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Lo Stato se ne frega di loro e loro se ne fregano dello Stato
di: damnic
Inserito : 03-31-2007 @ 03:14 pm

“Lo Stato se ne frega di loro e loro se ne fregano dello Stato”. Questo, in copertina, il titolo della nota rivista nazionale “Cronaca vera” sulla sollevazione di quei giorni a Valle Agricola contro l’imposizione della tassa fondiaria. All’interno del periodico, un bell’articolo, con tanto di foto, che raccontava i momenti e le cause della rivolta del piccolo e povero paese di montagna, esaltando il coraggio e le ragioni dei valligiani, che osarono sfidare la protervia del governo e si rifiutarono in massa di sottostare all’imposizione di una tassa ingiusta. Ma il singolare avvenimento superò anche i confini nazionali e addirittura quelli europei, finendo oltre oceano. Approdò, infatti, sulle pagine del più prestigioso quotidiano americano, il New York’s Time. Una trentina d’anni addietro, il paese era riuscito ad ottenere dal governo Mussolini l’esonero dal pagamento di quella obbrobriosa tassa; ora il governo democristiano la pretendeva di nuovo. A tutte le famiglie arrivarono le cartelle esattoriali con l’indicazione degli importi da pagare. A parte il fatto che i dati del ministero erano totalmente sbagliati, perché nel frattempo si erano verificati numerosi passaggi di proprietà, magari mai regolarizzati, i valligiani ne fecero giustamente una questione di principio. Come si può permettere un governo serio e democratico di chiedere il pagamento di tasse su abitazioni distrutte dalla guerra e rimesse su alla meglio, pietra su pietra, dalla ostinata volontà e dagli enormi sacrifici dei paesani, senza che nessuno se ne fosse mai occupato ed avesse minimamente contribuito? Come poteva pretendere, questo governo poco serio e per niente democratico, il pagamento di una tassa su miseri terreni di montagna, pieni di sassi, che non producevano quasi nulla e dai quali solo l’indomita fatica dei valligiani riusciva a cavare quel minimo indispensabile, che a malapena consentiva alle numerose bocche delle famiglie di Valle di sfamarsi e sopravvivere? Il giornale aveva proprio ragione: “Se ne sono sempre fregati di loro e hanno il coraggio di presentarsi solo per riscuotere le tasse. Ora i valligiani fanno bene a fregarsene del governo e delle sue tasse”. Gli uomini del governo, però, la pensavano diversamente: aprirono un ufficio nella piazza principale del paese e cominciarono ad inviarci, un paio di volte al mese, un esattore delle tasse col preciso compito di riscuoterle. Ma i valligiani non ci pensarono due volte e fecero sapere all’esattore che, se si fosse ancora presentato in paese, la sua testa sarebbe finita, pari pari, nel cappio che a bella posta era già stato agganciato al balcone del municipio. E l’esattore, che non doveva essere un tipo molto coraggioso, per un po’ di tempo non si fece vedere. * A Valle Agricola esisteva una buonissima abitudine: quando succedeva una disgrazia, si accantonavano le antipatie personali e le discordie familiari e tutta la gente accorreva e si metteva a disposizione. Se, per esempio, prendeva fuoco una masseria, Puppino il sacrestano suonava a distesa le campane, la voce si spargeva in un battibaleno e tutti, proprio tutti, correvano con secchi, conche e ogni sorta di recipienti pieni d’acqua per sedare l’incendio. E la tassa della fondiaria non poteva che essere considerata alla stregua di una grossa disgrazia. A parte la chiesa, in paese non esisteva un locale ampio dove tutto il popolo potesse riunirsi. Si ritrovarono allora in piazza per discutere della grave e difficile situazione. La prima importante decisione fu quella di far scomparire l’esattoria. Uno tra i più facinorosi propose addirittura di darla alle fiamme, ma un altro si oppose duramente. - Alle fiamme ci dai casa tua! – gli urlò sul muso quest’ultimo, prendendolo per il bavero. Abitava proprio sopra l’esattoria! Alla fine prevalse una soluzione ragionevole: presero due robuste tavole di legno, le inchiodarono sulla porta a mo’ di croce di Sant’Andrea e la sede dell’esattoria venne sprangata. Quindi parlarono delle cartelle esattoriali che ognuno aveva portato con sé. Bisognava decidere cosa farne. La soluzione fu trovata immediatamente e questa volta nessuno fece obiezioni. Le accatastarono tutte in