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STAIRWAY TO STARS

Inserito Sabato 13 dicembre 2003

Narrativa un racconto di Roberto Sturm

Immagine di Giulio Baldan

[illustrazione di Giulio Baldan]

La piattaforma spaziale fremeva di attività.

La solita massa informe di persone si spostava da una zona all’altra dando l’impressione, a chi arrivasse dall’alto, di uno sciame di insetti che mutasse continuamente direzione. Parecchi cargo erano parcheggiati nei pressi della stazione di rifornimento aspettando il proprio turno per il pieno di propellente. Alcuni venditori di olo vietati stazionavano nei soliti posti, oramai neanche troppo nascosti. I video che vendevano, nonostante le nefandezze e le violenze che proponevano, erano solo nominalmente clandestini, visto che le autorità ne ignoravano l’evidente commercio da alcuni anni. I chip da inserire nella presa neurale che i compratori di tali prodotti si erano fatti impiantare dietro un orecchio a volte funzionavano male e, seppure raramente, procuravano danni permanenti al sistema neurovegetativo, ma non era mai stato motivo sufficiente per far recedere quei depravati dai loro propositi. E alle autorità governative faceva comodo che stupri, atti di violenza e pedofilia fossero sensibilmente diminuiti da quando coloro che li praticavano riuscivano a sfogarsi mediante realtà virtuale. Ma è una cosa che a me non è mai andata giù.

Stairway to stars è l’ultima stazione di servizio prima delle infinite rotte interstellari, dei lunghissimi voli spaziali da affrontare alla velocità della luce che non permette più fermate intermedie.

Sentire chiamare piattaforma la più grande stazione spaziale del sistema solare suona strano a tutti, la prima volta, e io non avevo fatto eccezione. Agli albori dell’era spaziale, qualche centinaio d’anni fa, era veramente una piattaforma e neanche tanto grande. Servizi essenziali: rifornimento, bar e cessi. Solo alcuni pionieri si avventuravano verso le rare e piccole colonie extra solari, avanguardie degli insediamenti attuali. Ma gradualmente, con l’esaurimento delle risorse del pianeta e i cambiamenti climatici, frutto di scelte dissennate di un’umanità sull’orlo del crollo economico, la colonizzazione dello spazio riprese a ritmo elevato. E la piattaforma lentamente ha assunto proporzioni sempre più gigantesche, dimensioni da vera e propria base spaziale. La sua enorme cupola si riesce a distinguere da molto lontano, adesso, arrivando con le navi. Però il nome è rimasto, una tradizione che si è consolidata nonostante il passare del tempo, e chi si dà appuntamento qui per un caffè o due chiacchiere prima del grande balzo, dice semplicemente “ci vediamo alla piattaforma”.

Mi avviai verso il bar, pieno come al solito, per bere qualcosa di fresco. I conducenti dei cargo parlavano del più e del meno, degli ultimi viaggi, dei compensi che bastavano a malapena a coprire le spese, delle paghe sempre più basse. Solo una decina di loro erano nei pressi dei bagni a contrattare con le solite quattro prostitute che battevano da tempo la zona. Non erano un granché, pensai, né mai lo erano state, ma non è che avessero troppa concorrenza da quelle parti. Stairway to Stars era il buco del culo del sistema solare, ai margini del sistema stesso e non era una scelta facile neanche per una puttana decidere di stabilirsi in un posto come quello. Non c’era mai troppo da fare una volta entrati dentro la cupola. Oltre al rifornimento, le uniche cose da fare - come dicevo - erano due chiacchiere con qualche collega, bere qualcosa di fresco o di forte oppure una veloce e poco gratificante sveltina prima del viaggio.

Le replicanti, da poco immesse nel mercato, erano tecnologicamente troppo sofisticate e troppo costose, ma non occorreva avere doti di preveggenza per indovinare che nel giro di poco avrebbero soppiantato quelle vecchie maschere. Alte, slanciate, disponibili e soprattutto sintetiche. Sarebbe bastato scegliere il tipo preferito e nient’altro.

