Il segreto del bosco vecchio
di Dino Buzzati-FANTASTICO
"I Garzanti" n. 442, ed. Garzanti, '77, "Master junior" n. 5, "Oscar narrativa" n. 1319, ed. Mondadori, '94, 2010
Altri contributi critici
-"Invito alla lettura di Buzzati", di Antonia Veronese Arslan, "Invito alla lettura" n. 23, ed. Mursia, '74, pag. 56
-"Il fantastico nobilitato", in "Le frontiere dell'ignoto", di Vittorio Curtoni, "Saggi" n. 2, ed. Nord, '77, pag. 193
-"Utopia anni trenta", di Cecilia Ghelli, "Linus" n. 4/'82, ed. Milano libri, pag. 118
-"Nel bosco di Buzzati", di Giuseppe Tesorio, "Corriere della sera" del 6/4/'91, su una riduzione teatrale
-"Al tavolo di redazione, sognando i boschi e gli abissi", di Giulio Nascimbeni, "Corriere della sera" del 6/10/'93
-"Buzzati, quanti bambini nel bosco vecchio", di Giovanna Grassi, "Corriere della sera" del 7/3/'99
-vedi il mio "Il realismo magico di Buzzati"
"Il
segreto del bosco vecchio", è un racconto lungo, e forse sarebbe più
giusto dire che è una lunga fiaba, in quanto a struttura, come anche "Barnabò
delle montagne", col quale è edito nell'edizione Garzanti.
Pubblicato
nel '35, passò praticamente inosservato a causa della situazione politica
italiana estremamente tesa e piena di paure.
Abbiamo
detto fiaba, e non a caso, che della fiaba ha tutte le caratteristiche
essenziali. Benchè all'inizio della narrazione si ponga un anno ben definito,
il 1925, come tempo in cui si svolge l'azione, qui ancora più che in
"Barnabò delle montagne" abbiamo un tempo metastorico, da cui è
avulso ogni riferimento alla realtà storica. Inoltre, abbiamo la tipicizzazione
della lotta fra le forze del Male e quelle del Bene, basilare elemento del
fantasy da sempre, e quindi dei personaggi che sono unicamente dei tipi, senza
uno spessore psicologico; si descrivono, attraverso di essi, simboli, non
esseri umani reali, immersi in un ambiente reale.
Ma andiamo
con ordine: il colonnello Sebastiano Procolo prende in eredità un appezzamento
di terreno nella Valle in Fondo, e, inoltre, la cura degli interessi dei
terreni del nipote Benvenuto. Nei suoi terreni è compreso il così detto Bosco
Vecchio, in cui "Da centinaia e centinaia d'anni non era stata tagliata
neppure una pianta." (pag. 137); ma il colonnello vuole sfruttarlo
razionalmente, e ordina il taglio di alcuni alberi.
Ed è a
questo punto che entra in scena la favola, con uno slittamento graduale, ma
deciso, nell'irrazionale e nel fantastico. Questo slittamento è tipico delle
fiabe moderne, in cui i contorni di una realtà fino a poco prima creduta
normale diventano a poco a poco incerti e favolosi, creando una credulità ed
una adesione del lettore alla storia, che certo non potrebbero sussistere se
fin dall'inizio fosse stato palesato il carattere anomalo del racconto. Il
primo slittamento lo abbiamo quando il colonnello arriva nel bosco insieme ad
una commissione forestale che vorrebbe fermare la sua opera di distruzione;
Bernardi, uno di questi, per giustificare le sue suppliche, racconta una
leggenda per cui il bosco sarebbe stato piantato da un vecchio brigante, secoli
prima, e poi aggiunge: "...ma chi lo dice, colonnello, che Giacomo non
possa tornare? Le dirò di più; lo si aspetta da un momento all'altro, può darsi
che sia di ritorno proprio stasera." (pag. 145).
Si arriva,
poi, al punto più significativo, all'introduzione a quella che sarà la vera
atmosfera del racconto; il colonnello, infastidito dal gracchiare di una gazza,
le spara con un fucile; lei, caduta a terra, così lo apostrofa:
"-Vigliacco-gridava la gazza-adesso mi hai ferita gravemente. No che non
ti dirò chi ho visto passare stanotte, no che non te lo dico." (pag. 149).
E lui non si scompone minimamente, anzi, intavola con l'animale una
conversazione serrata.
