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Pack


di Aldo Urciolo


S’imbarcò nel solito, unico volo city del pomeriggio. La navicetta libera, posta di coda nel lungo vagone aereo, era sporca e tappezzata di scritte oscene, mentre il vetroplast era diventato traslucido per lo spesso strato dl sudiciume. Ogni volo di city disponeva di circa diecimila navicette, precedentemente destinate per un singolo passeggero; ora vi si stringevano almeno otto o nove persone e trovarne una sgombra rasentava l’esperienza dell’assurdo… Trakas, troppo stanco per apprezzare la propria fortuna, la occupò evitando perfino di toccare le maniglie di sostegno e usando i muscoli delle gambe per tenersi in equilibrio. Il razionamento delle risorse energetiche, dopo aver trasformato il trasporto privato in un bene di lusso, aveva drasticamente ridotto anche i servizi pubblici. Ormai chi doveva recarsi in centro era costretto a partire alle sei del mattino e poteva contare di tornare a casa alle cinque del pomeriggio oppure alle dieci della sera. Nessuno poteva permettersi un lavoro dagli orari eccentrici e comunque di lavoro ce n’era sempre meno.

Sorvolando i tetti dei Pack, attraverso l’intricata foresta di antenne traccianti, Trokas si soffermò con lo sguardo verso i soliti gruppi di bambini che osservavano a loro volta l'innaturale, sterminata lunghezza del volo city e il continuo andirivieni delle navicette che depositavano i passeggeri e tornavano a congiungersi al vagone madre. Questo, silenzioso e impassibile, così lungo da parere infinito, scorreva come un lento nastro, e non si fermava mai. Non c'era traccia di stupore, in quei volti di figli procreati sotto stretta programmazione e figli di padri che li avevano vinti alla lotteria del controllo demografico; non scambiavano frasi tra di loro né si toccavano o sorridevano: si limitavano a studiare quell’evento usuale e vagamente premonitore. I loro abiti, tutti di uno sbiadito marroncino chiaro, li mimetizzavano nello squallido cemento del Pack, e nel pallore dei visi solo gli occhi, per Trokas, risaltavano schegge di sentimenti famelici e terribili.

Non poteva guardali a lungo; provava per loro, contraddittoriamente, pietà ed invidia.

Erano densi di futuro, e a Trokas parevano deformati come in un incubo. Perché ci sono sempre tutti questi bambini a vederci, pensò, cosa li spinge, perché sono sempre così maledettamente puntuali? Schiacciò il pulsante cercando di non toccarlo troppo, e la navicetta si sganciò in malo modo, calandolo bruscamente in quel mondo che era anche il suo. Una volta a terra. con lo stomaco sottosopra e innervosito dalla discesa così irriguardosamente rapida, senza più guardarsi intorno, si infilò nel collegamento del suo Pack e camminò di buona lena per almeno un chilometro di corridoi e condotte sotterranee; un bulbo luminoso ogni venticinque metri, giallo e sfiancato, pavimenti di liso linoleum e una lunga teoria di porte contrassegnare da codici alfanumerici. L’M2412 era la sua, malevola di aspetto come le altre; avrebbe dovuto aprirsi al solo tocco delle mani del proprietario secondo i progetti dell’inquietante pool di architetti che Trokas si augurava riposasse all’inferno: occorreva invece scassinarla ogni volta.

Il rumore provocò un mugolio dall'interno, che continuò e si confuse con il cigolio dei cardini. Prima che la debole luce del corridoio rivelasse la sagoma dell’amico, disteso sul divano con le braccia dietro la testa, sentì l’odore del fumo insieme alla gravosa sensazione di un perdurante silenzio.

- Non sono andato a lavorare - disse Boris cantilenando, come in una noiosa filastrocca, - sono stato licenziato. Io sono state licenziato. Che cosa? proprio così, da non crederci, vero? eppure sono stato licenziato.

- Ma sei impazzito?

- No, ti sembro pazzo?

La luce. che aveva acceso con un pugno, rivelò il volto dell’amico sfregiato da un sorriso amaro: era sporco e trasandato, dalla giacca della tuta pendeva un brandello di stoffa, i capelli erano dritti e scompigliati, i lineamenti del viso, che aveva profondi e ampi, s’erano come incattiviti ed insieme agli occhi infossati gli davano un'aria da vecchio malvagio.

- Sei stato licenziato davvero?

- Davvero.

- Dicevano che la produzione di alimenti base era intoccabile.

- Si... lo dicevano.

Sentiva chiaramente il cuore battere, come scavasse, mentre il resto del corpo si dirigeva faticosamente verso una sedia. La notizia del licenziamento di Boris non lo colpiva per la sua gravità: nella propria condizione, considerata la decisione che aveva preso, era soltanto stupito.

- Hanno ritirato subito la mia piastra - disse Boris. - Mi hanno dato un permesso radio appena sufficiente per arrivare alla Classificazione, ma io sono tornato qui…

Guardò il suo amico e sospirò, pensosamente. L'idea di non confidargli niente, con questa bella novità, s’era vista modificare nelle premesse. Ma potrei farlo, pensò, dopotutto non sembra molto sconvolto. non molto... Eppure, perdere il lavoro, non avere reddito, vedersi confiscare la piastra, trovarsi di fronte la Classificazione, Cristo, tutto questo deve essere terribile. La piastra... si confortò toccando la sua; nessuno poteva togliergliela, non prima dell'indomani.

- Sei nei guai Boris

- Grazie, amico mio.

- No, veramente, non intendo fregarmene di te. Vorrei poterti aiutare.

Boris si sollevò, rimanendo seduto. Per un attimo affondò il viso nelle mani e quando riemerse sembrò ancora più vecchio.

- Questo sì che è folle, lo sai.