Avevo notato che almeno il novanta per cento dei cargo in attesa di rifornimento aveva il marchio della Fastway. Non era più una sorpresa da quando la multinazionale che possedeva la maggioranza del mercato dei trasporti aveva deciso di creare un regime di monopolio dei trasporti. La Fastway, da un giorno all’altro, aveva cominciato la politica di abbassamento dei prezzi per accaparrarsi la fetta rimasta ai piccoli proprietari, che sopraffatti da una concorrenza che non riuscivano a combattere stavano cadendo ad uno ad uno.

-Ci penseranno poi a rialzare i prezzi,- pensai. -Dopo tutti questi anni di sacrifici del cazzo, fra un po’ ci ritroveremo tutti in mezzo alla strada con un pugno di mosche in mano.-

Cercai con lo sguardo qualcuno che conoscessi, per aggiungermi al suo tavolo e scambiare almeno una parvenza di conversazione, ma appena vidi Joe in fondo alla sala, con il suo grande e inimitabile tatuaggio interattivo sul braccio, mi sentii chiamare da una voce femminile.

-Jack.-

La vita dei trasportatori è veramente dura. Fino a qualche anno fa, c’era chi la sceglieva con il miraggio di un guadagno che in pochi anni ti risolvesse definitivamente il resto dell’esistenza. Cinque anni di duri sacrifici, di rinunce a una vita normale, agli affetti più cari, ti consentivano di vivere per sempre da nababbo.

Le cose a cui devi rinunciare sono veramente tante e sono un fardello che ti puoi portare dietro per il resto dei tuoi giorni, a volte. Perdi tutti i parenti e gli amici, non hai la possibilità di farti una famiglia e, anzi, è fortemente consigliabile evitare di innamorarsi nel periodo di lavoro. Dopo il primo viaggio, infatti, avresti una moglie madre e un figlio fratello. Dopo il secondo, be’... E’ qualcosa da evitare assolutamente, sono situazioni che non fanno parte dell’ordine naturale delle cose.

Il problema è che ogni volta che torni ti ritrovi in una realtà visibilmente differente da quella che hai lasciato. Un viaggio alla velocità della luce, per chi rimane ad aspettarti, dura in media una trentina d’anni. Il tempo per coprire la distanza per raggiungere le colonie extra solari. Ma per chi lo compie è più o meno un lampo, quasi un battito di ciglia a parte i tempi morti di preparazione e consegna della merce.

Dopo un paio di viaggi riusciresti a parlare con i tuoi nipoti e chiedergli che fine hanno fatto tua moglie e i tuoi figli. Oltre a questo, il senso di estraneità che si prova al ritorno da ogni viaggio è difficile da descrivere. La repentina accelerazione dello sviluppo tecnologico e scientifico attuale ha reso questo lasso di tempo ancora più difficile da sostenere. Il paragone più calzante che mi viene in mente, nonostante la sua ovvietà, è che ti senti un alieno in una terra che non senti più come tua.

I motivi che portano a una scelta così definitiva e radicale sono diversi. C’è chi non ha più niente da perdere, magari qualche conto con la giustizia da saldare o qualcuno che lo sta cercando per farlo fuori. Generalmente sono i più pericolosi, decisi a tutto pur di fregarti il trasporto di un carico, disposti anche a sabotarti il cargo per raggiungere i propri obbiettivi. Altri, invece, si trovano in situazioni difficili da gestire, da sostenere, delusi da una vita che sembra non potergli offrire più niente. Altri ancora vogliono dimenticare qualcuno.

Io sono stato uno di questi.