A questo
punto tutta la narrazione si è spostata su di un piano completamente
fantastico, e veniamo a sapere che Bernardi è uno dei geni che dimorano negli
alberi del Bosco Vecchio, e che il vento Matteo è stato imprigionato in una
grotta sotterranea. Il colonnello libera Matteo, e così si delineano
chiaramente quelle che sono le contrapposizioni fra Male e Bene: da una parte
il colonnello e il Vento Matteo, dall'altra i geni del Bosco Vecchio e il
nipote Benvenuto. Gli scopi delle forze del Male sono due: principalmente, il
taglio degli alberi del bosco, e, poi, l'uccisione di Benvenuto per ampliare la
tenuta.
Al taglio
del primo albero assistiamo ad una scena magistrale, in cui il genio che sta
per morire insieme a quell'albero viene salutato da tutti gli altri, con un
accenno ad un paradiso per alberi veramente divertente.
Nel
frattempo assistiamo al dilatarsi del fantastico, e man mano Buzzati ci avverte
che tutto è animato, pensante, perfino i mobili, i sassi, le montagne, e ci
troviamo di fronte ad una profonda, formicolante, vita delle cose, una specie
di esplosione vitale che dà un nome a una struttura espressiva a tutte le cose.
Il
dodicesimo capitolo è forse uno dei più significativi, e, comunque, contiene il
succo di tutta la storia; il colonnello va, una sera, al Bosco Vecchio, perchè
avverte che proprio quella sera vi succederà qualcosa di insolito; giuntovi,
infatti, vi trova una festa dei geni, con il Vento Matteo che tenta di cantare
delle canzoni di cui però non ricorda mai tutte le parole; ad un certo punto
interviene la voce di un bambino, a cantare, e i due riescono a portare a
termine il canto, in un'atmosfera da idillio naturale. Ma il colonnello vi
riconosce quella del bambino Benvenuto, e lo sgrida, provocandone la fuga. La
festa si smorza, si spegne, e tutti se ne vanno, con un'aria di desolazione
immensa.
L'ultimo
genio risponde all'ovvia domanda del colonnello: "...i miei compagni, lo
confesso, hanno avuto sempre una propensione per i bambini." (pag. 183);
"A una certa età tutti voi, uomini, cambiate. Non rimane più niente di
quello che eravate da piccoli. Diventate irriconoscibili. Anche tu, colonnello,
un giorno, dovevi essere diverso..." (pag. 184).
A questo
punto penso che la nostra trattazione abbisogni di un'affermazione estremamente
importante per la comprensione dell'opera; la trama è molto frammentaria, fatta
di brevi capitoletti che il più delle volte potrebbero essere favole a sè
stanti, ed alcuni lo sono nel senso più pieno della parola, come il capitolo in
cui si narra della lotta tra il vento Matteo ed un altro vento, più giovane e
più forte, che alla fine prenderà il predominio sul territorio prima
controllato da Matteo.
Dal
capitolo tredici inizia la serie dei tentati attentati alla vita di Bernardi,
che si risolveranno sempre in un fallimento, sia quello tentato personalmente
dal colonnello, lasciandolo da solo nel Bosco Vecchio, sia quello di Matteo,
che tenta di schiantare una vecchia casa in cui il ragazzo si era rifugiato.
Da questo
punto alla fine del racconto abbiamo un intrecciarsi fittissimo di episodi
diversi, che si intersecano continuamente. Dalla parte del colonnello e di
Matteo si mette anche un topo, di cui Benvenuto ha occupato il materasso in cui
era solito dormire, il quale lo minaccia di morte il ragazzo. Veniamo poi a
sapere che Benvenuto è solito andare a giocare con i suoi coetanei in un prato
al limitare del Bosco Vecchio; questi giochi sono: "...incomprensibili
faccende..." e "...poche cose sono misteriose e ancor oggi difficili
da penetrare come i giochi dei ragazzi di campagna." (pag. 231). Ogni qual
volta sul posto giunge il colonnello per spiate il ragazzo, tutto svanisce:
"Basta però la presenza di un solo uomo adulto a rompere quella specie di
incanto." (pag. 232, in nota).
Ancora un
salto di scena, ed ecco un episodio di chiaro significato allegorico: l'arrivo
di una strana carrozza da cui escono infinite farfalle che si dirigono verso i
Bosco Vecchio. Il colonnello compera una radio, ma non riesce ad ascoltarla per
i continui disturbi, "...quasi il rumore che fanno i boschi quando ci
passa il vento." (pag. 251). Bernardi, genio del bosco, confida al
colonnello che si tratta del lamento degli alberi, che sentono una minaccia
incombere su di loro. Ed infine ecco la sciagura; un'infinità di vermi invade
il Bosco Vecchio, incominciando un'opera di distruzione lenta ma inesorabile.