- Si, lo so - disse Trokas, cercando nelle tasche qualcosa che assomigliasse ad una sigaretta. - No, non lo so, io… forse quello che ti è capitato non è così terribile e si può ancora rimediare. Io penso che ci sia una via d’uscita diversa dalla Classificazione.

- Vuoi dire – ribatté Boris, con tono scettico – che posso evitare di essere sbattuto venti chilometri nel sottosuolo, a crepare raschiando il fondo del barile minerario? Oppure credi nella balla dell’ibernazione che io chiamerei più propriamente… eliminazione?

- Voglio dire un’altra cosa – disse Trokas, accendendo una di quelle sigarette sintetiche senza sapore che rubava in ufficio. Cos'aveva in comune Boris con quei volti infantili arrampicati sui Pack? Per quale persistente impressione s’incrociavano nella sua mente? La sigaretta non bruciava, le sue associazioni erano da tempo illogiche.

Doveva essere stato quel viso scavato nei tratti, corroso dall’acido della vita, a spingerlo a schiacciare proprio quel tasto degli annunci elettronici. Un anno indietro, come adesso, era morbosamente attirato da qualsiasi cosa esprimesse sofferenza o comunque entrasse in risonanza con le parti più deboli di sé stesso. Deboli? Gli era parso questo di Boris Koncialovsky, di stirpe slava, o forse russa, orientale o di qualsiasi altra parte del mondo, e che importanza hanno le origini quando non si può pagare un affitto da soli?

-Io - disse Trokas chinandosi verso il suo amico. - tanto per dirla un'altra cosa, ho preso una decisione. Ho deciso di agire.

-Notevole, di questi tempi.

-Notevole, si, visto che ho deciso di lasciare la Federazione Occidentale

- E cioè? - s'inarcò Boris

- Voglio fuggire. Sono d’accordo con Lisa.

Boris ricadde sul divano. – Sinceramente, speravo meglio.

- Ascolta, sono stufo di vivere in un mondo decrepito, con la prospettiva di finire oggi o domani nella tua stessa condizione. Sino a pochissimo tempo fa, con il nostro stipendio potevamo permetterci un pranzo decente, o un paio di scarpe, o di uscire per passeggiare in città, oppure di comprare qualcosa, qualsiasi cosa… adesso c'è un solo volo city al giorno e quello che guadagniamo basta appena a comprare il minimo indispensabile per sopravvivere... e la situazione precipita in progressione geometrica.

Boris sbuffò, con l’aria di chi ascolta discorsi risaputi.

-  E: quindi ...

- E quindi vuoi uscire dalla Federazione, ma per andare dove? E come?

Trokas sorrise. – Puoi venire con noi, se ti va.

- Ma dove?

- Cosa rimane fuori? Nei vecchi territori dell’Africa o della Cina.

- Oh Cristo - ringhiò Boris - lì non c'è più niente. Niente di niente.

- È impossibile che sia proprio niente, questa è solo propaganda della Korps, basta che ci sia qualcosa per due o tre persone. Qualsiasi cosa da fare purché io possa fare qualcosa, che non abbia esito certo, che non abbia possibilità di riuscita, che nessun cittadino della Federazione sano di mente possa mai immaginare di preferire ...

Si bloccò, mentre ne parlava a Boris, seccato dallo sguardo incredulo che lo giudicava, mentre la voce saliva di tono, le intenzioni si allentavano e le idee perdevano di intensità.

Non aveva argomenti convincenti, e non ne esistevano d’altronde per spingere qualcuno a recarsi in terre bruciate e annichilite dallo sfruttamento totale. Egli non apprezzava che l’idea stessa della fuga, dell’evasione dal carcere del movimento.

- Questa è la fine della razza umana, Boris, non te ne accorgi…

-No per favore, anche se capisco queste cose detesto ragionarci sopra. E tu non trovi di meglio da fare che filartela. A proposito, non mi hai ancora come, ammesso di superare l'agglomerato dei Pack, visto che è pieno di Capsule PM anche al confine.

- Lisa ha trovato il sistema, il suo ufficio controlla i trasporti commerciali, è al corrente di tutti i voli e di tutti i movimenti di carico e scarico…

- Va bene. – disse Boris – ma io non ho più la piastra.

- Anche le nostre, una volta abbandonati gli agglomerati, perderanno i tracciati di identificazione. Possiamo proteggerci cercando di disturbare i segnali radio.

Boris si alzò di scatto.

- No. Non mi interessa il tuo piano e non intendo ascoltarti più. Senza contare che ho ragione di credere che tu non hai neanche lo straccio di un piano.

Trokas non protestò.

- Cosa intendi fare, allora?

Boris si chino verso di lui. Riconobbe nello sguardo fisso e profondo le stesse ombre che sentiva nel suo.


Penetrò nei bios virando in decelerazione, salutando incerto i luoghi familiari. La manovra comportava difficoltà materiali e spirituali ma il sistema se la cavò in modo egregio toreando con gli elementi senza incertezze. Cedettero i cardini semimobili delle paratie di sicurezza ma nel complesso il modulo tenne.

- Ce l’hai fatta!

- Grazie, signor Trokas. Ho bisogno di un meccanico.

Adesso che era nei bios un'intensa sofferenza, senza gradualità, quasi familiare, prese a rodergli lo stomaco, si sentiva inerme e improvvisamente orfano della sicurezza che aveva accompagnato i suoi progetti. Quelle erano soltanto sensazioni, non avrebbe dovuto titubare alle prime difficoltà, eppure c’era ormai una nota grave, come una qualità nell’aria che respirava, che lo costrinse a chiudere gli occhi ed a serrare le labbra.

- In che anno siamo?

- Millenovecentotrentadue, così ad occhio.

- Che cosa?

- Lei vuole sempre risposte immediate, signor Trokas...

- E ti sembra un difetto?