Guendy mi aveva piantato in asso. Avevo trentadue anni e io, che avevo progettato il futuro della mia esistenza contando sulla sua presenza, mi sentii dire che si era innamorata di un altro. -Evidentemente tra noi c’è qualcosa che non funziona più.- E poi, sul mio sguardo incredulo e attonito rigirò il coltello nella piaga: -E’ finita Jack, me ne vado.-

Io non replicai, forse perché ero troppo frastornato oppure perché l’amavo troppo. Ero convinto che non avesse il diritto di spezzare i miei, i nostri progetti, la mia, la nostra esistenza. Forse avevo pensato troppo anche per lei, credendo che i nostri pensieri combaciassero.

C’è chi afferma che in amore non esistono regole, ma sono soltanto ipocriti che cercano un auto assoluzione da comportamenti che hanno ferito altre persone. Una scusa da stronzi, in sintesi.

Tutta la storia ebbe un epilogo a sorpresa quando seppi che era John, il mio migliore amico, l’altro di cui si era innamorata. Me lo disse lui stesso quando lo chiamai per cercare un conforto. Chiaramente lui ricambiava il sentimento di Guendy. -Non posso farci niente, Jack,- mi aveva detto. –E’ accaduto e basta.-

Dopo un periodo di forte depressione, di totale prostrazione, avevo pensato che l’unica cosa da fare era tagliare i ponti col resto del mondo, col passato. Letteralmente. Conducente di cargo. Trasportatore. Dopo il primo viaggio mi sarei già sentito meglio, avevo pensato. Guendy avrebbe avuto quasi sessant’anni, John qualcosina di più, e io avrei visto tutta la faccenda da un’ottica diversa. Non mi resi conto che era una ben magra consolazione con l’aggravante che mi sarei giocato tutte le possibilità che Guendy tornasse da me. Io l’amavo, e sicuramente l’avrei accolta a braccia aperte, se fosse accaduto. Invece in poche settimane presi il brevetto da pilota di cargo spaziali e la storia andò come andò.

Le cose, purtroppo, non vanno però sempre nella direzione che immagini. Pensavo, infatti, che un altro lato positivo di questo lavoro fosse la possibilità di contare, a meno di quarant’anni, in un congruo gruzzolo che mi avrebbe permesso di risolvere definitivamente il problema del lavoro. Una vita tipo donne e champagne, non so se mi spiego.

Invece la Fastway era entrata nel mercato appena dopo qualche mese che avevo affittato un cargo da trasporto per un periodo di cinque anni con un’irruenza che aveva creato effetti devastanti. Aveva acquistato tutte le piccole ditte di trasporto merci e cercato di rilevare i cargo in affitto offrendo una cifra assolutamente inadeguata, irrisoria. Noi trasportatori indipendenti, riunitici sotto il cartello Indipendent Way, avevamo rifiutato il ricatto e la Fastway a quel punto ci aveva anche offerto un posto di lavoro come loro trasportatori con uno stipendio, però, che ci avrebbe obbligato a fare quel mestiere per una vita. Rispondemmo uniti di no, perché era nostra intenzione fare quel dannato lavoro solo per qualche anno. Per tutta risposta, la multinazionale aveva cominciato la politica di abbassare i prezzi per schiacciarci. Noi, con un mezzo di lavoro meno competitivo dei loro e con spese di manutenzione maggiori, ci eravamo trovati improvvisamente nella merda. Però avevamo deciso di non mollare, sperando che il colosso alla fine desistesse, anche se alla fine si era rivelata una pia illusione. Avevano perseverato nelle loro intenzioni e adesso ci trovavamo in una situazione limite. Il fronte aveva cominciato a mostrare le prime crepe, qualche trasportatore aveva ceduto il proprio contratto di affitto del cargo per un posto nella multinazionale.

-A quale scopo continuare? Meglio un lavoro di merda che ritrovarsi con il culo per terra.-

Era, senza dubbio, un’argomentazione difficile da contestare.

