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IL NOME DI DIO

Inserito Venerdì 06 maggio 2005

Narrativa un racconto di Remo Scivales





Si inseguivano lungo i corridoi, ridendo come bambini, e giocavano saltellando in modo da non toccare le piccole pozze d’ombra provocate dalle griglie d’aerazione. Finché Noa inciampò e per non perdere l’equilibrio calpestò l’ombra, ma finì ugualmente lunga distesa sul pavimento.
Toq gli fu subito sopra. «Hai perso. Devi pagare.» disse solleticandogli i fianchi e in breve le loro labbra si sfiorarono e i corpi si toccarono.
Dopo, molto dopo, Noa provò a rientrare nella nera lucida tuta attillata ma la mano di Toq prese a grattargli maliziosamente la schiena. Noa rinunciò al tentativo e rimase parzialmente scoperta. Fingendo disappunto, ma con i grandi occhi chiari dal taglio vagamente a mandorla che scintillavano felici, passò le dita affusolate a mettere ordine nei capelli color lavanda, corti e dritti come chiodi, mentre la bocca piccola e pronunciata acquisiva una carnosa consistenza piegandosi in una risata silenziosa fino a illuminare i lineamenti sottili del volto cesellati nel candore della pelle.
Poi Noa sbatté rapidamente due volte entrambe le palpebre.
«Non accendere il Visuale.» disse subito Toq in tono leggermente lamentoso. «Godiamoci ancora un po’ questo corridoio discreto e pulito.»
«Puoi trovare altri corridoi, basta chiedere al Dio.» rispose Noa distratta e con lo sguardo fisso e vitreo. Davanti ai suoi occhi era comparsa la finestra visuale. Pochi movimenti del volto furono sufficienti per richiamare il data base e dividere il piano visivo di operazioni. Si ricordò di Toq. Per non essere scortese e con una fugace immagine del suo volto teneramente imbronciato che gli passava nella mente, gli aprì una porta di collegamento.
Toq si alzò di scatto agilissimo un attimo prima che il suo impianto gli segnalasse la connessione e si sistemò a gambe incrociate, con un sorriso apparentemente ingenuo, in una posizione studiata per mettere in evidenza i muscoli scolpiti.
«Vedo che la mia presenza ti è così gradita che preferisci lavorare»
Noa decise di comunicare le zone che non gli erano piaciute per richiedere al Dio di inviare le macchine manutentrici. Richiamò dalla mappa le posizioni pulsanti, poi scelse le icone di segnalazione e gradimento, incollò tutto nell’angolo di comunicazione dove i dati sparirono nel solito piccolo gorgo multicolore che confermava l’avvenuta spedizione al Dio. Fece tutto così rapidamente che trovò il tempo anche di rispondere a Toq, con la sua migliore aria di bambina educata che dice cose banali.
«Lo faccio volontariamente per il Dio che non chiede mai e dà tutto. Non è questo uno dei principi della vera Anarchia?»
Si guardarono per un attimo immobili, trattenendosi entrambi per non scoppiare a ridere. Ognuno pensò che l’altro stava per lanciarsi in qualche scherzo e l’istante dopo Noa cercò di alzarsi, Toq di trattenerla. La sua mano indugiò sul rotondo sedere di Noa, lei fece forza per liberarsi e ci riuscì. Rimase in piedi con lo splendido corpo snello completamente nudo fatta eccezione per le caviglie dove giaceva la sua tuta ormai irrimediabilmente strappata.
«Toq!» esclamò lei guardandolo come un bambino ma contenta del desiderio che gli accendeva l’espressione. «Vuoi sempre giocare.»
Toq la guardò ammiccando. «E’ un peccato ricoprire il tuo corpo. Concedimi almeno di fare un percorso di scelta insieme. Cerchiamo un abbigliamento che piaccia a entrambi.»
Si collegarono insieme e fecero a gara per scegliere le immagini più strane e variopinte dal data base. Per un attimo Noa fù tentata di associare alle immagini anche qualche parola per raffinare la ricerca, ma sapeva che Toq era impaurito da questa sua strana capacità e cambiava umore quando la usava. Incollarono le loro richieste al Dio sullo spazio di interrogazione e confrontarono le pagine di risposta. Toq dovette ammettere che quelle avute da Noa erano qualitativamente molto migliori.
Noa gli fece l’occhiolino. «Io genero sempre i migliori link.»
Per non farlo arrabbiare gli passò languida un dito sul mento e gli arruffò i morbidi capelli ricci.
Poi si voltò, diede un calcio ai resti della tuta e inaspettatamente prese a correre, con la pelle nuda ad affrontare le carezze della pura luce artificiale, e il ventre piatto e i glutei in tensione per la velocità. Lui la seguì eccitato e ricominciarono a giocare felici. Toq rallentava quando stava per prenderla e lei lo guardava per un attimo fingendo di essere impaurita e poi scoppiava a ridere.
Dai corridoi appartati che avevano esplorato in precedenza passarono in quelli principali, imponenti, larghi, alti, perfettamente puliti e illuminati, caldi, scintillanti di argentei riflessi. La curva aggraziata delle pareti e del soffitto li avvolgeva coccolandoli nella soffice rotondità della sua sicurezza.
Videro in lontananza altri figli del Dio presso alcuni incroci e solo allora Noa provò a coprirsi con le braccia, ma non era impaurita dalla sua nudità.
Seguendo la mappa arrivarono nel luogo indicato. Come sempre la parete si aprì silenziosa e puntuale offrendo vestiti e cibo. Noa si ricoprì di rosso con dei pantaloni corti sotto il ginocchio e un maglia dal collo alto che gli lasciava le braccia scoperte. Gli sorrise civettuola al di sotto di un leggero cappellino.
Toq l’abbracciò. «Chiediamo al Dio un Rifugio Temporaneo. Non torniamo subito dagli altri. Passiamo qualche altro giorno in solitudine. Voglio arredare il nostro nido con tutto quello che il Dio ci offre.»
«Il Dio darà ascolto alla tua fantasia anche nel Rifugio Stabile.» rispose lei e aggiunse con una punta di risentimento. «Ti vergogni a mostrare il tuo amore quando siamo con gli altri? Cerchiamo un trasporto per tornare indietro, dovremmo essere vicini a una stazione.»
«No, ancora un po’ da soli…» le labbra di Toq baciarono il suo collo e la mano accarezzava dolcemente la nuca, leggera come solo lui sapeva fare. Noa non si fece intenerire e muovendo la testa lontano da Toq attivò la richiesta di trasporto. Si immobilizzò tra le braccia dell’amato diventando rigida e pallida come un blocco di ghiaccio. Cominciò a tremare, dapprima piano, poi gradatamente con maggiore violenza, seguendo il ritmo sempre più convulso delle palpebre che sbattevano disperate.
Saltò indietro divincolandosi e urlò con voce stridula. «Toq cosa hai fatto al mio impianto?»
Toq era conosciuto come persona capace di fare tante cose con le sue mani. Una volta era riuscito a riattivare l’impianto a un amico toccando con le sue dita forti alcuni punti tra la tempia e la mascella. Ma adesso Toq indietreggiava impaurito e balbettò tentennando. «Io…io non ho fatto niente.»
«Sono cieca! La pagina del Dio è bianca! Sono connessa ma la pagina del Dio è bianca! Vuota!» urlò ancora più forte Noa con il volto sfigurato dall’ orrore.
