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SPROLOQUIO sul mistero dell'esistenza del male e quindi anche del bene
di: damnic
Inserito : 04-11-2006 @ 03:46 pm

di DOMENICO RICCIO 1 - Aspettami un attimo, Ence - disse Elafia fermandosi a riprendere fiato. - Non ce la faccio più! Avevano fatto un salto a Pisa, la cittadina “vituperio delle genti”, conosciuta nel mondo per essere a circa diciotto chilometri da Lucca, ed ora stavano montando in fila indiana sulla torre “che pende, che pende e che mai non vien giù”. Anche Encevaldo, che era davanti, si fermò e si girò verso di lei. - Dai, su! - gli fece con tono sostenuto, agitando la mano per metterle fretta. - Non puoi mica bloccare tutta la fila! Vedi quanta gente c’è dietro? - Oh! - esclamò Elafia indispettita. - Se aspettano un secondo non casca mica la torre! - Che fai, vuoi portare iella? - la riprese Encevaldo. Era la prima volta che lui visitava Pisa e saliva sulla torre. - E’ rimasta in piedi per quasi mille anni - aggiunse Encevaldo toccandosi. - Non vorrai mica farla cascare proprio oggi che ci siamo noi! Si misero con le spalle al muro e fecero passare avanti un po’ di gente. Dopo un paio di minuti ripresero a salire ed Encevaldo si trovò casualmente dietro ad una gran bella biondona nordica con una minigonna mozzafiato e le mutandine bianche che si vedevano tutte. Rimase incantato ad ammirare lo splendido panorama che gli danzava proprio davanti al naso. - Ma cosa guardi! - lo rimproverò Elafia, tirandolo per un braccio. - Eh! - fece Encevaldo, scuotendo la testa e senza togliere lo sguardo da quella grazia di Dio. - Stalle ancora più addosso, mi raccomando! - disse ancora Elafia, notando che Encevaldo era ormai con la faccia a ridosso della minigonna della straniera. - Ti dovesse scappar via! Ad un tratto la vichinga si fermò e per poco Encevaldo non batté con il naso sulle chiappe di lei. Rimase fermo con la faccia a due centimetri dal sedere di lei. - Dai, visto che ci sei, baciale il culo! - esclamò con voce aspra Elafia, che seguiva da dietro tutta la scena ed aveva continuato a richiamare il suo ragazzo, il quale però fingeva di non sentire. Encevaldo non se lo fece ripetere e, prendendo alla lettera le parole di Elafia, dette davvero un baciotto schioccante sulla parte scoperta del sedere della biondona nordica. - Ma sei tutto scemo!? - sbraitò, con voce dura e frenata, Elafia furibonda e imbarazzata, che fino ad un attimo prima era convinta di avere a che fare con un ragazzo più o meno serio. Entrambi alzarono subito gli occhi per vedere la reazione della bella straniera. L’altissima vichinga si girò di scatto, guardò per un attimo negli occhi stupefatti e rassegnati di Encevaldo, il quale era lì pronto a beccarsi una sonorissima sberla o anche di peggio, e inaspettatamente gli fece un bel sorriso. Poi disse qualcosa d’incomprensibile ad una sua amica che la precedeva e che rise ad alta voce, quindi riprese tranquillamente a salire. - Ma guarda figure! - esclamò Elafia, che sembrava vergognarsi peggio di una ladra. - Ti rendi conto che... - Questo, ragazza mia, significa essere emancipati! - sentenziò placidamente Encevaldo, interrompendo le parole di lei, con un sorrisino compiaciuto sulle labbra. - Perché le donne, dovresti saperlo, sono state create per dare soddisfazione all’uomo ed io ora me ne son presa una piccola piccola. - Te, oggi, proprio non ti riconosco! - replicò quasi rassegnata Elafia, che ancora non era riuscita ad assorbire il disagio procurato dalla sconsideratezza del ragazzo. - Ma tu - chiese invece lui - la Bibbia l’hai letta? - Che c’incastra ora la Bibbia!? - Come che c’incastra! - la rimbeccò Encevaldo. - Non hai sempre detto di essere cattolica? - E allora? - Se sei cattolica, devi seguire gli insegnamenti della Bibbia, no? La Genesi - aggiunse dopo tre secondi di pausa. - Sai cos’è la Genesi? - Certo che lo so. - E sai anche cosa dice? - Parla della creazione del mondo. - E anche dell’uomo e poi della donna. E spiega con chiarezza il motivo per cui questo popò di grazia di Dio è stato creato. Ed Encevaldo indicò con la mano le chiappe della vichinga che continuavano a ballargli davanti agli occhi. - Ma allora sei scemo sul serio! - esclamò Elafia con furore. - La smetti di guardare il culo di quella lì? - Non mi dire che sei gelosa! - rise Encevaldo. - E poi dicono di quelli del sud! - Certo, però, queste straniere... andare a giro così... - commentò Elafia a bassa voce. - Voi ragazze italiane siete ancora troppo indietro - spiegò Encevaldo con tono sostenuto. - Non siete per niente emancipate, non capite... - Grazie! - ribatté Elafia indispettita. - Sei gentile come sempre! - Ma torniamo alla nostra Bibbia - disse ancora Encevaldo, riprendendo il ragionamento di poc’anzi. - Senti, cocco, prima però si fa una cosa - lo interruppe Elafia tirandolo per la maglia. Non ne