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Riccioli rossi


di Roberto Sturm


Comincia ad imbrunire.

Devo muovermi perché il buio in montagna, andando avanti con la stagione, scende sempre più in fretta ed io non voglio correre rischi; non appena finisco di montare la canadese mi ritrovo, infatti, circondato dalla notte più impenetrabile.

Dentro il piccolo spazio della tenda, alla fioca luce della lampada a gas, compio i miei soliti riti serali: consumo un pasto a base di carne in scatola, indispensabile per mantenere una sufficiente forma fisica, indosso la tuta pesante per dormire e poi, stremato dalla lunga camminata, mi infilo dentro il sacco a pelo.

La stanchezza, come al solito. m'impedisce di addormentarmi subito ed immagini della giornata appena trascorsa prendono corpo nella mia mente: l'autunno con i sui meravigliosi colori, sta cambiando l’aspetta del paesaggio mentre gli animali, soprattutto i camosci e gli stambecchi, non più infastiditi dalla massa invadente e vociante dei turisti, si spingono più in basso dando la falsa impressione di essere, improvvisamente. più numerosi.

Ma è solamente il ritorno ad una condizione più naturale.

Sono i prima raggi del sole che filtrano attraverso la tenda a svegliarmi.

Esco immediatamente, rivolgendo lo sguardo verso le asperità delle vette più alte: lassù, nelle prime ore del mattino, quando l'aumento della temperatura del suolo fa salire lungo i fianchi sinuosi delle montagne gli strati più bassi d’aria, l'aquila reale, sfruttando al massimo le correnti ascensionali e le proprie doti di veleggiatore, compie la prima ricognizione della giornata sopra il suo territorio di caccia.

La osservo rasentare a lungo, e con rarissimi battiti d'ala, le pareti delle montagne col suo volo maestoso ed elegante come a voler ribadire, a buon diritto, la sua fama di Signora degli Spazi.

È parecchio che ho lasciato i sentieri segnati sulle cartine e le rocce, facendomi guidare soltanto dall'istinto, sarebbe stato comunque inutile seguirli poiché la prima neve ha già coperto ogni indicazione.

Continuo a satire.

Era la meta dell'estate quando un irrefrenabile richiamo interiore mi ha ricondotto, per l’ennesima volta, verso questi monti.

E, per l’ennesima volta, ho ripercorso la stessa strada, rivisto i soliti luoghi ed alcune delle facce conosciute.

Ho fissato per ore il campeggio che per tanti anni ha ospitato la mia tenda, i miei sorrisi, gli amici più cari.

Ed il mio unico grande amore.

Forse speravo di vedere, ad un tratto. fare capolino da una delle tante roulottes una testa che lasciasse cullare dal vento leggero i suoi lunghi riccioli rosso tiziano.

Poi, improvvisamente, obbedendo a quel profondo richiamo, mi sono avviato.

All'inizio le persone che incontravo lungo i sentieri, e guardavano con malcelata curiosità l'enorme zaino di tela militare ruvida che conteneva la piccola tenda con lo stretto necessario per alcuni mesi, m'infastidiva non poco.

Ricordo che, anche per sfuggire a quegli sguardi quasi inquisitori. passavo ore vicino alle tane delle marmotte: il loro muoversi è divertente verso i rifugi sicuri, dentro le viscere della terra, provocava in me un'atavica nostalgia e un profondo senso d'invidia, entrambi del tutto inspiegabili.

Lentamente, evitando di fare rumore, mi appostavo nei pressi delle loro tane, cercando di divenire parte del paesaggio stando completamente immobile, aspettavo che tornassero un poco fuori per osservare da vicino il loro simpatico muso.

Altre volte, quando mi sdraiavo sul sacco a pelo sotto una zona ombrata e ventilata per riposarmi, mi svegliavo trovando sopra il mio un altro viso incuriosito che mi fissava.

