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VITTORIO CURTONI: la precessione dei modelli
Inserito Domenica 06 febbraio 2005
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di Mirko Tavosanis
La recente uscita della raccolta Retrofuturo presso ShaKe (Milano,
1999) rappresenta un ottimo punto di partenza per parlare della carriera di
Vittorio Curtoni. Questo libro non è infatti una semplice antologia di racconti,
ma un volume che raccoglie anche, frammentata in tre sezioni, una vera e propria
storia della fantascienza in Italia negli ultimi trent’anni, così come è stata
autobiograficamente vista da uno dei suoi massimi protagonisti. Del resto, se è
difficile poter dire con certezza chi ha avuto la maggiore influenza sulla
diffusione italiana della fantascienza (probabilmente Carlo Fruttero e Franco
Lucentini, con la loro venticinquennale gestione di Urania), non ci sono dubbi
che un posto di primo piano debba essere riservato, quasi a pari merito, a due
scrittori e curatori di riviste: Lino Aldani e Vittorio Curtoni.
Di Aldani si dirà in altra sede, e in un altro profilo. In quanto a Curtoni,
sarà il caso di ricordare che dopo un decennio di isolamento il suo nome ha oggi
ricominciato a circolare grazie a Internet. Vittorio Curtoni infatti è diventato
un personaggio ben noto su alcune mailing list e sulle pagine della rivista
Delos, e questo ha posto fine a un allontanamento iniziato in pratica con il
famigerato “Avviso importante per i necrofili” (pubblicato nel 1980 sull’ultimo
numero della rivista Aliens), uno amaro sfogo contro il pubblico della
fantascienza. Ma – è forse opportuno ripeterlo, a beneficio dei lettori di data
più recente – Vittorio Curtoni è stato molto di più che uno scrittore di
racconti e frequentatore di mailing list. È anche stato in pratica l’unico
storico della fantascienza italiana, e uno dei principali traduttori e curatori
di riviste e collane nel settore. E nel suo caso, molto più che in quello di
altri, è difficile distinguere i diversi aspetti. Il Curtoni scrittore (cioè il
miglior scrittore della sua generazione) infatti non è facile da comprendere se
non si prende in considerazione anche il Curtoni curatore, e lo storico, e il
lettore…
Procediamo quindi con ordine. Vittorio Curtoni, dice la quarta di copertina,
nasce a S. Pietro in Cerro nel 1949; esordisce giovanissimo sulle pubblicazioni
amatoriali di fantascienza che in Italia si diffondono dopo il 1965. Alcuni suoi
racconti vengono pubblicati anche su testate professionali, dopodiché, nel 1969,
assieme all’amico Gianni Montanari diventa curatore della rivista Galassia,
pubblicata a Piacenza, la città in cui entrambi vivono. E già nel 1970 sul n.
113 di Galassia appare la prima antologia dedicata alle “Tendenze della
SF italiana”, Destinazione uomo, curata da Curtoni e Montanari oltre che
dal romano Gianfranco De Turris.
Seguiranno dieci anni di attivismo frenetico in tutti i settori elencati più
sopra: Curtoni pubblica nel 1972 il romanzo Dove stiamo volando, discute
nel 1973 la sua tesi di laurea sulla fantascienza italiana, nel 1976 viene
lanciata la rivista Robot da lui diretta, nel 1977 l’editrice Nord
pubblica la sua tesi di laurea con il titolo di Le frontiere dell’ignoto,
nel 1978 su Robot speciale esce infine l’antologia La sindrome lunare,
quasi tutta composta da inediti. Dopodiché, con il crollo del mercato italiano
della fantascienza, è la volta di iniziative meno fortunate, che in pratica si
concluderanno con lo “strappo” citato più sopra. Da quel momento in poi Curtoni
si dedicherà quasi esclusivamente alle traduzioni, in particolare per Mondadori.
Nel campo della narrativa pubblica invece solo qualche racconto sparso, fino al
grande ritorno con questa raccolta retrospettiva, Retrofuturo.
È indubbio che l’attività editoriale di Curtoni abbia lasciato un segno
indelebile nella storia della fantascienza in Italia, soprattutto per merito di
Robot, la miglior pubblicazione di settore mai apparsa dalle nostre parti. E
altrettanto indubbio è che buona parte di questo successo sia dovuto alla carica
che Curtoni ha saputo infondere, caricando tutte le sue iniziative con la
propria personalità. Nella gestione di Robot il dialogo diretto con i lettori,
attraverso l’editoriale e la rubrica della posta, era in pratica il collante che
teneva assieme la rivista (risultando probabilmente perfino più efficace dei pur
ottimi racconti scelti): e chiunque abbia sfogliato qualcuno dei primi ventotto
fascicoli pubblicati può testimoniare dell’efficacia della formula.