poteva più di vedere il suo Encevaldo che continuava a fissare le chiappe della bionda stangona venuta dal nord. - Vado io avanti e tu vieni dietro di me. Ma anche così cambiava poco. Un gradino più in giù, Encevaldo lo spettacolo lo vedeva ancora meglio, anche se l’aveva un pochino più distante. Allora Elafia cominciò a rallentare fino a che la biondona non scomparve dietro l’angolo. - Devo ammirare il tuo? - domandò Encevaldo. - Perché, non ti piace? - E’ che il tuo te lo tieni ben coperto. Quel giorno Elafia indossava un paio di pantaloni, di quelli comodi, non attillati. - Però - aggiunse Encevaldo - ti sto guardando come fossi nuda e... - Ma la fai finita? - lo zittì lei. - Mi dici cosa ti è preso, oggi? - Allora - disse Encevaldo, fingendo di non dar peso alle parole della sua ragazza e riprendendo flemmatico il discorso di prima, - dove eravamo rimasti? Ecco, già, si parlava della Genesi e della creazione dell’uomo e della donna. Li conosci, no, i motivi per cui la donna è stata creata? C’è scritto con chiarezza. - E cosa ci sarebbe scritto? - Allora non l’hai letta! - E’ per questo che ti sto chiedendo di spiegarmelo - ribadì Elafia con quel poco di pazienza che ancora le restava. - Be’, visto che me lo chiedi, una mano potrei anche dartela - acconsentì Encevaldo. - Tra l’altro ho anche scritto qualcosa sull’argomento. Anzi, se ci tieni, te lo faccio leggere, così si fa prima. Per la verità il problema che tratto è un altro, ma anche il motivo della creazione della donna è parte fondamentale del mio sproloquio. - Sproloquio? - ripeté Elafia, un pochino incuriosita. - Sì. Si intitola proprio sproloquio. Non ti piace? - Mah! - Anzi, per essere più precisi, il titolo completo è questo: “Sproloquio sul mistero dell’esistenza del male e quindi anche del bene”. - E cosa vuol dire? - E’ la dimostrazione logica del motivo per cui esiste il male e... - Non mi dire che hai scritto - lo interruppe Elafia, che credette di avere intuito qualcosa, - che la donna è la causa di tutti i mali! - Più o meno ci sei, ma non è come pensi. Diciamo che Eva è servita allo scopo e quindi, commettendo il peccato originale e facendolo commettere anche ad Adamo, ha contribuito alla rovina dell’uomo e quindi alla sua felicità... e naturalmente anche a quella della donna. - Non ti seguo più - si arrese Elafia, tirando nel contempo un sospiro di sollievo. - Poi me lo spieghi meglio. Guarda che panorama! Erano finalmente arrivati in cima alla torre. - Dopo te lo faccio leggere. Il testo é chiarissimo. 2 Avevano appena attraversato la galleria che delimita il confine tra le province di Lucca e Pisa e scendevano con l’auto verso Santa Maria del Giudice, nel verde territorio lucchese. Encevaldo guardò Elafia e le fece un sorriso. - Oggi ti sei divertita un mondo sulla torre, vero? - le chiese. - Sei stato scemo forte con quella lì! - disse Elafia, che rivide la scena dentro di sé. - Ma come ti è saltato in mente di baciarla proprio lì? - Bacetto innocentissimo fu! - si difese Encevaldo, con un finto accento siciliano. - Lei che è del nord lo ha capito subito e mi ha anche sorriso. E poi, scusa, non sei stata tu a dirmelo? - Con te bisogna stare attenti alle parole... non si può neanche... - Vuoi proprio sapere perché l’ho fatto? - interruppe Encevaldo con voce allegra e suadente. - Sono proprio curiosa. - L’ho fatto perché ero felice. Felice di stare con te, di farti arrabbiare, di farti ingelosire, di fare una mattata, di... - Allora vuoi sapere un’altra cosa? - interruppe a sua volta Elafia, poggiando la sua mano su quella di Encevaldo. - Anch’io mi sento felice come non sono mai stata. Felice di stare con te, di vederti fare lo scemo, di sentirti dire sciocchezze. Encevaldo prese nella sua la mano della ragazza e la strinse. - Certo - aggiunse Elafia con soddisfazione. - Dopo tutti i guai che mi sono capitati, mi ci voleva proprio un matto come te che mi facesse star bene... La vita di Elafia era stata molto travagliata. Rimasta orfana di mamma a soli dieci anni e con un padre che si ritirava a casa quasi sempre ubriaco, aveva sofferto davvero tanto. A vent’anni, poi, aveva deciso di andar via di casa e si era stabilita a Lucca, dove faceva l’impiegata e viveva da sola in un piccolo appartamento del centro storico. Quindi aveva conosciuto Encevaldo, si era innamorata di lui e la sua vita sembrava cambiata. - Vedi che ho ragione io? - disse Encevaldo. - Se nella vita non ci fossero i guai, non ci sarebbe neanche la felicità. Dopo la tempesta viene il sole, dopo la notte il giorno, dopo i problemi le soddisfazioni, e viceversa. Ci vuole sia il male che il bene; o meglio, è proprio il male che fa capire ed apprezzare il bene, altrimenti non si darebbe peso a niente e ... - Che fai, il filosofo? - lo interruppe Elafia. - La filosofia mi è sempre piaciuta - rispose Encevaldo, - ma questo me l’ha insegnato la vita. - A pensarci bene, in effetti - ammise la ragazza dopo un attimo di riflessione, - tutti i torti non li hai. Chi ha sofferto, chi ha fatto una vita dura come la mia, le gioie dopo le apprezza di più. - E’ la tesi del mio sproloquio - confermò Encevaldo soddisfatto. - Sono proprio curiosa di leggerlo codesto tuo sproloquio. - Appena arriviamo a Lucca. Così imparerai che la donna è stata creata per far felice l’uomo e... - Rivuoi litigare? 