Per salvarlo, il vento Matteo raduna un esercito di icneumoni, insetti ostili
ai vermi; la battaglia è lunga, ma alla fine il Bosco Vecchio è salvo.
Altro
episodio molto importante è quello narrato nel trentesimo capitolo, che si
riallaccia strettamente al dodicesimo. Qui abbiamo una conversazione tra
Benvenuto e Bernardi, in cui quest'ultimo pronuncia le seguenti parole:
"Eppure verrà un giorno, non so quando... ricordatelo, mi par già di
vederti, ne ho visti troppi ormai di uomini... ecco, tu verrai al bosco, girerai
tra le piante, ti siederai con le mani in tasca, continuerai a guardarti
attorno, poi te ne andrai via annoiato." (pag. 267). E poi racconta di
come ciò sia già accaduto, con altri ragazzi che prima giocavano nel prato
vicino al Bosco Vecchio e che parlavano con i geni e cantavano con il vento
Matteo: "Come se il bosco sembrasse loro diverso"; "Eppure non
si poteva più intenderci..."; "...Loro ci passavano vicini senza
darci neppure un'occhiata..."; "Non riuscivano più a vederci, ecco la
ragione, non udivano più le nostre voci..."; "Avevano finito di
essere bambini, non se l'immaginavano neppure. Il tempo, c'è poco da dire, era
passato anche sopra di loro e non se n'erano affatto accorti." (pagg.
268-9).
Poi
Benvenuto rischia di bruciare vivo per uno dei giochi misteriosi dei ragazzi, e
si ammala, sia fisicamente che moralmente, in quanto sembra aver perso ogni
voglia di vivere. Nella notte bussano alla porta: "Erano cinque
incubi..."; "Siamo gli incubi per il ragazzo malato...";
"Il colonnello non parve stupirsi...e precedette le cinque parvenze fin
sulla soglia della camera di Benvenuto." (pagg. 277-8).
Nel
frattempo il colonnello è dichiarato colpevole da una giuria di animali per il
tentato omicidio del nipote.
Le vicende
si susseguono a ritmo serrato; l'ombra del colonnello, stanca di tutte le sue
malefatte, decide di abbandonarlo. Scacciati gli incubi, Procolo uccide il topo
che stava per far cadere una trave su Benvenuto. Poi stende un accordo con i
geni perchè guariscano il ragazzo e in cambio promette di non toccare più il
bosco, e l'ombra ritorna al suo posto. L'azione si quieta, anzi, pare
immobilizzarsi, e il colonnello si richiude in una vita solitaria e pigra, fino
a quando il vento Matteo, la notte di capodanno, lo avvisa che Benvenuto è
stato travolto da una valanga, notizia che poi si rivelerà falsa.
Il finale
è melodrammatico, forse un pò forzato; il colonnello esce nella notte e nella
neve con una pala per salvare il ragazzo, ma muore assiderato. Il vento Matteo,
legato misteriosamente a lui, muore, a suo modo, con un'ultima conversazione
fra lui e Benvenuto, con cui si chiude il discorso iniziato nel dodicesimo
capitolo e proseguito nel trentesimo: "Del resto, questa forse è la notte
famosa in cui tu finirai di essere bambino...è una netta barricata che si
chiude d'improvviso...non li capirai più, quando parlano, gli animali, nè gli
uccelli, nè i fiumi, nè i venti... rideresti anzi di queste cose." (pag.
316).E Matteo s'innalza: "...fino a che fu completo silenzio." (pag.
320).
Arrivati
alla fine, ci si rende conto che in effetti Buzzati ha voluto sì, fare una
fiaba, ma certo non ha rispettato tutte le regole: il Male non rimane tale fino
in fondo, e il Bene, come abbiamo visto, lo è al punto tale da dare
suggerimenti all'avversario; il colonnello si redime muore per fare del bene.
Questa è la morale, che risalta con estrema efficacia: la natura dell'uomo
porta inequivocabilmente e inesorabilmente all'allontanamento da quello stato
naturale e fanciullesco in cui si ha la capacità di meravigliarsi sempre e di
tutto e di ascoltare le mille voci del Mondo.
Ne è stato
tratto un film amonimo.
Originariamente in "The Dark Side" n. 2, '87
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