Natale in cremisi
di Alberto Henriet
Se ritorno col pensiero al 25 dicembre 2062, mi sento ancora una volta preso alla gola dall'emozione; ormai, sono vecchio, e piuttosto malato, non ci vedo quasi più, e tremo molto, mi è quasi impossibile agire senza l'aiuto di supporti cibernetici, a livello motorio, e questo sia per le braccia, sia per le gambe. Eppure, un tempo, il mio fisico aveva brillato per energia e dinamismo. In quel Natale, mi trovavo, all'età di trentun anni, di servizio nella Stazione Spaziale Nirvana della base lunare norvegese. Le cose, per me, non andavano molto bene, e come risultato di una feroce faida con alcuni miei colleghi della "Nasa" di Oslo, mi era ritrovato destituito dal mio incarico di Capitano della Space Norway, e relegato ad un ruolo subalterno minore in quella dimenticata stazione lunare, ormai fuori dalle rotte terrestri extragalattiche.
Seduto allo schermo-guida tridimensionale della base di cui era l'unico abitante, non avevo praticamente nulla da fare, poiché il bio-computer era del tutto autosufficiente. Avevo rifiutato il processo di metamorfosi cibernetica del mio corpo, e questo pur sapendo che la politica della Nasa di Oslo andava in quella direzione, mettendo così a rischio la mia stessa carriera come ufficiale spaziale, che, infatti, per questa ragione, si era bruscamente interrotta, riportandomi agli inizi. Tutto questo, comunque, m'importava meno che meno poiché ritenevo, romanticamente, che fosse più importante restare fedeli alle proprie idee, piuttosto che rinunciare ad esse per vantaggi economici od altro.
Mi sentivo bruciato nel mio intimo, e odiavo il mondo intero, me compreso.
Ero piuttosto cinico e privo di sentimenti. Le atrocità che erano la sostanza prima di quell'epoca confusa e barbarica mi avevano fatto dimenticare l'aspetto gentile ed umano del gioco dei sentimenti, così come mi era estranea la voglia d'incanto, che è propria dell'età dell'infanzia. Non era pertanto preparato a quello che accadde nella notte di Natale del 2062. Alcuni miei amici (pochi, per la verità) ai quali ho già narrato questa vicenda, mi hanno osservato con una certa aria scettica, intrisa di una pietosa ironia, e hanno commentato dicendo che si tratta dell'aspetto spirituale del mio essere che è tornato a galla in termini di allucinata visione, per via della rimozione al quale lo avrei troppo a lungo sottoposto. Ma non è così, ne sono più che sicuro.
Sono un essere del tutto privo di immaginazione, concreto, razionale, troppo concreto.
Lo schermo, alla mezzanotte del 24 dicembre, inquadrava il cielo nero della Luna, non ci facevo quasi più caso. Era un panorama così monotono. Se avessi voluto, avrei potuto - via ansible - osservare zone della galassia meno deprimenti e più interessanti, ma odiavo tutti in quel momento, e il vuoto del satellite era fin troppo carico di sé per la mia sensibilità in quella notte natalizia.
Ad un certo punto, con la coda dell'occhio, percepii una macchia cremisi nel cielo nero come la pece alla mezzanotte del mio umore.
"E quello che cavolo è?" inveii contro lo schermo alzandomi di scatto dalla poltrona di sinto-cuoio, travolto da uno scoppio d'ira ardente come vetriolo sul viso di un mio collega-tipo, carrierista e disumano.
Un uomo vestito di cremisi e bianco, senza alcuna tuta spaziale addosso, volava nel cielo della Luna, seduto in una slitta trainata da quattro renne alonate da una polvere aurea scintillante, come in un cartone disneyano.
"Babbo Natale!" esclamai tra i denti, e mi grattai la barba ghignando come un lupo.
In un primo momento, il mio cuore ebbe un crampo di tenerezza (una cosa decisamente disgustosa a descriversi) e immaginai un albero di Natale, illuminato in modo caldo e coloratissimo, sotto la neve che cadeva a fiocchi morbidi, in un cielo morbidamente grigio. Ed altre piacevolezze romantiche in tema, poi più pragmaticamente andai con la mano destra, guantata di pelle nera borchiata d'acciaio, al comando manuale del cannone-laser, e ripulii il cielo con uno schioppo azzurro da quella ennesima trovata pubblicitaria.
Buon Natale!
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