Toq tentò di non perdersi d’animo, si connesse anche lui e strinse con forza la donna tra le braccia. Cercò di parlare a voce bassa e controllata, imponendosi innanzitutto di calmare la propria grande agitazione. «Noa tu sei più brava di mè. Le pagine del Dio che più ci sono utili. C’è un posto dove possiamo annotarle.»
Noa stava già affannosamente controllando e farfugliò. «Le conosci?»
«L’ho scoperto per caso.» si schernì Toq.
Una pagina apparve, Toq sorrise e cominciò a dire. «Il Dio non lascia mai soli i suoi fi…»
Ma fu interrotto da un grido di Noa, strozzato e gutturale. Poi lei disse respirando pesantemente «E’ una mappa. L’ultima pagina che abbiamo visto. Non capisci. Non c’è più niente. E’ successo qualcosa di terribile. Le pagine annotate sono sparite. Abbiamo accesso solo a poche e inutili pagine tra quelle visitate in precedenza conservate nella memoria interna.»
«Memoria interna?» ripeté Toq scuotendo la testa confuso.
«E’ una pagina che rimane nell’impianto, non viene dal Dio.» disse Noa rabbrividendo, per poi alzare la voce in un parossismo isterico. «Non ho nessuna pagina per arrivare al Dio! Nessun modo per ritrovarlo!».
Noa si abbandonò inerme con la schiena poggiata alla parete. Non capì subito perché Toq dopo un momento di riflessione avesse impacchettato per bene il cibo nascondendone alcuni pezzi all’interno dei pantaloni. Quando lui la riabbracciò, sussurrò angosciata. «Il Dio è lontano e non ha un nome.»
E poggiò il capo sul petto di Toq cercando con sorpresa di aggrapparsi al rombo del suo cuore che batteva, per non sprofondare nella voragine di terrore che per la prima volta nella sua vita si era spalancata dentro di lei.


Toq preferì abbandonare i corridoi principali. Spiegò che non tutti i figli del Dio adesso avevano il cibo e aveva sentito in passato strane dicerie su gente che cercava di accumulare i doni del Dio. Basandosi su quanto poteva ricostruire dalle mappe rimaste in memoria, provò a dirigersi verso i loro Rifugi. Ben presto perse l’orientamento.
Si ritrovarono in corridoi più stretti, con il soffitto rabberciato e lunghe crepe sulle pareti. Delle strane lampade oblunghe creavano chiazze di una malaticcia luce giallastra lambite dalle dite oscure di vaste zone in ombra. Loro si affrettavano a passare guardinghi da una chiazza luminosa all’altra ignorando lo sporco e il cattivo odore che si annidavano nell’oscurità.
Toq si avvicinava piano agli incroci, faceva spuntare leggermente la testa oltre l’angolo arrotondato e osservava per lungo tempo prima di proseguire. Mentre camminavano si girava spesso con scatti irrequieti e aggrottava gli occhi nocciola per guardare lontano dietro di loro e tendeva l’orecchio senza respirare per ascoltare rumori pericolosi.
Noa non ci prestava molta attenzione. Parlava poco, cercava raramente il conforto del contatto con l’amato, ma passava il tempo a seguirlo apatica trascinando le gambe.
Quando pensava di essere nascosta nell’ombra piegava la testa e tormentava nervosamente la connessione. In quei momenti la pelle serica della guancia si deformava in una pulsazione involontaria e l’angolo della bocca si arricciava innaturalmente, allontanando tutta la sua bellezza. Toq preferiva allora far finta di non aver visto.
Durante un periodo di riposo Toq sentì un raschiare sul pavimento. Balzò in piedi ma si accorse di avere uno strano torpore nelle gambe. Capì che quell’inconsueta sensazione era dovuta alla paura e si preparò a reagire, non sapendo però bene cosa fare. Dopo lunghi secondi dalla penombra del corridoio uscì un uomo di media altezza, piuttosto anziano, che avanzava trascinando la gamba destra e appoggiandosi a un bastone, con la schiena curva sotto il peso di una grande borsa. L’uomo aveva solo pochi ciuffi di capelli grigi ai lati del cranio, un naso aguzzo che sporgeva dal volto angoloso, occhi piccoli e scintillanti e indossava un’informe e larga tuta senza nessuna traccia di colore.
Toq sapeva che esistevano le armi e guardava sospettoso il bastone. Fece segno all’uomo di fermarsi e lo apostrofò con voce dura. «Cosa vuoi da noi sconosciuto?»
L’uomo non parve impressionato. Buttò il bastone e alzò le mani. Disse con voce sottile, molto tranquillamente. «Cerco l’aiuto di altri figli del Dio per sopravvivere insieme al crash.»
Toq sfogò la tensione in un urlo di indignazione. Non dovette fingere per scoprire i denti e gonfiare le vene del collo.
«Quella parola è una bestemmia, un insulto verso la nostra fede. Noi siamo credenti e bravi figli del Dio. Noi vogliamo attivare in suo nome un’unità familiare.» Poi si voltò verso Noa.
Lei era distesa nella polvere con la schiena poggiata alla scomoda parete. La sua pelle candida appassiva e cambiava colore, aggredita dalla liquida e pesante luce. Si stropicciò gli occhi e si passò una mano tra i capelli flosci cercando di dimenticare tutta la sporcizia di quei corridoi che sentiva appiccicata addosso. Con una smorfia annoiata accese la connessione, disinteressandosi alla manfrina di Toq e alla presenza del nuovo venuto.
Quando si vide ignorato Toq roteò gli occhi in cerca di ispirazione e cercò di mostrarsi sicuro.
«E’ un problema momentaneo. E’ solo un ReBoot…» sibilò rivolto all’uomo.
Senza farsi notare Noa tese l’orecchio per sentire l’antica parola, cercando di afferrarne il significato come faceva quando visitava le pagine nascoste del Dio.
Lal masticò aria senza rispondere. Prese lentamente a tirar fuori dalla borsa dei pacchetti. Li guardava valutandoli con attenzione, ogni tanto si fermava e lanciava delle occhiate ammiccanti ai giovani, con i ciuffi di capelli grigi che si impennavano disordinati intorno al cranio calvo lordo di luce gialla, ricominciando poi a fare una gran confusione. Sistemò tutto per terra poi sedette anche lui con un movimento sofferente. Solo allora disse stranamente allegro. «Signore, mi riposo perché sono stanco del viaggio. Mi presento, il mio nome è Lal. Vedo che un giovane come te conosce le parole proibite. E’ evidente che qualcuno te le ha insegnate. Scusami se te lo faccio notare, ma è solo un interesse personale. Io raccolgo ricordi, parole e antiche storie.»
Toq lasciò fare l’uomo anziano senza intervenire cercando di mostrarsi anche lui impegnato, per avere il tempo di riflettere. Solitamente il Dio offriva i suoi doni a richiesta praticamente dovunque nei corridoi, quindi non era usuale incontrare persone con pesanti bagagli. Naturalmente adesso era tutto diverso, ma aveva ugualmente il sospetto che l’uomo fosse uno degli accumulatori di cui si vociferava, per cui decise di evitare conversazioni troppo amichevoli. Provò a squadrarlo con ostilità ma riuscì solo a sgranare gli occhi per la meraviglia.
Lal aveva gli occhi chiusi e con estrema indifferenza premeva i polpastrelli di tre dita sulla zona tra tempia e mascella che Toq ben conosceva.
Il giovane si avvicinò e mormorò rispettosamente. «Tu conosci i punti sacri per aiutare i figli del Dio. E’ un segreto che mi ha insegnato mio padre.»
