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Gli occhi della notte


di Enzo Conti-FANTASY

"I libri di fantasy" n. 8, ed. Fanucci, '83; 211 pagg., 8.000 £ (4,13 €); © by Fanucci Editore


Di Enzo Conti Pilo, nell'introduzione, dice che ha "...bruciato le tappe...", nel senso che è arrivato a questa sua prima esperienza professionale, dopo che i suoi racconti giravano nelle fanzine da appena la metà dell''82.

In ogni modo, nel volume sono compresi un romanzo, quello del titolo, più un romanzo breve, "Il patto".

Il romanzo, di conseguenza, non è molto lungo, 129 pagine; innanzi tutto, vi dirò, a me è piaciuto abbastanza, così, a puro livello di gradimento estetico personale e velleitario; comunque, per dire qualcosina di un attimino più pregante, c'è da dire che caratteristica principale del modo di scrivere di Conti sono le frasi brevi, scattanti, e una trama lineare, non eccessivamente complicata, molto facilmente seguibile, gustabile, con poche concessioni al superfluo.

Le scene sembrano, a volte, trascinarsi un pò troppo per il lungo, ma ciò non viene a connotarsi negativamente, nel senso che va a finire che ci si accorge solo alla fine di un capitolo che ciò che vi è stato descritto è un accadimento molto limitato, ma senza che se ne sia ricavata un'impressione di stiracchiamento; buon esempio il sesto capitolo, in cui l'unica cosa che succede è l'attraversamento di un ponte da parte di alcuni personaggi; poco più di sei pagine, niente di forzato, tutto funzionale alla trama.

Pilo, sempre nell'introduzione, parla di fantasy religiosa, e a ragione: il substrato è indubbiamente religioso, anche se, a risaltare, a fare interessante il tutto, stà proprio il netto contrapponimento tra la valutazione religiosa e quella storica dei fatti; in sintesi il messia che stà al centro della narrazione è mal interpretato dal clero, per ignoranza, mentre coloro che sanno, disprezzano la religione come un mucchio di fandonie.

Direi che la posizione che si profila è piuttosto gnostica, con il destino a svolgere un ruolo decisamente centrale. Non c'è, poi, una gran fiducia nella possibilità dell'uomo di giostrare il proprio destino a proprio piacimento, ma, piuttosto, lo si vede come quasi un'entità a se stante, quasi tangibile, che gioca le sue carte al di là dei desideri e delle speranze degli uomini... un pò come in alcune tragedie dell'antica Grecia.

I vari protagonisti dell'opera sono, in un certo senso, stratificati, cioè hanno ognuno una visione di ciò che realmente accade, chi più chi meno consapevole, una specie di scala di consapevolezza, che, in definitiva, diventa anche una scala di potere. La conoscenza come potere, quindi, ma con sempre quel qualcosa di ineluttabile che soverchia tutti quanti, e che, alla fine, soprafarrà gli intenti di tutte le parti in gioco, gettando il tutto in un nulla di fatto.

Sconfitta si della religione dogmatica, fondata sull'ignoranza, ma sconfitta anche di quelli che sanno; e tale sconfitta, significativamente, viene proprio da un fattore non calcolato, non calcolabile, ovvero da un innamoramento, proprio fra due esseri posti agli estremi opposti della scala di consapevolezza; il messia che non sa di esserlo e che è il più sballottato dagli avvenimenti, e colui che è maggiormente cosciente di ciò che stà accadendo.

Razionalità e religiosità sconfitti, dunque, dall'empatia fra esseri umani, che scavalca pregiudizi, progetti e millenni di storia e tradizioni, che si pone su di un piano di atemporalità, di rivoluzionarietà; l'amore è dunque scardinante, anche qui, più di qualsiasi altra cosa. Ma anch'esso dovrà subire le angherie del destino.

Il romanzo breve "Il patto", è molto denso, innanzi tutto, nel senso che accadono più cose qui che non nel romanzo; l'atmosfera è molto pastosa; profumi e sensualità, mistero e morte, schiave, e un rito pagano della fertilità. Una vendetta e una quest al centro dell'opera, più il patto di sangue che diviene unione mistica fra due donne.

Anche qui la trama è lineare, ma molto debole il finale; sempre nell'introduzione, Pilo dice che questo brano fa parte di un ciclo; ciò, penso, può essere il motivo per un finale siffatto, in cui l'atmosfera sapientemente creata si disfà, si scolora, non perviene ad una sintesi, ad una conclusione reale; si ha il vago senso di qualcosa di incompiuto, di lasciato lì, si vorrebbe sapere come va a finire, al limite si prospetta come un buon inizio che avrebbe potuto trovare la sua soddisfazione in se stesso, e che invece si è voluto aprire ad una molteplice possibilità di proseguimento.

Alla fin fine mi auguro di poter reperire altri brani di detto ciclo, per sapere che fine faranno Alinor di Seregonn, la prostituta-guerriera, Evill, la ex Suprema, e se mai il loro patto di sangue si scioglierà, con la morte di Sharu, il sacerdote... che, chiaramente, è esattamente l'intento di Conti!






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