suggerimenti per il testo postmoderno
un saggio di Fabio Bonetti
[Il
presente articolo è stato pubblicato a puntate nella rivista on-line
Fucine Mute]
1. Watchmen e Batman: Il ritorno
del cavaliere oscuro
È nota agli appassionati l’importanza
delle due opere maggiormente rappresentative dello scorso decennio, in grado di
riscrivere l’intero panorama del fumetto supereroistico e a porsi come
inevitabile paradigma per gli autori a venire. Alan Moore appartiene alla folta
schiera che costituisce la cosiddetta “British wave”, o “British invasion”,
ovvero l’ondata di autori britannici approdati negli Stati Uniti di cui fanno
parte, tra gli altri, Neil Gaiman, Brian Bolland, Grant Morrison, Dave McKean,
Jamie Delano, David Lloyd e Warren Ellis, recentemente consacrato dalla serie
Transmetropolitan.
Frank Miller è americano, ma risente, in quanto fervido lettore di produzioni
straniere, di influenze europee, soprattutto per quanto riguarda una prosa
debitrice nei confronti, in primo luogo, del nostro Hugo Pratt.
Senza voler prendere in considerazione tutti gli aspetti extralinguistici
(tematici, storici, sociologici) che intervengono nella definizione dei due
testi, e che approfondiremo nei paragrafi successivi , diamo uno sguardo
complessivo al loro contesto di appartenenza. Innanzitutto l’ambientazione che
fa da sfondo alle vicende: su Gotham City da un lato, e su New York dall’altro,
aleggia lo spettro (siamo nel 1986, e le vicende sono ambientate uno-due anni
prima) della guerra atomica, frutto, secondo gli autori, dell’arroganza di un
potere politico che intende misurarsi con un’eventualità – quella della
catastrofe finale – al di là della propria portata.
E non è una sorpresa, quindi, che l’ago della bilancia, ovvero il possesso del
deterrente, si trovi nelle mani degli Stati Uniti per pura fatalità, per ragioni
che esulano dalle possibilità decisionali delle istituzioni: quelle di un Reagan
mai espressamente nominato ma efficacemente rappresentato da Miller, e di un
Nixon che, vittorioso in Vietnam nella visione di Moore, ha abrogato il
ventiduesimo emendamento garantendosi la possibilità di ulteriori mandati oltre
il secondo.
Questo deterrente è rappresentato da due personaggi dai poteri sovrumani:
Superman nel Batman di Miller e il Dr.Manhattan, al secolo Jon Osterman - uno
scienziato mutato da un incidente nucleare -
in Watchmen. Se Superman accetta a denti stretti il proprio ruolo, e il fumetto
si traduce nel confronto tra due diversi modi di intendere il supereroe,
Osterman, al contrario, è un essere al di là di qualsiasi etica, in grado di
dipanare l’intera matassa del tempo che non percepisce più linearmente, ma
incapace di intervenire su eventi che pure può prevedere. Intrappolato in
un’idea di predestinazione (“io sono solo un burattino che riesce a vedere i
fili”, avrà modo di dire), il vero custode delle sorti dell’umanità ha perso
qualsiasi interesse nei confronti della vita umana. Ma la grandezza dei due
personaggi, ai limiti della divinità, è tale da aver prodotto alcuni tra i più
significativi monologhi nella storia del fumetto.
I supereroi costituiscono, quindi, un problema politico, al punto che l’attività
di vigilanza, oltre a dividere l’opinione pubblica, è consentita solo a chi può
tornare utile in operazioni coperte dal segreto militare: da un lato (Miller)
Batman è costretto al ritiro, dall’altro (Moore) gli eroi sono messi fuorilegge
dal Congresso.
In entrambi i casi, la narrazione pone fondamentali interrogativi riguardo la
presenza, i metodi, le motivazioni, la necessità degli eroi in maschera, e
cercano di valutare se non sia il caso di considerarne superata la concezione.
Così, se Batman agisce per liberarsi dalle proprie ossessioni (nonostante una
salda etica di fondo ed una statura morale assoluta), sull’altro versante il
vecchio modello dell’eroe è rappresentato dall’intransigenza ai limiti del
fascismo di Rorschach, solo apparentemente oltrepassata dall’intelligenza
visionaria di Adrian Veidt, e culminante nell’impotenza del Dr.Manhattan.
Entrambe le opere si congedano con un fi nale aperto: quello di Batman concede
una nota di speranza, mentre il verdetto di Watchmen consiste in una condanna
senza appello, e lascia presagire un futuro incerto per l’umanità.
La ridefinizione del genere
supereroistico che è conseguita all’uscita dei due fumetti non coinvolge solo i
suoi archetipi e la sua mitologia: l’intera formula narrativa è soggetta ad una
radicale revisione, fino a contemplare figure e strutture discorsive ad essa
normalmente estranee. Il genere, quindi, supera i propri limiti tradizionali e
diviene il contenitore di altri paradigmi: abbiamo rilevato lo sfondo della
fantapolitica, ma con altrettanta forza si manifestano le caratteristiche del
noir e del poliziesco nelle loro varianti più cupe, così come non mancano
accenni alla fantascienza; Batman, in particolare, segna probabilmente il
culmine dell’eroe romantico, che lascerà il passo ai vari Elektra, Class Pollak,
Peter Pank. È indubbio che tali prerogative influiscano in maniera decisiva
sulla struttura linguistica con cui la narrazione prende forma; entrambi i
fumetti, inoltre, usufruiscono della sintassi cinematografica, con una maturità
fino ad allora sconosciuta al mondo dei comics, al punto da suscitare clamori
anche al di fuori del settore fumettistico.
continua a leggere tutto l'articolo in
formato PDF
Francesco Paone,
Watchmen
e il revisionismo
voce in enciclopedia
Visitate l'archivio Watchmen di IntercoM