Lal rispose impassibile, senza aprire gli occhi. «Allora tuo padre condivideva le idee di chi conosceva il difetto del sistema e poteva attivare e disattivare l’impianto.»
Toq fece un piccolo passetto in avanti quasi ad aggredire l’uomo, con i muscoli che fremevano. Urlò pieno di rabbia. «Non offendere mio padre. Era un buon uomo e non parlava contro il Dio.»
Noa sembrò notare solo allora le grida. Si alzò lentamente, con difficoltà, e fissò gli uomini attraverso gli occhi socchiusi. Rimase in piedi a braccia conserte sbuffando d’insofferenza, compatendo dentro di sè i due uomini per l’inutilità dei loro strepiti.
Toq continuò fieramente ad alta voce. «Tu perché sei zoppo? Non sembri un figlio del Dio, altrimenti il Dio ti avrebbe aiutato.»
L’uomo piegò appena la testa e rispose in un tono stranamente cantilenante. «Il Dio riempie di attenzione i figli. Il Dio è vicino ai figli durante tutta la loro vita. Nelle Stanze del Dio il sistema aiuta le donne a partorire, installa l’impianto, lo collega alla Voce che, quando siamo bambini, ci insegna i principi del mondo. Nelle Stanze tutte le nostre malattie sono curate. Ma…»
Lal si interruppe e fece un sorriso innocente. «…Io ho rifiutato l’aiuto del Dio. Ho scelto di essere zoppo. Voglio essere diverso dagli altri. Così provoco una reazione nei figli del Dio, positiva o negativa. L’indifferenza mi è inutile. Uso la mia deformità per raccogliere parole, mettere insieme i ricordi, ricostruire le storie. Per poi cantarle agli altri figli del Dio. Vivo così.»
Noa sbattè le ciglia più volte, con una interessata sorpresa che trasparì oltre la fatica e la paura sul suo volto, non appena riuscì a mettere a fuoco il discorso dell’uomo.
Non erano le solite noiose raccomandazioni dei corridoi, che Toq aveva ripetuto continuamente durante il cammino. Inizialmente pensava che nessuno avrebbe potuto aiutarli ma il calmo distacco del nuovo venuto nel parlare di argomenti assurdi per la mentalità comune degli abitanti dei corridoi la incuriosiva tantissimo.
Aprì la bocca per parlare ma Toq non aveva ancora finito con i suoi rimbrotti. «Perché non vuoi far parte della perfezione del Dio? Egli soddisfa interamente tutti i nostri bisogni dandoci tutto quel che domandiamo. Non esistono i doveri perchè nulla è chiesto all’uomo, il lavoro è solo volontario. Tutti i figli hanno possibilità d’accesso identiche ai doni del Dio, che sono oggetti uguali per tutti rendendo così anche i figli uguali tra loro. Non è questa la vera perfezione?»
L’espressione di Lal era rassegnata quando commentò in tono lontano. «Il Dio è giusto ma la perfezione esiste solo finchè il sistema automatizzato creato dagli Antichi funziona.»
Noa coprì con un sospiro il tremito nella voce e intervenne energicamente. «Sei in errore Lal. Il sistema funziona. Ho trovato una nuova pagina.»
Toq gli fù subito accanto e la afferrò per un braccio. Lal sporse le labbra fino a emettere uno schiocco, incavando ancor di più le guancie già scarne. Poi allargando le mani, con i palmi rivolti verso l’alto, fissò intensamente Noa. «Bene. Vediamola.»
Noa si agitò, si divincolò rabbiosamente dalla stretta di Toq e puntò un dito verso l’uomo. «Tu non mi credi! Connettiti!»
Dopo qualche secondo Noa esclamò trionfante. «Hai mai visto niente del genere? Non è una memoria interna.»
Davanti ai loro occhi apparve una pagina misteriosa. Era completamente bianca, senza colori, immagini o punti interattivi, con una serie di minuscoli simboli della scrittura sottolineati, sistemati in un’ordinata colonna. Per i due uomini non fù facile scoprire che stranamente erano proprio quelli i link a un gruppo di immagini che comparivano nelle normali mappe dei corridoi.
Noa spiegò con foga. «Sono partita dal nome di Dio della pagina rimasta in memoria e l’ho cambiata. Ho ottenuto una nuova pagina. Inizialmente pensavo che il Dio fosse effettivamente in crash, ma poi ho capito che era il Visuale a non funzionare perché ha perso quasi tutte le memorie compresa quella più importante: il tasto di ritorno alla pagina del Dio, il Portale.»
Lal scrutò attento il volto giustamente compiaciuto della ragazza. Si mosse impercettibilmente, variando l’angolo di osservazione come a voler cogliere meglio dei riflessi misteriosi nei suoi stanchi ma morbidi lineamenti. Fece quasi per toccarla gentilmente ma ritrasse le mani, si voltò un attimo per tranquillizzare Toq e quando si accorse di aver suscitato una certa aspettativa disse con voce calma e profonda. «Come hai fatto a scrivere il nome di Dio? Solo gli Antichi potevano farlo.»
Noa affermò gonfia d’orgoglio. «Anche le pagine con solo immagini che tutti usano normalmente hanno il nome di Dio al suo interno, basta saperlo cercare. Ho usato i simboli che compaiono nelle pagine in memoria. Evidenziare, eliminare, copiare, incollare, occhio sinistro, occhio destro. I soliti strumenti del Visuale, ma io ho saputo usarli bene perché conosco le parole. Ho tagliato il nome di Dio e ho aggiunto altri simboli copiati dalla memoria interna, generando così la nuova pagina. L’ho fatto altre volte giocando con i tanti nomi di Dio.»
Lal ebbe un sorrisetto appena accennato, melanconico. «Ma non puoi inserire direttamente il nome di Dio come facevano gli Antichi. Senza copia e incolla.»
Noa replicò esitante, con gli occhi teneramente spalancati per lo stupore. «Non capisco, come si può scrivere senza copiare i simboli da un data base?»
Lal forzò il sorriso finché tutto il volto sottile sembrò trasformarsi in una mezzaluna grinzosa.
«Non…non importa.» E aggiunse a bruciapelo. «Hai detto che conosci le parole. Vuol dire che sai leggere?»
Noa sussultò, come punta da uno spillo.
Lal continuò incalzante. «Sai leggere le pagine antiche del Dio, quelle dove non ci sono immagini interattive?»
Noa divenne nervosa. Rispose velocemente senza guardare direttamente l’uomo anziano, coprendosi parzialmente la bocca con una mano che picchettava una guancia.
«Sono stata sempre affascinata dai simboli dei nomi e ho pensato che dovevo studiare i luoghi da cui provengono, ovvero le pagine più antiche. Tutti chiedono al Dio copiando le immagini, ma solo io riesco a comporre insieme varie immagini diverse per interrogarlo in maniera adeguata. Il Dio ha trovato per me le prime pagine antiche. In una ho visto dei disegni accoppiati a dei gruppi di simboli e ho capito alcune parole. Poi ho scoperto che il Dio si può interrogare anche con le parole. Sono andata avanti e ho trovato altre pagine e tanti disegni che mi aiutavano a comprendere come si traducono in simboli della scrittura molte azioni che noi facciamo e molti oggetti che ci circondano. Ma le parole sono tante e le pagine immense. Quindi…» La voce di Noa si spense in un tremito. «…ho letto ma effettivamente ho capito poco…poco…»
Lal si toccò incerto i radi capelli, con aria meditabonda. Poi cominciò a camminare in giro allargando le braccia in gesti ampi, parlando da solo come in una riflessione ad alta voce.
