inquietavano.
Era questo il tratto peggiore del viaggio. Lunadue ancora non era a vista. Il viaggiatore, incapace di misurare con lo sguardo quanto mancasse al termine della tappa, attraversava una terra di nessuno popolata dai mostri di incidenti inspiegabili e disastrose sciagure, in un punto in cui lo shuttle non poteva più ormai essere raggiunto in tempo, né dalla Terra né dalla Base.
Il film era cominciato, ma aveva perso la voglia di guardarlo. Lasciò che i suoi pensieri fluissero sciolti, liberi di fondersi, sovrapporsi, intersecarsi con gli assassinii senza sangue che provenivano dallo schermo. L'hostess gli portò uno spuntino. Provò ad aromatizzare la bistecca gommosa spruzzandovi sopra della essenza di Coca-cola ma la mise presto da parte, dopo averne consumato appena qualche boccone. Seguì stancamente qualche altra sequenza. Sentiva i pensieri farsi pesanti, più delle sue stesse membra.
Si rese conto di essersi addormentato quando lo schermo risuonò nell'inequivocabile segnale di chiamata proveniente da Terra. Cercò di scuotersi rapidamente dall'intorpidimento, snebbiando il cervello dai sogni che avevano accompagnato il suo sonno. Stropicciò il viso un'ultima volta prima di rispondere.
- Hallo! carissimo Eddy, come va?
La voce era acuta e urtante, proveniva dallo zoccolo dello Schermo, ma apparteneva a Constantin Karamazov, il suo Vice.
La faccia untuosa ed affilata si disegnò, appena scomposta da un'interferenza.
- Mi dispiace venirti a cercare proprio mentre sei in vacanza, Eddy, spero di non averti distolto da pensieri particolarmente piacevoli.
Poos si chiese se lo schermo rimandasse a Karamazov i suoi occhi imbambolati dal sonno.
- No, Constantin, è un piacere sentirti. Dimmi tutto.
- Ricordi? Era prevista per oggi la riunione della Commissione per la pianificazione. Ha approvato il mio progetto, Eddy, volevo essere il primo a comunicartelo.
- Mi congratulo con te. Sinceramente. Davvero.
- Voglio dirti una cosa. Ti confesso che non ho ancora capito perché ti sia opposto tanto a questo progetto. I tuoi uomini hanno votato contro, sai, e quando hanno capito che la partita era persa hanno fatto tutto l'ostruzionismo che gli era possibile. Gli hai lasciato istruzioni molto precise. Dì loro puoi essere soddisfatto.
- I motivi li ho esposti nella mia relazione. Non c'è altro. Secondo me non ha mercato.
- Scherzi! Eddy, non ti riconosco più. Hai perso la fantasia. per caso? Non hai argomenti contro questo progetto. In gioco c'è un rinnovamento e una diversificazione radicale della nostra produzione.
Poos prese qualche istante per riflettere. Karamazov stava registrando quella conversazione e non voleva concedergli gratuiti vantaggi. Non rispose e lo lasciò proseguire. Notò che si stava accalorando.
- I miei esperti hanno anche deciso il nome con cui sarà inserite nel Catalogo. Suicidio del Grande Leader nel Palmo Assediato. Si, lo so a cosa stai pensando. Ti prevengo. Non è un nome accattivante. Non è orecchiabile, non è facile da ricordare. Ma il punto è proprio questo. Non si tratta di un prodotto di massa, è una realizzazione sofisticata per un'élite esclusiva E costerà un pozzo di crediti. Sarà una morte per ricchi, ma è proprio questo che vogliamo, solo ricchi con una gran bella voglia di fare una fine storica.
Un palazzo presidenziale assediato da golpisti. Carri armati, elicotteri, batterie di mitragliatrici tutt'intorno, sangue sui muri, cadaveri per le scalinate e. dentro il palazzo, lui, il Grande Leader. il capo amatissimo, lo statista illuminato, chiuso nel suo studio, una pistola nell'ultimo cassetto della scrivania. Poi abbiamo studiato tutta una serie di optional. Il Discorso della Vedova alle Nazioni unite, con i delegati in piedi.
Un'Ultima Drammatica Telefonata all'ambasciata della Grande Potenza amica, per chiedere un aiuto che viene rifiutato. Un Esemplare Testamento Spirituale. Chissà cos'altro, secondo i gusti.
Si fermò per tirare il fiato. La punta del mento che si costringeva a tenere forzosamente sporgente ed aggressiva gli tremava percettibilmente. Poos riuscì a dare la consistenza dell'acciaio alla sua voce quando rispose.
- La tua è una magnifica intuizione, Constantin. Non ho mai dubitato delle tue risorse di fantasia. Ma sono sempre stato convinto che la nostra produzione deve incontrare i gusti di massa Noi abbiamo una vocazione popolare. La nostra immagine deve restare legata a prodotti, anche costosi, ma non di lusso. Io intendo difendere questa tradizione, non voglio che il ruolo della compagnia venga snaturato.
Karamazov serrò i denti. La voce gli uscì stridula, come solo di un personaggio da letteratura, pensò Poos, si sarebbe potuto dire della sua voce che suonava stridula per la rabbia.
- Vedo che non cambierai affatto idea sul mio progetto. Pazienza, non morirò di crepacuore per questo.
Ma vedo anche che mi accusi di una linea in contrasto con gli interessi della Compagnia. Se la pensi così ritengo che sia indispensabile un chiarimento, Poos. Penso che la sede sarà il Consiglio d'amministrazione. Là sapremo chi cura veramente nel modo migliore gli interessi della compagnia.
Arrivederci a presto. Eddy, fai buon viaggio.
L'immagine si dissolse.