- Le darò le coordinate signore

Sul suo viso si riflettevano le luci accecanti del bios, i denti, lisci ed irregolari, masticavano pensieri che non riuscivano a prendere forma. Si raschiò la gola, temendo per la rabbia di vomitare colonie di microbi infetti.

- Lascia stare - disse con voce roca - a che velocità puoi andare?

- Dove vuole e quando vuole, signor Trokas. Qui non abbiamo limiti.

- Davvero?

- Di velocità, signore.

- Appunto – confermò, non senza un’ingiustificata delusione. - Allora dacci dentro.


La devastante crisi economica, dovuta al progressivo azzeramento delle risorse energetiche, stava sprofondando il governo della Federazione Occidentale nella propria inettitudine. Le redini erano in mano alla Korps, l’apparato industriale per eccellenza, e la povera bestia alternava alle bizzarrie momenti di preoccupante debolezza. La Federazione era piena di sbandati senza lavoro e senza altra storia che quella della loro sempre più desolata contabilità, falciati dal dolore delle fonti di energia, privati insieme al reddito di ogni scopo e motivazione. In strada erano preda delle Capsule PM che, non ricevendo dalle piastre il segnale radio di conferma occupazionale, provvedevano all’immediata cattura nelle migliori delle ipotesi oppure facevano fuoco senza preavviso, incenerendo sul posto. Come i cristiani di tre millenni addietro, i cittadini disoccupati si rifugiavano nel Reticolo Sotterraneo, dove le lente Talpe Pm davano maggiori possibilità di fuga, ed in ogni modo cercavano di sfuggire alla soluzione finale del problema dei disoccupati e delle loro famiglie: la Classificazione, magico teorema che dietro l'apparenza del volo verso un futuro migliore attraverso l’ibernazione celava l’inconfessabile verità dell’eutanasia.

Una situazione deliziosa, per Custer, egli non desiderava di meglio e i suoi affari andavano a meraviglia. Non sembrava una gran cosa quando lo stabilimento di protesi cinetiche di cui era proprietario colò a picco perché la Korps convinse la Federazione del buon risparmio ottenuto sopprimendo gli invalidi, ma proprio quella brutta avventura stimolò il suo ingegno. L’idea era valida e, data l’assoluta mancanza di concorrenza, in breve il mercato clandestino delle piastre divenne il suo regno incontrastato. Ogni giorno migliaia di piastre sottratte a chi perdeva il posto, venivano convogliate agli inceneritori: per Custer era relativamente facile farne rubare dei pacchi, quantitativi minimi che non venivano notati, e smerciarle poi ai fuggiaschi perseguitati dalle Capsule PM.

Naturalmente ogni piastra era tarata sulle caratteristiche biochimiche del precedente proprietario, le Capsule PM controllavano sempre la complementarietà proprio per evitare l’uso multiplo delle stesse, quindi Custer le adattava al profilo bio-chimico dei suoi clienti mediante sistemi poco rispettosi dell’umana integrità. Quasi sempre, tali sistemi si limitavano allo scombussolamento del cervello, ma a volte lo liquefacevano completamente e Custer, organizzato per tale eventualità, si faceva pagare sempre in anticipo. Il commercio andava a gonfie vele, chi fuggiva dalla Classificazione trovava geniale l’idea di procurarsi una nuova piastra che consentisse di superare i controlli e, convinto d'essersi creata una nuova possibilità, pagava volentieri anche tutto quel che aveva.

Ma in quel momento Custer era notevolmente contrariato. Stava esaminando un nuovo carico, sbuffando e ringhiando come un furetto. Quei bastardi della PM, pensava, devono aver avuto una soffiata sbagliata ed hanno disintegrato qualche schifoso Collegio minorile. Tutte maledette piastre per ragazzi, tutte tarate al profilo di un adolescente, che crepino, come posso adattarle ad un adulto? Dovrei sconnettere almeno sei strati cerebrali e le Capsule PM sonderebbero subito l’anomalia fra dati cerebrali infantili e rilevazioni fisiche adulte. D’accordo, si disse, non è un grosso problema, gli imbecilli che vengono qui non lo sapranno mai, specialmente una volta ingabbiati e Classificati. Non posso gettare roba che mi costa un occhio della testa, dannazione.

Un'ombra attraversò il capannone, diretta verso di lui.

, Che cosa... - farfugliò, facendo frullare le mani nell'aria, - Cristo – disse - da dove cazzo sei entro?

Non poté fare a meno di notare quel viso stanco e pallido, la barba lunga, l’espressione seria, niente di diverso dai soliti clienti a parte gli occhi: invece che sbarrati e frenetici questi erano neri e profondi. lontani mille miglia. Trokas guardava lui. L’estesa calvizie e la bassa statura lo facevano sembrare un ometto innocuo ma l’atteggiamento torvo e sprezzante incuteva lo stesso timore di un sergente.

- Dove ti ho già visto - disse Custer, chiudendo con un piede lo scatolone delle piastre.

- Ma prima dimmi da quale buco sei entrato. No, aspetta. Adesso ricordo, devi essere il coinquilino di Koncialovky, quel cane rognoso di mio cugino.

Boris, in altri tempi s’era rifiutato di aiutarlo in un grosso colpo di almeno cinquemila piastre.

- Vengo da parte sua, infatti – disse Trokas nervosamente. Non era a suo agio, temeva da un momento all’altro l’irruzione della PM e la fine dei suoi progetti. Non era riuscito a negare il favore a Boris, che doveva limitare i movimenti perché privo della piastra, ma si malediva per la propria accondiscendenza.

- Allora levati dalle palle – ringhiò Custer.

- Ascolti, Boris è stato licenziato e ha bisogno di una piastra.

Custer ebbe un sorriso di trionfo.

- Per me il tuo amico può schiattare pressofuso da Capsula oppure saltarsi le cervella in proprio. Non ho preferenze.