«Il Visuale fù creato dagli Antichi per facilitare l’uso ai figli di Dio. Il complesso di immagini è così semplice e accurato che nel corso delle generazioni ha prodotto disinteresse verso il resto, e il Dio ha creato sempre nuove pagine che coprivano quelle vecchie per essere più vicino ai suoi figli, finché i figli hanno dimenticato e si è arrivati all’ignoranza.»
Noa rincorse Lal e usò nuovamente il dito contro di lui, agitandolo sotto il suo naso. Disse senza riuscire a reprimere un forte accento di offesa. «Dovresti avere più fiducia nel sistema. Nelle Stanze della Voce i bambini imparano il linguaggio scegliendo le immagini dal Visuale, e la Voce associa il suono appropriato ad esse. Io nelle Stanze ho interrogato a lungo la Voce con le antiche parole, e la Voce mi ha risposto. Il sistema è efficace. Il Dio non ci nasconde nulla, non ha mai rifiutato le mie domande. La colpa è dei figli che non sanno più rivolgersi al Dio.»
Lal scosse la testa e replicò con un’espressione addolorata che sembrava rinsecchire completamente i lineamenti già scarni.
«Non capisci. La perfezione del Dio esiste fin quando ogni uomo possiede le stesse identiche informazioni di tutti gli altri. L’eguaglianza delle informazioni è possibile esclusivamente se le informazioni stesse sono nulle per tutti. Ovvero non dobbiamo sapere nulla del Dio. Nessuno deve conoscere il nome del Dio, perché quella è la strada per controllarlo. Se gli uomini non sanno nulla del Dio e del sistema automatizzato, nessuno può agire su di Lui a danno degli altri uomini. Nella perfezione i bisogni sono completamente soddisfatti, c’è abbondanza di doni per tutti e nessun obbligo. L’accumulazione e il conseguente potere non hanno ragione di esistere, dando vita all’Anarchia. L’ignoranza ha fatto resistere l’Anarchia. Per generazioni nessuno ha controllato il Dio. Ma adesso le condizioni sono mutate, per l’errore del sistema.»
Noa rispose con un nervoso vigore che le agitava la figura sinuosa e gli faceva digrignare i denti.
«Il Dio non vuole l’ignoranza! Ti ripeto che Il Dio risponde a tutte le nostre invocazioni. Se ci volesse ignoranti farebbe in modo di non risponderci!»
Lal resse lo sguardo furente di Noa e disse dolcemente. «Tu sei speciale Noa. Quanti altri figli del Dio si sono preoccupati di interrogarlo se non per chiedergli i doni necessari per vivere? Comunque hai parzialmente ragione. Gli Antichi non volevano l’ignoranza, forse non avevano nemmeno in mente l’Anarchia. Probabilmente c’è stata qualche deviazione nei primi tempi di funzionamento del sistema automatizzato, o nell’introduzione del Visuale e della Voce, che ci ha portati a questa situazione.»
Toq ascoltava distratto, perché osservava Noa. Riconosceva sul suo volto quella stessa luce orgogliosa che si accendeva quando nei Rifugi difendeva la sua passione per l’antichità. Toq ricordava le derisioni e gli sberleffi degli altri abitanti dei corridoi, alcuni dei quali la giudicavano pericolosa ed eretica mentre altri l’additavano come pazza da compatire, e i dubbi che lui stesso provava, accompagnati anche da un po’ di gelosia, quando lei scompariva per dedicarsi alle sue attività misteriose. Noa aveva brutalmente cancellato l’ infantile speranza che lo aveva sostenuto in quelle ore, di resistere finchè il sistema avesse ricominciato a funzionare da solo senza nessun intervento. Adesso Noa aveva fortunatamente incontrato qualcuno del suo livello intellettivo che sembrava comprenderla e apprezzarla. Toq aveva sempre avuto la capacità di volergli bene, non certamente di capirla. Ma si stava convincendo che l’unica possibile soluzione era negli strani discorsi che il vecchio e la donna portavano avanti. Quindi non dovevano assolutamente litigare.
Si avvicinò a Lal, che fronteggiava ancora la furia di Noa, gli posò sorridendo una mano sulla spalla e gli offrì del cibo. Si disposero seduti in circolo per mangiare insieme e ci fù un momento di blanda allegria che riusciva stranamente a riscaldare quei corridoi così freddi, luridi, inospitali, inadatti ai figli del Dio
Lal ne approfittò per dire, spezzando il cibo. «Il sistema è ripartito parzialmente dopo l’errore. Ma nessuno nei corridoi è capace di arrivare al Dio. Il Visuale non ci permette di evocarlo, neanche se siamo nelle Stanze. Abbiamo bisogno di inserire l’esatto nome del Dio per richiamarlo. Solo il suo Portale dà accesso all’interattività e ai doni.»
La voce di Noa suonò rassegnata. «Io ricordo molte forme del nome del Dio che accompagnavano le pagine. Ma il Portale, al contrario delle altre, è costruita in modo da non farlo vedere. Il Portale è, il Portale esiste, non ha bisogno di un nome. Il Portale è il Dio stesso.» Noa fece un pallido sorriso che palesò tutta la sua stanchezza. «Dio declina il suo nome nelle varie pagine, ma Lui non ha bisogno di un nome perché Lui è l’unico Dio! Forse ha ragione chi nei corridoi ritiene un’offesa voler conoscere il Suo Nome.»
Lal addentò un piccolo boccone di cibo e continuò con il medesimo tono tranquillo, senza farsi impressionare dallo sfogo della donna. «Tutte le pagine hanno un nome. Tu leggevi il nome di Dio sulle pagine antiche?»
Noa annuì convinta. «Certamente, ed era anche più facile. Il nome non era nascosto e saltava subito all’evidenza.»
Lal mise da parte una buona metà della sua porzione di cibo. «Gli Antichi usavano spesso il nome di Dio anche al di fuori delle pagine.»
Noa indugiò, come per ricordare qualcosa. «Si, sulla carta, una sostanza utile solo per le parole che era messa insieme a formare i libri.»
Lal buttò lì con indifferenza. «Sui muri…»
Noa guardò sorpresa e confusa l’uomo anziano. «Muri? È un’antica parola che significa parete. Ma…qual è la relazione con le parole?»
Lal si esibì nel suo migliore sorriso di falsa meraviglia quando vide l’espressione incuriosita dei giovani. «Come? Mi vuoi dire che non hai mai letto le scritte sui muri?»


Li guidò con passo lento ma sicuro. Non aveva esitazioni nella scelta degli incroci. Incontrarono corridoi ancora più angusti, ma Toq vi vedeva una logica. Si accorse che l’uomo svoltata sempre due volte a destra, una a sinistra, poi saltava due incroci. E la sequenza ricominciava. Finché un getto d’aria li investì. Toq capì che erano vicini a uno dei grandi condotti larghi dei trasporti.