-Sta andando al rifugio?-

-No- rispondevo soltanto per cortesia.

-Ma allora... Dove sta andando?-

-Non lo so!- Ed era vero.

Stupiti, come se li avessi offesi, si allontanavano mormorando un incomprensibile buongiorno fra i denti.

Più salivo, e l'estate cominciava a spegnersi, più gli incontri con la gente si diradarono, fino a scomparire; ma fu proprio da quel momento che, giorno dopo giorno, sentii diminuire il senso di oppressione che per troppo tempo avevo coltivato dentro di me.

Ora sono alle soglie dell’inverno più duro, nel periodo degli amori dei camosci: è incredibile come, per difendere il proprio territorio con le loro femmine, riescano a correre lungo gli scoscesi pendii già innevati, a saltare canaloni che sembrano immensi.

Duelli d'agilità che non possono non illuminare i miei occhi di una gioia rara.

Proprio come quando vedevo te.

Mi fermo per la notte.

Con l'approssimarsi della brutta stagione devo pernottare in luoghi dove sia possibile piazzare la tenda.

Pianto i picchetti sulla neve ormai quasi ghiacciata: forse sarebbe meglio se mi fermassi e lasciassi passare il periodo peggiore.

Oggi, mentre continuavo nella mia lenta salita, ho sentito un soffuso ma inconfondibile rumore d'acque: sicuramente è il torrente che arriva fino a valle, ed io, senza cercarlo, l’ho ritrovato; oppure, più semplicemente, è lui che ha ritrovato me. Rimane, comunque, l’unico elemento su cui possa contare per tornare indietro senza problemi: basterebbe che lo seguissi fino a valle per ritrovarmi al punto di partenza, ma non è certo questo che voglio.

Con uno scatto prendo la borraccia e m'incammino in fretta, per evitare il buio, verso la zona da cui, alcune ore prima, avevo sentito provenire il rumore.

Sono stufo in ingoiare neve!

Procedo faticosamente, affondando fino ai polpacci, verso il corso d’acqua, ma stranamente non percepisco alcun rumore.

Inaspettatamente, come una mano che si appoggia mentre sei sopra pensiero, uno squarcio si apre netto in mezzo alla bianca e candida distesa: il torrente.

Continuo ad avvicinarmi, non riuscendo ancora a spiegarmi il perfetto quanto insolito silenzio.

Una tenda, e poi altre, un circolo di giovani intorno al fuoco, una chitarra, una canzone ...

Mi volto di scatto: per un momento no avuto l’impressione di vedere materializzarsi la figura di un viso dai tratti conosciuti, dai lunghi riccioli rossi.

Ma non c'è nessuno, era soltanto i! frutto della mia immaginazione, il riflesso dei miei desideri.

Un trasparente ma solido strato di ghiaccio si è formato sopra i sottili rigagnoli d’acqua, ecco il motivo per cui non riuscivo a sentire alcun rumore Attaccata dalla stretta morsa del freddo invernale la sorgente sta esaurendosi ed il letto, dove nella bella stagione scorre una massa d'acqua impetuosa, si è ridotto ad una specie di ruscello che, alla sera, gela addirittura.

Immagini passate, leggermente deformate dai rigagnoli che s’insinuano tra una pietra e l'altra, come i ricordi tra i meandri del tempo, si sono formate, riflesse in quello specchio temporale.

Quando riporto lo sguardo verso il torrente, dopo aver frugato per qualche attimo fugace dentro di me, rievocando sensazioni ed emozioni antiche, vedo, al poste delle immagini precedenti, i miei libri, gli amici più cari, i momenti sereni, la mia macchina da scrivere ...

E provo un'improvvisa quanto angosciante nostalgia.