3 Entrarono nel centro storico di Lucca da porta Santa Maria. Attraversata la piazza, raggiunsero in un baleno la via dei Borghi, parcheggiarono l’auto accanto alla chiesa di San Leonardo e, mano nella mano, si diressero verso la casa di Encevaldo, che era lì a due passi. Fatte le scale, entrarono ed Encevaldo abbracciò Elafia. Le bocche si cercarono e si unirono. - Ma non dovevi farmi leggere il tuo sproloquio? - chiese ad un tratto la ragazza, staccando le labbra. - Hai ragione. Ogni promessa è debito. Encevaldo raggiunse uno scaffale, prese una cartella e tirò fuori alcuni fogli dattiloscritti. - Ecco lo sproloquio - disse, porgendoli ad Elafia. Lei li prese e iniziò a leggere ad alta voce. “Sproloquio sul mistero dell’esistenza del male e quindi anche del bene”. - Ma lo devo proprio leggere tutto? - fece Elafia, interrompendosi subito e alzando gli occhi verso Encevaldo. - Mi sembrano tante pagine. - Non sono molte. Elafia riprese a leggere. “Nessuno pensi che la vita sia bella senza problemi. Una vita senza problemi, per noi, fortunati abitanti di questo mondo, non è neppure prevista, perché Dio, nostro creatore e padre premuroso, così ha voluto per il nostro bene. Il problema, dunque, non è quello di avere o meno problemi, perché per fortuna ci sono, ma di renderci conto che proprio essi sono la causa delle nostre soddisfazioni e dobbiamo ringraziare Dio per averceli concessi”. - Ma che dici! - fece Elafia. - Dobbiamo ringraziare Dio perché ci ha creato i problemi? Magari potessimo avere una vita senza problemi! - Sarebbe una vita inutile - disse tranquillo Encevaldo. - Invece sarebbe meraviglioso. E poi come fai a dire che è stato Dio a darci i problemi? Non ce li siamo creati da soli? - Mi sembra che tu faccia troppe domande. Vai avanti e capirai da sola. “In principio - continuò a leggere Elafia - Dio creò l’uomo senza problemi, lo chiamò Adamo, lo pose nel paradiso terrestre e pensò d’aver fatto cosa buona. Ma l’uomo, com’è noto, dopo aver dato il nome alle cose e agli animali, così come gli aveva detto Dio in persona, cominciò ad annoiarsi e non era affatto felice. Dio se ne avvide e si preoccupò. “Gli ho creato il cielo - diceva tra sé - con il sole per il giorno e la luna e le stelle per la notte, il mare che trabocca di pesci, la terra colma di animali e di piante, poi ho fatto lui a mia immagine e somiglianza, gli ho dato la vita e l’ho posto in questo paradiso dove nulla gli manca e dove tutto è a sua disposizione, perché dunque non è soddisfatto?”. Per un attimo pensò di discutere del problema proprio con Adamo, oppure con gli angeli (chi altri c’era?); perché spesso da quelli che meno te l’aspetti...! Poi, però, pensando alle conseguenze per la sua immagine, “per l’amor di Dio! “, esclamò e non ne fece di nulla”. - Descrivi Dio come se fosse un uomo! - commentò Elafia. - Un Dio che crea l’uomo, poi lo vede giù di corda ... e pensare che lo aveva fatto senza problemi! ... e non riesce a capire perché e si preoccupa di lui. - Proprio così. E’ un padre premuroso. “Non gli rimaneva - proseguì Elafia - che leggere nei pensieri dell’uomo. Lo fece e vide che Adamo era abulico e sciatto, aveva una sorta di cervello piatto. Non solo non era felice, ma non faceva niente per esserlo. E non se ne comprendevano neanche i motivi: se ne stava lì in disparte, solo, apatico e non sapeva neanche lui cosa volesse. Dio, però, voleva troppo bene all’uomo, lo considerava suo figlio, non sopportava di vederlo così, doveva fare qualcosa”. - E a questo punto, ci scommetto, gli creò la donna! - esclamò Elafia. - Non ancora - precisò Encevaldo. Elafia riprese a leggere lo sproloquio. “E cercò di dargli una mano. Allora - è scritto nella Bibbia - Dio modellò, ancora dal terreno, tutte le fiere della steppa e tutti i volatili del cielo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato gli esseri viventi, quello doveva essere il loro nome. Ne fece di grandi e di piccoli, di brutti e di belli, di simpatici e di antipatici. Appena creati, li conduceva all’uomo affinché egli li conoscesse, li chiamasse per nome, ci facesse amicizia e fosse con essi felice. Ma Adamo li guardava senza entusiasmo, metteva ad essi il primo nome che gli passava per la mente e, poiché non era attratto più di tanto da essi, si riponeva sdraiato una volta sotto una quercia e una volta sotto un ulivo, staccava i petali bianchi di una margherita, adocchiava