Il corridoio si affacciava su una profonda voragine. Toq non ebbe la forza di guardare mentre Lal dondolò sull’orlo indicando con il bastone una scala metallica che correva sulla parete esterna. Le uniche luci nell’ agghiacciante buio del vuoto venivano da piccole lampade sistemate ai lati della scaletta. Lal squadrò i giovani con un ghigno di derisione poi, senza aggiungere una parola, si arrampicò con decisione e agilità insospettabili in un uomo della sua condizione fisica. I giovani si guardarono sgomenti e si mossero solo quando capirono che Lal non sarebbe tornato indietro a prenderli. Avevano visto in passato la voragine dall’alto, ma erano comodamente seduti sui sedili dei trasporti con le protezioni ben allacciate. Adesso era tutto diverso. Noa si sporse e una vampata di aria calda la investì frustrandogli il cuore di paura. Raccolse tutto il suo coraggio, si lasciò andare al vuoto e trovò subito la scala da afferrare. Cominciò a salire con gli occhi chiusi, strisciando tutto il corpo contro la scaletta. Gli echi sinistri e stridenti che rimbalzavano dalle pareti della voragine e le ondate di aria densa e puzzolente si accoppiavano con perfetta sincronia per colpirla rendendogli i muscoli duri e pesanti come pietre, immobilizzandola in un rigido abbraccio al freddo metallo. Quando poi defluivano da lei sembravano lasciarla libera ma portavano via tutte le sue forze. Allora Noa riusciva per un momento a salire un ulteriore gradino ma si fermava subito sfinita e tremante. Così la lenta salita continuò, un gradino alla volta, con lunghe pause. Noa lottava contro la dolorosa sensazione che il suo corpo, non più protetto dai corridoi, si stesse progressivamente disperdendo nel nulla echeggiante. Per resistere si aggrappava alla voce di Lal che pioveva dall’alto densa di rassicuranti raccomandazioni.
Passarono vicino alle finestre esterne di alcuni Rifugi vecchi e abbandonati e finalmente il calvario finì. Arrivarono a una sporca piattaforma appena al di sotto della stazione del trasporto. I giovani si buttarono per terra cercando di tornare a respirare regolarmente. Lal non accennò a riposarsi ma si infilò immediatamente in un’ampia fessura rettangolare simile ad una porta. I giovani lo seguirono stancamente, con le gambe ancora molli.
Fecero un solo passo e si bloccarono stupiti.
Le pareti dei corridoi erano dritte, perfettamente perpendicolari, tutte assolutamente in verticale, e si incontravano con il soffitto orizzontale basso e squadrato disegnando un angolo perfetto. Incredibilmente non c’era nessuna curva, nelle pareti e nel soffitto.
Nella parte superiore del muro erano incastonati, ad intervalli regolari, dei piccoli e misteriosi bulbi, ricoperti da una lastra trasparente, che lanciavano potenti fasci di luce arancione in basso, in varie direzioni, proiettando sulle pareti lunghe ombre ricche di angoli sempre più acuti e stridenti. La consueta tinta argentata di tutti i corridoi si riconosceva appena nelle pareti verticali. Era flebile e graffiata, interrotta da vaste strisce orizzontali di viscido verde al cui interno si indovinavano disegni geometrici di altri colori. Altre zone erano deturpate da estesi spazi senza colore, così consumati che il muro sembrava polpa viva.
Toq non resistette a passare le dita sulle chiazze. Muovendole rapidamente avanti e indietro i polpastrelli furono disturbati dalla congiunzione verticale di pezzi separati di muro. Nei suoi corridoi di provenienza esistevano delle parti consumate, ma quando lui le toccava si rivelavano sempre uniformi.
Lal intanto annuì con una certa astuta soddisfazione e si spinse in profondità, seguito dai giovani che camminavano vicini per aiutarsi l’un l’altro a superare i dubbi.
Arrivarono ben presto ad un ampio slargo, simile alle piazze poste di fronte ai Rifugi principali, ma di forma esagonale e non circolare. I fasci di luce puntavano verso un soffitto orizzontale più alto del solito così che la parte superiore delle pareti verticali era illuminata in maniera uniforme. Nella cascata di luce i muri mostravano un reticolo di crepe attraverso cui si intravedevano, con loro grande sorpresa, le forme sbiadite e deteriorate, ma riconoscibili, di molteplici simboli della scrittura.
Noa non si accorse di trattenere il fiato per l’emozione. Si aggirò per la piazza incredula, sentendosi leggera come in un sogno, muovendosi da una parete all’altra così trepidante nel vedere le scritte da non decidersi quale iniziare a leggere, cercando forse di far sue tutte le parole con una sola lunga occhiata. Poi si calmò, toccò le pareti, quasi col timore di disturbarle, e cominciò a studiarle, per cogliere esattamente i simboli. Quando vinse l’emozione, passò una mano ad accarezzare con reverenza le parole e tentò di leggerle ripetendo i corrispondenti suoni nella sua mente.
Lal guardò soddisfatto la donna e spiegò gongolando. «E’ una zona molto antica, che probabilmente risale ai tempi prima dell’Anarchia. Quasi nessuno la conosce e addirittura non è segnata sulle mappe del Dio. E’ possibile arrivare qui solo tramite percorsi particolari.»
Noa disse, come parlando a qualcuno che solo lei poteva vedere. «Queste parole…sono incomplete, si disperdono nelle parti rovinate del muro. Ma riesco a capirne molte…sono indicazioni per andare da qualche parte.» Si bloccò con un gemito soffocato. «L’ho visto dove ho imparato a leggere!» E indicò sul muro i simboli .EDU . Poi graffiò la zona consumata illeggibile alla sinistra della scritta mormorando con soggezione. «E’ uno dei nomi di Dio.»
Lal si avvicinò e prese la sua mano, ancora così disperatamente poggiata sul muro quasi a voler strappare via le parole mancanti. «Mi sembra evidente che tu, dolce Noa, ricordi i nomi di Dio. Sono sicuro che hai incontrato il nome del Portale quando visitavi le antiche pagine. In origine il Portale era semplicemente un nome famoso e conosciuto, una pagina come tutte le altre, anche se questa affermazione è considerata eretica nei corridoi. E’ impossibile che tu non l’ abbia incontrata.»
Noa aveva lo sguardo vitreo, come quando era troppo impegnata con il Visuale che adesso però era spento. «Ricordo che i link nelle pagine antiche non erano generati dal Portale, ma erano pagine autonome, divise per argomenti. Io li usavo per muovermi da pagina a pagina. Non erano semplici immagini, come siamo abituati noi, ma erano proprio parole e nomi di Dio. E una volta mi sono ritrovata nel Portale, senza capire come.»
Noa esitò, scosse la testa e si lasciò andare appoggiandosi all’uomo anziano. Continuò tremando e con una voce stridula bagnata dalle prime lacrime. «Ho visto tanti nomi di Dio, ma sono parole difficilissime, lunghe, complicate, aggrovigliate. E il nome del Portale, se esiste, sarà sicuramente uno dei più lunghi.»
Lal rimase immobile. Si limitò a dare dei colpetti tranquillizzanti sulla mano irrigidita della donna e disse serenamente. «Il Portale ha un nome, ed è corto. Ci sono tante leggende che lo confermano. Gli Antichi lo inserivano direttamente, deve essere per forza corto. Il nome del Portale è semplice, perché dovrebbe essere sempre ricordato dai figli del Dio. Più un nome è lungo meno è importante. Il nome del Portale è nascosto nelle pagine che hai visitato. I tuoi occhi l’hanno visto. Ma non hai capito cos’era semplicemente perché non hai compreso esattamente cosa voleva raccontarti quella pagina.»
Noa si staccò dall’uomo anziano ritrovando parte della sua agressività. «Io, non tu, leggevo le pagine antiche! Io non sono stupida, capivo quanto c’era scritto!»
Lal rispose semplicemente. «Hai mai incontrato la parola animale?»
Noa si strinse nelle spalle perplessa. «E’ un oggetto che non esiste nei corridoi, ricordo dei disegni associati al nome. E’ uno strumento degli Antichi di cui non ho capito la funzione. Ma come ci porta al nome del Dio?»