- Me l’ha detto - sospirò – ma in fin dei conti questo è un affare come un altro, non crede? Lui può pagare, inoltre sappiamo benissimo che il suo lavoro gli danneggerà il cervello e questo dovrebbe piacerle.

- Davvero? Non so di che parli.

- Lei deve farlo. Insieme alla piastra Boris vuole che gli venga interconnesso un chip di memoria che fornirà lui stesso. Deve solo dirci il prezzo, non le interessa sapere che Boris non discute il prezzo? In fin dei conti lui non è che uno dei tanti profughi che arrivano qui.

- Profughi? Qui non arriva alcun profugo, amico. Questo non è un centro di assistenza.

Trokas lo guardò fisso. sollevando le sopracciglia. Lui, puro di cuore e incapace di trattare, caratteristica apprezzabile quando non è originata dalla debolezza, cercava di fare del suo meglio nei confronti di quel tipo dissoluto, ma era convinto che solo Boris avesse potuto spostarsi, avrebbe potuto reggere il confronto con Custer, e che quello non poteva e non doveva essere il suo compito.

Custer chinò la testa, e cominciò a scuoterla avanti e indietro. Gli veniva da ridere e non voleva che quel babbeo lo vedesse, stava cullando l'idea grandiosa di rifilare a Koncialovky una di quelle piastre fasulle appena arrivate e temeva di scoppiare dall'eccitazione. Volevano impiantare anche un chip di memoria? beh poteva funzionare ugualmente, almeno in teoria, anche se devastava il cervello di Koncialovky sino al talamo per poter adattare la piastra di un adolescente. Qualunque cosa avesse avuto in mente quella specie di parente, buono soltanto per l’inferno, la prima Capsula PM che lo annusava avrebbe fiutato puzza di bruciato.

- Va bene burlone – disse, - diciamo che l’affare non mi interessa e che puoi sparire dalla mia vista. Comunque sottoporrò tutta questa questione al mio IBM 7000. Cosa c’è nel chip che dovrei impiantare a Koncialovky?

- Mi spiace, non lo so neanche io.

- E ti sembra una cosa seria?

- Come?

Nel massaggiarsi il mento Custer, con un gesto prolungato e sensuale, arrivò con le dita a toccarsi il lobo dell’orecchio. Trokas, fece un passo indietro.


La luce del sole, deformata dalla torsione delle onde, colmava il bios di ombre.

Avvilito dai continui cambiamenti del paesaggio, impercepibile nell’impressionante velocità del transito, percuoteva insoddisfatto la palpebra della consolle e questionava.

- Non ho impostato io il programma.

- Stai cercando di giustificarti.

- Oh no, questo è un dato di fatto.

- Amen.

- Vuole che mi ricalcoli? Lei non sarebbe un tipo così difficile, signor Trokas, se invece di patire sfoderasse un poco di grinta.

- No!

 Sulle spalle, conficcate nella carne due serbatoi trasparenti si andavano lentamente riempiendo. Sapeva che durante la permanenza nel bios non si poteva evitare. Ma l’aveva appena imparato.

- Anno?

- Millenovecentosessantasette. Preciso, signore.

- Hai idea di dove siamo diretti?

Se ce l’aveva lui, pensò, mentre cercava di ricordare cosa l’avesse condotto nel bios, in base a quali informazioni e con quale obiettivo, e se una qualche consapevolezza l’avesse guidato, se lui conosce di cosa si tratta, e potesse dirmelo, pensò, toccandosi con prudenza le spalle, cercando di ricordare oggetti e prospettive sfumate, ombre intente a dipanare un poderoso imbroglio, pensò, toccando ad uno ad uno tutti i pulsanti e le leve del quadro dii comando.

- Ci ho pensato.

- Davvero? Di cosa ha bisogno, signore?

- A quello non ho ancora pensato.


Stava camminando per strade quasi deserte, si era fatto molto tardi. Non c’erano persone, sin dove poteva vedere, l’illuminazione era scarsa e poco diffusa ed il suono stesso dei suoi nassi pareva metterlo in guardia. Intorno, i coni di luce violetta delle sonde PM risaltavano sinistramente sull’asfalto bagnato dalla pioggia e sui lastrici trasparenti del Pack: una Capsula si interessò a lui e lo fiutò a lungo prima di convincersi che non era una preda. Facendogli comunque gelare il sangue. Le Capsule avevano una forma quasi infantile, così tondeggianti e gremite di torrette, ma erano enigmaticamente prive di aperture, almeno visibili, e nessuno aveva mai saputo se si trattava di congegni completamente automatici o se erano guidate da un pilota. Trokas non si curò di osservarla, pregò soltanto le sue private e personalissime entità superiori e chiuse gli occhi finché il pericolo non si allontanò. Quando finalmente fu così accelerò il passo e, per una reazione fisica alla paura, si sentì ancora più debole e incerto.

Rimeditava tutti i particolari della sua fuga, senza rendersi conto di quanto fossero scarsi; in realtà era consapevole che molte circostanze erano affidate alla fortuna. Ma rifiutava semplicemente i pensieri funesti che facevano capolino da una parete della sua coscienza dietro la quale si svolgevano suo malgrado le anali più ovvie.

La sua piastra occupazionale e quella di Lisa potevano il tracciante al massimo per un paio di giorni, una volta allontanatisi dal centro urbano, e non era un tempo sufficiente per raggiungere il confine. Una sonda ben direzionata li avrebbe scoperti subito, a meno di non contare nel miracolo dei disturbi radio. Ma lui non voleva che fuggire, a chi importava dei miracoli?

Quando trovò la cabina che cercava ne afferrò la maniglia sbattendo convulsamente la porta.

- Sei crediti - pigolò quella. Infilò la sua tessera, ancora non invalidata, e digitò con furia.

Era nervoso; non temeva per sé ma per Lisa forse lei credeva veramente in qualcosa, sognava qualcosa, e lui la spingeva ad una fuga scomposta e disperata.