distratto una foglia d’edera e un minuscolo garofano, capitati lì per caso, e si rigirava dall’altra parte più annoiato che mai”. - Parli di Adamo come se si trattasse di Romano Prodi! - disse Elafia alzando gli occhi e facendo un lieve sorriso. - Vedo che sei una buona osservatrice. - Ma visto che c’eri, perché non ci hai messo anche una falce ed un martello, così facevi tutto il centrosinistra? Anche Encevaldo sorrise. “Un giorno Dio - continuò a leggere Elafia, - guardando da lontano sotto la solita quercia, vide finalmente che l’uomo si era alzato e si dimenava tutto: sembrava giocasse con notevole interesse. Poi, avvicinatosi, capì che purtroppo la cosa era diversa. Non solo Adamo non si stava divertendo, ma, al contrario, era nervosissimo. Agitava le mani non certo per giocare, ma per scacciare gli ultimi, fastidiosissimi insetti che Lui gli aveva creato: le mosche e le zanzare”. - La storiella delle mosche e delle zanzare - commentò Elafia - non mi sembra un granché. Potevi farne a meno, anche per rispetto nei confronti di Dio. - Hai ragione. La cancellerò. “Il tempo passava e l’uomo continuava ad annoiarsi. Dio allora cominciò quasi a perdere la pazienza. “Ho impiegato solo una settimana per fare l’intero creato - disse dopo un paio di mesi, - ho donato tutto questo ben di Dio all’uomo che non lo apprezza per niente ed ora, dopo così tanto tempo, non mi riesce di trovare una soluzione per renderlo felice. Rimane però sempre la mia migliore creatura, l’unica creata a mia immagine e somiglianza, anche se sembra che mi somigli così poco. Comunque prima o poi ne verrò a capo e grande sarà la mia soddisfazione”. E rimase a riflettere”. - Dio perde anche la pazienza? - L’ha persa un sacco di volte da quando ha creato l’uomo. Pensa alla cacciata dal paradiso terrestre, alla torre di Babele, alla schiavitù del popolo eletto prima a Babilonia e poi in Egitto o, peggio ancora, al diluvio universale. - Già! “Per non farvela troppo lunga, vi dico subito che fu proprio quest’ultimo concetto a condurlo verso la divina, risolutiva intuizione: la soddisfazione deriva proprio dal problema, dalla sua soluzione, il gusto del riposo è causato dalla stanchezza, la gioia proviene dal dolore, la felicità dall’angoscia e così via. Il segreto era tutto lì”. - E infatti ora anch’io sono stanca di stare in piedi e se mi metto a sedere provo una bella soddisfazione. - Hai ragione. Mettiamoci a sedere. 4 Si sedettero entrambi sul divano ed Elafia riprese a leggere. “Adamo conosceva solo la noia, perché aveva tutto e non doveva far nulla. Come faceva a gioire, se mai aveva sofferto? Come poteva apprezzare la vita, la salute, la bellezza e tutti i doni che Dio gli aveva fatto, se non conosceva la privazione, la malattia, il dolore, la fatica? Se a un figlio concedi ogni cosa, egli non apprezza nulla. Senza dolore non c’è gioia, senza patimento non c’è felicità, senza male non c’è bene”. - Ma, insomma, la donna la fa o non la fa? - Tra poco farà anche la donna, così sarai contenta - rispose Encevaldo. - Ma condividi o no quello che hai appena letto? - Non so. Se ci tieni a saperlo, io sono ancora convinta che la vita sarebbe tanto più bella se non esistessero le cose brutte. - Dici così perché di cose brutte ne conosci già tante e di conseguenza ti farebbe piacere avere solo momenti belli. Ma mettiti un attimo nei panni di Adamo: lui era appena stato creato, non aveva alle spalle un mondo di nefandezze, non aveva esperienze di vita negative, non sapeva cos’era il dolore, ciò che era bene e ciò che era male e si annoiava proprio per questo. - Mi vorresti convincere che è meglio se si hanno problemi e sofferenze? - No. Vorrei farti capire che se non ci fossero problemi e sofferenze, non ci sarebbero neanche le gioie e le soddisfazioni. Elafia lo guardò per un attimo senza parlare e poi riprese a leggere. “E logicamente, più grandi sono le privazioni e i problemi e maggiori le possibili conseguenti soddisfazioni. Adamo, dunque, per essere felice aveva bisogno di problemi, di un sacco di problemi, e il Signore decise di aiutarlo. E poiché gli voleva davvero un gran bene e desiderava che gioisse alla grande, cominciò col regalargli il problema più grosso, quello capace di generare a catena un mare di possibili problemi, e gli creò la donna”. - Oh, eccola finalmente! - Sei contenta? - Immaginavo che avresti scritto così. La donna è dunque per te il problema più grosso che genera problemi a catena? Vorrei vedervi voi uomini senza le donne! - Saremmo ancora nel paradiso terrestre. - A morire di noia. - Vedi che cominci a capire? “Allora Dio scese nel giardino dell’Eden e fece cadere sull’uomo un sonno profondo. Poi gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. E Dio costruì la costola, che aveva tolto all’uomo, formandone una donna. Poi la condusse all’uomo. E quando l’uomo si svegliò, si stropicciò gli occhi, vide quella nuova creatura, la osservò con curiosità, s’accorse che anche lei lo guardava meravigliato e alla fine, senza saperlo, disse: “Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiamerà donna... e che Dio ce la mandi buona!”