Blue Rose nella terra dei maghi
di Stefano Pastori, "Gli emersi narrativa", ed. Aletti, 2010, 15,00 €, 296 pagg.
Un fantasy tipicissimo, che risente in maniera molto vistosa dei recenti successi commerciali del genere, da Harry Potter a Il signore degli anelli, e che ha a protagoniste due adolescenti che sembrerebbero vivere nel nostro, normale, mondo. Solo che, dopo non molto, capiamo che non lo è affatto.
Infatti, là, vivono, accanto ai normali, maghi potentissimi, fra i quali i genitori delle protagoniste. Che ben presto, quindi, si inoltreranno in questo universo magico che sembrerebbe avere come motto "Se lo pensi, esiste".
Ma, da questo inizio un pò, come ho detto, alla Harry Potter (c’è una scuola di magia, e questi apprendisti maghi…), poi si passa abbastanza rapidamente a tutt’altra atmosfera, un pò alla Signore degli anelli, appunto, nella quale assistiamo niente di meno che all’assalto delle orde dell’inferno alla città dei maghi.
L’avventura, i colpi di scena, e battaglie maestose, non mancano certo, e il finale non potrà che essere positivo.
Dunque quest’opera prima del Pastori è stata evidentemente pensata per poter essere fruibile, e commercializzabile. E il risultato direi sia buono, visto lo scopo che ci si era prefissati.
Certo è un fantasy, e come tale non dice altro che la solita lotta fra Bene e Male, con l’Amore che alla fine trionfa. Vi si citano si dei passi della Bibbia, e l’intento morale di essere, quasi, un inno a Dio è evidente, ma non altro.
L’autore mi ha detto che, all’interno, c’è anche la possibilità di un livello di lettura più profondo, basato sulla numerologia, ma che, per chi, come me, non ne sa nulla, risulta indecifrabile.
La prosa scorre bene, piacevole, in una costruzione del periodo che mai deborda in sconclusionatezze che, a volte, si trovano nelle opere prime, anche se in alcuni punti, soprattutto nella prima parte, ci sono delle scene, delle idee, che sembrano solamente abbozzate, non sviluppate, come se si avesse avuto fretta di proseguire, per raccontare quanto si aveva da raccontare, e non si fosse riusciti a farlo, appunto.
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