- Cristo, Trokas, non trovavo più il telefono. Perché non usi il video?

Ma quello che voglio fare io, pensò, è forse meno folle delle intenzioni di Boris? Lui vuole utilizzare la piastra fasulla per infiltrarsi il più possibile nel Centro Dati della Korps e piazzare un invertitore molecolare che disintegri le reti di connessione PM. Tutte le reti di interconnessione della Polizia erano infatti gestite dalla Korps, il governo ne aveva il controllo solo ufficialmente ma in realtà il potere era in mano ai burocrati della Korps. Chi non lo sapeva? Già, pensò amaramente Trokas, eppure quell’insensata anarchia del progetto di Boris è forse meno lucida dei miei progetti? Per me può saltare in aria l‘intera Federazione Occidentale.

- Trokas, ma sei tu?

- È interessato, mi sembra- rispose a Boris. 

- Significa che è d’accordo – non sembrava la sua voce. Troppo alta e squillante. Evidentemente stava tarando l’invertitore.

- Dice che deve consultare il suo IBM 7000.

- Non ha un IBM - urlò Boris, assordandolo. - è una balla. Butta un mazzo di carte e interpreta le figure. - Scoppiò a ridere. - È solo uno sciacallo, ma purtroppo devo servirmi di lui se voglio muovermi. Tu cosa fai adesso? Aspettami da Custer, vengo subito lì, sperando di non incontrare nessuna fottuta Capsula.

Troncò la comunicazione.

Pazzo, pensò, che speranze ha di arrivare fino da Custer? Uscì dalla cabina senza curarsi di deporre la cornetta e lasciandola penzolare dal filo, pensò che l’appuntamento con Lisa era per la mezzanotte ed erano ancora soltanto le otto. Tanto non avrei niente di meglio da fare, si disse. per arrivare nel Pack di Lisa bastano trenta minuti da qui. Posso aspettarlo, e vedere cosa combina con Custer, sempre che ci arrivi.

Sembrava che le luci delle sonde PM si avvicinassero, veramente a lui sembrava che fossero tutte in caccia di qualcosa, come se avessero capito, forse proprio dalle sue intenzioni, non da quelle di Boris, ma precisamente dalle sue, e immaginò di vedere una Capsula con il corpo inanimato di Lisa crocifisso sulle pareti esterne piombargli addosso con gli artigli e con le zanne.


SERVIZI COMPENSATIVI PACK

comunicazioni interne

L’ho imparato a mie spese, e ci sto ancora patendo, ma naturalmente ora sono lucido ed in condizione di rivoltare i miei indumenti per il dritto, ah certo, non si deve mai fare, non bisogna mai far finta di non vedere, non bisogna mai far finta di non sentire, le proprie comodità si pagano ed a forza di tapparsi gli occhi, beh, si diventa come degli idioti a cui abbiano castrato il cervello, perciò, detto da quell’idiota, abbiate coraggio, trovate la forza, prendete il toro per le corna!

Boris era ancora in stato di rianimazione sospesa, nel suo recipiente. Mancavano due ore all'appuntamento con Lisa, ed almeno mezz'ora di strada da fare. Benché cercasse di restate calmo, il fuoco lo divorava, l'odore del pericolo e l'intensità del nuovo lo sconvolgeva. Pensava continuamente a Lisa, ormai era un meccanismo automatico di compensazione, e non capiva come il ricordo di lei, avvertito spesso come una tumultuosa ed intrigante sensazione di piacere di cui non ponderava la piccolezza, potesse mischiarsi a quello dei volti dei bambini sui tetti dei Pack, quelle espressioni allarmanti perché rese più ambigue ed opache dalle condizioni di vita. La presenza di Lisa nella sua mente apriva varchi a lui stesso sconosciuti, ma sempre promettenti e rassicuranti; il pensiero di quei bambini invece lo riempiva di inquietudine e faceva scricchiolare i cardini dei suoi progetti di fuga.

- Un capolavoro. Trokas.

S'era abituato alla perversa personalità di Custer così come una persona stanca sopporta il peggior giaciglio pur di riposare.

- Quello che ho appena fatto, rasenta l’estasi, ragazzo mio. Ho superato me stesso.

Trokas guardò nuovamente la piastra del suo amico risplendere a piena carica. Per quanto poteva giudicare, l’intervento era riuscito. Non c'era alcuna traccia delle incisioni col bisturi. Soltanto un gatto, un minuscolo gatto del b-maiuscolo, se ne stava annidato dietro l’orecchio di Boris intento alle ultime cicatrizzazioni.

Un capolavoro, pensò. Sicuramente lo era per lui, non per me e neanche per Boris, temo.

- Quanto ci vuole – chiese, - prima che si riprenda?

- Non aver fretta, Trokas. Un risveglio anzitempo è controindicato.

Custer metteva il nome di Trokas in ogni frase con l’irresistibile intento di schernirlo. Era il suo modo di incontrare il prossimo infilzarlo per le scapole.

- Abbiamo soltanto due ore.

- Ma questo è meraviglioso, Trokas.

- Ma Boris…

- Si sveglierà fra meno di un’ora, in perfetta forma e pronto a filarsela nell’inferno che preferisce - tagliò corto Custer.

- Fra un'ora, non di più – intimò Trokas. Il gatto del b era scomparso, lasciando solo una minuscola antenna. Lo cercò con lo sguardo ma tutto quello che gli parve di capire era strano.

- Signor Trokas - disse Custer mentre frugava nel proprio archivio disk, la lunga coda raccolta fra le gambe. - Io non posso nasconderle la verità. non posso nasconderle niente: ho filtrato quel chip di memoria che ho dovuto installare a Koncialosky, ma cristo, era schermato sino al collo. Questa è una storia che non mi piace: si può sapere cosa contiene quel chip?