Poi vedo la mia città, il lavoro, la routine quotidiana… Ma ora provo soltanto un'angoscia opprimente, osservando verso la sponda opposta scorgo un ammasso di alberi di medio fusto che formano una piccola radura, di cui stranamente non ho alcun ricordo, che ha fatto si che la neve posatasi sopra i rami intrecciati tra di loro abbia lasciato dei pezzi di prato non ancora completamente coperti.

Un paesaggio quantomeno strano e un poco inquietante, sicuramente fuori posto in questi luoghi dove, di solito, la vegetazione è scarsa e spoglia.

Questi due paesaggi così diversi, uno formato da un’unica distesa di un candido mantello e l'altro che invece lascia intravedere qualcosa sotto la sua coltre incontaminata, riportano a galla prepotentemente i due sentimenti che dividono nettamente, come il torrente i due panorami, il mio intimo più profondo.

Sconvolto dalla rabbia, batto con forza il tallone sullo specchio d'acqua: al contatto con lo scarpone il gelo si frantuma, mille piccoli spruzzi gelidi mi colpiscono il viso scuotendolo.

E, come per incanto, quelle visioni si scompongono, portate verso valle dai rigagnoli che sembrano aver acquistato un nuovo vigore.

Riempio la borraccia e, mentre il buio scende veloce e silenzioso, torno verso la tenda senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla linea scura che divide, in uno spazio tanto esiguo, due paesaggi così differenti, che sembrano quasi appartenere a due mondi diversi.

Prometta a me stesso di non tornarvi più: con quel colpo ho voluto spezzare simbolicamente ma definitivamente l'unico ponte che mi legava al passato.

Solo quando perdo di vista ili torrente riesco ad osservare, all’ultima tenue luce del giorno, la meta ormai chiara della mia mente: la vetta più alta che s’intravede, quella da dove l’aquila compie, ogni mattina, la sua prima ricognizione.

Lei è lassù ad aspettarmi, ne sono certo.

L'inverno se ne sta andando, lo sento dalla temperatura che, pur gradatamente, si fa più mite.

Sono riuscito a superare indenne la brutta stagione anche se, devo confessarlo, a volte ne ho dubitato fortemente: il freddo, quello vero, è una cosa terribile.

Ho tentato, anche con l’aiuto delle racchette, di andare avanti. ma le condizioni climatiche impossibili me l’hanno sempre impedito e così ho passato questo intero periodo inchiodato qui, senza la possibilità di muovermi.

Anche se mi ero ripromesso di non farlo più, sono tornato spesso al torrente, ogni giorno più ghiacciato: e non tanto per vedere la differenza tra i paesaggi delle rive opposte o le immagini del mio passato riflesse su quello specchio che contribuivano continuamente ad aumentare il mio conflitto, la mia dicotomia, ma per vedere, fuggente però chiara, la figura del suo volto e dei suoi riccioli rossi: mi sono sempre voltato ma non sono mai riuscito a scorgerla.

La mente, a volte, gioca brutti scherzi: non poteva essere lì.

Lei è già in cima alla vetta ad aspettarmi.

Ho trascorso tutto il tempo cullandomi con i ricordi, rileggendo le sue lettere e riguardando, più volte, le sue e le nostre fotografie.

E fissando, per ore, la striscia scura del torrente.

La mia memoria è tornata spesso indietro, e tutti i ricordi più importanti mi sono sfilati nella mente come una pellicola cinematografica, anche il momento della sua decisione di non vederci e di non sentirci più, di rompere quella che lei chiamava la nostra amicizia, si è concretizzato chiaro e nitido.

Ma tutto ciò ormai non ha più importanza perché tutti i momenti tristi scompariranno in un attimo soltanto, quello in cui rivivremo e resteremo, per sempre, insieme.

Quante volte, di fronte a questo pensiero, avrei voluto ripartire, affrettare i tempi, ma solamente tra qualche giorno potrò riprendere il mio viaggio.

Sono ripartito, ma, dopo appena un paio di giorni, mi sono dovuto fermare di nuovo.