Lal buttò indietro la testa e si abbandonò a una gracchiante risata che stupì i giovani. «Le mie storie ti racconteranno diverse cose veramente interessanti, l’animale è sola una delle tante. Gli oggetti che hai visto nelle pagine antiche hanno molti significati, alcuni li hai capiti, altri ti sfuggono. Se non sai cos’è, ad esempio, un animale, come puoi dire che una certa pagina che hai incontrato ti parlava di animali, o di qualcos’altro, o invece semplicemente ti suggeriva come arrivare al Dio?»
Noa si guardò intorno smarrita, poi ripetè «Ma le parole che ho letto, i disegni che ho visto…» con l’aria di voler inconsciamente ormai opporre poca resistenza
Lal continuò pazientemente. «Io conosco i significati, perché sono dispersi nelle mie storie, nelle leggende dei corridoi. Tu conosci le parole. Devi ascoltarmi, con attenzione. Capirai meglio tutto quello che hai letto. Nei tuoi ricordi le pagine importanti salteranno all’evidenza e ti aiuteranno a inseguire i nomi di Dio. Ti immergerai sempre di più nei tuoi ricordi sugli Antichi. Alla caccia delle pagine più importanti che hanno i nomi più semplici perché sono quelli più sacri.»
Lal sfiorò con le dita la fronte di Noa. «Il nome del Dio è nascosto all’interno della tua mente brillante.»
La donna prese la mano del vecchio dalla sua fronte e la strinse. Disse con voce rassegnata. «E’ comunque tutto inutile. Anche ricordando il nome del Dio non ho nella memoria interna tutti i simboli della scrittura e non ho nessun posto da cui copiarli.»
Lo sguardo di Lal fissò un punto lontano e sembrò farsi vacuo. «I muri ci daranno indicazioni e troveremo altre parole.» ma continuò con un sorriso sicuro. «E’ la prima volta che visito questi corridoi con qualcuno capace di interrogarli.»
Noa nella sua mente aveva in realtà solo un gran turbinio di nomi, immagini, parole che si agitavano confuse. Non era sicura di riuscire a orientarsi e Lal gli sembrava troppo ottimista. Si allontanò per riflettere in solitudine e alla fine accettò, ma solo perché immergersi completamente nelle parole, la passione della sua vita, era l’unico modo per fuggire da quelle pareti così tristi, rovinate e cadenti che la ingabbiavano e la impaurivano, e dalle ombre aguzze e aliene che sembravano darle la caccia in quegli angusti spazi per infilzarla. Solo il pensiero di rifugiarsi nell’antichità ingentilì il suo volto nel sorriso.
Ripresero il cammino. I corridoi di muro diventavano sempre più stretti, soffocanti, luridi, con pochi incroci. Incontravano un susseguirsi incredibile di piccole e ripide scale che scendevano o salivano senza un disegno razionale apparente. I giovani conoscevano le scale ma nei loro corridoi d’origine erano larghe, basse e disposte solo vicino ai Rifugi.
Scoprirono tante altre parole sui muri. Si fermavano per lungo tempo a studiarle. Alla fine Lal si lasciava andare a buffe smorfie soddisfatte che facevano ridere Noa, e dava indicazioni sulle direzioni da prendere. Dopo ogni scoperta Toq scrutava Noa ed era contento perchè notava sempre una luce energica sul suo volto. Toq aveva capito poco dei loro progetti. Che lei leggesse pure le parole, lui era un maschio dei corridoi e lo avrebbe dimostrato. Manteneva la testa del gruppo e riusciva a mostrare una sicurezza che effettivamente non aveva.
A parte le scritte, la monotonia dei corridoi in rovina per la vecchiaia e l’incuria era interrotta solo da zone che si snodavano secondo curve tortuose. Lal parlava continuamente, illuminando con le sue storie la timorosa avanzata, cercando così di tenere lontano le loro paure. Era molto attento ai più piccoli cambiamenti d’umore di Noa e variava opportunamente gli argomenti della narrazione per tenere desta l’attenzione della ragazza. Noa era curiosa e interrompeva Lal chiedendo spiegazioni. A volte sembrava colpita da qualche particolare e allora si estraniava per lungo tempo e rimaneva indietro. Fissava il nulla al centro del corridoio finchè Toq non la spingeva, ma dopo pochi passi si dimenticava di camminare perché impegnata nel guardarsi assorta le mani, che si aprivano, si chiudevano, strappavano pezzi di aria ferma per buttarli lontano o sistemavano a mezz’aria pugni semichiusi di qualcosa invisibile. Toq la osservava preoccupato non sapendo bene cosa fare mentre Lal ostentava indifferenza, timoroso di disturbare la capricciosa lotta di Noa con i suoi ricordi, che si addolciva in una lenta danza, ritmata dai piedi che si muovevano delicatamente avanti e indietro, quando la donna si calmava.
Alla fine quasi sempre Noa faceva a Lal nuove domande ma sbuffava dichiarandosi frustrata per l’assenza dei simboli utili nel Visuale, anche se a volte cercava di nascondere un fugace sorriso soddisfatto.
E i loro sforzi ebbero un premio. Incontrarono un’altra piccola piazza.
Noa si inginocchiò portando le mani alle tempie come in certi corridoi facevano per onorare il Dio. Sul muro butterato si scorgevano i simboli .COM .
Quando Lal l’aiutò a rialzarsi, Noa gli mormorò all’orecchio. «Finalmente ho capito le tue leggende sulla triplice uguaglianza all’inizio dei nomi di Dio e sulla triplice dissonanza alla fine.»


Quella notte Lal gli parlò dell’Esterno.
Erano seduti in cerchio sotto il grande cono di luce proiettato da un insolito bulbo inserito nel soffitto, che riscaldava il riposo dedicato alla cena ricoprendoli con la sua fluida cappa luminosa. Prima di cedere alla stanchezza del sonno Lal faceva rivivere le leggende più accattivanti. In quei momenti tutti avevano l’impressione di essere seduti più vicini, e il corridoio di muro non sembrava così orribilmente freddo, ruvido, spigoloso, e diventava più facile trovare la forza per affrontare il temuto risveglio dopo poche ore.
«I corridoi terminano in alcune zone dove confluiscono più di quattro corridoi. Lì ci sono le porte per l’Esterno.»
«E’ proibito uscire.» commentò Toq sottovoce e aggiunse ripetendo meccanicamente. «Gli uomini vivevano nel disordine dell’Esterno ma crearono la perfezione quando si ritirarono nella Città e trovarono il Dio.»
Noa era nauseata dalle frasi tradizionali dei corridoi, allargò il braccio in un gesto di fastidio rivolto a Toq e spalancò gli occhi verso Lal chiedendogli trepidante. «Com’è? L’Esterno…?»
Lal fece una smorfia deforme che gli strinse gli occhi e disse con voce spezzata.
«Non è stato piacevole. Sono stato per ore all’Esterno, su un piccolo gradino e il nulla intorno, con la fronte appoggiata al metallo. Sono riuscito a tenere gli occhi aperti solo per poco, soprattutto per la paura. Ma anche per la luce…una luce accecante, fortissima, che ti circonda e non proviene da una sola direzione come per le lampade ma arriva…arriva da ogni dove! Ho visto la Città dall’esterno. Si estendeva più in là di quanto i miei occhi arrivavano a vedere, una sfera più estesa di tutti i corridoi messi insieme, più grande di quanto la nostra mente possa capire, e si curvava all’orizzonte come una gigantesca palla di metallo conficcata nel terreno.»