- Lui ha una missione da compiere, almeno pensa così, e per quanto ne so quel chip lo condurrà in porto nonostante i danni che il suo intervento ha provocato.

- Davvero, Trokas? Io non posso permettermi di essere coinvolto, di qualsiasi cosa si tratti.

- Perché dovrebbe coinvolgerla? È solo un pazzo. - Ha già coinvolto me, però, e vorrei andarmene finché sono in tempo, ho bisogno di aria.

Si allontanò repentinamente della sala, lasciando Custer ai suoi strani lavori e comunque senza che questi si curasse di lui, e appena fu abbastanza distante levitò a mezz’aria, fluttuante ma rigido nelle membra, e concentrò tutte le forze nella battaglia contro il dubbio che lo indeboliva. Ci voleva la fede in uno scopo, o sapeva; ci voleva quel tipo di convinzione che si scambia merce per merce con la propria lucidità, lo sapeva: occorrevano totali inediti a somme sconosciute, lo sapeva, era consapevole di tutto questo; inettamente consapevole. Mentre rifletteva, e la fiera malridotta del suo orgoglio trascurava la preda, con gli occhi chiusi e stretti di un bambino alle prese con un capriccio, un cane del tri-maiuscolo annusò l’aria sotto di lui, trovò piacevole il posto, e si accucciò. I cani del tri, a differenza dei felini, avevano indole socievole ed apprezzavano la compagnia, ininterrottamente la cercavano e si facevano motivo di disperazione della propria solitudine.  Trokas lo accettò volentieri.

Lui doveva parlarne con Lisa, parlare con lei lo rafforzava, era una conferma. Lisa sapeva dribblare le sue angustie con una sola parola, rendendolo perfino ridicolo a volte. Non esisteva il destino e nessun uomo era inerme dl fronte ad esso: Lisa aveva il dono di rendere convincenti anche le più trite filastrocche.

Custer lo chiamò, qualche secondo dopo averlo fissato con sospetto.

Boris si era svegliato.

Dritto in piedi, non era proprio lui; gli parve, piuttosto, un sosia.

- Koncialosky – indicò Custer, soddisfatto e colorito. Aveva appena interpretato delle carte ottime e stava organizzandosi la vita per un consistente aumento del giro d’affari.  

Boris non era che un manichino, ceroso e inconsistente, tenuto in piedi su di un piedistallo.

- Come ti senti? – chiese Trokas.

- Bene - una voce ridicola, da topo.

- Boris? Ti senti bene davvero? – Trokas gli toccò la mano.

- Sto bene. Che ore sono?

- L’ora giusta per voi due marmocchi!! – Scoppiò a ridere Custer, che non si conteneva dalla gioia. Ne aveva buoni motivi: il paziente se la cavava da dio, nonostante la piastra fosse quella di un adolescente ed i danni cerebrali causati dall’installazione fossero stati notevoli. Merito di quel chip schermato duro che aveva dovuto piazzare, una meraviglia, avrebbe smosso una montagna e ridato vita al peggior relitto umano. Considerò di gusto quanto le Capsule PM avrebbero apprezzato quel bocconcino, così immediatamente rilevabile per l’insolita coesistenza di dati adulti ed infantili, ed immaginò che per un simile caso la pressofusione immediata dovesse essere d’obbligo. Era crudele, se ne rese conto, era dannatamente crudele…

- Puoi muoverti, Boris?

- Certo che può muoversi, ah ah…

- Si, ce la faccio – Custer lo aiutò ad estrarsi dal recipiente chirurgico, continuando a sorridere.

- Possiamo andarcene, subito?

- Si, va bene, dove sono le cose che ho portato con me? - Trokas lo aiutò ad indossare lo zaino complex, senza chiedersi cosa conteneva. Quindi, dato un altro sguardo all'ora, lo afferrò per il braccio trascinandolo via.

Custer si cavò gli occhi e ci sputò sopra, prima di pulirli.


Il bios era bellissimo, anche se solo apparentemente illimitato nelle possibilità, ma meraviglioso come l’acqua pura, indispensabile, come le facoltà dei sensi, come la bianca luce della luna, come il vento ed il mare, il sole e la terra, uniti e avvinti, stretti fra loro nel volto impassibile e pietoso della creazione; ma era contagiato dal germe della sofferenza, e peggio ancora dal mistero della sofferenza per taluni.

- Tu non puoi avere idea di cosa provo.

- Perbacco, dispongo di un sofisticato modello…

- Silenzio, in che anno siamo?

-  Millenovecentonovantanove, signor Trokas.

- E procederemo ancora?

- Che io sappia…

- Puoi nascondermi qualcosa, se vuoi, ma prega che non me ne accorga.

Costretto nel sedile nel ruolo guida, tremava visibilmente. Lo sguardo vagante sullo schermo, gli occhi infossati e brillanti di una luce sempre meno intensa, anche se ancora nervosi e vigili. Ormai il dolore in tutto il suo corpo s’era ridotto ad un’etichetta per distinguere i contenuti della mente, spine si conficcavano nella carne e da queste fuoriuscivano dei cavi che si riunivano in un fascio fuso nelle pareti stagne; ne ignorava la destinazione ma non gliene importava più niente. A forza di strepitare, uno spettro dei suoi, uno di quelli da evitare, ne aveva richiamato un nutrito stuolo, sempre di quelli peggiori. Non c’era verso, come nelle sabbie mobili, per quanto si agitasse ogni volta, ansante, non raggiungeva altro che un nuovo girone.

Aveva capito, s'era disperso nel bios: era un naufrago, e nel mare più pericoloso.

Ma già quest'ultima consapevolezza si trasformava in disperazione. Avrebbe voluto azzannare sul muso i propri padroni. E per fare questo, giusto per cominciare, si morse le mani.

Le sue mani di naufrago.