Certo, questa carica personale non era priva di controindicazioni. E il
meraviglioso periodo di Robot si chiuse in modo brusco: lo “spettabile pubblico,
ci hai rotto i coglioni” dell’“Avviso importante per i necrofili” segnava la
conclusione di una parabola e di uno stato di grazia. Ma adesso, con
Retrofuturo in mano, si può guardare senza problemi al passato e fare un
bilancio più distaccato. Cominciando dall’attività di scrittore, che è resa
memorabile soprattutto dai racconti, visto che è in questa misura che Curtoni ha
dato il meglio di sé, ispirandosi con decisione a tutta una serie di modelli
stranieri. E questo rifarsi alla produzione straniera ha un preciso valore
“divulgativo”, che si collega a un’attività editoriale che lungo tutti gli anni
Settanta ha cercato di “offrire un quadro generale dell’evoluzione che era
partita dall’Inghilterra con la cosiddetta ‘New Wave’ e aveva poi contagiato gli
Stati Uniti” (Retrofuturo, p. 31).
Il più significativo dei racconti scritti da Curtoni ai suoi esordi, per
esempio, è senza dubbio un’opera che imita in modo molto diretto i racconti
sperimentali di James G. Ballard: L’esplosione del Minotauro, autopubblicato per
la prima volta nel 1971 su un’altra delle antologie che Galassia dedicava agli
autori italiani. In un certo senso L’esplosione del Minotauro – il primo
atterraggio umano su Marte visto dalla prospettiva di un personaggio
profondamente coinvolto e disturbato – è il primo racconto italiano che possa
esser messo anche solo vagamente a paragone di quel che la fantascienza
angloamericana stava producendo negli anni della new wave: con il suo accumulo
di temi ballardiani ricreati in modo personale rappresenta una novità assoluta
nel panorama della narrativa italiana di settore (tanto più su una testata come
Galassia, che della polemica contro Ballard aveva fatto negli anni precedenti
quasi una bandiera). E sulla stessa linea Curtoni tornerà poi più avanti con un
altro notevole racconto come La luce, rielaborazione altrettanto riuscita
degli stessi temi.
Ballard non era però l’unico modello di quegli anni. Un altro autore che ha
giocato un ruolo simile è stato Brian Aldiss, che rappresenta il più diretto
antecedente del romanzo breve Volo simulato. O meglio, visto che il
multiforme Aldiss ha cercato in tutti i modi di adeguarsi alle metamorfosi della
fantascienza, precisiamo: quello che serve da modello è soprattutto l’Aldiss
degli incredibili racconti lunghi pubblicati alla fine degli anni Sessanta, dove
ha probabilmente raggiunto la propria massima espressione letteraria fondendo
assieme in modo innovativo suggestioni tratte proprio da Dick e Ballard.
Ambiente totale, Il verme che vola, Tutti gli uomini della regina e Automatico
lunare sono alcuni dei pezzi migliori, e rileggendo Volo simulato è fortissima
la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa uscito dallo stesso stampo.
L’impressione è rafforzata dal fatto che gli ultimi due racconti di Aldiss
citati (Tutti gli uomini della regina e Automatico lunare) sono stati presentati
in Italia sulle pagine dell’antologia personale Anonima intangibili, tradotta da
Curtoni e aperta da un’introduzione in cui si inquadra l’opera di Aldiss nei
termini appena descritti. Anzi, l’antologia è stata il primo testo tradotto dal
solo Curtoni, senza la collaborazione di Montanari, e come tale viene ricordata
in posizione di rilievo anche in Retrofuturo (p. 34): non c’è dubbio che
il testo abbia giocato un ruolo fondamentale. Alla base c’era probabilmente la
necessità di fondere quelli che già negli anni Sessanta erano apparsi come due
poli complementari, Dick (idolo della rivista Galassia) e Ballard (pompato con
insistenza da Gamma). Ma anche nel cappello introduttivo a L’esplosione del
Minotauro si dichiara esplicitamente che è stata proprio “la traduzione di
Intangibles Inc.” a stimolare l’autore “a questa operazione” narrativa.
Alla categoria delle riprese da materiale straniero appartiene poi, se vogliamo,
anche l’unico romanzo di Curtoni, Dove stiamo volando; ma in questo caso il
risultato è stato meno felice, anche se l’opera resta sopra la media della
produzione dell’epoca. È un racconto molto “lirico” che descrive il maturare di
un’identità personale e sessuale in un mondo post-catastrofe popolato da
lumpen-mutanti. Se la sequenza finale ha un notevole impatto, per il resto la
costruzione narrativa si sperde in quello che visto a posteriori sembra una
specie di esperimento riuscito a metà: riproporre le suggestioni di molti dei
romanzi che Galassia aveva o avrebbe pubblicato proprio in quegli anni, su su
fino a Samuel R. Delany.
