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Le sorche dei cuoiai (di Domenico Riccio)
di: damnic
Inserito : 02-05-2007 @ 03:08 pm

(scritto in collaborazione col Ser mastro artigiano Claudio ne’ Cerasomma da Lucca) In piazza della Misericordia si fermò per la solita bevuta alla fontana della Pupporona, così detta per la bella statua di Naiade col seno scoperto. Poi si avvicinò alla chiesa di San Salvatore e si fermò a guardare l'architrave della porta destra della facciata. L'architrave della porta di fianco, sul quale è raffigurato il miracolo di San Nicola ed è opera del Biduino, lo aveva già ammirato in altra occasione. Spostandosi per osservare meglio la rappresentazione della leggenda dello scifo d'oro, notò svariate solcature verticali sui marmi degli stipiti delle porte. - I soliti vandali! - esclamò, rivolto anche ad un volontario della Misericordia che era seduto sui gradini della chiesa. Il ragazzo, che poi disse di chiamarsi Claudio e divenne suo amico, gli spiegò invece che quelle non erano opere di irresponsabili. - Si tratta - disse - delle famose "sorche dei cuoiai". Se ci fa caso, vedrà che le ritrova davanti a quasi tutte le chiese della città. - Sorche dei cuoiai? - ripeté Damnic incuriosito. - E cosa sono? Un tempo - raccontò Claudio - quando la gente si recava a messa ed aveva qualcosa da farsi rammendare, la lasciava ai cuoiai davanti alla chiesa e la ritirava all'uscita. Durante la messa, questi lavoravano con grossi aghi e per rifare la punta li passavano sul marmo e così formavano le "sorche". (tratto da “La topa di Capannori”) Ma cerchiamo di capire meglio. Nell’alto medioevo i cuoiai avevano botteghe ed esercitavano l’arte nella contrada di Sant’Andrea, a differenza dei pellai che erano in Pelleria (inteso come quartiere, perché l’attività veniva esercitata soprattutto in via delle Conce). Ma il 25 Agosto 1382 la Repubblica approvò i nuovi ordini sull’industria della cuoieria, stabilendo che questa doveva essere esercitata "se non in contrada S. Tomeo in li luoghi dove anticamente è usato di farsi" e che anche le botteghe dei cuoiai dovevano essere comprese dentro detti termini, "dalla ruga che vae da san Giorgio a sancta Giustina in suso verso sancto Tomeo" (che sta per San Tommaso) e quindi in via delle Conce in Pelleria, La via delle Conce in quei tempi era una calla, ovvero una via d’acqua costruita artificialmente da una diramazione presso l’attuale zona di S. Frediano (v. Lucca, il paesaggio e l’architettura dell’acqua e L’acqua fonte di attività produttive di Gilberto Bedini). Le attività di trattamento del pellame venivano svolte in locali posti al piano terra in grandi vasche di pietra, forse ancora oggi esistenti. In particolare nel fondaco, che fa angolo fra via S. Tommaso e via delle Conce. I pellai erano in stretto contatto con i cuoiai. E non si può escludere che nelle zone adiacenti esistessero laboratori di cuoio dorato e argentato usato per libri, mobili ed altro. E’ invece certo che essi erano obbligati ad esercitare la loro attività all’interno delle mura, pena addirittura l’impiccagione. Ma l’’esercizio dei cuoiai si estendeva anche al di fuori dei laboratori. Ed era normale vederli sostare all’ingresso delle numerose chiese della città, specie nei giorni di festa, quando maggiore era l’afflusso di gente. Chi si recava in chiesa gia sapeva che avrebbe trovato almeno un cuoiaio davanti all’ingresso e ne approfittava per farsi fare riparazioni su capi in pelle. Finita la messa, ritirava i capi rammendati e pagava il corrispettivo pattuito. Va considerato che nel medioevo le pelli avevano un ruolo essenziale nella vita quotidiana. Non esistendo le materie sintetiche di oggi, venivano utilizzate per le borse, gli zaini, le sacche, i capi di abbigliamento, le calzature e soprattutto per le sellature di cavalli e muli, ma anche per i filamenti da traino e le coperture dei carri; e l’elenco potrebbe continuare. I cuoiai, principalmente per le riparazioni su cuoio e pelle, utilizzavano aghi molto lunghi e spessorati , molto più lunghi di quelli che venivano usati dai tappezzieri per ricucire le matrasse (materassi). I testi non riportano questa usanza di lavorare davanti alle chiese, ma la cosa è stata tramandata verbalmente e non può certo finire nel dimenticatoio. E quegli aghi, per penetrare le pelli, dovevano mantenere la punta sempre bene affilata. Per questo motivo essa veniva strusciata ripetutamente sul marmo di un pilastro e l’operazione di sfregamento ha prodotto nel tempo delle vere sorche (o solche), ovvero delle solcature più o meno profonde e comunque evidenti nel marmo stesso. Davanti a quasi tutte le chiese di Lucca, di lato ad ogni ingresso, possiamo dunque ancora oggi vedere sugli stipiti di marmo e sui blocchi adiacenti quelle che sono diventate le sorche dei cuoiai. Le quali, però, non si notano sui marmi del duomo di San Martino (per la verità una l’ho riscontrata di persona, ma una sola). E forse il motivo sta in ciò che è scritto su una lapide fatta apporre sulla facciata da papa Alessandro II nel 1070, in occasione dell’inaugurazione della cattedrale completamente ristrutturata, che in sostanza dice: "Chi tocca il duomo sarà scomunicato" (vedi testo integrale, dettato in esametri latini direttamente dal papa, nel pezzo di questo libro intitolato Papa Alessandro II, vescovo di Lucca). Nelle intenzioni del pontefice la minaccia d’anatema era naturalmente rivolta a coloro che avrebbero osato distruggere o anche modificare la struttura del tempio, ma i cuoiai, per estensione o per paura, visti i tempi, avranno forse pensato che la scomunica potesse arrivare anche per una semplice scalfitura e non l’hanno toccato.

Ultimo aggiornamento il 02-05-2007 @ 03:08 pm


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