E l’ulteriore prossima diminuzione delle tariffe avrebbe reso le crepe vere e proprie voragini. Tutti i sacrifici fatti non sarebbero serviti a niente.

Jessica la conoscevo da tempo, ma la piattaforma era l’ultimo posto in cui avrei creduto di incontrarla. Erano anni che non la vedevo, ma con la maglietta grigio chiaro dei trasportatori sembrava diversa. Molto diversa. Cercai di ricordare quando e come l’avessi conosciuta, ma quei momenti dovevano essere ben nascosti nei recessi della mia memoria. Prima o poi, pensai, sarebbero saltati fuori. Queste ed altre sono cose che accadono quando meno te l’aspetti. Le sedetti accanto istintivamente, le donne che guidavano i cargo erano sempre stati una minoranza rispetto a noi uomini. Le feci la domanda più idiota che potessi, come generalmente mi accadeva in situazioni del genere.

-E tu cosa ci fai qui?-

-Indovina un po’- mi rispose immediatamente con tono ironico. –Aspetto Babbo Natale.-

Era sempre stata una ragazza dalla battuta pronta, a volte tagliente, e quei suoi occhi verdi splendevano nel suo viso sempre sorridente e aperto. Jessica aveva veramente un bel viso, peccato che il suo corpo invece...

La squadrai da cima a fondo, da capo a piedi e rimasi senza fiato. Non era più lei, cioè il suo corpo era cambiato. Ci eravamo sempre chiesti, tra amici, perché non si sottoponesse ad un intervento di chirurgia estetica, a cui ormai anche gli uomini si erano arresi per cambiare parti del proprio corpo o per attenuare lo scorrere del tempo, ma una volta che qualcuna glielo aveva chiesto, era scattata come una belva.

-Io cose del genere non le farò mai!- aveva sbraitato contro la poveretta che si era zittita nascondendosi dietro i presenti. Tutti pensavamo che con qualche correzione sarebbe diventata una bella ragazza, ed avevamo perfettamente ragione. Col corpo quasi completamente rifatto era un vero e proprio schianto.

Evidentemente aveva cambiato idea sugli interventi di chirurgia estetica.

-Come te la passi, Jack.-

-Di merda. Come tutti, del resto. Stiamo solo aspettando di schiattare, perché ormai è solo una questione di tempo. La Fastway non mollerà.-

I suoi occhi fecero un semicerchio che abbracciò il locale pieno di fumo e di confusione. Vidi alcuni avventori che avevano indossato gli occhiali da sole multifunzione della Oracle. Dietro quelle lenti a specchio stavano guardando un film, giocando col loro computer, vivendo una situazione in realtà virtuale oppure calcolando la rotta del loro prossimo, imminente viaggio. Forse l’ultimo, vista la situazione. Non costavano tanto, ma non mi ero mai convinto a procurarmi un aggeggio che mi sembrava estraniasse ancora di più dalla realtà. Come se non fossero bastati i viaggi alla velocità della luce.

La voce sottile ma penetrante di Jessica mi entrò nelle orecchie isolando tutta la confusione del momento.

-Fai un’offerta a quelli della Fastway. Fagli rilevare il tuo contratto d’affitto del cargo a patto che ti assumano.-

-Andare con loro per una paga che ti costringerebbe a fare questo cazzo di lavoro per tutta la vita? Quando potrò smettere sarò vecchio e non avrò più il tempo...-

-Ma quando dovrai restituire il cargo senza riprendere i tuoi soldi e non avrai alternative di lavoro sarà meglio?-

Non risposi, sapevo già che non sarebbe stato meglio. I posti di lavoro non c’erano, forse anche per questo ci eravamo

illusi che alla fine l’avremmo spuntata. Ma alla Fastway di tutti i nostri problemi non gliene fregava meno di niente.

Jessica appoggiò improvvisamente sul piccolo tavolo le chiavi del suo cargo. Il portachiavi aveva il marchio della Fastway. Ero allibito, un’altra cosa che da lei non mi sarei aspettato.