Lal si accorse dei giovani sguardi interrogativi e aggiunse bonario. «Terreno…significa pavimento.»
Noa si tese leggermente verso il vecchio. «Io voglio sapere, voglio conoscere l’Esterno.»
Lal sospirò e, sorridendo debolmente, si guardò intorno come a cercare un appiglio. Poi disse, quasi con difficoltà. «Te ne posso parlare tramite le leggende. Io personalmente all’Esterno ho avuto solo tanta paura.»
Quella notte ascoltarono a lungo Lal, e nessuno dormì presto. Lal tirò fuori il meglio del suo repertorio per affascinare i giovani. Evocò con voce suadente mondi bizzarri e strane abitudini, giocando con i toni, i gesti e le pause appropriate. Al gran finale, per spiegare meglio alcuni animali addirittura cercò di farne un’imitazione.
Lal unì i talloni, piegò le gambe, si ingobbì, si strinse nelle spalle, sporse le labbra e incavò le guance per rendere i lineamenti ancora più sottili, ripiegò le braccia verso il petto, e poi anche le mani finchè assomigliarono a due moncherini penzolanti. Emise un suono ritmato simile ad un fischio.
Improvvisamente con un piccolo saltello cambiò posizione. Allargò le gambe e le piegò leggermente, sporse il ventre, estese le labbra in larghezza e gonfiò le guance per quanto gli era possibile. Emise un altro suono, più grave e profondo.
Infine riguadagnò la sua compostezza e fece un piccolo inchino al pubblico, ricevendo in risposta sguardi incantati, per un attimo dimentichi della loro triste situazione.
Poi spiegò. «Nei racconti arrivati fino a noi si parla di molteplici Esterni diversi che vanno a formare l’Esterno globale. La particolarità è che gli Esterni sono definiti vivi…» Lal inarcò un sopracciglio e si grattò la testa, poi disse quasi con aria di scusa «…vivi…intendo vivi come noi!» Allargò le braccia titubante. «Un po’ come se i corridoi fossero vivi. Lo so che è difficile da credere. Comunque gli animali sono gli esseri vivi più importanti dei loro Esterni vivi, che non possono abbandonare per nessun motivo. Formano con i loro Esterni un’unità quasi indistinguibile, tanto da fornirgli la loro qualità caratterizzante e permettergli di differenziarsi. Ciò viene evidenziato nelle definizioni: foresta dei gufi, stagno delle rane. La leggenda assicura che è tutto vero e narra di alcuni Antichi che pensavano di trovare nelle voci degli animali tracce del nome del Dio.»
Lal aggiunse con una punta di soddisfazione. «In fondo anche noi svolgiamo la stessa funzione degli animali. Infatti diciamo corridoi dei figli del Dio.»
Lal continuò con abbondanza di particolari, finché i giovani parvero addormentarsi.


Noa si alzò, più tardi, mentre gli altri dormivano. L’idea dell’Esterno, suggerita dalle parole di Lal, pulsava dentro di lei spingendola a guardarsi intorno come fosse dietro la porta chiusa di un Rifugio e non potesse uscire, e la tormentava fino a farle perdere il sonno.
Passò una mano a sfiorare il muro in un delicato gesto circolare, forse per chiedergli garbatamente di svanire, poi chiuse gli occhi e allargò le braccia.
Liberò completamente la mente e sprofondò nella sua interiorità per provare a raggiungere l’Esterno.

Aggrappati al metallo freddo, consunto, della scala e apri gli occhi senza guardarti intorno, guarda solo sopra e sotto; quello è il niente, quella e l’assenza, più grande della più grande stanza del Rifugio, più grande della stanza comune dove ti incontri con tutti gli altri e a volte non riesci a vedere le pareti.
Mettiti nel tunnel più lungo e più grande che conosci e guarda lontano, e poi immagina il tunnel parallelo che si dispone esattamente come sua continuazione, e tutti i tunnel rimangono attaccati in una linea perfettamente dritta. Ti ricordi quand’ eri piccola ma ti sentivi così grande da andare anche da sola al Dio, e il corridoio sembrava non finire mai? Più lo guardavi e più ti sentivi lontana e l’incrocio scivolava via quando ti sforzavi di guardarlo, e tu avevi paura anche se i tuoi genitori ti dicevano di non preoccuparti perché il Dio veglia su di tè. Davanti ora hai un tunnel ancora più lungo, ed un altro che lo segue dopo. E anche dietro, e tutt’intorno.
Metti tutto questo davanti a tè, al posto della scala, con la voragine della scala sopra e sotto; e avrai la grandezza dell’Esterno, dove ci sono tante di quelle direzioni da prendere che l’uomo rimane piccolo e inerme ad ammirarne l’immensità.
Ma il rumore che c’è all’Esterno è diverso, te lo ha detto Lal, non è la cacofonia che hai sentito nella voragine. Il rumore degli oggetti all’Esterno, anche se Lal dice che molti di essi sono vivi come noi, è cristallino, trasparente, si distribuisce uniforme, come il clangore della grande porta di metallo che hai visto cascare e che suonò nitido e perfetto sul pavimento come un’onda perfettamente armonica; tu sentisti vicino a tè quel suono pulito, il suo passaggio come una compressione nel tuo stomaco prima che si schiantasse contro le pareti e si frammentasse, come sempre nei corridoi, in echi aspri e stridenti che ne sporcarono l’incontaminata purezza.
Avevi capito cos’era il vento perché tante volte avevi lasciato che i tuoi capelli si agitassero mossi dalle grate d’aerazione. Avevi cercato quelle grandi in alcuni punti segreti e soffiavano così potenti che tu ridevi perché quasi spostavano il tuo corpo. Ma in quel momento non sapevi che all’Esterno l’aria è forte ma soprattutto debole, e ti colpisce lieve davanti e poi ti scorre dietro la schiena per cambiare direzione, o forse ormai è diventato un altro sbuffo, di un vento diverso, che ti passa sopra la nuca.
Non lo potevi sapere perché l’aria nei corridoi è ferma e stagnante, e devi cercare i punti più divertenti. E quando è ferma e stagnante da troppo tempo, arrivano le macchine pulitrici e tu hai sentito Lal dire che gli odori all’Esterno sono molto più forti di quando le macchine vanno via e hanno appena pulito e quello che lasciano brucia leggermente nelle tue narici, ma tu sei egualmente contenta perché così nessun odore si sentirà nei corridoi e nei Rifugi, tutto sarà neutro e per trovare un odore devi cercarlo quando sei abbracciata al corpo del tuo amante.
Metti tutto insieme e avrai l’Esterno che si spande come una sfera immensa, come un corridoio che si è gonfiato perdendosi in lontananza, e quando non lo vedi più e nulla è sotto di tè tranne il baratro, e non c’è fine al corridoio che hai davanti, e i suoni passano attraverso di tè e non intorno a tè, e invece l’aria danza intorno a tè, e qualcosa entra nel tuo corpo attraverso le narici, allora non sei più separato dall’Esterno ma esisti dentro l’Esterno.