Poos cercò preoccupato dentro di sé dell'inquietudine. Fu soddisfano di non trovare nulla. Socchiuse gli occhi, impassibile. Karamazov era una mosca, una mosca arrogante e vanesia. Poteva essere schiacciata in qualsiasi momento. Poos sapeva cosa avrebbe fatto, al suo ritorno. C'erano altri azionisti, a lui ostili. Con il loro aiuto Karamazov voleva scalzarlo dalla carica di Presidente generale della Compagnia. Cercava da tempo di trascinarlo allo scontro in campo aperto. Adesso aveva trovato l'occasione. Dava grande importanza al successo del suo progetto di suicidio del grande leader o come diavolo l'aveva chiamato. Un sorriso si profilò sulle labbra chiuse di Poos. Anche lui aveva costruito la sua carriera su una trovata geniale. Anche di lui erano diventati leggenda la spregiudicatezza e il cinismo. Doti che si perdono con l'età, a quanto pare.
Aveva preso posto al tavolo da pranzo. Il rospo dentro saltellava per venir fuori e lui invece continuava a ricacciarlo giù, ma presto sarebbe venuto il suo momento. Quel mattino aveva firmato il contratto di lavoro con la Compagnia. Avrebbe preso servizio entro un paio di giorni. Dopo aveva fatto una lunga passeggiata.
Non pensava a cosa aveva fatto, ma a come avrebbe fatto a dirlo. Andò sul lungomare. Si appoggiò a una panchina e rimase a fissare il mare dietro i teloni di plexiglas che proteggevano dai miasmi dell'acqua putrefatta. Avrebbe anche potuto inventare una storia. Alla Compagnia gli avevano offerto la loro disponibilità per tenere il segreto sul suo datore di lavoro. Gli avevano spiegato che c'erano ancora delle resistenze psicologiche a far sapere di essere Agenti della Suicides, Ltd. A quel tempo si era ancora all'inizio dell'attività. C'erano questi problemi, non si poteva mai dare per scontata la reazione della gente comune. Oggi no, oggi è diverso, siamo istituzionali.
Ma non era quello il punto. Lui aveva bisogno di staccarsi dal giogo. Per farlo doveva combattere. Non c'era scelta ma non ne aveva voglia. Quella passeggiata fu lunga quanto una vita. Rivedeva sé stesso, innumerevoli le volte, in piedi, lo sguardo ostinatamente fisso a tracciare il reticolato che i mattoncini triangolari disegnavano sul pavimento della biblioteca, davanti, la logora poltrona di cuoio, e l'aria della stanza che si riempiva delle parole di suo padre.
Ripensava all'insofferenza con cui suo padre commentava ogni sua iniziativa. Ricordava la frustrazione che gli marchiava la pelle quando suo padre, senza mai pronunciare la parola fallimento, la maledetta parola che era arrivato a invocare per liberazione, gli faceva intuire che si sentiva tradito da quel figlio così poco suo. Quante parole la sua rabbia gli aveva impedito di pronunciare, di quante parole era in debito con quella stanza, di quanta rabbia era in credito con suo padre
Riviveva la sera in cui per la prima volta aveva fatto l'amore con una donna. Il mazzo delle chiavi rubato a suo padre - tanto capirà appena gli dirò - quella notte, trascorsa infinita, sui sedili posteriori, il ritorno all'alba, la luce accesa in biblioteca, ma per una volta vi era entrato senza timore. Sorrideva orgoglioso quando si era avvicinato alla poltrona.
- Dove sei stato tutta la notte?
Aveva risposto ammiccando.
- Non te l'immagini davvero? Sono stato con una donna, con una ragazza fantastica.
Rideva adesso, di un riso giovane e felice. Non senti quasi la risposta.
- Domani farai tardi a scuola.
- Tu dove l'hai fatto la prima volta? È stato con la mamma?
La risata mori quando vide il padre alzarsi, brusco, ed uscire da quella maledetta stanza.
Rivedeva tutto con chiarezza, adesso che non ci sarebbero state più finzioni. Suo padre arrivò per ultimo, secondo l'immutabile rituale. Mentre attendevano che il robocuciniere facesse arrivare le portate nei loro piatti, il suo nervosismo gli fece cadere per terra la forchetta. Suo padre aveva già cominciato a prender grandi cucchiaiate di brodo. Aveva il capo chino sul piatto.
- Oggi ho trovato lavoro. Ho firmato un contratto con la Suicides, Ltd. Comincio tra due giorni.
Vide sé stesso. Era un eremita dei monti che si taglia alle spalle il ponte che potrebbe indurlo nella tentazione di tornare alla civiltà.
Il cucchiaio lasciò la bocca senza riempirla, si abbassò, in maniera lentissima, quasi per un momento si immobilizzò a metà dell'aria, come sostenuto dal vapore che usciva dal piatto, poi nell'ultimo tratto accelerò, si tuffò pesante nella minestra, urtando il fondo con un tonfo soffocato e schizzi si spargevano tutt'intorno.
- Stai parlando di quella nuova Compagnia.
Non era una domanda. Sapeva benissimo cosa fosse la Suicides, Ltd., dopo tutto quanto aveva scritto contro al tempo del dibattito in Parlamento. Recitava perché aveva bisogno di tempo. Doveva escogitare le contromosse a quell'attacco a freddo, doveva collocare le trappole. Eddy sentì palpabile nell'aria la sua ira. Vide le mani intrecciarsi veloci, più volte. Capì che non doveva lasciare l'iniziativa all'altro. Era come l'odore del sangue che inebria il cacciatore che ha finalmente scovato il vecchio leone nel suo nascondiglio e adesso che la belva è alla sua mercè sta per scoccargli il colpo di grazia.
- Proprio quella. Sarò un loro Agente. Lavorerò qui in città.
Si era alzato di scatto, facendo cadere la sedia.
- Sei pazzo, per caso? 0 cosa? Ma hai idea di cosa stai parlando? Lavoro, parli di lavoro, come se fosse la cosa più banale del mondo. Ma lo sai che quel - la lingua s'impuntò grondante disprezzo - lavoro consiste nel convincere la gente a morire?
- Non è così.
Allargò le braccia, al centro della stanza, come un istrione da palcoscenico.