-Sì, è una settimana che lavoro per loro. Se tratti, puoi spuntare condizioni migliori, per la paga, rispetto a quello che ti offrono.-

Mi guardai intorno, preoccupato che qualcuno avesse visto le chiavi o sentito le sue ultime parole. Tra i trasportatori indipendenti e quelli che avevano saltato il guado non correva buon sangue, spesso si era arrivati a situazioni abbastanza pericolose, ma in quel momento tutti sembravano affaccendati nelle proprie discussioni o immersi nelle proprie birre.

-Che cos’hai fatto? Sei diventata matta?-

-No. Credo di aver trovato finalmente un po’ di buon senso. Prima non ne avevo affatto.-

La porta del bar si aprì ed entrarono tre trasportatrici che guardarono freddamente Jessica senza salutarla.

-Loro lo sanno già, vero?-

-Sì, ma mi sono abituata. E’ stato un attimo.-

Le tre donne si sistemarono in un tavolo libero in mezzo al grande salone e cominciarono a parlottare tra loro. Pensai subito che parlassero di Jessica, temetti che credessero che anch’io fossi dalla sua parte.

-Vedi,- riprese disinteressandosi di tutto il resto –a volte le cose sono diverse da come appaiono. Dopo tanti anni ho deciso di rifarmi quel cesso di corpo...-

-Ho visto,- dissi d’istinto. –Sei diventata davvero molto bella.-

Un leggero sorriso di compiacimento solcò le sue labbra.

-C’era solo un modo per arrivarci. Alla fine mi sono arresa all’evidenza. Il problema è che ho voluto fare un lavoro radicale, non semplici ritocchi già che c’ero, e mi è costato parecchio. Per questo mi hai incontrata qui.-

Già, Jessica si era rifatta il corpo e poi per pagare le spese velocemente era diventata pilota. Ma le cose, anche per lei, non erano andate come immaginava.

-Adesso come farai a pagarti l’intervento?-

-Per fortuna ho già pagato parecchie rate. Solo che se non cedevo l’affitto non ce l’avrei fatta. Ho dilazionato la restituzione, con la paga che sono riuscita a contrattare, facendo un paio di conti dovrò lavorare un’altra dozzina di anni.-

-Dodici anni?-

-Sì, dodici. Se trovassi qualcuno che mi regalasse un tot di crediti, potrei farne alcuni di meno.-

Lei doveva partire il giorno dopo, io avevo trovato un carico all’ultimo momento, patteggiando sul compenso, e sarei partito qualche ora dopo di lei. Non so come, ma ci ritrovammo dentro il mio cargo. Le cuccette da viaggio erano scomode, ma fu molto bello lo stesso. Non mi era più capitato dopo Guendy, ma del resto sapevo che prima o poi sarebbe successo. Non avrei mai pensato potesse accadere con Jessica, soprattutto con quella meravigliosa Jessica che mi ero trovato all’improvviso di fianco. Peccato soltanto quell’inquietante occhio tatuato sopra il seno sinistro che mi fissava e seguiva tutti i miei movimenti. Per un po’ mi aveva inibito, poi lei era riuscita a togliermi dal disagio.

-Mi sei sempre piaciuto molto, ma eri perso dietro quella Guendy e non vedevi nessun’altra. Io ho tentato qualche volta di farti capire, ma non ci sono mai riuscita. Del resto tutti deridevate il mio corpo...-

-Non è solo quello. La decisione di fare il trasportatore l’ho presa dopo che lei mi ha lasciato. Un corpo o un altro, sarebbe stato lo stesso.-

-Non dare troppa importanza alle persone, Jack. Ce ne sono poche che valgono veramente.-

Ci riposammo per qualche ora tenendoci la mano. Era una sensazione piacevole, che non provavo da troppo tempo. Jessica era lì, Guendy sembrava allontanarsi definitivamente, anche dal punto di vista mentale.

