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Il grande ritratto


di Dino Buzzati-FANTASCIENZA

'60, "Narratori italiani" (4 edizioni), "Scrittori italiani e stranieri" (2 edizioni), "Oscar narrativa" n. 373, ed. Mondadori, ?, ?, '81; © by Arnoldo Mondadori Editore S.p.a.; 167 pagg., 2.500 £; prezzo remainders: 4,13 € (ed. "Oscar narrativa")-finalista (3°) premio "Italia" '82, miglior romanzo fantasy; tradotto in francese, come "L'Image de pierre", '61, '82, '84, '98, tr. Michel Breitman


Altri contributi critici:

-"Introduzione", di Maurizio Vitta, pag. 5

-"Antologia della critica", con interventi di Pietro Citati, Giuliano Gramigna, Claudio Marabini, Renato Bertacchini, pag. 12

-"Invito alla lettura di Buzzati", di Antonia Veronese Arslan, "Invito alla lettura" n. 23, ed. Mursia, '74, pag. 97

-"Il fantastico nobilitato", in "Le frontiere dell'ignoto", di Vittorio Curtoni, "Saggi" n. 2, ed. Nord, '77, pag. 195

-"Il mondo come immagine", di Massimo Del Pizzo, "Future shock" n. 1, '86, pag. 1

-"Una macchina fantastica per Ceccato e Buzzati", di Giulio Nascinbeni, "Corriere della sera" del 28/12/'97

-vedi il mio "Il realismo magico di Buzzati"


Buzzati, come forse saprete, oltre alle sue opere più conosciute, ha anche scritto questo romanzo, che si può senz'altro dire di fantascienza, anche se, come dice il Vitta ell'introduzione: "L'espediente dell'ambientazione fantascientifica è certamente più legato all'immediata attualità che alla riflessione pacata e bruciante sui tipici motivi della narrativa di Buzzati, ma l'interesse che lo sostiene è al fondo lo stesso." (pag. 10).

Nel bell'articolo del Nascinbeni, si dice di quale sia stato, per così dire, il fatto, di cronaca, che attizzò l'interesse di Buzzati per l'argomento che è il Novum specifico di ques'opera; la presentazione di una delle primissime macchine pensanti, ad opera di Silvio Ceccato, di cui scriverà, il 30 maggio '64, sul "Corriere", "Il cronista meccanico comincia a muovere gli occhi".

Claudio Marabini, in "Gli anni Sessanta. Narrativa e storia", ed. Rizzoli, '69, scrive, infatti: "S'intuisce la suggestione subita da Buzzati da certi temi scientifici sospinti fantasticamente al limite estremo della profanazione dell'uomo come prodotto di laboratorio." (pag. 13).

E, a giudizio unanime della critica, non è certo fra le sue cose migliori, ma, ancora il Vitta, dice: ""Il grande ritratto", pur nell'esilità della sua sostanza narrativa, costituisce uno dei suoi tanti tentativi di protendersi verso il mondo per cercare di comprenderlo attraverso i nascosti circuiti della sua sensibilità letteraria." (pag. 11)

Io, anche se concordando decisamente con quel giudizio, vi ho trovato parecchi spunti interessanti, prevalentemente tali per le loro interconnessioni con alcuni temi classici della nostra letteratura; infatti, il tema, dickiano per eccellenza, dell'umanità dei robot, della macchina costruita dall'uomo, ne è decisamente al centro, anche se, oltre ad alcuni brani in cui lo si dice appieno, poi, Buzzati, evidentemente, fa un discorso tutto suo, che ne esula alquanto.

Ma "Diversa dalla nostra (l'anima)? Perché? Che importa se l'involucro, invece che di carne, fosse fatto di metallo? Non è vivente anche la pietra?" (pag. 95), "E se un giorno il pensiero dell'automa sfuggisse ai vostri comandi e facesse da sé?" (pag. 96) e "...nel complesso era lei, però qualcosa ancora mancava, il segno, quella misteriosa essenza che fa ciascuno di noi unico al mondo." (pag. 119), potrebbero benissimo essere delle citazioni, appunto, da Dick, o Asimov.

Soprattutto l'ultima, con la quale, in qualche modo, si introduce quello che sarà il vero motivo del romanzo, che è un pensiero decisamente più sofisticato, un dire di temi umani decisamente più profondi.

La trama è incentrata su un progetto governativo mirante a costruire un computer dalle capacità illimitate, a scopi militari, ma al quale uno degli scienziati decide di... mettere l'anima di sua moglie morta.

