Un grido nella notte
di Grazia Deledda-OLDIES
"il Voltaluna" n. 23, ed. Solfanelli, '92, 62 pagg., 6.000 £; prezzo remainders: 6 €; © by Marino Solfanelli Editore
Altri contributi critici: -recensione
di Mariella Bernacchi, "Alpha Aleph" n. 3, '93, pag. 22 (vi si riportano pari pari le parole della seconda di copertina!!)
Grazia Deledda (Nuoro, 1871-Roma, 1936), premio Nobel '34, ha scritto anche alcuni racconti fantastico, che ci vengono qui proposti.
In essi si avverte un profondo senso cristiano della vita; lo Iengo, nell'introduzione, fa notare come il senso del magico che vi si avverte, non sia accostabile a quello
dannunziano, dionisiacamente nietzschiano: "...questa mitologia della Deledda, è diversa... da quella pagana classica precisamente per il senso di colpa e, conseguentemente, di rimorso che, molto meno dionisiaco ovviamente che cristiano, sistematicamente l'attraversa.
I racconti sono cinque, tre brevi e due, gli ultimi, più lunghi, dei quali solo tre sono veramente fantastici.
Il primo è "Un grido nella notte" (anche in "Chiaroscuro", ed. Fratelli Treves, '12 e "Novelle", ed. Il Maestrale, '94, e in "L'orrore al femminile", a cura di Elinor Childe e John G. Pinamonte, "Oscar" n. 1893, ed. Mondadori, '86; pagg. 11-8)-in cui una donna, dopo aver sentito l'urlo di un ragazzo che stava per essere ammazzato, ha delle visioni di morti che la ossessionano: "Mi volsi, e nella penombra, in mezzo alla chiesa, vidi un cerchio di persone che ballavano tenendosi per mano, senza canti, senza rumore; erano quasi tutti vestiti in costume, uomini e donne, ma non avevano testa. Erano i morti, maritino mio, i morti che ballavano!" (pag. 16).
Sono i fantasmi del suo senso di colpa ("...perchè io vivevo senza amore del prossimo e non ho ascoltato il grido di chi moriva." (pag. 17)), ed ella ne è consapevole.
Il secondo è "Lo spirito della madre" (pagg. 19-23)-altra storia di fantasmi, in cui, d'apprima, si ha la loro presenza ("...la sala si pienava di gente. Chi erano? Fantasmi." (pag. 20)), in cui essi non sono altro che persone altre, ma ben reali, poi li si evoca, più per gioco che per altro ("Non ci credeva, lei, no, che gli spiriti dei morti possono ritornare nel mondo per semplice divertimento di gente sfaccendata..." (pag. 21)), ed infine si ha, forse, un qualche tipo di accadimento fantastico: "...forse davvero lo spirito della madre era in quel momento penetrato in lei per animare la sua
creatura..." (pag. 23).
Si prosegue con "La cerbiatta" (pagg. 24-31): bel racconto, molto tenero, ma totalmente privo di elementi fantastici.
Il primo dei racconti lunghi è "La festa del Cristo" (pagg. 32-47): in cui l'anima di un vecchio avaro si reincarna in un cavallo: "...lo spirito del vecchio avaro non è stato accolto nè in cielo nè in terra e s'è rifugiato nel corpo dell'animale..." (pag. 35).
L'ultimo, "Il fanciullo nascosto" (pagg. 48-62): è un bel racconto d'atmosfera, dai toni tenui, ma ancora una volta privo di qualunque elemento fantastico.
Originariamente in "Intercom" n. 144/145, '97
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