-Credo che l’unica soluzione per noi trasportatori sia quella di metterci insieme. Solo così potremo vivere serenamente i nostri sentimenti. Che ne dici, Jack?-

Io ero ancora a occhi chiusi, gustando i sapori che Jessica mi aveva lasciato in bocca e sul corpo. Pensai che forse aveva ragione. Io e Jessica, le conseguenze dei viaggi compensati, forse qualche sbilanciamento di alcuni mesi ogni tanto che poteva essere riequilibrato nel viaggio successivo. Una vita quasi normale, un sogno che sembrava oramai quasi irraggiungibile. Uno squarcio su una vita che sembrava dover essere per molto ancora grigia.

-Senti,- disse lei come leggendomi nel pensiero -se decidi di parlare con la Fastway dimmelo. Ti presento io. Come condizione porremo di fare coppia nello stesso cargo. Adesso nei cargo della compagnia si deve viaggiare in coppia, è una questione di sicurezza. Per il carico, il cargo e il personale. Non mi sembra un’idea così brutta. Quando smetteremo, saremo comunque con la stessa differenza di età di oggi. Potremo vivere le soste tra un viaggio e un altro con serenità. Forse anche con amore.- Si avvicinò, strofinando le sue curve sul mio corpo.

Continuai a tenere gli occhi chiusi, il leggero tepore della cabina sembrava rendere ancora più gradevoli le mie sensazioni. Ma, come al solito, non sapevo cosa fare. La proposta era allettante, ma...

Lo dissi a Jessica, e per lei non fu difficile convincermi definitivamente.

Quindi decisi di accettare la proposta di Jessica. Fu molto facile, dato che sul piatto della bilancia, dalla parte della Fastway, c’era lei. Accesi il computer di bordo e ci collegammo in videoconferenza con un rappresentante della multinazionale, lo stesso con cui aveva trattato lei, mi aveva detto Jessica, che ascoltò in silenzio le mie proposte. Le nostre proposte, visto che parlò quasi sempre Jessica. Riuscimmo a ottenere le condizioni che ci eravamo proposti. Un leggero aumento sulla paga rispetto alle loro proposte iniziali, e quando lei gli disse che avremmo dovuto fare coppia, il funzionario non batté ciglio. Aveva già dei moduli precompilati, che ci trasmise e dove apposi la mia firma digitale. Dopo aver letto il contratto, certo, che parlava molto chiaramente e non sembrava nascondere trappole insidiose.

Adempito quest’obbligo, Jessica mi disse che era il caso di festeggiare. –Vai a prendere qualcosa al bar, che brindiamo.-

-Sì, ci vuole,- le dissi cingendole la vita e sentendo il suo seno sul torace.

-Esco con te. Ci vediamo nel mio cargo, così comincio a preparare per il viaggio. Tu parti più tardi, io quasi subito, manca poco ormai,- mi disse con occhi maliziosi. -Ma dal prossimo viaggio partiremo sempre insieme.-

Uscimmo abbracciati, ma c’era un’atmosfera insolita nella piattaforma. Non c’era nessuno in giro, sotto la cupola. Il silenzio che regnava rendeva la scena completamente irreale. I cargo erano al loro posto, ma alla stazione non c’era anima viva che si occupasse dei rifornimenti.

-Dove sono finiti tutti?- mormorai a mezza bocca.

-Senti, il mio cargo è quello,- mi disse Jessica indicando con il braccio, come se non mi avesse sentito. –Ci vediamo dentro.-

-Vado al bar, così forse riesco a sapere anche quello che sta succedendo.-

-Ok,- disse lei senza che la minima preoccupazione trapelasse dalla sua voce.