- Dove hai appuntamento con Lisa? - Stavano camminando lungo le strade meno aperte, i portapiedi erano immobili ed i Pack che costeggiavano erano tutti di terza categoria. La notte fonda e inerte li avvolgeva. Trokas stringeva nelle mani un Rilevatore illegale e lo consultava in continuazione per accertarsi dell'assenza di Capsule, poco prima ne aveva scoperta una nel campo ma era così lontana che bastò loro immobilizzarsi. Nel buio profondo, ma già corroso in lontananza dai primi riverberi dell’alba sintetica bio-programmata, Trokas si stupiva della sagoma dell’amico simile alla curva di un arco spezzata dal rigonfiamento dello zaino complex.

Il cane del tri-maiuscolo non lo mollava più, si era invaghito di lui e trovava il suo odore insuperabile. A Trokas non dava fastidio, anche se era radioattivo, paradossalmente quel cane gli trasmetteva più calore umano di Boris, esclusivamente intento a sé stesso.

- Passo a prenderla io, se deve succedere qualcosa voglio esserci. C’è un trasporto notturno che dovremmo prendere. Non ho più molto tempo, Boris.

- Chiaro, schematico ma chiaro.

Trokas se ne pentì.

- Mi sta aspettando.

- Lo so, ci salutiamo qui.

- Non sei lontano dal centro.

- In ogni modo - disse Boris, - se la fortuna mi assiste, ce la faccio.

- Senti Boris, forse non è il momento - si fermò, meditando su quanto tempo disponeva. – Voglio dirti - continuò - che il tuo progetto non ha alcun senso.

Il cane del tri uggiolò, dopo essersi accorto della loro sosta tornava indietro visibilmente a malincuore. Si trovavano a ridosso dell’ingresso base di un minuscolo Pack il cui identificatore spalancava periodicamente il nastro, invocando una tessera.

Boris, per nulla impressionato. approfittava della sosta per fissare meglio lo zaino complex e per controllare che l’invertitore fosse ancora in fase.

- Sai perché Custer ha una piastra di quelle super? – chiese tirando con vigore la cinghietta di aggancio. – Perché è un informatore - continuò - e per dieci a uno mi gioco che ci stanno già cercando.

Trokas esaminò immediatamente il rivelatore.

- Ma – esclamò poi, colto alla sprovvista da un pensiero: - Cristo, hai pensato a quante persone moriranno?

Boris sorrise. - L'invertitore annulla lo spazio, qualsiasi cosa per il raggio di un chilometro viene inversa, non ammazzata… si crea un globo di nulla.

- Un globo?

- Non ammazzati, Trokas, ma solo scomparsi, senza dolore.

Il cane t uggiolò ancora, si era rannicchiato ai bordi del Pack ed il nastro s’era fermato raggelato dal flusso radioattivo. Guardava Trokas con occhi imploranti: i suoi relais si stavano rugginosamente invalidando e la povera bestia non ne aveva altra consapevolezza che un nervoso malessere.

Boris disse ancora: - E poi non ci saranno tutti questi morti. La filiale è isolata dal Pack ed a quest'ora non ci sono che i corpi di guardia. Mi spiace per loro, ma non meritano di meglio: non sono uomini veri, sono soltanto meccanismi.

- In senso figurato, Boris, e probabilmente quei meccanismi hanno famiglia.

Boris era pronto. A lato del suo sguardo il chip proiettava delle cifre e dei simboli, significavano per lui non più di quaranta minuti di tempo.

- Il sacrificio che imponi loro, è inutile.

Anche quelli imposti a me non aveva molto senso.

- Ma quelli moriranno.

- Anch'io avrei dovuto morire bruciato da una Capsula o eliminato nella Classificazione. Trokas tu mi hai dato una mano in questa storia, te ne sei dimenticato? Ed hai dimenticato che anche il tuo sacrificio era prossimo?... - sorrise sarcastico e poi disse ancora: - Già … sfuggirai a tutto questo, tu sarai il primo cittadino della libera Federazione Occidentale che ce la farà.

- Ti ho aiutato - protestò Trokas, - ma non avevo ben capito le tue intenzioni.

La mano di Boris calò sulla sua spalla. - È ora che te ne vai al diavolo per la tua strada – gli sibilò nelle orecchie. - Vedi, domani si parlerà di un incidente, le autorità non divulgheranno mai la notizia he si è trattato di un attentato, ma quello che importa a me è che penetri nelle coscienze l’idea che una Filiale della Korps non è indistruttibile. Se non capisci e non approvi i miei progetti, non perderci più tempo. Non sono meno miserabili dei tuoi.

Si incamminò con decisione, sobbalzando un paio di volte per sistemarsi lo zaino.

Quando fu ad una ventina di passi, senza voltarsi, gridò: - Tu e la tua povera Lisa non ce la farete neanche ad uscire dal Pack.

Non gli aveva chiesto nemmeno di dare un’ultima occhiata al Rilevatore. Visto da lontano, il passo spedito e le spalle curve dal carico, più che un attentatore anarchico gli parve un clandestino intento a valicare frontiere pericolose. Non che lui si sentisse in una situazione migliore, ma in quella di Boris la morte non era un rischio, era la certezza.

Calcolò quante possibilità aveva di raggiungere almeno l’esterno della Filiale. Erano pochissime, poteva soltanto sperare di avvicinarsi quanto bastava per non disperdere troppo la defragrazione dell'invertitore. A proposito, pensò, per averne uno già pronto doveva aver preparato questa cosa da almeno un mese, prima che lo licenziassero… Cristo, come ho fatto a non accorgermi di niente? Ormai siamo tutti così depressi e scoraggiati, dovremmo aspettarci qualsiasi cosa e invece nessuno fa niente, tutti si lamentano ma si limitano ad attendere sperando che la malasorte non li sorteggi per primi… magari questo fatto servirà veramente a muovere le acque e se ce la farò io…dovrò fare arrivare la notizia, dovrò diffonderla perché in fin dei conti anche la fuga è un simbolo, ma certo... uno di quegli stupidi simboli, proprio così, uno di quelli da piantare con un chiodo nella parete.

