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di Giampiero Cinque, ed. Vie della tradizione, ‘81, 64 pagg., 3500 £; prezzo dei remainders: 6.50 €


Bella antologia del Cinque, che raccoglie tre dei racconti segnalati al premio "Edicola" Poggibonsi/Firenze ’78, i primi, più altri due.

Il secondo, ci dice l’autore nella "Nota dell’autore" (pag. 9), là era intitolato "Il mercato".

Nella "Prefazione" (pag. 5, in francese, e 7, in italiano), Ion Hobana dice, di questi racconti: "Impregnati del suo amore discreto per le dottrine alchemiche ed esoteriche…". Ed è infatti decisamente questo il tratto che maggiormente li contraddistingue.

I primi quattro sono racconti fantastici, e solamente l’ultimo è Sf. Ma, tutti, sono scritti in un’ottima prosa, dall’andamento sempre piuttosto lento: "…un prosatore senza complessi, esperto in chiaroscuri che usa le parole con eleganza non ostentata.", dice ancora l’Hobana. E meritarsi questa stima da una figura come la sua non è certamente cosa da poco.

Ogni racconto è poi illustrato da un disegno, mediamente non esaltante, di Caterina Prezzemolo.

Ma andiamo a vedere i racconti.


-"Lo scherzo" (pagg. 15-25)-un vecchio racconta ad un visitatore sconosciuto, che è solamente una muta controparte del suo dire, un episodio del suo passato.

Uno scherzo, appunto. Che aveva messo in mezzo lui, autore di un libro sull’alchimia, due suoi amici, e un altro studente anch’egli appassionato di quella materia.

Che si era risolto, però, non più nel divertimento di quando erano giovani, e ne facevano tanti, ma solamente in una malinconia, in un senso della pochezza di ciò che avevano fatto.

Che, però, ebbe uno strascico. L’ultimo alchimista, che aveva nominato in una nota del suo libro, e che poi aveva interpretato nello scherzo… lo venne infatti a trovare.

Oltre al tramontare dei sogni giovanili, dice quindi anche della struttura stessa del Reale, delle sue misteriose interconessioni sommerse, che possono essere totalmente estranee al normale rapporto di causa/effetto: "…un gesto o una parola possono creare fili inestricabili che si insinueranno in diversi modi nel tessuto di molte esistenze, anche quando questo sfugge alla nostra comprensione." (pag. 25).


-"Il fiore bianco" (pagg. 27-32)-una sorta di incubo che capita ad un tipico uomo d’affari occidentale in Arabia. Tipico perché consciamente razionalista, disdegnante qualunque sfumatura che non lo sia.

Per far trascorrere le ore che gli restano all’arrivo del taxi che lo porterà all’aeroporto, decide di recarsi al famoso mercato della città. Ma, là, tutto diventerà quasi irreale, e lo assalirà una sensazione di inutilità cosmica: "Un treno lunghissimo dai vagoni vuoti che correva a velocità folle su un binario che non portava in alcun luogo." (pag. 31), gli appare la vita.

E, poi, vi rimarrà invischiato, incapace di trovare un’uscita che dovrebbe essere facilmente raggiungibile, ma che sembra svanita nel… nulla.


-"Un uomo da rispettare" (pagg. 33-44)-un "uomo in rivolta", che, improvvisamente, senza una ragione apparente, decide di lasciare il lavoro, e… di non fare nulla. Se non starsene a casa, seduto, a fantasticare.

Fantasticherie nelle quali si muovono due personaggi, che gli diventano sempre più vividi, fino a quando lo divengono talmente da uccidere tutta la sua famiglia.

Ma, ed egli lo sa bene, erano "…me stesso… ciò che io volevo essere e fare…" (pag. 44); è che era, appunto, un "uomo in rivolta", contro la vita, contro il sistema, di vivere, che ormai gli era diventato insopportabile: "…la gente che va in ufficio a piegare i lombi davanti ai superiori, ad alimentare la speranza magra dell’aumento e della gita domenicale, la gente che insegue il tram che fugge come fugge la vita, la gente che ha il cuore blindato per impedire che entri di soppiatto la voce che dice come sono fatti i taselli che formano il mosaico del fallimento…" (pagg. 41-3), contro il perbenismo falso nel quale era sempre vissuto: "…il loro aspetto da persone perbene… fece montare la rabbia dentro di me…" (pag. 43).


-"Le mani" (pagg. 45-51)-uno scrittore ha un grave incidente d’auto, che lo sfigura gravemente, ma un innovativo intervento chirurgico lo restituisce ad una vita normale.

Gli hanno, anche, "attaccato" delle mani nuove.

Di cui riesce a sapere il donatore.

Come in "Lo scherzo", anche qui, poi, arriva ad una condizione mentale nella quale i normali rapporti di causa/effetto sembrano stravolti. Il donatore, suicida, ha in casa un suo libro nel quale descrive… la sua casa!! E delle statuette di cera che raffigurano lo scrittore. In un urlo di dolore.

Il tutto è detto come il ricordo del protagonista, seduto su un marciapiede, dopo quella visita, che si dice la possibilità che, quell’uomo, rappresentasse: "…il mio più oscuro alter-ego, quello ambiguo, misterioso, maligno che forse tutti abbiamo e che teniamo in profonde prigioni, dentro di noi, come un fratello demente in una stanza buia chiusa a doppia mandata." (pag. 51), che mi pare di poter dire che voglia dire non tanto l’essere tale di quel personaggio, quanto che, le regioni oscure dell’Essere, dove vigono leggi ben diverse da quelle normali, sono appannaggio di quella parte, di noi.


-"Intrabit ut vulpis" (pagg. 53-62)-Sf del dopo-catastrofe. Molti secoli dopo che l’umanità venne quasi estinta da una guerra atomica, i sopravvissuti hanno costruito una civiltà basata sulla sapienzialità orientale: "…la legge degli opposti vuole che il progresso si rovesci nella barbarie, il male nel bene, la notte nel giorno, ogni cosa che giunge all’acme… nel suo opposto.; ...non esiste un’evoluzione lineare degli eventi, bensì un ritorno ciclico, come il volgere delle stagioni e il ritmo sapiente delle sistole e delle diastole nel corpo umano.; ...ogni cosa che giunge a maturazione e a compimento vuole morire." (pag. 54).

Ma la natura umana non è ancora cambiata, a nulla è servita la terribile esperienza. Infatti quando il protagonista scopre, dai suoi studi, ancora, alchimistici, un terribile esplosivo, quelli che aveva creduto saggi sovvertono le leggi, pur di potersene impossessare.

Praticamente, è una trasposizione fantastica del rovello dello scienziato di fronte al problema etico dell’uso che si potrà fare delle sue scoperte: "…un Asceta perviene talvolta a conoscenza che potrebbero divenire un’arma rovinosa fra le mani degli incauti e degli avidi di potere." (pag. 55). Ma forse, visto il ruolo che vi hanno le filosofie orientali, potrebbe anche significare il fatto che certe idee, conoscenze, devono restare elitarie, in quanto incomprensibili, alla persona comune, che non potrebbe che travisarle. Vi si dice la Volontà di Potenza…


Ecco; la qualità, abbiamo visto, è sempre più che buona. Le idee forse non sono fra le più attuali, ma non è certo detto che, per far buona letteratura, si debbano proporre idee… alla moda.

Certo sono racconti che difficilmente un grosso editore potrebbe pubblicare, ma le ragioni, di ciò, sono solamente di mercato.

Non certo di qualità.






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