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Sfere fuori dal tempo


di Roberto Sturm


C'è lana d'agnello sotti i miei piedi nudi

la lana è soffice e calda

emana una specie di calore.

Una salamandra corre in fiamme distruggendosi

Creature immaginarie sono intrappolate

In celluloide alla nascita.

Le pulci si aggrappano l vello d’oro

sperando di trovar pace.

Ogni pensiero e gesto è messo in celluloide.

Non c'è scampo nella mia memoria

Non c’è spazio in un vuoto.

********  

A carponi sul tappeto ascoltando chi li chiama

"Dobbiamo entrare per uscire,

dobbiamo entrare per uscire."

Genesis

Brano tratto dalla canzone The Carpet Crawls dall’album The Lamb Lies Down on Broadway


Sono intrappolato da un tempo eterno, prigioniero di questa bolla trasparente.

Migliaia di altre sfere di celluloide levitano nell’aria, avvolgendo altrettanti individui che, come me, si muovono goffamente all'interno.

Tutt’intorno, come un branco confuso di animali, una massa di persone davanti alle grandi bolle: cercano un appiglio per aggrapparsi e, con occhi supplichevoli, muovono le labbra e dicono parole che non riesco a comprendere.

Vaghi ricordi, come sogni dimenticati appena sveglio, sfiorano la mia mente turbandola: anch'io, per parecchi anni, devo essere stato là fuori, ma non riesco a congiungere il tempo con le immagini e tutto rimane a livello di impressione.

La mia memoria è un vuoto.

E non c'è spazio neanche per un ricordo in un vuoto. Cerco di avvertirli delle sensazioni che provo per farli allontanare, ma non sembrano né sentirmi né vedermi. Sono completamente isolato.

Quelli di fuori, pur senza vederci, indicano verso di noi in strani modi: qualcuno accarezza le sfere, alcuni vi appoggiano il capo cercando d; captare ogni minimo movimento, altri ancora sorridono senza un motivo apparente.

Dentro di me si fa largo il sospetto di assistere ad uno spettacolo messo in scene da creature immaginarie: trasposizioni della mente nella mia ex/futura coscienza, guizzi da un passato/futuro dimenticato ma non sconosciuto.

Non so cosa significhino le parole che penso, forse conoscenze ancestrali rimaste per secoli a livello inconscio, ma mi sembrano le più adatte per esprimere ciò che sento.

Anche se non sono sicuro che fuori sia meglio, la voglia di uscire cresce: sono stanco del tiepido calore e della triste sicurezza della bolla.

Comincio a cercare una crapa all'interno della cella.

Improvvisamente, si voltano tutti verso sinistra: uno di essi, stanco di sperare, si è appiccato lì fuoco e corre urlando per il dolore.

Ma la curiosità, la loro ricerca al di fuori degli scherni, dura meno di un attimo: come bimbi con il viso appiccicato ai vetri della finestra e con il naso schiacciato e la bocca che spinge, mentre guardano fuori in una giornata di tempo troppo brutto per uscire, si aggrappano alle sfere.

Il ritorno a visioni antiche, quasi ataviche. ma proprio per questo sicure, ha impedito loro di vedere l’ultimo sussulto di vita arso dal fuoco innalzarsi ai di sopra di tutti e formare, senza che la vedessero, una nuova bolla in cui si è ricomposto il corpo.

Ecco, hanno perso una buona occasione per capire.

Ma probabilmente non capiranno mai: per loro la novità è ignoto e paura, il ricordo è certezza e sicurezza,

Qualcosa di nuovo sembra formarsi nella mia mente: immagini confuse e sovrapposte sono alimentate da quel corpo che mi porta indietro/avanti, ma poi…

Il tempo e le immagini non si congiungono e tutto svanisce ancor prima di cominciare.

Voglio uscire: batto i pugni, urlo, piango.

No, non serve a niente.

Probabilmente la bolla è trasparente solo dalla mia parte e quelli di fuori sembrano ora avvertire solamente i miei movimenti.