- Sentitelo! Non sai di cosa stai parlando. Ti rendi conto che quello è un assassinio? Quella è una banda di assassini e tu, tu vorresti metterti al loro servizio?
Smise improvvisamente di urlare. Per un lungo momento si guardarono negli occhi. Poi con un soffio di voce, pacato, quasi suadente:
- Dimmi che stai scherzando, per favore.
Fu il suo errore. Avesse continuato a gridare. Avesse continuato ad agitare lo scettro. Non si fosse interrotto, non avesse mostrato in quella preghiera la sua debolezza, Eddy non avrebbe mai risposto.
- No, non sto scherzando. Sarò un Agente della Suicides, Ltd. Non convincerò la gente a darsi la morte. Il mio compito sarà fare tutto il necessario perché ciò avvenga secondo i loro desideri. Secondo la legge questo non è un assassinio. È il lavoro che ho trovato e che voglio fare. E se tutto questo sarà invece contrario ai tuoi principi, non m'importa. Questo non è uno scherzo.
Suo padre adesso lo guardava fisso, la bocca semiaperta a replicare qualcosa che non sarebbe mai venuto. Era la prima volta che suo padre restava senza parole. Eddy gliele aveva tolte tutte. Provò vergogna di sentirsi così ebbro di trionfo. Si diede subito del codardo per aver provato vergogna. Si alzò da tavola e andò via. Non mangiò più quel giorno.
Passarono molti anni. Venne il successo. Un numero sempre maggiore di esseri umani acquistava, senza più remore, il prodotto che migliaia di Agenti come Poos vendevano su tutta la Terra. Venne a Poos un'intuizione geniale. L'"Autocombustione Umana in nome della Libertà" come recitava burocraticamente il Catalogo della Compagnia del tempo. Il "Suicidio Palach", come invece divenne familiare tra i giovani che ne decretarono il trionfo. Il "Suicidio Palach" rappresentò una svolta anche nella storia della Compagnia. Non più banali avvelenamenti o impiccagioni, ma la possibilità di rimorire un episodio storico, o letterario, o fantastico E fu la svolta anche per la carriera di Poos. Divenne uno degli Esecutori più fantasiosi e più abili, le sue creazioni si rivelavano invariabilmente grandi successi commerciali. Di lui dicevano che indovinasse a colpo sicuro i gusti della clientela. Salì molti gradini nella scala gerarchica della Compagnia.
Lunadue avrebbe dovuto essere visibile ad occhio nudo ormai. Lanciò lo sguardo oltre l'oblo e constatò di non essersi ingannato. In lontananza si scorgevano le luci della stazione di smistamento. La parte più lunga del viaggio stava ormai per finire. Di lì a poco lo shuttle avrebbe cominciato le manovre di accostamento ed attracco.
Quando ormai la nave era nella traiettoria che l'avrebbe condotta ad uno dei Punti d'approdo e dopo che gli altoparlanti avevano annunciato i minuti che ancora separavano dall'arrivo, Eddy Poos guardò ancora una volta fuori. Non ebbe bisogno di cercarlo, il satellite pubblicitario con la grande scritta luminosa e cangiante. Bella la morte. Vivila come hai sempre desiderato e non sei stato mai. It's death for you!
Spettacolare ed efficace, uno degli investimenti migliori.
Lunadue era adesso perfettamente osservabile. La doppia mota, congiunta dal perno centrale, la faceva immaginare l'assale dimenticato nel cielo, dopo chissà quale scontro, di un gigantesco carro siderale, la biga di un qualche Dio. I raggi, erano quattro per ogni ruota e contenevano le rampe di lancio delle navette. L'attrazione gravitazionale della base spaziale aveva fatto aumentare la velocità di avvicinamento dello shuttle, cosicché mentre si perdeva irrimediabilmente la visione d'insieme del satellite si acquistava distintamente quella del settore delle comunicazioni commerciali. L'involucro d'acciaio della Ruota scintillava dei fari della Base, splendendo del riflesso del satellite della Suicides, Ltd. Si aprì per mostrare allo shuttle l'hangar d'approdo che gli era destinato. I neon all'interno illuminavano la sala in cui venivano parcheggiate le navi spaziali. Tutta la circonferenza della Ruota era un susseguirsi di hangar ed officine.
L'attracco fu dolcissimo. Le luci si accesero. I passeggeri si alzarono però dai loro posti soltanto dopo che fu completata la pressurizzazione della cabina interna. Poi defluirono ordinatamente verso l'uscita, sfilando davanti alla hostess che lasciava a tutti i viaggiatori di sesso maschile una sensazione difficile da dimenticare.
Imboccarono un corridoio camminando lentamente e facendo attenzione a non perdere la presa sulle ringhiere che correvano longitudinalmente ai lati ed al centro, perché in quel luogo, come avvertivano pannelli luminosi in tutte le lingue, la gravità era ancora assai bassa. Divisi in due gruppi successivi presero poi posto in una cabina mobile che li avrebbe portati, percorrendo uno dei raggi della Ruota, al Mozzo centrale. Era questo il corpo della Base, dove si trovavano gli uffici, i ristoranti, i teatri, i duty-free shop. In quell'area di Lunadue anche la gravità era normale grazie alla rotazione della Base e la vita si svolgeva secondo i canoni familiari della Terra, per quanto essa restasse lontana migliaia di chilometri.
Alcune ore nel Mozzo potevano far dimenticare l'alienità dell'ambiente in cui ci si trovava.
Come tutti i normali viaggiatori Poos non aveva mai messo piede sull'altra metà della Base, esclusivamente riservata ad attività militari. Solo pochi, autorizzati, potevano prendere l'ascensore che congiungeva le due Ruote attraverso il braccio centrale nel quale erano ospitati i motori nucleari che animavano Lunadue. Ma l'altro Mozzo non gareggiava certo in confortevolezza. Dove Poos si trovava adesso si poteva ottenere rapidamente qualsiasi cosa di cui si avesse bisogno grazie ai Punti Automatici di Spaccio collocati in fondo a ciascuno dei numerosi setti in cui si suddivideva il Mozzo. Era sufficiente presentare la Carta di Credito Universale ed impostare sull'alfanumerica il codice della merce desiderata.
