POLI Elena
Racconti:
"La notte degli epitaffi", "Alter" n. 13/'82, ed. Milano
libri-strutturalmente molto risaputo, questo racconto vede una giovane
segretaria in vacanza ricevere la visita, se così si può dire, di un pacco:
"C'era un pacco di carta marrone, ai piedi del letto, legato con dello
spago, che non aveva mai notato prima.". In esso vi sono delle bottiglie;
ma in una, in particolare, vi stà l'epitaffio: "...l'insetto che fermenta
la grappa". Spinta dalla curiosità, la apre, e ne esce: "...un grosso
insetto nero, col corpo ellittico e quattro zampe attaccate ad ognuna delle
estremità appuntite.". Seguono sequenze da incubo: "Avrebbe voluto
urlare, ma dalla bocca le usciva solo un lamento fioco e stridulo.". Tutta
quanta la pagina finale è, come ho già detto, risaputa; lei si sveglia, tutto
sembra il prodotto di un incubo, ma poi non è così, gli epitaffi (perchè erano
più di uno) ci sono anche da sveglia. Dunque, senza dubbio, un tipo di
problematica che, direi, si può accostare senza grande sforzo a quella di Philip
Dick, per lo meno per quanto riguarda, appunto, quei finali in cui sembra che
tutti i tasselli vadano al loro posto e proprio all'ultimo, invece, fanno
intravedere l'abisso, l'incubo, l'instabilità; certo non ci si può non
ricordare, a questo proposito, il famoso pensiero di Freud sul perturbante,
ovvero il fatto che il ritornare ossessivo di un qualcosa che spaventa sia,
appunto, portatore di turbamento. (2 pagg.)
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