mezzo alla piazza, una sopra l’altra, dettero fuoco al mucchio e ne fecero un gran bel falò. A Caserta, evidentemente, si venne a sapere di come si erano comportati i valligiani. Le autorità competenti, infatti, scandalizzate dall’insulso ed inaccettabile atteggiamento di quei montanari incivili, decisero di ricorrere alle maniere forti. La legge è legge e va rispettata e fatta rispettare ovunque, da tutti e con ogni mezzo. Come potevano farsi intimidire da quattro pecorai pidocchiosi e ignoranti di un piccolo e sperduto paese di montagna che non risultava nemmeno sulle carte geografiche? Visto che se l’erano cercata, la lezione sarebbe stata esemplare. * Una bella mattina si sparse la voce che stava per arrivare in paese un importante personaggio della provincia, accompagnato dall’esattore e scortato da un grosso esercito di carabinieri, poliziotti e militari. I valligiani si mobilitarono immediatamente. Si ritrovarono in piazza e, senza troppi discorsi, decisero che avrebbero resistito. Il governo vuole la guerra? E guerra sia! Ma bisognava organizzarsi bene: i più piccoli, Damnic in testa, forniti di sacchetti pieni di chiodi a tre o quattro punte, furono mandati a spargerli lungo la via nuova; i cacciatori si piazzarono con i loro fucili sulle finestre, pronti ad aprire il fuoco; tutte le donne incinte vennero requisite e portate in municipio. Luisella e Menechella la sargentessa riagganciarono la corda col cappio al balcone del comune e minacciarono anche il sindaco e il segretario comunale perché sembravano più disposti a trattare col nemico che alla resistenza ad oltranza. Tutti gli altri si attestarono in piazza, armati di falci, bastoni e forconi. La prima sorpresa per l’esercito provinciale fu quella dei chiodi: molte vetture si ritrovarono con le gomme a terra. Il comandante fu costretto a fermare la colonna e ordinò ai suoi uomini di provvedere alla sostituzione. Gli ci volle un bel po’ di tempo, perché alcune camionette avevano più di una gomma bucata e dovettero far ricorso anche alle ruote di scorta degli altri mezzi. Il comandante, però, non era uno stupido e capì che, prima di riprendere il viaggio verso il paese, era necessario spazzare via i chiodi che, a centinaia, metro dopo metro, infestavano la strada. Quando seppe che il suo esercito non aveva neanche una ramazza, si arrabbiò. Come facevano a raccoglierli uno per uno con le mani? Non avevano mica tempo da perdere! Poi gli venne l’idea giusta e ordinò ai militi di costruire immediatamente delle ramazze. Così fecero e, dopo un paio d’ore, la via nuova era stata bonificata. Era veramente un esercito sproporzionato: tra carabinieri, poliziotti e militari si potevano contare almeno trecento unità. Neanche durante l’ultima guerra mondiale si erano visti tanti uomini armati a Valle Agricola! Arrivati all’imbocco del paese, formarono una lunghissima colonna di vetture e camionette lungo tutta la via nuova, da ‘ncopp’a Duretula fino alla lontana fontana della Cerqua. Era uno spettacolo! Scesero dai mezzi e, con in testa il loro comandante e il personaggio della provincia, si avviarono a piedi verso la piazza per poi raggiungere ed occupare la sede del potere, il municipio. Fatti pochi metri, però, videro spuntare da ogni finestra le canne dei fucili dei cacciatori e si fermarono. Il comandante chiese un megafono. Non c’era. Allora decise di farne a meno e, con tutta la voce che aveva in gola, ordinò ai valligiani di consegnare le armi. - Vienitele a prendere, se ne hai il coraggio! – disse una voce da una finestra. - Non sono venuto in questo paese per farmi sfottere – replicò il comandante – e vi conviene obbedire e non farmi perdere la pazienza! Lì per lì nessuno rispose. Ci fu un attimo surreale di silenzio. Improvvisamente s’udì una solenne pernacchia. Da dietro le finestre e per la strada tutti cominciarono a scompisciarsi dalle risate. Il comandante rimase allibito. Quando si rinvenne, si arrabbiò terribilmente e dovettero quasi tenerlo. Poi chiamò un paio di subalterni e disse loro di tenersi pronti perché avrebbe dato l’ordine di sparare. - Che cacchio dici! – gli fece con durezza ed apprensione il personaggio della provincia, che aveva ben sentito le parole del comandante. - Non lo vedi che sono costretto? – si difese lui. - Non fare stronzate, per favore! – tagliò corto il