Eddy Poos gironzolò un po' senza scopo, poi trovò lo sportello della compagnia che avrebbe gestito la seconda parte del suo viaggio. Risolte rapidamente le formalità, l'androide gli indicò la sala d'aspetto, dove avrebbe potuto comodamente attendere l'ora della partenza della sua navetta. Nella sala c'era un Punto Automatico di Spaccio alimentare. Si ricordò di non aver consumato quasi nulla sullo shuttle e ordinò un tramezzino. Su una parete un grande schermo trasmetteva spot pubblicitari. Li seguiva distrattamente, continuando a sbocconcellare, finché uno, che riconobbe della Suicides, Ltd., non assorbì la sua attenzione.
Campo lungo. Spiaggia californiana. Sabbia color oro ovunque. Sole smagliante nell'angolo in alto a destra. Pacifico appena increspato da onde da surf nell'angolo in basso a sinistra. Campo medio. Sullo sfondo, cartellone pubblicitario della Ferrari Motors, Inc. Su una sdraio, Lui: abbronzatura brunita, occhiali da sole neri, capelli biondi luccicanti di gel, boxer a disegni floreali giallo ed arancione. Lei: bionda mozzafiato, evidentemente transessuale, sdraiata sulla sabbia a faccia in giù davanti ai suoi piedi. Bikini azzurro su abbronzatura neropece. Primo piano. Lui solleva lo sguardo da Vogue2000. Particolare della copertina: Marilyn Monroe. Assumendo aria ispirata: - Sai cara, credo proprio che mi suiciderò, oggi. Non riesco più a sopportare tutto questo sole accecante. La vita non è solo un'abbronzatura. I Lawrence si sono suicidati in coppia due giorni fa ed a me Jamie manca tanto. Non so più con chi giocare a golf.
- Ma come pensi di farlo?
Aprendo la rivista: - Barbiturici. Ho preso da qui l'idea.
Sollevando dl scatto il volto imbronciato, reso ancor più sensuale dai granelli di sabbia dorata sugli zigomi e sulla punta del nasino all'insù: - Vorrai scherzare? È assolutamente banale. Tirandosi su a sedere: - Vuoi lasciarmi vedova per raccontare agli amici che il mio uomo era così privo di ideali da morire con quattro pasticche?
Sinceramente colpito: - Penso che tu abbia ragione, darling. Ma hai qualche idea? Guardando improvvisamente il cartellone con un'espressione sognante: - Si, forse un'idea ce l'avrei!
Dissolvenza
Campo lungo. Folla. Moltitudine in movimento. Auto da corsa che sfrecciano nell'angolo in alto a destra dell'inquadratura. Atmosfera da Grand Prix. Campo medio. Pile di pneumatici. Meccanici in tuta, indaffarati. La Lei di prima, appoggiata ad un muretto, grosso cronografo in mano. Primo piano.
- Uno, quindici, duecentotrentasette. Wow!
Passaggio all'inquadratura a figura intera. Tuta di pelle attillatissima. Voltandosi di scatto con un saltello, capelli al vento: - Migliora giro dopo giro. Fantastico.
Rigirandosi, primissimo piano, occhi sensualmente socchiusi: - È un dio, il mio Bob.
Campo lungo. Ripresa del circuito dall'alto. Macchie di verde scuro tra le quali affiora una striscia grigia d'asfalto. La camera s'abbassa avvicinandosi al suolo. Gli alberi, l'anello di asfalto, le tribune gremite ingrandiscono, scorrono via velocemente.
Passaggio dal piano verticale a quello orizzontale. La camera si ferma. Inquadratura fissa, obliqua, di una doppia curva. Appare una formula uno. Procede lenta. Ne appare un'altra, rossa, più veloce. Molto più veloce della prima. Le arriva a ridosso. Non frena. Le manca lo spazio. Il pilota sterza. La vettura sale sulle ruote dell'altra. S'impenna. Ricade. Una piroetta. Una seconda. Dall'abitacolo una marionetta disarticolata proiettata attraversa il campo. Sparisce. La macchina continua a far capriole sull'erba.
Sovrapposizione. Primissimo piano. Inquadratura del volto di Lei. Socchiude gli occhi, stringe le labbra, tira un sospiro, languida: - Oh, wonderful!
Scompare lo sfondo. Primissimo piano. Inquadratura solo per il volto di Lei. Strizza l'occhio, sorride ammaliatrice.
- Troverete un Agente della Suicides, Ltd. a vostra disposizione in ogni Filiale. Farà per voi tutto ciò che desidererete.
Stringe le labbra tumide. Soffia un bacio al vuoto.
Poos vedeva per la prima volta quello spot. Ne apprezzò la fattura ed ancor più il prodotto che presentava.
La Suicides, Ltd aveva ormai raggiunto una produzione tanto vasta che non di rado buone creazioni restavano confuse con realizzazioni mediocri e poco originali. Annotò mentalmente di assumere informazioni sul creativo che lo aveva ideato. Doveva essere un giovane di talento, attento al mercato. La morte del pilota automobilistico era un settore poco sfruttato, eppure così semplice e di sicuro successo.
Era questa la sua filosofia aziendale, quella che aveva imposto in quegli anni a tutta la Compagnia: si dovevano offrire al pubblico occasioni di morte prestigiose, non banali, ma comprensibili. Morire su una pista era in fondo nient'altro che la trasfigurazione eroica di un normalissimo incidente stradale. Per questo aveva successo. Morire da capo di Stato, no. Era qualcosa di troppo estraneo all'esperienza collettiva. Non avrebbe mai sfondato. Poos era sicuro che realizzare il modello che tanto a cuore stava al suo rivale si sarebbe rivelato uno spreco di denaro e di energie.