. Sia lui che lei erano ignudi, continuavano a guardarsi a vicenda, cominciarono a notare con sempre maggiore interesse gli organi che li distinguevano e, poiché Dio non aveva fornito loro alcuna spiegazione, convinto che almeno a quello ci sarebbero arrivati da soli, cercavano di capire se, oltre alle ordinarie funzioni corporali, quegli attributi potessero servire a qualcos’altro”. - Poverini! Dagli il tempo di provare! - Mi sa che non fanno in tempo. - Caino e Abele però li faranno! - Sì, ma dopo il casino del peccato originale. “Come ben sapete - continuò a leggere Elafia, - il primo atto della donna non fu quello di fare all’amore, bensì di farsi confondere dal serpente, di cogliere il frutto dall’albero proibito, di mangiarlo e di darne un boccone anche ad Adamo. Ma il serpente - dice testualmente la Bibbia - era la più astuta di tutte le fiere della steppa che Dio aveva fatto, e disse alla donna: “E’ dunque vero che Dio ha detto: non dovete mangiare di tutti gli alberi del giardino?”. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto che sta nella parte interna del giardino Dio ha detto: non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per paura che ne moriate”. Ma il serpente disse alla donna: “Voi non morirete affatto! Anzi Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno allora i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male”. 5 - Se la donna si è fatta confondere - precisò Elafia, - Adamo ci è cascato come un allocco! - Perché si è fidato! - replicò subito Encevaldo. - Qui, a pensarci bene, ci sarebbe anche un altro insegnamento. - Quale? - Questo: mai fidarsi della donna. - Invece dell’uomo... - Lo conosci il proverbio cinese? - Cioè? - Quello che dice: “Quando la sera torni a casa, dai subito una sberla alla moglie. Tu non sai perché, ma lei lo sa”. - E tu lo condividi? - Certamente! - E lo faresti anche con me? - Sei una donna fortunata: non sei nata in Cina. Andiamo avanti nella lettura. “Secondo me - proseguì Elafia - andò così: per stimolare Adamo e la donna a fare ciò che Lui voleva, Dio, che conosceva ogni meandro dei loro cervelli, ordinò di proposito di non toccare quel frutto, sapendo che in tal modo essi l’avrebbero sicuramente preso e mangiato. E così fu. E l’uomo e la donna, senza rendersi conto di aver ottenuto il più grande dono che potessero immaginare, quello della conoscenza del bene e del male, ne subirono immediatamente il primo effetto: si resero conto di aver disobbedito, di aver fatto la prima cosa non buona, il peccato originale. Si aprirono allora gli occhi di ambedue e conobbero che essi erano nudi; perciò cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Poi avvertirono la presenza di Dio, che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e si nascosero dietro alcuni alberi. Allora Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo rumore nel giardino ed ho avuto paura, perché io sono nudo e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha indicato che eri nudo? Hai tu dunque mangiato dell’albero del quale ti avevo comandato di non mangiarne?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu hai messo vicino a me, lei è stata a darmi dell’albero, e io ho mangiato”. E Dio disse alla donna: “Come hai fatto questo?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha ingannata, ed ho mangiato”. Ora mettetevi un attimo nei panni di Dio. Come poteva presentarsi a loro e dire: “State tranquilli, vi ho messo alla prova della mela solo perché voglio il vostro bene. Avrei intenzione di regalarvi un sacco di problemi e di guai perché voglio finalmente vedervi felici; vorrei che fatichiate duramente, ma solo per farvi comprendere la soddisfazione del riposo e come è saporito il pane guadagnato col sudore della fronte; che soffriate un mare di pene, ma per liberarvi dall’insopportabile noia dei vostri giorni; che vi ammaliate di tanto in tanto e qualche volta anche gravemente, ma soltanto per farvi apprezzare la gioia della guarigione e della buona salute; che litighiate e lottiate l’uno contro l’altra, perché possiate capire l’importanza della pace e della grazia di Dio; che moriate addirittura, perché solo così potrete apprezzare e godere ogni istante della vita e capire finalmente quanto sia grande il dono che vi ho fatto”? E magari avrebbe aggiunto: “Allora, cosa ne pensate? Son certo che mi capirete e mi ringrazierete”. No, non l’avrebbero capito”. - Della morte, però, poteva farne anche a meno! - Se al male corrisponde in egual misura il bene, al massimo male consegue il massimo bene. - Sarà, ma non ne sono affatto convinta. “Anzi Adamo, che