E per il resto? Se si scorre La sindrome lunare, ci si accorge che a un
certo momento i brevi brani di presentazione ai racconti redatti da Curtoni
stesso diventano una specie di galleria di rimandi letterari. Vento dal mare è
“quasi un omaggio a Bradbury”; il già citato La luce “certo, è un omaggio a
Ballard, come no”; Buona notte, dolce notte è “un’altra storia di spettri alla
Bradbury, amen”; e perfino Non ho bocca e voglio bere viene presentato come una
risposta ad Harlan Ellison e al suo Non ho bocca e devo gridare. Ci si potrebbe
chiedere, a questo punto, come siano fatti (e se esistano) i racconti più “alla
Curtoni”, quelli in cui la narrazione non viene filtrata da precisi modelli
stranieri; e la risposta probabilmente si avvicina all’assetto di testi come La
sindrome lunare. Un racconto in cui i modelli vengono mescolati assieme fino a
diventare, come nel caso di Dove stiamo volando, un amalgama in cui è difficile
precisare ascendenze dirette. Ma dove, spesso, si ha l’impressione che manchi un
centro narrativo sufficiente a far decollare tutto l’insieme.
L’impressione si accentua ulteriormente nei racconti pubblicati dopo il 1978,
che, in raccolta, formano la terza sezione di Retrofuturo. Testi come Il
tempo dell’astronave, La dignità della volpe e Ti vedo sono da questo punto di
vista degli ottimi esercizi di scrittura su trame convenzionali, con un’idea
fantascientifica “vecchio stile”, ma non molto di più. Mentre due racconti come
Fronte del tempo e Le consultazioni ripescano a piene mani nel materiale di due
pezzi pubblicati negli anni Settanta, rispettivamente Ritratto del figlio e il
solito L’esplosione del Minotauro. Non a caso tutti e quattro i racconti di
questa mini-costellazione ruotano attorno allo stesso nucleo tematico, i
rapporti di parentela; e l’autore stesso precisa, nella presentazione alla
ristampa su Retrofuturo, che Le consultazioni (e implicitamente il suo
pendant di venticinque anni prima) nascono da motivazioni personali pressanti,
fatto che contribuisce a dar loro la forza che manca ad altri testi.
Ma indubbiamente in questa sezione dell’antologia c’è anche un pezzo in cui i
toni del racconto si differenziano dagli altri: e si tratta di Dal rabbino. Non
perfettamente riuscito sul piano narrativo, ma con un’energia che ricorda le
opere migliori degli anni Settanta, questo racconto rappresenta in pratica la
trasposizione fantascientifica di incontri e rapporti con persone realmente
esistenti, dice l’autore. E non si stenta a credergli. Perché in Retrofuturo
ci sono altri punti in cui il tono del discorso raggiunge un simile livello di
esaltazione, e sono naturalmente i lunghi brani autobiografici che precedono
ognuna delle tre sezioni del testo. Per esempio l’indimenticabile descrizione
del fandom 1965-1968:
“Ma i nostri viaggi, i nostri raduni…
Nel nostro impeto d’amore per il futuro eravamo diventati senza rendercene
conto adepti del futurismo. Avevamo mitizzato il concetto di movimento. Ci
spostavamo di continuo di qua e di là, da un capo all’altro dell’Italia,
viaggiando su treni scassatissimi che avevano ancora i vagoni di legno e
ignoravano l’alta velocità (…). Credo sia stata questa la molla che ha spinto
tutti noi a un forsennato dinamismo ferroviario: sentivamo la necessità di
ritrovarci , di stare in gruppo, di rassicurarci a vicenda sulla natura buona e
sacrosanta della nostra missione (…).
Penso che molti di noi si sentissero investiti di una sorta di missione
messianica, evangelica. Predicare il Verbo della fantascienza al popolo.
Spargere il seme. Illustrare le meraviglie dei possibili mondi futuri a chi
teneva il naso immerso nel gretto presente” (Retrofuturo, pp. 27-28).
Difficile quindi, come si diceva all’inizio, separare il Curtoni scrittore
dall’editor entusiasta o dal traduttore. A lasciare un segno indelebile sulla
fantascienza italiana non è stato uno di questi tre tratti, ma la loro
combinazione, in un contesto in cui i racconti si nutrono e si alimentano dei
tanti testi letti, rivisti e tradotti.
© Mirko Tavosanis 1999
Leggi lo speciale
in formato PDF contentenente
Vittorio Curtoni,La dignità della volpe Vittorio Curtoni,Lettori sotto la tenda
della volpe: perplessi - postfazione al racconto AAVV,
Su Vittorio Curtoni Emiliano Farinella,
Intervista a Vittorio
Curtoni
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