L'altoparlante della sala annuncio il nome di suo padre, insieme ad altri tre quasi uguali. Con lui si alzarono cinque persone. Una coppia di genitori; un vecchio solo e stanco, una donna giovane con un ragazzo. Erano tutti suoi quasi omonimi, perché la Compagnia che gestiva quel servizio selezionava le Visite in modo da razionalizzare ed economizzare i percorsi. In tal modo l'ultima parte del viaggio di Eddy Poos sarebbe durata al massimo un paio d'ore.
Accodandosi agli altri, entrò per ultimo nella navetta che l'avrebbe portato in giro per l'Anello. L'abitacolo era assai piccolo e molto meno comodo di quello dello shuttle. Conteneva in tutto sei coppie di poltrone, disposte su due file. Il corridoio centrale che le separava portava all'abside della navicella, chiuso da un'ampia semicupola trasparente. Sedette in prima fila, dal lato dell'oblò. Quella posizione angolata gli permetteva di vedere l'androide pilota, la cui cabina era a malapena nascosta da un pannello. Tutto l'arredamento interno era molto spartano.
La partenza avvenne quasi immediatamente, perché i veicoli di quella stazza non avevano bisogno di attendere la complessa trafila prima di avere dal controllo di smistamento l’autorizzazione a lasciare Lunadue.
La navetta, che doveva risparmiare la sua autonomia, abbandonò la fase di accelerazione non appena la spinta fu sufficiente a superare l'attrazione gravitazionale della Base e cominciò in caduta libera a discendere verso l'Anello. Poos si sporse ad osservare la curva luminescenza lattiginea dell'Anello sotto di lui. Si era ancora troppo lontani per poter distinguere le molecole di quell'artificiale corpo astrale. Da quel punto di osservazione si poteva al più pensarlo come un arcobaleno monocromatico avvolto intorno alla Terra, che ne celava le estremità. Nel crearlo gli uomini avevano imitato Saturno, e proprio dal fatto che sembrava una vera calzata dal pianeta aveva preso il suo nome. Anche se sulla Terra, in passato, i cimiteri ne avevano avuto un altro.
La velocità del guscio in cui Poos si trovava aumentava progressivamente via via che si faceva sentire l'avvicinamento della massa terrestre. Adesso si coglievano nettamente le diverse fasce che componevano l'Anello: quella cattolica era la più esterna, la più densa. La miracolosa opera di equilibristica gravitazionale aveva permesso perfino una separazione di qualche centinaio di chilometri fra le diverse confessioni, concessione finale alle diseguaglianze umane.
Ormai l'alone riflesso delle luci del Sole lasciava il posto ad una diversa immagine. Bianchi baccelli si stagliavano netti sul buio, appesi all'oscuro fondale della notte siderale. La piccola astronave procedeva avanzando, costretta a sgusciare attraverso quella successione apparentemente infinita di salme mummificate nei loro bozzoli. Poos vedeva sfilare davanti l'oblo quei globuli bianchi, liberi come certamente non sarebbero mai stati sulla Terra dove, prima che finisse lo spazio, finivano sepolti in fosse profonde sotto alcune braccia spalate di terra umida. La donna giovane fu la prima ad essere chiamata.
Sparì dietro la tenda seguita dal figlio.
Lui non ricordava molto del funerale. Il giorno era uggioso, la gente nera, la salma, informe nel suo involucro indistruttibile, adagiata su un piano attendeva di essere presa in consegna dai necrofori spaziali.
Più di ogni cosa ricordava Jo. In nero, il velo, la gonna, i tacchi. Stava molto bene, era più conturbante che mai. Non piangeva. Lui era stato sollevato nel non vederla in lacrime. Alla notizia, aveva sofferto nel pensarla addolorata. Adesso sembrava appena un po' imbronciata, un'espressione che le donava. Era bello che non soffrisse troppo. Era bella, Jo, quella donna, sua madre.
La vedova usò tutti i dieci minuti che erano consentiti. Rientro pallida e tesa, mentre il suo ragazzo sembrava tutt'al più incuriosito dalla novità dell'esperienza. L'astronave si spostò di alcuni metri, girando lentamente su sé stessa per consentire alle sue delicate pinze di afferrare la salma successiva. A Poos toccò il terzo dei turni di dolore. Sentendo scandire il suo nome, si diresse a poppa della navetta. Sentì la tenda chiuderglisi alle spalle, vide alla sua destra un piccolo lavabo dove i più discreti ricomponevano il trucco, davanti a sé un inginocchiatoio. Oltre, l'immensa finestra aperta su quella siderea necropoli, con le stelle votive accese sullo sfondo. In mezzo, retta dalle esili braccia della navetta, un'oblunga crisalide colore del freddo. Sul fianco che gli era esposto le lettere incise su una targa di titanio recitavano il nome della tomba di suo padre. Si sentì trasformare in una colonna di marmo, bianca, ghiacciata, levigata e pura come quella figura incarnata della memoria che gli stava davanti. Le lettere annegarono davanti ai suoi occhi.
Il computer-segretaria aveva passato sulla sua scrivania un modulo, debitamente compilato, una regolare richiesta preliminare di Contratto. Lo scorse. Quel foglio conteneva una sola particolarità, ma tale da inorridirlo: il nome, quello dell'Agente prescelto per l'esecuzione e quello in fondo, la firma dell'uomo che voleva morire, era lo stesso: Poos.
Aveva rinunciato a tenere il conto del tempo che lo allontanava dal padre, ma non ci furono convenevoli quando andò a trovarlo. Senza una parola lo aveva fatto entrare in biblioteca. Si era sprofondato nell'ampia poltrona di cuoio, sempre più logora e macchiata. Suo padre teneva in mano un bicchiere di scotch e la bottiglia sul tavolino era eloquente di quanti ne fossero già stati versati. Come era già successo all'inizio di quella storia, Eddy sentì la necessità di rompere per primo il silenzio.
- Perché? E perché proprio io?
Una scrollata di spalle.
Ho saputo che sei bravo nel tuo ramo. Uno dei nostri migliori Agenti, mi ha detto l'androide della Filiale.