si sentiva più innocente di Eva, si sarebbe arrabbiato ed avrebbe detto alla donna: “Mi hai messo proprio in un gran casino! Tu, donna, che sei stata creata, grazie alla bontà divina, per farmi essere felice - anche se non ho ancora capito come! - alla prima tentazione di un lurido serpente ci sei subito cascata; e come se non bastasse, la mela l’hai fatta mangiare anche a me. Appena sei comparsa in questo mondo, mi hai fatto perdere tutto il ben di Dio che mi era stato affidato. Ora, grazie a te, siamo fregati. Lui dice che ci vuol regalare un sacco di guai, che dobbiamo lavorare, soffrire e anche morire perché solo così saremo felici. Io di regali di questo genere ne faccio volentieri a meno, mi va bene come sto. Fatteli dare a te, goditeli tu tutti quei guai, visto che te li sei andati a cercare. A me il guaio più grosso me lo ha già regalato nel momento in cui ti ha creato e ti ha posto al mio fianco. Ma sai che ti dico? Io di te non so proprio cosa farmene, quindi via, fuori dalle palle, smammare”. - Sempre così gentili, voi uomini! - Quando ci vuole, ci vuole. “E la donna, che già si sentiva turlupinata dal serpente ed ora anche fortemente offesa dalle pesanti accuse dell’uomo, gli avrebbe risposto all’incirca così: “Tanto per cominciare, sono io che me ne vado. Cosa ci faccio con un biscaro come te? Possibile che ancora non hai capito perché io e te siamo diversi? Te lo devo spiegare io a cos’altro servono questi due meloni che ho qui davanti, questo popò di grazia di Dio che ho sotto e quel tuo coso lì sempre moscio? E quanto al resto, sei biscaro due volte. Ma te lo sei chiesto il motivo per cui Dio ci ha proibito di mangiare quel frutto? Visto che non ci arrivi, te lo spiego io: voleva che aprissimo gli occhi, che ci rendessimo conto delle nostre azioni. Ringrazialo, quindi, se ora anche noi si capisce qualcosa. Preferivi rimanere imbecille come sei per tutta l’eternità? E se poi Lui dice che ci vuol dare dei problemi, vuol dire che così sarà meglio per noi. Ma pensi davvero di saperne più di Lui? O bello, lo sai che ti dico? Visto come mi hai trattato, io son pronta ad accettare la proposta di Dio anche da sola; per lo meno se lavoro, ma lontano da te, avrò la soddisfazione di sentirmi realizzata”. - Brava! - esclamò Elafia. Encevaldo non rispose e la ragazza continuò a leggere. “Insomma, la donna che è sempre stata un pochino più perspicace, forse in qualche modo, magari per dispetto, ci sarebbe arrivata. L’uomo certamente no. Ma le conseguenze sarebbero state disastrose: l’uomo e la donna si sarebbero divisi, uno dentro e l’altra fuori, il primo a non far niente e la seconda a lavorare, un po’ come accade in Albania, e tutta l’umanità non si sarebbe potuta formare, venendo così a mancare il compimento del disegno divino già tracciato. Dio non poteva permettere che questo accadesse, né poteva coinvolgere l’uomo e la donna in una scelta ormai necessaria. Doveva fare la parte dell’offeso e dimostrare di volergliela far pagare sul serio. Non poteva non cacciarli entrambi dal paradiso terrestre. Doveva far capire con chiarezza che non stava scherzando, che non li amava più come prima e che da quel giorno ogni cosa avrebbero dovuto guadagnarsela sudando e soffrendo davvero, altrimenti il piano sarebbe fallito ed essi sarebbero stati per sempre apatici ed infelici. Non era abituato a dire parole pesanti e, per essere credibile, dovette mettercela tutta, ma alla fine ci riuscì. Allora Dio disse al serpente: “Perché hai fatto questo, maledetto sii tu tra tutto il bestiame e tra tutte le fiere della steppa: sul tuo ventre dovrai camminare e polvere dovrai mangiare per tutti i giorni della tua vita...”. Alla donna disse: “Farò numerose assai le tue sofferenze e le tue gravidanze, con doglie dovrai partorire figliuoli. E verso il tuo marito ti spingerà la tua passione, ma lui vorrà dominare su te”. E ad Adamo disse: “Perché hai ascoltato la voce della tua moglie e hai mangiato dell’albero... maledetto sia il suolo per causa tua! Con affanno ne trarrai il nutrimento, per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi farà spuntare per te, mentre tu dovrai mangiare le graminacee della campagna. Con il sudore della tua faccia mangerai pane, finché tornerai nel suolo, perché da esso sei stato tratto, perché polvere sei e in polvere devi tornare!”. E così li cacciò dal paradiso terrestre”. 