Le metamorfosi di Ghinta
di Fabrizio Casa, "Collezione immaginario" n. 5, ed. Fanucci, 2001, 320 pagg., 12,91 €
Un’heroicfantasy tendente allo science, fantasy, lo definirei; infatti è ambientato in un mondo, nel quale vigono forme di governo medioevaleggianti, decisamente al
di fuori di ogni possibilità di avere una qualche attinenza con tempi e luoghi riconoscibili, ma nel quale, appunto, vi è un’elemento che sembrerebbe poter fare ipotizzare una qualche connessione, col nostro.
Un mondo (un pianeta colonizzato millenni prima dai terrestri?), del quale ancora i suoi abitanti non hanno conoscenza di tutte le terre emerse, ma nel quale uno
dei popoli che lo abitano ha scoperto qualcosa che non può che far pensare al computer, e dal quale prende conoscenza, e, conseguentemente, potere.
Ma questo aspetto della ricerca di un possibile chiarimento ontologico di quella realtà è solamente accennato, e per nulla approfondito.
Il fulcro tematico su cui si basa è indubitabilmente il mutamento; comincia, infatti, con la narrazione della morte del re supremo del popolo civilizzato, e dei mutamenti che essa comporta, per proseguire con il protagonista, Ghinta, che si era spesso chiesto cos’era, che non andava, in lui, cosa che appunto sentiva senza riuscire a capire, che si trasforma in donna.
Trasformazione, questa, spiegata come una delle conseguenze dell’esposizione ai Simboli parlanti, il computer.
E, macroscopico, il tentativo di rivoltare completamente il Sistema dominante, per sostituirvene uno completamente differente.
Il mutamento vi è visto come l’elemento che determina la possibilità di non restare inchiodati ad una condizione immutabile, stagnante: "…il mutamento e la trasformazione sono condizioni essenziali per il giusto equilibrio e… i confini tra l’oscurità e la luce, il caos e l’ordine, il dolore e la gioia sono puramente fittizi. Linee di demarcazione fissate da semplici convenzioni o
astrusi postulati, dettati da assurdi pregiudizi o vaneggiamenti di potenza." (pag. 156); il divenire naturale di ciò che è contrapposto alla forma di pensiero che vorrebbe, illusoriamente, ed impossibilmente, il mantenimento dello status quo.
E la metamorfosi di Ghinta ne è, ovviamente, una metafora: "…come lei aveva rifiutato il vecchio se stesso per costruirsi un nuovo corpo e una diversa personalità, così il mondo rifuggiva gli antichi equilibri e andava mutando in una direzione sconosciuta." (pag. 220).
Detto questo, passiamo a delle considerazioni, per così dire, marginali; cominciando, tanto per restare in tema, proprio da una bella metafora che vi si può trovare:
"Melodie e risonanze… si erano appoggiate là, sul rigo musicale, come uccelli migratori che improvvisamente abbandonino il loro stormo per impigrirsi su un filo teso del bucato." (pag. 110).
Poi, senz’altro da notare come vengano messe in rilievo le notevoli differenze fra il nostro mondo e quello della narrazione, a cominciare da una concezione della
sessualità decisamente differente: "…nella Nazione omosessualità ed eterosessualità erano posti… sullo stesso piano." (pag. 84), che fa un pò pensare all’antica Grecia.
In un paio di punti, poi, lo scrittore parla direttamente al lettore, ironizzando sulle convenzioni che vogliono che un determinato tipo di accadimento narrativo
debba avere per scenario un determinato tipo di clima: "All’alba di un giorno immancabilmente umido e nebbioso, poiché l’epopea bellica pretende simili
condizioni climatiche quando ci si prepara a uno scontro…" (pag. 267).
A dire il vero, la narrazione stenta alquanto a "prendere l’avvio"; le due prime intere parti sono alquanto stucchevoli, con, solamente, intrighi di palazzo ai quali difficilmente ci si riesce ad appassionare.
Poi, però, per fortuna, si ha un bel colpo d’ala, ed incominciano ad inserirsi, spesso e volentieri, delle trovate, rese anche bene, che lo fanno decisamente decollare.
Ed è proprio la terza parte, nella quale il protagonista è esiliato in una terra nella quale convivono, nella mutua comprensione e collaborazione, addirittura Uomini e… aquatici, pesci senzienti e socialmente organizzati, la migliore.
In conclusione, un’opera alquanto discontinua, in quanto a riuscita, un pò criptica (il messaggio che vuole veicolare non è per nulla chiaro), e che, a mio parere,
avrebbe potuto essere migliore se avesse "dato retta" all’idea del computer civilizzante assecondando un pò di più l’umana curiosità a tentare di capire la natura del luogo nel quale si trova.
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