Con l’aumento della temperatura hanno fatto la loro comparsa, accompagnate da forti boati, le prime slavine.

Finché resto ad. una quota relativamente bassa, il pericolo non sussiste: ci sono ancora troppi alberi e diversi arbusti a frenare la grande massa franante, ma se salissi ancora il rischio di rimanere travolto diverrebbe veramente concreto.

Quando un boato attira la mia attenzione, rivolgo subito lo sguardo in quella direzione: è affascinante vedere con quale agilità ed istinto gli animali riescano a fuggire in tempo. Mi sorprendo spesso ad osservarli, col fiato sospeso, mentre schizzano letteralmente via dai luoghi scoscesi e ripidi per schivare, magari solo per un pelo, il pericolo mortale. Un duello che giornalmente, come pure nella nostra vita, si ripete svariate volte: ma qui sono sempre loro, i veri padroni di queste montagne, aa avere la meglio.

E così mi sono fermato ancora un poco ad aspettare che l'aria più mite faccia per intero il proprio dovere.

La neve comincia a sciogliersi e ad assumere l'aspetto di una vera e propria poltiglia ed il torrente continua a gonfiarsi; è tanto che non gela più.

Così è anche parecchio che non vedo quelle immagini che per tutto l’inverno hanno rischiato di sconvolgere il mio equilibrio e che non vedo riflessa sulla superficie increspata dalla nuova forza dell’acqua la dolce immagine di lei.

Comunque sento che la mia tranquillità sta raggiungendo livelli d stabilità mai provati prima d'ora: ogni dubbio, ogni conflitto sta lentamente scomparendo.

Mi guardo intorno: la neve, in parecchi punti, ha addirittura lasciato il posto a grandi chiazze verdi dove spesso camosci e stambecchi, in famiglie intere, scendono per nutrirsi.

La differenza di paesaggio delle sponde, con lo scioglimento delle prime nevi, non è più così netta come mi era sembrata e così il senso d’inquietudine che quel contrasto mi trasmetteva si è, a poco a poco, attenuato.

Ciò che avevo definito come una piccola radura si è poi rivelata un'esasperazione della mia mente che, in quel periodo, doveva essere sicuramente sconvolta: erano soltanto tre alberi leggermente più vicini tra loro rispetto agli altri.

Guardo in alto, verso la mia meta, ed anche stamattina vedo l’aquila reale, imperterrita e puntuale, compiere il suo solito giro.

Delle slavine, ormai, nessun pericolo.

Carico lo zaino sulle spalle e riprendo il cammino.

Ho solamente pochi metri davanti a me, sento tutto il corpo fremere ma cerco di non farmi prendere dalla fretta: voglio fare le cose come si deve.

Mi ritrovo a cercare di pettinarmi i capelli ormai lunghi, sporchi ed intrecciati.

Sorrido: sono mesi che non mi cure e non ho la minima idea di quale grado di degradazione possa toccare il mio stato fisico, ma non saranno certo dei capelli sporchi ed arruffati a spaventarla.

Osservo il meraviglioso paesaggio che mi circonda e che riesce, ogni volta, a frugare dentro di me, scoprendo le mie emozioni più intime: voglio che sia questa la visione ad accompagnare la mia sospirata ascesa verso di lei.

Ecco, sto arrivando ...

La mia vista, per un attimo, è offuscata, praticamente sorpresa, dalla scena che si svolge davanti a me: un camoscio femmina, con lo sguardo atterrito, cerca di difendere il suo piccolo dall’attacco silenzioso dell’aquila che sta arrivando in picchiata.

Scatto istintivamente frapponendomi, in una frazione di secondo, tra il piccolo e l'enorme uccello, sento i forti artigli penetrarmi la carne, il becco affilato ferirmi la testa.

Agito le braccia tentando disperatamente dl difendermi e l'aquila si ritira.

Apro gli occhi e vedo ancora il camoscio vicino a me, come se fosse indeciso.