6 - Certo, Dio ci è andato giù duro! - osservò Elafia. - Quel che conta è il risultato. Comunque è vero e, se continui, vedrai che c’è anche scritto. - Sì, c’è scritto. “E anche se dopo s’accorse di avere un pochino esagerato, tirò un profondo sospiro di sollievo: ora l’uomo e la donna potevano soffrire in santa pace e quindi essere finalmente anche soddisfatti e felici. A questo punto, qualcuno di voi lettori si chiederà se era proprio il caso di scomodare Dio per arrivare a dimostrare un concetto che peraltro molti presuntuosi non condivideranno. Se l’ho fatto, è evidente che ne valeva la pena. Voi, infatti, molto spesso fate scorrere gli occhi sulle pagine dei libri con estrema leggerezza, senza porre la dovuta attenzione, senza meditare ed approfondire, senza cogliere l’intrinseco significato del messaggio proposto, magari col sorrisetto di chi ritiene di saperla più lunga o lo sbadiglio di chi si è già scocciato, e spero che non vi stiate comportando così anche in questa occasione”. - Cos’è, un rimprovero? - Anche. Ma è soprattutto una sorta di excusatio non petita per aver chiamato in ballo Dio. - E ne valeva davvero la pena? - Non so. Quello che ho scritto ho scritto. - Mi sembra di averlo già sentito dire. - E’ una frase di Pilato. Quando gli chiesero perché sul cartello apposto in cima alla croce di Cristo aveva scritto “INRI - Jesus Nazarenus Rex Judeorum”, rispose con quella frase. “Non so - continuò a leggere Elafia - se vi siete resi conto dell’importanza della scoperta che, grazie a Dio e all’ispirazione che Lui ha voluto darmi, avete appena fatto e che potrebbe cambiare il resto della vostra esistenza. Ho ritenuto perciò che, solo chiamando in causa Lui e raccontando a modo mio un fatto che è riportato dalla Bibbia, voi sareste rimasti con la mente un pochino più sveglia e il concetto che ho espresso sarebbe stato meglio compreso. Avrete senz’altro capito, infatti, che in questa pagina è scritta l’intuizione per la soluzione di uno dei più grandi misteri dell’uomo: quello dell’esistenza del male. Sì, proprio quel mistero che tanti ingegni in ogni tempo hanno cercato inutilmente di risolvere. Come potete constatare, dunque, il motivo dell’esistenza del dolore e del male - e di conseguenza della felicità e del bene - a questo punto non è più un mistero. E quindi è più facile comprendere perché avesse ragione il precettore Pangloss quando, senza essere capito e venendo addirittura preso in giro, cercava di spiegare al Candide di Voltaire che, a dispetto di tutte le disgrazie e degli interminabili eventi calamitosi, il nostro è e rimane il migliore dei mondi possibili”. - Chi è questo Pangloss? - L’hai appena letto: il precettore di Candide. - E chi era Candide? - Un personaggio singolare inventato da Voltaire, uno degli scrittori più intelligenti di tutti i tempi, secondo me. Ma ti conviene finire di leggere, perché dovresti essere molto vicina alla conclusione. - E’ vero. “Penso di essere stato chiaro. Naturalmente chi è intelligente ha ben colto il senso di questa intuizione e ne ha anche compreso l’enorme portata; chi invece ragiona come...... (il nome dell’imbecille - potrebbe essere uno di quelli col paraocchi, quindi di sinistra! - può essere aggiunto a penna a discrezione del lettore), è inutile che continui a scervellarsi, non è affar suo”. - Che cavolo di discorso è questo? - Solo una battuta per prendere un po’ in giro i miei amici di sinistra. - Sono tuoi amici? Non me n’ero accorta. - Certo: amici avversari. - Che significa? - Significa che per me in politica non ci sono nemici, ma solo persone che la pensano diversamente, amici avversari da rispettare e da sconfiggere lealmente e con i sistemi democratici. Non è un controsenso! - Se lo dici tu. Intanto finisco di leggere. Vedo che mancano solo poche righe. “Lo sproloquio dovrebbe finire qui, ma c’è da aggiungere un altro concetto molto importante, che consegue da quanto detto sopra e che per poco non dimenticavo. La conoscenza del bene e del male ha comportato per l’uomo e la donna la possibilità di “scegliere” tra il bene e il male. Ecco spiegato il libero arbitrio. E’ evidente che se i nostri due fossero rimasti nel paradiso terrestre, se nulla fosse cambiato rispetto ai primi giorni di Adamo, se non fosse stata creata Eva e non avesse commesso il peccato originale, se non avessero mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, per l’uomo e la donna non ci sarebbe mai stata la conquista di quel valore di gran lunga più importante, il più grande dono di Dio: la libertà”. 7 - Finito! - esclamò Elafia soddisfatta, posando i fogli sul tavolo. - Cosa ne pensi? - chiese con interesse Encevaldo. - Cosa ne penso? - ripeté lei per guadagnare qualche secondo e riflettere. - Penso che la cosa più azzeccata sia il titolo. Sì. Secondo me, hai ragione tu: si tratta proprio di uno sproloquio. Encevaldo non ci rimase bene. - A parte gli scherzi - proseguì Elafia, - il contenuto potrebbe apparire offensivo nei confronti di Dio. Egli, infatti, sembra trovarsi spesso in difficoltà: ragiona come l’uomo e non come il Dio che sa tutto, non riesce a capire i motivi dell’infelicità dell’uomo, prova inutilmente a trovare dei rimedi. E alla fine, dopo il peccato originale, si esprime con termini estremamente duri. - Per quanto riguarda le dure parole di Dio - precisò Encevaldo, - ti faccio