È stato lui a inventare il Suicidio Palach. Come se non lo sapessi.
L'ultima frase l'aveva sussurrata. Ma poi si era ripreso, sul volto quadrato campeggiava il sorriso sardonico di sempre.
- Così ho deciso di servirmi di tè. C'è di che essere orgogliosi dei successi del proprio figliolo. Non tutti i padri hanno dei figli che danno simili soddisfazioni. Non tutti i padri hanno ancora dei figli, molti li hanno già visti ammazzarsi.
Si piegò in avanti nella poltrona, smarrito lo sguardo nel vuoto.
- Non hai ancora risposto all'altra domanda ...
Si alzò di scatto, prendendo ad andare su e giù, a passi smisurati, torturando il bicchiere tra le mani, ma senza decidersi a berlo.
- Non dovresti farmi questa domanda. Non tu. Non è il vostro mestiere? Non dovreste saperlo, voi, il perché uno si vuol togliere di mezzo? Voglio soltanto morire. Crepare meglio di come sia vissuto, non è il vostro motto?
Beve finalmente un lungo sorso.
- Comunque i motivi li ho indicati nella richiesta. Stanchezza, noia della vita, insoddisfazione. Alla mia età sono considerati più che plausibili. Il vostro psicologo ha anche aggiunto la tendenza all'alcolismo. È tutto in regola.
Eddy stava in silenzio. Non trovava nessuna parola nella testa in cui cercava con affanno. Come un tempo, era incapace di sollevare lo sguardo da quel punto del pavimento su cui l'aveva inchiodato. Lui gli si piazzò davanti, lo riscosse con una voce antica.
- Posso farti, io, una domanda? Ricordi, fu una trentina d'anni fa che venne solennemente annunciato. La medicina, la scienza, aveva vinto un'altra battaglia. Aveva allungato la durata della vita umana. I calcoli dicevano che, in media, gli uomini vivevano non meno di un secolo. Te la ricordi che pubblicità fu questa rivelazione? Quanto fu scritto, quanto se ne parlo. Quante chiacchiere, tutti entusiasti. Rispondimi adesso.
Oggi, quanti uomini hanno il coraggio di arrivarci, a cent'anni?
Eddy lo guardò sconcertato.
- Non esistono statistiche del genere balbettò.
- Balle! - esplose lui - Solenni balle, esistono eccome. Voi le conoscete, ma il Governo vi ordina di tenerle segrete.
Avvicinò il volto a quello del figlio. - Te lo dico io, comunque. Nessuno. Nessuno ce la fa a resistere tanto. Nessuno resiste a cent'anni di solitudine.
Si lasciò cadere pesante nella poltrona.
- Ebbene, neanch'io ce la faccio.
Non fece più caso al figlio, lo relegò di nuovo nell'ombra in cui lo aveva tenuto per tutti quegli anni.
- Avevo un lavoro e mi piaceva farlo. Quando venne realizzato il collegamento elettronico tra tutte le biblioteche della Terra, all'ONU. mi offrirono di diventare direttore della Biblioteca Planetaria. Accettai con entusiasmo. L'umanità aboliva finalmente ogni steccato tra le culture. Ogni uomo poteva ottenere qualsiasi libro in qualsiasi lingua desiderasse quando avesse voluto. Non ci sarebbero stati più censure e roghi. L'uomo diventava onnisciente. Che era come dire onnipotente. Credevo in quel progetto. Mi ci dedicai con tutte le mie forze, fino a stordirmi. Ne ere così preso da non rendermi conto che non funzionava. Agli uomini la Biblioteca Planetaria non serviva. Non leggevano più libri. Sapere che tutto lo scibile umano era là, alla portata di un pulsante, non aveva nessun fascino. La facilità con cui si poteva raggiungere il sapere lo aveva reso banale. Libri di scienza, quelli di dottrina venivano immagazzinati direttamente nelle memorie dei computer. Tanto non c'era più nessun altro a cui potessero essere utili, né studenti né professori. Poi ci fu un'altra rivoluzione. Libri non ne vennero più scritti. Un giorno mi convocarono e mi dissero che da cinque anni in tutto il mondo non era stata più composta una sola opera. Io avevo cercato di trovare nuovi autori, e loro mi ringraziavano per questo, ma il mio sforzo era stato inutile, quindi dovevo convincermi che di me non c'era più bisogno. Un computer avrebbe potuto svolgere lo stesso lavoro al mio posto. Meglio era sottinteso. Me lo fecero pure vedere il computer che avrebbe dovuto sovraintendere alia conservazione della biblioteca. Fu così che non ebbi più nulla da fare.
Non mi arresi subito, però. Avevo dentro una rabbia sorda. Meditai la mia vendetta. La misi a punto in lunghi anni. Possedevo ancora i codici e le chiavi per penetrare la Memoria della biblioteca Planetaria.
L'avrei violentata. il mio piano era stupendo. Cambiare tulle le trame, stravolgere le teorie, scambiare i personaggi delle storie, cancellarne alcuni, crearne di nuovi, inventare le biografie, sconvolgere le critiche, riscrivere le poesie, alterare gli epistolari. Volevo manipolare tutto, perché tanto non se ne sarebbe accorto nessuno. Un giorno qualcuno, un alieno, atterrato tra le rovine del nostro mondo morente, si sarebbe seduto a uno dei tanti terminali sparsi nel mondo, nelle città e sulle montagne, in mezzo alla giungla e sulla sommità delle scogliere, curioso della nostra razza. Quel giorno sarebbe stato il mio trionfo, quando avesse letto della vita di Omero, o scoperto il nome del vincitore tra Ettore ed Achille, o quando si fosse sgomentato dell'impunità di Raskolnikov o, seguendo i versi della Commedia, della ninfomania di Beatrice. Ero un vulcano di idee. Mi misi subito all'opera, la febbre addosso, l'affanno in gola. Lavorai per accedere alla Memoria e creare la mia prima manipolazione. Venni bloccato. Il computer che avevano lasciato anni prima sentinella al mio posto mi disse, attraverso il monitor, che l'accesso doveva essermi negato. Che le operazioni che avevo in mente di fare erano proibite. Nessun testo poteva essere modificato senza il consenso dell'autore. Lo spensi prima che potesse spingersi a chiamarmi criminale. Quella macchina era diventato arbitro della mia etica. Allora sentii che ero in debito con il Tempo della mia vita. E sono andato alla Filiale per assolvere.