Io invece mi sentivo inquieto. Non riuscivo a spiegarmi il perché di quel repentino cambiamento. Del resto, non erano passati giorni, ma solo alcune ore da quando eravamo andati all’interno del mio cargo. L’isolamento acustico ci aveva potuto anche impedire di sentire rumori, ma in realtà non credevo potesse essere successa una catastrofe senza che ce ne fossimo accorti.

Il bar era immerso in un bailamme di urla e di persone, di risate e di movimenti.

L’ambiente era saturo di fumo e di odore di alcol, gente che ballava sopra i tavoli, che cantava in preda ad un accesso di ilarità incontrollato.

-Ma che cazzo succede?-

Girai su me stesso cercando una spiegazione, e m’imbattei nel serpente sul braccio di Joe che anche lui stava ballando, partecipando a quella festa fuori programma.

-Joe,- gli urlai nell’orecchio. –Che sta succedendo?-

Dopo un attimo in cui mi fissò incredulo, Joe scoppiò in una risata che sembrava non finire mai. Alla fine, con le lacrime agli occhi, riuscii a dirmi: -Ma davvero non sai ancora niente? E dove sei stato fino adesso, a farti una scopata?- e giù a ridere ancora. Aveva ragione, ma non mi sembrava né il caso e né il momento per dirglielo

Se il silenzio fuori del bar sembrava irreale, le scene che si vedevano dentro il locale lo erano ancora di più. I visi deformati dal riso, il caos che raggiungeva livelli incredibili, tutti sembravano fuori di testa.

Per un momento sospettai un attacco di pazzia collettiva, forse a un danno minimo alla cupola che aveva variato le condizioni dell’atmosfera interna mandando il cervello di tutti a farsi friggere. Ma non era così.

-Dai usciamo,- mi urlò Joe strattonandomi un braccio.

Di fuori, il silenzio non sembrava più così irreale.

Incredibile. Mi guardai dietro, i locali insonorizzati del bar sembravano lontani anni luce nonostante fosse a pochi metri.

-Hanno rapito il presidente della Fastway, Gary... Come cazzo si chiama?-

-Gary Oldman. E allora?-

-E’ stato un commando dei trasportatori indipendenti. Si sono messi in contatto con la sede della multinazionale. Qualche minuto fa hanno deciso di cedere. Restituiranno tutti i cargo e si sono impegnati a mantenere il mercato in un regime di non monopolio per i prossimi cinque anni. Chi ha firmato per loro potrà recedere dal contratto, riprendere a fare il trasportatore per conto proprio. Tutto questo a condizione che Oldman sia liberato. Hanno dato la notizia al videogiornale pochi minuti fa, prima non era trapelato niente. Oldman tornerà a casa solo dopo che questo accordo sarà siglato sulla Terra davanti a un giudice istituzionale che ne sancirà l’efficacia e ne garantirà il rispetto. Più l’incolumità per tutti i membri del commando della Indipendent Way. Gliela abbiamo messa in culo, Jack, capisci?- sbottò tutto d’un fiato Joe.

Io per un attimo rimasi in completa catalessi. Non ci stavo capendo niente, pensavo al cargo, alla mia vita e a Jessica contemporaneamente. E intanto Joe, con la sua mole non indifferente mi si era aggrappato al collo.

-Capisci Jack, capisci?- continuava a ripetermi come un ebete. Fu solo allora che mi resi conto che avevamo vinto.

Il primo impulso fu correre di filato da Jessica, per darle le bella notizia. Era una cosa meravigliosa, grandissima. Troppo per non avere contraccolpi.

Infatti Jessica, come da copione, non mi sentì neanche entrare. Era troppo impegnata a parlare, tramite computer di bordo, con il funzionario con cui avevo appena firmato un contratto che entro breve tempo sarebbe stato meno di carta straccia.

-Come sarebbe a dire che il nostro accordo non è più valido?- gli stava dicendo?