semplicemente notare che esse sono state prese pari pari dalla Bibbia, dal libro della Genesi. La difficoltà a capire l’uomo e la sua apatia si spiega, secondo me, dal fatto che il male è avulso da Dio e di conseguenza poteva essere avulso anche il concetto che si possa raggiungere la felicità mediante la conoscenza e la prova della fatica e del dolore e quindi del male. - Tu quindi sei davvero convinto che il male dell’uomo non sia stato determinato solo dall’uomo, dal suo libero arbitrio, dal suo egoismo, dal desiderio di sentirsi pari a Dio, dal disobbedire alle leggi di Dio, ma che sia stato Dio stesso a dargli la facoltà di viverlo e di capirlo? - Penso proprio così. Dal momento che mi parli di libero arbitrio, che significa essenzialmente capacità di distinguere il bene dal male e libertà di scegliere tra il bene e il male, hai già la risposta. Il libero arbitrio, facoltà di giudizio e libertà di scelta, non può che essere successivo alla conoscenza del bene e del male e quindi a quello che viene definito il peccato originale. La conoscenza del bene e del male è, a mio avviso, il più importante dono di Dio, dal quale consegue, ancora per bontà di Dio, il libero arbitrio, la libertà. - Insomma qual’è, secondo te, il rapporto di Dio nei confronti dell’uomo? - Al di là di una lettura quasi paradossale e comunque non ortodossa della Genesi, al di là dei presunti discorsi coloriti di Adamo ed Eva, la sostanza del racconto biblico deve essere incentrata sul grande amore che Dio ha per l’uomo fin dalla sua creazione. Il fatto stesso che Dio si sforzi di capire i problemi e i bisogni dell’uomo, concetto oggettivamente offensivo, altro non vuol significare che il desiderio di Dio di vedere l’uomo attivo e soddisfatto. L’insegnamento che personalmente ne ho tratto si può riassumere nel seguente concetto: “Dio ama l’uomo più di ogni altra creatura, desidera che sia felice nella consapevolezza e fa in modo che ciò accada”. - Nel tuo racconto, però, sembra che l’uomo ci faccia proprio la figura del biscaro. E non mi rispondere che deve essere giustificato perché era appena stato creato, e sul principio anche viziato, e quindi non poteva avere esperienza. - Non ci passerà granché bene, ma tieni presente che al centro dell’attenzione di Dio c’è proprio l’uomo. - E la donna? - Intanto è bene precisare che nel primo capitolo della Genesi, quello che racconta i sei giorni della creazione del mondo, c’è scritto che, quando Dio creò l’essere umano, lo fece maschio e femmina. Finalmente Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, affinché possa dominare sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e sulle fiere della terra e fin su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. E Dio creò gli uomini a sua immagine; a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò. Nel mio sproloquio la donna, rispetto all’uomo, sembra più ragionevole e concreta, come di fatto è, e diventa soprattutto strumento, sia pure inconsapevole, dell’opera divina per la felicità non solo sua e di Adamo, ma di tutto il genere umano che da essi discenderà. - Sembra quasi un trattato di teologia. - Per carità! Questo sproloquio non ha la benché minima pretesa di essere considerato una sorta di trattato. Altrimenti che sproloquio sarebbe? Espone, però, un concetto innovativo rispetto alla consueta interpretazione del primo libro delle sacre scritture, che la Chiesa cattolica non condivide ma che fa riflettere, e cioè: Dio non ha punito l’uomo perché ha disobbedito ai suoi comandi o comunque perché si è comportato male. Dio ha sempre amato l’uomo ed ha creato le condizioni migliori per renderlo artefice libero, consapevole e responsabile nel suo cammino, necessariamente faticoso, verso la conquista della felicità. Più di così, meglio di così, non era fattibile. - Ecco spiegato l’ottimismo di quel Pangloss! - Brava! Non a caso è citato il Candide di Voltaire nella parte che riguarda le convinzioni di Pangloss: dans le meilleur des mondes possibles tout est au mieu et .les choses ne peuvent etre autrement;, nonostante le disgrazie, le guerre e le malattie, nonostante il male. Ed è proprio così, forse: senza la fatica non esiste la soddisfazione, senza il male, senza la conoscenza, la dura lotta e la sconfitta di esso, il bene, scopo della nostra vita terrena e celeste, non ci sarebbe. Niente regali, dunque, niente paradiso terrestre, ma la possibilità per l’uomo e la donna, nella consapevolezza di ciò che è bene e ciò che è male e nella libertà della scelta, di guadagnarsi gradualmente la felicità. Dio premia la volontà di fare (Il faut cultiver notre jardin) e di fare bene nella responsabile libertà. E di conseguenza, mi viene da aggiungere, uno dei peccati più odiosi diventa l’accidia.

Ultimo aggiornamento il 04-11-2006 @ 03:52 pm


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