Lo sguardo scrutava il nulla.
- Sono sicuro che farai un buon lavoro. Che ne resterò soddisfatto.
Non seppe mai se il figlio avesse udito quelle ultime parole.
Quella notte faceva troppo caldo per dormire. Il sudore gli appiccicava sulla pelle il pigiama. Le lenzuola erano un groviglio soffocante. Le gettò via. Sete, voleva bere. Si alzò dal letto in fuga, da quella tenaglia di afa ed angoscia. Da quando aveva firmato il maledetto Contratto non aveva finito una notte di sonno. Del bourbon - pensò. Non volle accendere le luci. Proseguì a tentoni, urtando contro gli spigoli dei mobili, colpendo gli stipiti delle porte. In biblioteca. Il bourbon stava nel mobile-bar nella biblioteca. Da settimane non ci aveva più messo piede. Provava però adesso, ugualmente acuto, il desiderio del liquore e dei libri.
Pure, ebbe un attimo di esitazione prima di entrare in quella grande stanza. Si chiese se fosse stato giusto che quella fosse stata l'unica fonte di appagamento di tutta quanta la sua vita.
Lasciò accendere solo alcuni dei pannelli centrali al neon. Quella stanza non meritava di essere offesa dalla stessa luce accecante dei tabelloni pubblicitari. Le pareti e il pavimento erano interamente foderate di legno di noce, robusto, pregiato, nobile. Stava guardando la grande vetrata che riempiva una delle pareti più corte. Fuori c'era la notte, le stelle, migliaia di stelle, migliaia di libri.
Stavano tutti in ordine, tutti in piedi sugli scaffali che correvano lungo i lati. Migliaia di caselle colorate, ognuna con il suo nome ed il titolo sulla costa, ognuna con il suo frammento di civiltà dentro. Una civiltà alla quale quei libri non interessavano più perché aveva deciso di sopravvivere a sé stessa. Al pensiero del suicidio un brivido lo scosse.
Avanzò fino a trovarsi in mezzo alia stanza. Roteò su sé stesso seguendo con lo sguardo circolare la successione dei volumi, la cui scansione si confondeva alla fine della stanza; dove la prospettiva ingannava a pensare che i due bracci della biblioteca si toccassero e si fondessero, che Zola fosse uno con Abelardo. Anelava all'amplesso con quelle creature, che gli si erano concesse per tanti anni. A nessuno importava più che loro amoreggiassero, ed erano ormai amori sterili, senza procreazione.
Cominciò a scorrere avido titoli, nomi, autori, mentre storie, sentimenti, gesti, bassezze passavano come flash-back di una vita sua nella memoria. E lui era Proust, Faust, Otello che uccide, Emma Bovary che muore.
Prese in mano Archiloco. Le pagine erano bianche, tutte bianche, dalla prima all'ultima, solo la carta, forse, aveva serbato ricordo del contenuto originario ma aveva deciso di custodire il segreto per sé. Si stupì. Aveva raccolto, letto, curato personalmente quei libri negli anni, come poteva essergli sfuggita una così gigantesca imperfezione? Trasse da un altro scaffale Il giovane Holden. Bianco, anch'esso. Delle ribellioni, delle fughe, dei disgusti di Holden Caulfield non c'era più traccia alcuna. Né ebbe maggior fortuna con Steinbeck. Uomini e topi lo aveva letto da poco, l'ultimo prima di decidersi a firmare il Contratto, di come si può uccidere per troppo amore. Ma adesso la diversità che generava la tragedia era scomparsa. Tutto il volume era un indifferenziato succedersi di pagine bianche.
L'inquietudine s'impadronì di lui, spingendogli le dita a scorrere febbrili le coste, ad estrarre i volumi, a sfogliare frenetico le pagine, a gettar via i libri al centro della stanza, e quelli cadendo si aprivano mostrando le loro pagine bianche, tutte irrimediabilmente immacolate. Saltava come un forsennato da uno scaffale all'altro, prendendo un libro da ognuno, come facesse una campionatura. Poi abbandonò ogni criterio, afferrava interi blocchi di libri, li scaraventava a terra squinternandoli sperando che da qualcuno si levasse all'improvviso un foglio stampato, un segno di vita.
Borges e Stendhal, Kafka e Melville, Ballard e Joyce, Catullo e Mishima, Durreninan. Miller, Faulkner, Shakespeare, e Malory e Orazio e Petrarca, Leopardi, Buzzati e Gide precipitarono giù per terra, accatastandosi l'un contro l'altro senza riguardo per critici e correnti. Ormai, come una scimmia che abbia casa sui rami di un alto baobab, saltellava per tutta la stanza, andando da una parte all'altra, arrampicandosi su fino all'ultimo scaffale sotto il soffitto, e, infilando le punte delle dita sulla sommità dei dorsi, con brusche frustate del braccio li trascinava giù, lasciandoli cadere alle sue spalle, senza degnarli più di uno sguardo, ma solo pervaso da una furia ossessiva di spogliare del tutto quei rami.
Si fermò con il fiato grosso, le spalle appoggiate alla parete opposta alla vetrata. Sugli scaffali erano rimasti pochi superstiti, abbandonati alla propria sorte, dispersi da un ripiano all'altro. A terra un inestricabile groviglio di fogli bianchi, di copertine pestate, di rilegature stravolte. A terra il saccheggio dell'esistenza, la catastrofe della memoria.
- Mi hanno tolto proprio tutto, adesso. Non c'è più niente.
Singhiozzò un sospiro. Fuori, il cielo era più scuro della notte.
