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di Roberto Urzino


Prologo


L'ennesima astronave carica di coloni era partita alla ricerca di un nuovo e lontano mondo.

I coloni erano tutti volontari, nessuno era costretto a partire se non da sé stesso e dalle proprie insoddisfazioni.

Quella gente si era seccata del gioco e aveva passato la mano; il problema era se avessero trovato un nuovo Eden…

Se avessero avuto la forza di rientrare per un altro giro e prendersi il piatto.

Nel frattempo sarebbero vissuti di ricordi e forse impazziti.


Ed, ti scrivo questa lettera perché non ho il coraggio di dirti personalmente quello che sono sicura ti farà soffrire molto.

Io… ho pensato a lungo ed ho capito che tra noi non può continuare: sei troppo cambiato in questi ultimi due anni lontano dalla Terra, e anch’io sono cambiata, così almeno credo.

Tu obietterai: - Che ne è stato delle nostre promesse? –

Semplice: - Si sono dissolte tra questi immensi corridoi senza anima e nell’indifferenza totale di questo spento grigiume.

Cercherai di farmi riflettere ancora ed è inutile, non riuscirai a farmi cambiare idea.

Ho accettato di partire e ora ne subisco le conseguenze: non vedrò mai più la Terra e sento crescere l'ansia e la paura della consapevolezza dentro di me. Per questo ho deciso di lasciarti; non posso vedere più tu ad io, perderci nella disperazione di due vite fallite.

Ricordi quando felice mi abbracciasti, proponendomi di venire via lontano con te… vivere la vita dei coloni stellari e rinunciare per sempre a quella sulla terra per fare rifiorire il nostro amore?

Solo ora ti posso dire con sicurezza quello che pensavo da tempo: abbiamo fatto male ad imbarcarci. in un'impresa più grande delle nostre volontà congiunte; abbiamo sbagliato a pensare che rompendo ogni legame col passato, illudendoci di scappare dalla Terra verso un nuovo mondo, noi avremmo potuto ricominciare daccapo come se niente fosse accaduto e che forse tu od io avremmo subìto l'influsso di questo strano mondo metallico o di qualcos'altro che ci avrebbe fatto riflettere…

Ma non è stato così e, ora, siamo giunti ad un bivio.

Oggi più che mai sento la verità delle mie parole; solo ora capisco che "qualcosa" in me si era rotto prima della partenza.

Per le mie parole puoi chiamarmi ingenua e sentimentale, ma non resisto, non resisto.

Ed… Ed…


Che ne è del nastro amore così travagliato da incomprensioni reciproche, dalle scuse, dai ripensamenti, dalla nostra felicità, che tanto rapidamente volava via, simile ad un gabbiano risplendente in un lontano mare azzurro che più non ci apparteneva?

Che ne è dei dolori e delle gioie della vita, così insensibile a noi ed alle nostre emozioni, che presto dimenticavamo, fino a procurarci il male tanto faticosamente evitato, che a sua volta cercavamo di nascondere l’un l'altra?

Ricordi quando al posto di queste fredde strutture metalliche vaganti per lo spazio esisteva un cielo azzurro e prati verdi, e un'alba, un tramonto, nel quale confonderci e godere delle nostre libertà?

Tanto lontano è dunque quel tempo per te? Nulla ricordi?

Tu, chiuso in un'angusta cabina, alla ricerca di un nuovo Eden da ormai troppo tempo… Stella dopo stella, attimo dopo attimo, non ricordi più che sia esistito un prato verde, un cielo, un'alba ed un tramonto… A volte dubiti perfino che sia esistita una Terra; irrequieto ed insoddisfatto, agiti i pugni contro l'universo ostile che ti circonda e non sai darti pace.

È finita Ed, addio.


L'altro giorno ho fatto un sogno orribile:

Ho visto la tua snella figura stracciare furiosamente la mia lettera d'addio, e ritornare nella cabina.

Ti ho visto indossare la tuta e uscire dal portello della sezione dell’astronave ferma per riparazioni esterne.

Le tue mani si muovevano troppo rapidamente ad imprudentemente tra griglie, pannelli e sblocca circuiti.

La mia rabbia, la mia decisione serpeggiava nella tua povera mente infranta, e ciò si rifletteva sul lavoro, in ogni singola mossa che compivi. All'improvviso un pannello difettoso si sgancia dall'attacco d'emergenza troncandoti, di netto le gambe e la tuta, creando vuoto attorno a sé.

I soccorsi arrivarono troppo tardi.

Poi vidi me stessa correre per i corridoi grigi, varcare esitante, con le lacrime agli occhi, la porta dell'infermeria, dove su un lettino si trovava un corpo, sorpreso nello spasmo improvviso della morte.

Le mie lacrime si mischiarono al tuo sangue, i rimorsi ai rimorsi…

Sentivo dire alle mie labbra, che più non ti appartenevano, parole incomprensibili di perdono.

Fortuna che si è trattato di un brutto sogno e di nient'altro… Quasi mi viene da ridere!


Ed… lo sai? Credevo di averti perso… Al solo pensiero ho creduto d’impazzire, e poco ci è mancato, perché nonostante i miei propositi per lasciarti non avevo nessuna intenzione di farlo.

Solo quell’incubo di cui tu sai mi ha fatto capire quanto sei importante e come sarebbe vuota la vita senza di te... Ora che l'incubo è finito e che io sono sveglia…

Gli altri mi tengono rinchiusa, mi impediscono di vederti dicendomi che sei morto realmente, che non si p trattato di un incubo... Credono che io sia diventata pazza!

Ma io non sono pazza e tu non sei morto.

Ogni sera vieni a trovarmi, silenzioso come un'ombra leggera e mi dici tutte quelle cose che non mi hai mai detto. E quando la tua immagine pare vacillare ai miei stanchi occhi, e il tuo corpo sembra dilatarsi nella sua ossessiva trasparenza, le mie labbra sussurrano, con dolcezza: - Anche se non ricordi... non aver paura, non te ne andare.

Ti sono vicina, col mio amore.

Io ti aiuterò a ricordare.






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