"Era lontana, straniera, chiusa in desideri e pensieri inafferrabili.... E adesso ricomincia il supplizio. Di nuovo la sentivo vicina, palpitante, estranea e irraggiungibile." (pag. 120)

E l'aggiunta di Buzzati, che non credo conoscesse molto la fantascienza, è decisamente originale; ipotizza, infatti, dalla matrice letteraria sua, che, in un qualche modo, l'anima della defunta vada ad aggiungersi all'amalgama di umanità che le è stata inserita, con delle conseguenze sconvolgenti: "Se in questa Laura ricostruita da noi pezzetto a pezzetto, cellula a cellula, si insediasse l'anima della vera Laura, l'anima che finora vagava per la terra e per i cieli... se questa Laura diventasse la autentica Laura fino in fondo, se a poco a poco ritornassero in lei i ricordi della prima vita? e i desideri? e i rimpianti? ...che inferno diventerebbe allora la sua vita?" (pag. 124).

Infatti, quando la moglie di uno degli scienziati, sconsideratamente, decide di mostrarsi nuda a lei, di mostrare la sua umanità vera, di carne ed ardori, ecco che Laura ha come un collasso nervoso, se così si può dire: "Dice che vuole essere di carne. E non di pietra... la città, la città, perché non la vedo? Dov'è la mia casa? Muovermi, perché non posso muovermi? Perché non posso toccarmi? Dove sono le mie mani? Dov'è la mia bocca? Aiuto, chi mi ha inchiodato qui? Dormivo, così quieta. Chi mi ha svegliato? Perché mi avete svegliato? Ho freddo. Dove sono le mie pellicce? Ne avevo tre. Quella di castoro, datemi almeno quella di castoro. Rispondetemi. Liberatemi.... Le gambe. Le gambe mie dove sono? Erano belle. Gli uomini, per la strada, si voltavano a guardarle. Io non capisco più, io non sono più la stessa. Cosa è successo? Mi hanno legata. Mi hanno imprigionata. Il sangue. Come mai non sento battere il sangue nelle vene? Morta? Sono morta? Ho nella testa tante cose, tanti numeri, un'infinità di spaventosi numeri, toglietemi questi orrendi numeri dalla testa che mi fanno impazzire! La testa. Dove sono i miei capelli? Lasciate almeno che possa muovere le labbra. In fotografia le mie labbra riuscivano così bene. Labbra voluttuose, avevo. Me lo dicevano tutti. Oh quella schifosa donna che mi si è appoggiata addosso stamattina. Aveva due bei seni, però. Quasi belli come i miei. I miei? Ah il corpo, io non me lo sento più. Mi par di essere di pietra, lunga e dura, mi hanno messo una camicia di ferro, oh lasciatemi tornare a casa! . " (pagg. 147-49-50).

E i ricordi, di quand'era umana, la portano a quell'inferno che si temeva possibile: "...se riesce a ricordare gli episodi di quegli anni, i giochi, le amicizie, le gite, le feste, le vacanze, i viaggi, i flirt, gli amori, i sensi, come potrà adattarsi all'immobilità assoluta, all'impossibilità di mangiare un pollo, di bere un whisky, di dormire in un morbido letto, di correre, di girare il mondo, di ballare, di baciare e farsi baciare?" (pag. 152).

L'umanesimo, tutto italiano, di Buzzati, poi, lo porta a dire, forse, qualcosa di dickiano in una maniera del tutto differente, ed estremamente toccante: "Non sono Laura, non so chi sono, non ne posso più, io sono sola, sola nell'immensità del creato, io sono l'inferno, io sono la donna e non sono la donna, io penso come voi ma non sono come voi." (pag. 162); così come, ad un certo punto, una riflessione su ciò che ciò che si stà raccontando può implicare: "...i ricordi di chi muore non svanivano nel nulla, essi vagavano nel mondo all'insaputa dei viventi, aspettando." (pag. 154).

Dunque questo romanzo, che, come altri, di Buzzati, ha la struttura, invece, del racconto, anche non essendo fra le sue cose migliori, ci offre notevoli spunti, idee, come questa definizione di uomo, che mi è parsa, nella sua, in fondo, spaventevolezza, estremamente azzeccata: "L'uomo... Nel quale con rapidità addirittura precipitosa, nel giro di pochi milioni d'anni si può dire, si è prodotta una deformazione, un caso di gigantismo, una tumescenza che quasi quasi dubito fosse compresa nel progetto iniziale della creazione, tanto va poco d'accordo con tutto il resto." (pag. 93).

"Il deserto dei Tartari", "Barnabò delle montagne" e "Il segreto del bosco vecchio", sono, contrariamente a questo, fantascientifico, fantastici, il genere decisamente più dell'autore: "Narrare è, per Buzzati, enucleare dal trascorrere indifferente del tempo un brandello di storia, della quale l'inizio e la fine rimangono necessariamente imprecisati perché inconoscibili" (Vitta, pag. 5).






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