La vetrata si frantumò in un gran fracasso di vetri infranti in frammenti proiettati all'interno dall'improvvisa deflagrazione di vento.
Il turbine si precipitò dentro con due braccia furiose, attraversando tutta la sala prima di ricongiungersi al suo centro. Il vortice prodotto sollevò un mulinello di carta che si eresse come una bianca colonna fino al tetto. La tromba d'aria e di carta prese a girare vorticosamente su sé stessa, raccogliendo nell'avanzare tutti i fogli dispersi ai margini del pavimento trasformandosi in un muro cartaceo.
Alzò il braccio a difendersi il volto quando saltò in avanti, attraversandolo. Mulinelli le braccia per scacciare quello stormo di bianchi pipistrelli di tenera cellulosa che gli si avventavano contro, si attorcigliavano alle gambe, gli si schiacciavano sulla faccia. Si chinò cercando di fuggire in avanti, sperando che in basso i fogli si addensassero meno. Si accorse con orrore che il pavimento era già scomparso sotto una coltre formata da fogli che si erano accumulati a strati l'uno sull'altro, in mezzo ai quali sprofondava fino al ginocchio. Tutta la stanza era invasa dai fogli, e lui era l'unico corpo estraneo che come globuli bianchi contro un pericoloso virus essi stavano cercando di eliminare, addensandosi su di lui, togliendogli l'aria, schiacciandolo sotto il loro peso. L'inferno bianco lo accecava, gli occludeva i polmoni. il mare di carta era arrivato al suo petto e lui vi avanzava come un esploratore sul pack, sorpreso da una tempesta di neve.
La forza della sopravvivenza lo spinse in avanti nella direzione nella quale sapeva esserci la porta. La trovò, la riconobbe con i sensi acuiti dalla disperazione, la sentì cedere sotto di sé. Poi, mentre cadeva in avanti e aria vera gli entrava in gola, capì, ricordo, comprese che era infantile quella sua fuga. Ed il suo cuore pensò che era proprio una bella morte. Lui stesso non avrebbe potuto far meglio. Provò orgoglio, la prima volta, di suo figlio.
La marea di fogli non più trattenuta dalle pareti della biblioteca defluì fuori rivestendolo con dolcezza. Le natiche rimasero il punto più alto del suo cadavere e alcuni fogli provvidero a ricoprire completamente anch'esse, planandovi di sopra.
La musica di Sibelius cessò. Un suo assistente lo guarda sinceramente ammirato.
- È stato grandioso. Siete un Fellini, maestro.
Gli restituì una smorfia.
Dall'oblò del suo posto Poos scorse la lunga lingua d'asfalto della pista d'atterraggio. Lo shuttle che lo stava riportando a casa nella sua caduta libera vi era già di sopra.
Dopo un poco ne potè misurare l'ombra, che quel maestoso aliante librato tra le correnti d'aria disegnava avvicinandosi al contatto con la superficie terrestre. il pilota riuscì a concludere un atterraggio splendido, carezzando gradatamente il punto di tangenza della traiettoria con la curvatura del globo. Poos respirò profondamente l'aria che veniva immessa nell'abitacolo per pressurizzarlo alle stesse condizioni dell'atmosfera esterna. Sganciò le cinture di sicurezza, preparandosi psicologicamente all'impatto con la ripristinata gravità. Percorse barcollando i pochi metri che lo separavano dall'uscita dell'abitacolo. I tecnici non erano ancora riusciti ad inventare qualcosa di più moderno dell'antiquata scaletta, da cui si scendeva uno per uno, abbacinati dalla luce del sole, storditi dal cambio di pressione, ma in fondo lieti di essersi lasciati alle spalle il vuoto e di riassaporare la fedele stabilità terrestre, dopo ore o giorni trascorsi calpestando strati sottili di metallo, al di là quali non vi era che il nulla.
A poche centinaia di metri dallo shuttle sostava in sua attesa un aircraft della Suicides, Ltd. Era un piccolo privilegio che la direzione dello spazioporto gli accordava volentieri. Fuori dalla macchina lo guardava deferente un giovane funzionario. Con le spalle negligentemente appoggiate al veicolo, annoiato, stava anche l'autista. Si accomodò negli accoglienti sedili dell'aircraft, desideroso solo di raggiungere al più presto il suo appartamento. Socchiuse gli occhi, infastidito dalla luce del sole.
-Mm... mister Poos?
- Si? Incoraggiò la voce che lo aveva distratto.
- Sono veramente spiacente di doverle immediatamente sottoporre problemi di lavoro, ma certamente lei capirà, c’è una questione abbastanza urgente ...
Il funzionario attese un altro incoraggiamento che non venne. Infelice, continuò.
- Mentre lei era via, il nostro Agente in Guyana ha trasmesso alla sede centrale una richiesta di Contratto.
Si tratta però di una richiesta abbastanza anomala e quindi ha pensato bene di chiedere un'autorizzazione speciale.
Ebbene? Perché state interpellando me?
- Mi perdoni, signor Presidente, ma è stato il vicepresidente in persona che mi ha incaricato di comunicarle i termini della questione, immediatamente, al suo arrivo, urgentemente.
Poos non ritenne necessario aprire gli occhi ma non potè impedire che le sue labbra si increspassero in un sorriso. Karamazov non aveva poi tanto fegato quanto ne andava mostrando in giro.
- Mi dica allora di che si tratta esattamente. Dove sta l'anomalia?
- Ecco, come dicevo, si tratta di un Contratto un po' fuori dall'ordinano, Una fornitura per duecento unita.
Questa volta Poos si scosse davvero. spalanco gli occhi.
- Duecento unita!
Riflettè un attimo.
- Ma è assurdo! Non abbiamo mai fatto forniture di tali dimensioni. Chi sarebbe il richiedente?
- Si, signor Presidente. Un momento, verifico nell'incartamento. Mi pare che sia una specie di prete.
Poos senti un fruscio di carte.
- Ecco, si. Ricordavo bene. Si chiama Jones, signor Presidente. Reverendo Jim Jones.
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