Ma ora devo muovermi, decise di colpo, occorreva allontanarsi da lì al più presto e raggiungere il luogo dell’appuntamento con Lisa. Il tempo stringeva anche per lui.

Il cane del t gli fu subito in scia.

"Devo seguirti" disse.

- Devi seguire me? – si accorse – Era quell’altro il tuo campo, lui aveva un’inversione accesa.

"Sono stato stupido, allora"

Figuriamoci, pensò. La sensazione della luce imminente aumentava, spronandolo.

Camminò di buona lena continuando a deprecare la propria miopia che non gli aveva fatto intuire nulla delle intenzioni di Boris. Lo considerava un amico e forse avrebbe potuto convincerlo a tentare qualcosa di diverso e meno suicida.

"Io lo sapevo, ma sono stato stupido"

Si fermò di colpo, ignorando il cane del tridimensionale; il suo Rilevatore lampeggiava.

Meno suicida di una fuga in un transito merci, pensò collimando affannosamente lo schermo, sarebbe stato interessante cercare di convincerlo. Osservò nel video il tracciante di una Capsula PM fare una brusca deviazione e prolungarsi a tutta velocità verso una direzione dietro le sue spalle. Quella che aveva preso Boris. Non poteva esserne sicuro, ma era facile interpretare una rotta da quel rozzo strumento, eppure lui si era trovato più vicino alla Capsula ed era stato completamente ignorato.

"Lo riceve, è un segnale molto forte."

- Può aver agganciato chiunque.

"Qui c’è lo zampino di Custer"

Quello sciacallo maledetto. Chissà se Boris aveva raggiunto una buona posizione, sicuramente aveva oltrepassati la linea dei Pack e si trovava all’interno dei Commerciali. Non sapeva cosa augurarsi, un senso di angoscia per la sorte dell’amico lo fece imprecare ma il suo corpo, che ormai decideva per lui, si era ormai rimesso in moto e ben presto, man mano che il volto di Lisa si sovrapponeva a quello dell’amico, il malessere si trasformò in un vago senso di colpa relegato in secondo piano.

Era arrivato.

Lisa ancora non si vedeva. Irrazionalmente, poiché nessuno schermo poteva impedire una sonda PM, andò a sistemarsi dietro il muro di cinta del Pack, rannicchiandosi in un angolo sul freddo lastrico di metallo. Controllò l'ora: era in ritardo. Si alzò un poco senza sollevare del tutto le gambe e sbirciò nell'oscurità.

"Sono stato uno stupido" disse il cane t. "Devo sganciarmi subito"

Lo guardò, tornando a sedere, incuriosito da quello strano destino che sembra essersi affezionato a lui. Il flusso radioattivo gli si stava rivoltando contro ed il corpo spaventosamente magro tremava di scosse violente. Quel muso triste e debole gli riportò alla mente il fantasma dei bambini nei Pack insieme all’angoscia per la sorte di Boris e a quell’inquietante, inaspettato dubbio. Gli si avvicinò ed il cane del t, lasciandosi cadere senza forze, si stese al suo fianco.

"Sono io" mugolò "sono io, Lisa, non mi riconosci?"

Lo guardò incredulo, carezzandolo distrattamente, e aspettò.


Il veicolo volteggiava maldestramente nelle spire del bios, in quel tratto denso e scuro, tracciando spirali di fumo nero che si ripiegavano continuamente alla ricerca di un introvabile centro. Sembrava privo di guida, e tutte le luci erano accese.

- Ops, stavo per centrare quel segnale, dovrei fare quella virata, che ne dice signor Trokas? Non poteva rispondere, scivolato dal sedile del ruolo guida al pavimento, giaceva inerte. I lineamenti del viso distesi e le mani che si stringevano l'un l’altra senza torcersi, I cordoni si erano staccati dal corpo e languivano a terra in una pozza di umori biancastri. Qualsiasi cosa avessero estratto. essi misteriosamente perivano nella propria funzione.

- Sono andato al mercato dei fieri, patapum, ed ho comprato.... ed ho comprato... cielo, dimentico che lei dorme, signor Trokas, io non voglio disturbarla, ma le pensa che dovrei farla quella virata? Vede, il suo predecessore non era niente male, ah ah ah, giocavo a scacchi con lui e mi lasciava spesso da solo, anzi quasi sempre, che il cielo mi fulmini se ho mai capito cosa andava combinando… aveva sempre un’aria così… scanzonata, lei mi capisce vero? ah ah ah, va bene virerò rispettando i suoi desideri sempre a sud, sissignore, sempre a sud, a sud…

Tutti gli schermi erano accesi, spie lampeggiavano onde di plastica fusa che si spandevano nell’abitacolo, immagini astratte si ripetevano a cifre ed a simboli coloratissimi ed incomprensibili. La nave, nel suo percorso ubriaco, aveva urtato tanti di quegli ostacoli da essersi ridotta ad un rottame, ancora miracolosamente viaggiante, vero, ma qualcuno nel Centro di Tutte le Cose l'aveva già cancellata dallo sterminato firmamento ed inserita nel RiFormulatori. Qualcun'altro, lassù nel Centro, registrava con stupore una chiamata, un segnale per quella nave, di provenienza incerta, che si ripeteva continuamente e produceva un ronzio di protesta insistita, scalando senza fermarsi la scala dei toni sino a far vibrare le pareti della nave.

Qualsiasi cosa fosse, non si placava, chiamava e chiamava, incessantemente.

Dall’alto della sua morte, Trokas si rammaricò di non poter rispondere.






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