personaggio. Dopo un lungo consulto e un sacco di parolacce, il comandante prese una decisione irrevocabile: ordinò ai suoi di passare ugualmente e di marciare verso il municipio e, se qualcuno di quei villani avesse sparato, essi avrebbero risposto al fuoco. - Me ne assumo io tutte le responsabilità! Nell’aria la tensione si tagliava col coltello. Cosa sarebbe accaduto se da una finestra fosse partito un colpo, magari solo per sbaglio? Naturalmente, nessuno sparò. - Fateli avanzare – disse sogghignando un vecchiettino che, avendo fatto la prima guerra mondiale, era esperto di strategia militare, - che poi li facciamo tutti prigionieri! L’esercito, circondato dai valligiani che agitavano paurosamente i forconi ma senza fare danni, oltrepassò la piazza e raggiunse la sede del comune. Il comandante, nervosissimo, vide il cappio appeso al terrazzo e ordinò di farlo togliere. Un poliziotto, sollevato a braccia da un paio di colleghi, recise la corda con un coltello. A questo punto non restava che occupare la sede, ma le sorprese non erano certo finite. Sulle scale del municipio ecco tutte le donne incinte del paese! Quando i primi militari provarono a salire, queste si strinsero l’una all’altra, ostruendo di fatto il passaggio e, prima che qualcuno potesse avvicinarsi, cominciarono ad urlare come se quegli uomini le stessero già spingendo. - Se mi metti un dito addosso – diceva una – giuro che mi tiro giù per le scale e poi sono cazzi tuoi. - Fate largo! – urlò imbestialito il comandante. - Devi passare sopra le nostre pance! – risposero le donne in coro. Sulla strada la folla cominciò a rumoreggiare. - Non vi permettete di toccare le nostre donne! La situazione si faceva ancor più delicata. Un conto è attaccare degli uomini che oppongono resistenza, altro conto è maltrattare delle inermi donne incinte. Se succede un guaio ad una di esse, non ti salvi più. - Questi figli di puttana l’hanno studiata proprio bene! – mugugnava il personaggio della provincia. Il comandante non sapeva che pesci prendere. Le donne continuavano a gridare. Fu costretto a dare l’ordine di non toccarle. Poi, però, perse definitivamente la pazienza e ordinò personalmente alle donne incinte di togliersi dai piedi, altrimenti non avrebbe risposto delle proprie azioni. Queste urlarono ancora più forte e la gente per strada cominciò a pressare con i forconi. Apparvero anche i cacciatori con i fucili a tracolla. Il personaggio della provincia, che mai avrebbe immaginato di trovarsi in un casino del genere, continuava a ripetere al comandante di non fare stronzate. Questi, allora, un po’ per intimidire la folla e un po’ per non passare da fesso, pensò di fare arrestare qualcuno di quelli che avevano il fucile. Il motivo? Resistenza armata. - Ma quale resistenza armata! Non lo vedi che i fucili sono scarichi? Ancora una volta il comandante ci passò da biscaro, come si dice a Lucca. * Forse, più tardi, lui e il personaggio importante riuscirono anche a parlare con il sindaco e il segretario, ma si erano ormai resi conto che con quella gente c’era poco da fare. Meglio tornarsene a Caserta. Anche perché cominciava a far buio e nessuno degli invasori aveva ancora messo nulla di solido sotto i denti. Il comandante non voleva neanche sentirne parlare, ma alla fine, convinto a malincuore dal personaggio della provincia che non vedeva l’ora di lasciare quel paese, ordinò ai suoi la ritirata Ma in serbo per loro non poteva non esserci un’ultima sorpresa. Quando, sconsolati, tornarono alle camionette per riprendere la via del ritorno, trovarono ancora una volta le gomme delle ruote bucate. Erano stati i fantastici ragazzi di Valle. Non potevano mica rimanere con le mani in mano, mentre il paese veniva invaso dal nemico! Si erano muniti di arnesi vari e ne avevano bucato il maggior numero possibile. Poiché le gomme erano dure, Damnic era andato a cercarsi gli attrezzi adatti nella falegnameria del papà. Armato prima di chiodo e martello, poi di punteruolo e quindi di una sega, anche lui aveva fatto il suo dovere. Immaginate un po’ come ci rimase il comandante! Senza dubbio si sarà pentito di aver dato retta al personaggio della provincia e di non aver messo a ferro e fuoco quel paese di rivoluzionari e di evasori.

Ultimo aggiornamento il 03-31-2007 @ 03:14 pm


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