S'avvicinano curiosi, fissando con aria trasognata la sfera che sembra portarli indietro nel tempo: ricominciano a parlare, parole che non riesco ancora a capire, ma dalla loro espressione sembra quasi che m’invidino.

Mi metto di nuovo alla ricerca di una via d'uscita.

È state inutile cercare, perché i! tempo doveva fare il suo corso e la conoscenza completarsi: solo adesso sento l'approssimarsi del momento della mia nuova nascita.

Della luce esterna filtra da una piccola fessura che tende allargarsi, ed è da lì che uscirò.

Da un po' ho cominciato a capire le parole che dicono quelli di fuori.

"Dobbiamo entrare per uscire, dobbiamo entrare per uscire", ripetono all’infinito, con i visi supplicanti e tirati per l’attesa.

Barlumi di vite passate/future sconvolgono le loro espressioni, sensazioni passate/presenti/future sono le cappe pesanti delle loro esistenze.

Leggo nelle loro menti: paure infantili, ingigantite dagli anni, occupano la maggior parte delle loro memorie, angoli bui solai decrepiti aleggiano nei loro cervelli, cinte di cuoio sibilanti guidate da mani callose e visi sformati dalla rabbia sono fissati nelle pupille, urla e minacce riecheggiano nei timpani.

"Dobbiamo entrare per uscire, dobbiamo entrare per uscire". Branchi di lupi cattivi, materializzazione delle ossessioni ricorrenti e della consuetudine più assurde inculcate con la forza nei loro cervelli da genitori non scelti da essi, sono vomitati dalle bocche spalancate.

Parole, solo parole... Miriadi di parole.

Dicono che vogliono entrare per uscire senza più l'assillo di paure passate e di conseguenza senza neanche quelle presenti/future, ma devo fare attenzione perché laddove il tempo perde ogni valore è facile che il passato si confonda con il futuro e ne prenda il posto.

La fessura si allarga sempre di più, provo ad uscire, spingo, faccio forza con le piccole spalle, cado sul pavimento nudo e freddo.

Improvvisamente, uno scatto repentino e disperato, centinaia di persone verso la bolla: forse, attraverso la fessura che si è richiusa, qualcuno è riuscito a entrare.

A me la sfera appare trasparente anche dall'esterno e solo le persone assiepate intorno ad essa m'impediscono di vedere dentro, ma se uno di loro fosse riuscito ad entrare arriverà fino in fondo, completerà il ciclo soltanto se trasformerà la sua memoria in un vuoto.

Non c'è spazio da riempire in un vuoto.

Mi guardo interno e so, anche senza ricordare, di essere già stato qui. Meglio così: senza ricordi il mio passato non potrà essere il mio futuro.

Semplicemente perché non lo rammento.

Guardo da lontano, la bolla formata dall’individuo che si è dato fuoco: ce la farà senz'altro, lui aveva capito che è inutile aspettare.

Il momento delle morte è coinciso con il formarsi della bolla. L'inizio della sua rinascita.

Vita e morte si confondono, passato e futuro si sovrappongono, il tempo non esiste più…

Vicino a me altri due bambini, a carponi sul tappeto caldo e soffice, ascoltano chi li chiama.

"Dobbiamo entrare per uscire. dobbiamo entrare per uscire".

Non rispondono: chi non ha ancora perso la speranza e non ha realizzato che la fine sarebbe niente altro che l’inizio, non potrebbe mai capire chi ha addirittura oltrepassato i limiti del tempo e dei ricordi.

Resteranno, per sempre, prigionieri dei propri ricordi, delle proprie ossessioni, delle proprie angosce.

Raggiungo gli altri due e, incuranti delle mani tese verso di noi alla disperata ricerca d'un aiuto ci avviamo verso la sfera di celluloide formata dall’uomo in fiamme: il suo corpo ha già cominciato a rimpicciolirsi.

Il tempo ha perduto ogni suo significato: lui sarà nostro padre.

Mi volto un attimo indietro: gli altri non ci seguono più, sono ritornati verso le sfere.

Non ci vedranno più.

Non ci hanno mai visti.






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