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Inserito : 10-12-2009 @ 08:42 am |
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Un leggero e continuo fruscio si insinua nella mia mente, con una reazione del tutto involontaria alzo la testa. Sbadiglio. Per alleviare il torpore alla testa la faccio roteare.
Magari è solo l’unità di pulizia che dà la caccia ai topi; il pensiero mi rassicura. Con gli occhi chiusi faccio roteare ancora la testa.
Qualcosa mi afferra il braccio, spalanco gli occhi e un’ombra mi scuote con violenza. Poi una voce mi urla addosso.
“Ehi!, Ehi!, dottore, si svegli”.
“Si, eh? Cosa c’e’?”, bisbiglio.
Davanti a me un uomo dalla barba folta mi fa segno di non alzarmi, da sotto l’impermeabile sfila un fucile appoggiandomi la canna alla tempia. Alza la gamba e assesta un colpo alla sedia mandandola in frantumi. Mi ritrovo disteso e con la faccia incollata al pavimento in attesa che la pressione del fucile sulla nuca si allenti.
“Cosa vuole?”, gli sussurro.
“Stia zitto, Dottore Otrebor, lei sarà giustiziato”.
Sono disorientato. Un estraneo stava minacciandomi di morte ed erano circa cento anni che non si verificavano comportamenti di questo genere, doveva trattarsi certamente di un errore.
“Perché mai dovrebbe uccidermi, io non la conosco, e poi gli androidi non sono in grado di compiere atti di violenza, cosa vuole veramente?”.
Con il calcio del fucile mi assesta un colpo alla spalla lacerandomi la pelle da dove fuoriesce un liquido verdastro.
“Sei tu il disgustoso androide; cosa ne dici se adesso ti faccio un bel buco alla testa? Alzati dannato pezzo di ferro, ci stanno aspettando”.
Il tizio mi prende per il braccio e con un salto si butta verso la finestra buia. Il vuoto mi afferra risucchiandomi, sento venire meno la sua presa e poi qualcosa di morbido ferma la nostra folle corsa; una fitta mi percorre la spalla.
“Non è ancora ora di morire”, bisbiglia l’uomo dalla barba nera.
Un rumore di passi mi circonda, altri uomini si congratulano con il mio aggressore e delle voci si alzano dal gruppo.
“Ora che è nostro, deve pagare”.
“Pagare? Cosa, cosa dovrei pagare? Io sono un cittadino onesto, e poi che storie sono queste, non sapevo dell’esistenza di androidi per il recupero debiti”.
“Avete sentito? Crede che siamo degli androidi esattori, ah!, ah!”, dal gruppo si leva una sonora risata.
L’uomo si avvicina, con la mano mi preme sulla spalla malconcia e sussurra.
“Ti sbagli, non siamo androidi, siamo umani”.
“E’ assurdo, la razza umana si è estinta con l’ultima grande guerra quasi cento anni fa, segnando la fine della violenza e la rinascita di un nuovo mondo dove la pace e la serenità regnano sovrane. Gli androidi sono stati testimoni della resurrezione di Dio. E’ un folle colui che vi ha ridato la vita.”
“Avete sentito?, l’androide ha parlato di Dio. Lei Dottor Otrebor ha dato agli androidi la nostra fede, i nostri sentimenti, la nostra anima. Siamo tornati per riprenderci quello che è nostro per diritto divino.”
L’uomo si avvicina brandendo il coltello, due uomini mi afferrano la testa e sento la lama che mi sfiora la nuca e poi un leggero clic.
Si gira verso il gruppo, solleva il braccio verso l’alto serrando il pugno e poi urla.
“Ecco il loro falso Dio, quello a cui credono”.
L’uomo mi afferra la mano e dal pugno chiuso lascia cadere sul mio palmo una minuscola piastrina di metallo, è il modulo Edef.
Vedo nei suoi occhi splendere la fiamma dell’odio. Guardo la piastrina e gli sussurro.
“Questo è quello che voi avete disprezzato della vostra anima, tutto quello che di buono c’era in voi, Io l’ho riscattato: la gioia nella contemplazione dell’universo materiale ed immateriale, la pietà, l’amore e l’onestà. Un Dio generoso vi ha affidato il mondo e la vita e voi li avete distrutti, terminando i vostri miseri giorni gioendo per la vostra reciproca violenza e crudeltà”.
Allungo il braccio verso la nuca nel tentativo di riposizionarlo nel suo alloggio. Una mano si frappone e la piastrina cade al suolo. L’uomo dalla barba nera lo calpesta ed il modulo scricchiola sotto il suo peso.
“No, bastardo, cosa hai fatto!”, impreco.
“Avete sentito, l’androide mi ha dato del bastardo. Poveretto, senza il modulo Edef sei diventato uno di noi, eh? Forse mi vuoi uccidere? Sarà un gioco da ragazzi spazzarvi tutti via”, sento la sua gioia per la mia debolezza che scoppia in una fragorosa risata.
Senza la piastrina non sono in grado di bilanciare l’aggressività. L’idea di ucciderli mi riempie di gioia; la loro sofferenza soddisferebbe il mio desiderio di giustizia. La loro presenza è portatrice di caos e disordine.
“Androide, sono sicuro che stai cercando il modo per farmela pagare, non è così? Uccidere un umano darebbe un senso alla tua vita di insensibile pezzo di ferro, vero? Tieni, afferra quest’arma e mostraci cosa può fare un uomo senza Dio”.
Mi afferra la mano appoggiandola sul calcio della pistola e il dito sul grilletto. Con il pollice tira indietro il cane, e poi si sistema la canna in mezzo ai suoi occhi. Tutto in lui trasuda disprezzo. Il suo odore comincia a essere insopportabile, un essere così spregevole non ha ragione di esistere. Un leggero movimento del dito e quell’uomo sarebbe morto, sento i muscoli della bocca tendersi verso l’alto; un ghigno di felicità si delinea sul mio viso. Quell’uomo sarebbe diventato un ammasso di cellule prive di anima, avrei messo fine al suo mondo interiore, qualunque esso fosse. A questo pensiero di distruzione la presa sul grilletto comincia a diminuire, lo guardo negli occhi e alzando la canna giro la pistola appoggiandola sul mio petto.
L’uomo guarda i pezzi della piastrina del mio modulo Edef sparsi sull’asfalto.
Lo sento che esclama.
“Non puo’ farlo è privo di pietà”.
Osservando la sua faccia incredula gli sorrido, lui indietreggia. Nei suoi occhi vedo splendere una fioca luce di compassione, forse una nuova razza stava nascendo.
Aggrappato alla mia umanità muovo il dito sfiorando il grilletto. Un lampo mi offusca la vista e poi in lontananza un’intensa luce bianca e la pace dell’anima.
Ultimo aggiornamento il 10-12-2009 @ 08:50 am
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