-Via. vai via!- Grido forte.

Il camoscio ad il suo piccolo si avviano, di buon passo, verso una zona riparata.

Improvvisamente vedo l'aquila che si prepara ad un nuovo attacco, guardo intorno e in quel preciso istante capisco il senso d’invidia che ho sempre provato per le marmotte: a parte qualche loro tana, non c'è alcun posto in grado di offrirmi un riparo sicuro.

Sento gli artigli penetrarmi ancor più a fondo ed il becco attaccare con maggior vigore.

È una lotta impari, ma alla fine, con la sola forza dei pugni, riesco a farla allontanare.

Con un enorme sforzo riapro gli occhi e, pur ferito e sanguinante, mi accorgo che la grande sagoma si sta ritirando definitivamente.

Ce l'ho fatta!

L'abbondante flusso di sangue misto a sudore che continua a scendermi copiosamente dal capo mi annebbia la vista, ma on m’impedisce intravedere una ciocca di riccioli rossi che galleggia nell'aria, trasportata dalle correnti ascensionali.

Lei è quassù, non ci sono più dubbi, e mi ha aiutato.

Lacrime di gioia gonfiano i miei occhi.

Ora, finalmente, potrò vederla, abbracciarla.

Inaspettato, un ciuffo di capelli rossi mi scende davanti agli occhi provocando dentro di me un vero e proprio terremoto: mi rendo conto che sono i miei capelli

-Ma allora io non sono…-

Improvvisamente tutto si chiarisce, la mia mente ricorda in un momento di lucidità dovuto forse al trauma provocato dall'impatto con la verità che avevo voluto dimenticare: dopo aver ricevuto la lettera in cui gli dicevo che avevo deciso di troncare quella che per me era solamente un’amicizia, seppur profonda, lui era partito immediatamente per venire da me, per parlarmi e vedermi ...

Quattrocento chilometri!

Poi, da amici comuni, la notizia dello schianto con un’altra auto, quel maledetto schianto che non ho mai visto ma che tante volte ho immaginato e il senso di colpa che, lentamente ma inesorabilmente, mi ha assalita fino a portarmi al punto di cercare di farlo rivivere in me stessa annullando, a poco a poco ed inconsciamente la mia personalità.

Volevo diventare lui per darmi l’assurda possibilità di riparare e poterlo amare; per questo sono tornata proprio nei luoghi che ci avevano visti incontrare per la prima volta e forse il tortuoso percorso che mi sono imposta in condizioni climatiche proibitive è stato una sorta di autopunizione che mi sono inflitta, oppure era soltanto il mio destino prima di…

Ma adesso è inutile pensare: ormai è troppo tardi sia per lui che per me… per noi.

Il sole, al centro del cielo, comincia a riscaldare una natura ancora assopita.

Un branco di camosci s'avvia, con estrema cautela, verso il torrente dove acqua e cibo ora non mancano più.

Uno di essi si ferma vicino ad un corpo disteso a terra: incuriosito, lo annusa lentamente, con cura, fino a sfiorare i suoi capelli rossi sporchi ed intrecciati; non ha un odore diverso, anzi è simile a quello di tutti gli altri abitatori delle montagne.

Lo fissa per un po', senza capire, poi segue gli altri che sono scesi più in basso dove la neve, come per incanto, è completamente scomparsa lasciando il posto ad un verde puro ed intenso: il colore del cibo buono ed abbondante.

Intanto, dirompente e vigorosa, l’acqua gonfia il letto del torrente che riprende, con decisione, il proprio incessante viaggio verso la valle e al suo rinnovato scorrere il paesaggio circostante sembra risvegliarsi dal lungo torpore invernale.

Le vette più aspre, invece, continueranno a custodire i segreti più intimi di quei luoghi dall'alto del loro maestoso silenzio e della loro impenetrabile impenetrabilità.

Un segreto in più.






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