-Visto che tutti i contratti che hai fatto firmare con noi non saranno più validi, abbiamo già provveduto a scalare tutti i crediti che ti avevamo messo in conto.-

-Siete dei figli di puttana, ecco cosa siete,- risentii tutto l’astio del tono di voce della Jessica che avevo conosciuto anni prima. –Io che cazzo c’entro? Il mio lavoro l’ho fatto, non è colpa mia se...-

-Ma neanche nostra,- disse il funzionario prima di interrompere drasticamente la comunicazione. Aveva il volto evidentemente contrariato.

Jessica fu assalita da una crisi di pianto.

Ripensai a come fossi stato imbecille, in tutta quella storia. Possibile che non mi fossi accorto di niente? Possibile non mi fossi reso conto del suo comportamento? Le sue parole, i suoi atteggiamenti, adesso, avevano assunto il significato giusto. Sembra sempre facile capire, dal di fuori, ma quando ti trovi dentro è facile illudersi, è facile credere che per una volta sia tutto vero.

Lavorando per la Fastway Jessica non avrebbe mai potuto saldare il suo debito, ed io invece, come il solito stupido maschio, avevo subito creduto di aver fatto colpo.

Mi avvicinai. Le misi una mano sulla spalla ma lei non reagì. Vidi la presa neurale dietro l’orecchio. Mi sentivo vuoto, uno straccio appoggiato con noncuranza sopra il rigeneratore di materia.

-Dai, non abbatterti troppo. Puoi tornare a fare il trasportatore, adesso. Quei soldi li potrai recuperare.- Non capisco perché, ma anche in questi casi nel mio dualismo interiore vince sempre la parte buona.

-Vaffanculo,- mi disse tra i singhiozzi. –Ce l’avevo quasi fatta. Ero riuscita a racimolare quasi tutto quello che dovevo pagare.-

-Mi spiace, ti è costato veramente troppo rifarti. Alla fine ti toccherà pagare il doppio, ma forse ne è valsa comunque la pena.-

Rimase ferma, immobile, con la testa fra le mani. Adesso non piangeva più. Mi staccai da lei, e lentamente mi avviai verso il portello. Mentre stavo per chiuderlo mi disse: -Jack, tu mi piaci veramente, però.-

Fermai la porta, feci un lungo respiro, chiusi gli occhi e li riaprii. No, non sarei tornato indietro.

-Ciao Jessica. Vado con gli altri a festeggiare, non credo che tu sia dell’umore giusto. Magari prova con un chip, se trovi quello giusto forse puoi ritirarti un po’ su,- dissi riferendomi alla presa che avevo scoperto pochi attimi prima. E mi chiusi il portello alle spalle, pensando che forse aveva un chip inserito mentre faceva l’amore con me, che magari stava pensando di essere con qualcun altro.

A dire la verità neanche io mi sentivo dell’umore giusto. Ero frastornato, ancora confuso dagli avvenimenti di quegli ultimi minuti. Avevamo vinto, era vero, ma non mi sentivo sollevato. C’era qualcosa, sullo stomaco, che mi premeva maledettamente. Il peso di un’illusione, l’ennesima, che volava via, lontana, al di là delle rotte conosciute, al di là della portata di qualsiasi nave spaziale. E questo mi faceva male. Più di tutto, in quel momento. Per quanto mi sforzassi non riuscivo ad essere contento. Avrei fatto per un po’ di anni quella vita, poi mi sarei ritrovato... dove?

No, non dovevo e non volevo pensarci. La vita è un eterno viaggio, e forse noi trasportatori dovremmo essere i più adatti ad affrontarla. Ma noi viaggiatori, forse, abbiamo più illusioni e meno possibilità degli altri.

Decisi in quel momento che avrei lavorato qualche mese in più. Avrei potuto acquistare una replicante, almeno mi sarei garantito una vecchiaia tranquilla.

Mi avviai verso il mio cargo. Dopo qualche ora sarei dovuto partire. Stairway to Stars mi accompagnò dall’alto del suo silenzio siderale.


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