A quel punto ti vengono in mente gli animali, che per tè sono parole, disegni, se non capisci cosa fanno. E per capirlo prendi la grande piscina dove vi bagnate nei Rifugi e stendila intorno a tè nel perfetto ordine dell’Esterno che ti circonda, e poi le grandi ombre verticali provocate dalla griglia che stava nel retro delle Stanze della Voce; te le ricordi? Le ammiravi, quando eri piccola, seduta all’angolo di un corridoio così vasto da sembrare un intero Rifugio. Si alzavano altissime, enormi, dritte e minacciose, perché dimostravano la potenza del Dio; le metti intorno alla tanta acqua della piscina. E poi le piccole luci rosse che vedi nella penombra dei Rifugi quando è notte e tutti dormono, mettile tra le ombre, come gli occhi degli animali; e poi poggia vicino alla piscina il piccolo animale che stai tenendo fra le mani e ti sembra simile a un palloncino pieno d’acqua ricoperto da un tessuto bagnato e viscido. E provi a fare la voce degli animali ma ti esce solo un suono gutturale, brutto come un rutto, e tu ci riprovi ma il suono rimane sempre così orrendo, monco, e gutturale tanto che ti fa male la gola ai lati del pomo.

Noa rimase sospesa in quell’attimo immaginario, composto dalle sensazioni prese nella profondità del proprio intimo, dove vivevano accanto ai ricordi, e messe insieme per creare e sentire l’Esterno, perché solo così poteva avvicinarsi a capirlo. Ma in questo sforzo di proiezione di se stessa qualcos’altro era stato trascinato risalendo dagli abissi dove la consapevolezza fatica ad arrivare.
In quel momento il nome del Dio gli passò davanti, corto e semplice, sottile come un alito del vento che aveva immaginato, evanescente come un sogno al risveglio. Lo vide e fù immediatamente sicura che era lui. Quando provò ad afferrarlo pienamente pulsò nell’inconsistenza del dubbio dilatandosi in ripetizioni informi, scomponendosi in duplicazioni fuori controllo, fino a svanire nella confusione.
Cercò di concentrarsi ma riuscì solo a ritornare al mondo reale e aprire gli occhi di scatto. Si ritrovò con la bocca spalancata, a dondolare piano la testa in avanti per costringersi a emettere quei suoni inarticolati che stava udendo, e le mani serrate spasmodicamente, forse il residuo del tentativo di ghermire la visione fuggente.
Non dormì quella notte, sconvolta da un miscuglio di sensazioni. Era arrabbiata per non aver afferrato il ricordo ma allo stesso tempo contenta, perché adesso si sentiva sicura di avere il nome del Dio dentro di sé.


Nel giorno in cui aprirono l’ultimo pacchetto di cibo Lal sentì degli strani fischi echeggiare lungo i corridoi di muro. Si allontanò e tornò molto tempo dopo affannato e nervoso. «Si stanno avvicinando. I corridoi principali sono in fermento. La scarsità sta producendo accumulazione e potere. I corridoi sono percorsi da gente con armi che vuole accaparrarsi i beni di altri. Alcuni invece sono semplicemente impazziti e cercano di distruggere le macchine del Dio. Adesso sono vicini, cercano chi si nasconde nelle zone antiche.»
«Come l’hai saputo?» chiese Toq nuovamente sospettoso.
Lal si concesse un blando sorriso. «Ho molti amici nei corridoi. Gente come mè che ha accettato di vivere in modo diverso, parzialmente disconnessa. C’è chi ha memorie per le storie, chi ricorda la disposizione dei corridoi senza aver bisogno di mappe. Abbiamo i nostri punti di ritrovo, le nostre forme di comunicazione e ci aiutiamo.»
Lal prese il volto di Noa tra le mani e accarezzò la sua fronte con un bacio. «Il nostro destino è nelle mani di una giovane donna. Devi richiamare il Dio per mettere nuovamente a disposizione di tutti gli uomini i suoi doni, e insegnare a tutti come evocarlo. E’ la nostra unica speranza contro gli Accumulatori.»
Noa rispose all’uomo anziano con un affettuoso abbraccio. «Ci sono vicina, Lal. Il nome del Dio danza intorno alla mia coscienza. Riuscirò ad afferrarlo.»
Lal si staccò e li guardò entrambi. «Continuate a scendere. Noi attireremo gli Accumulatori deviandoli lontano.»
«Sarà pericoloso!» esclamò Toq.
Lal scosse la testa e un ghigno amaro incattivì il suo volto. «Non è la prima volta che i figli del Dio danno la caccia al diverso. Noi conosciamo meglio di loro i corridoi. Se non ci prenderanno subito li porteremo verso i bordi e ci nasconderemo all’Esterno, dove loro non verranno.»
Lal consegnò a Toq una delle sue sacche dicendo solo. «E’ più utile a tè adesso.»
Poi si girò di scatto e si allontanò, trascinando la gamba ma muovendosi velocemente, senza aggiungere altro, senza costringere tutti alla mestizia dei saluti.
Nel vuoto che era sceso tra di loro Noa rispose allo sguardo smarrito di Toq con voce decisa come un comando. «Lal cercava un luogo dove inserire il nome del Dio senza Visuale. Le parole sui muri ci guideranno. Siamo già in una zona molto promettente.»
Ripartirono. Avanzavano con grande difficoltà perché l’aria diventava poca e sempre più pesante e sporca. Incontravano corridoi strozzati da cumuli di materiali che sembravano provenire dal soffitto, e altri più liberi sul cui pavimento sconnesso si disperdevano sottili veli di minuscoli granuli pietrosi che poi si riunivano alla base dei muri in piccoli e bassi mucchietti a forma di onda.
A volte si trovavano a camminare all’interno di nuvole solide di polvere, in un’acre penombra arancione.
Noa era stanca e si lasciava trasportare sulle spalle di Toq. Quando incontravano le parole sui muri lei le leggeva con gli occhi dell’assetato che vede l’acqua e dava indicazioni secche e precise. Per il resto del tempo rimaneva chiusa nel silenzio più assoluto.
Non aveva più interesse per i corridoi, li sentiva ormai estranei intorno a lei. Li guardava senza vederli, riducendoli a una collezione di segni senza consistenza materiale da ricondurre alle parole, ai significati, ai ricordi delle sue amate pagine, nella speranza che il nome del Dio risalisse dagli abissi dove era scomparso. E aveva paura di questo suo lasciarsi andare.
La notte che finirono il cibo Toq sentì dei rumori e si nascose. Saltò addosso a un’ombra che si avvicinava a Noa. Avrebbe voluto allontanarla, cacciarla via, urlare, mettergli paura. Ma riuscì soltanto a tenere le mani forti come tenaglie strette intorno alla sua gola finchè l’ombra finì di dibattersi. E solo allora si accorse che era un uomo più magro e consunto di lui e con una paura più grande della sua rimasta fissata nelle pupille al momento della morte.
Quella fù l’unica notte in cui Noa parlò a lungo, mentre tentava di calmare il suo uomo sconvolto accarezzandolo dolcemente. Toq scoprì quella notte che le lacrime di un adulto che scendono sul viso e finiscono sulle labbra sono più salate di quando si è bambini.
E due giorni dopo scoprì che le lacrime non sono solo di dolore ma anche di disperazione, quando arrivarono ad un incrocio dove confluivano più di quattro corridoi, e non c’era più nessuna direzione da prendere, se non per tornare indietro, e neanche le grosse uscite per l’Esterno, o parole sui muri a cui attaccare l’ultima speranza.
Piangeva Toq. E correva e saltava urlando isterico e picchiava selvaggiamente i pugni sulle pareti che segnavano la loro morte, perché non voleva sparire senza esprimere il suo odio. Finché sotto i suoi colpi la parte superficiale di un muro si sgretolò e cadde lasciando intravedere dei bordi squadrati che ricordavano la porta d’ingresso a quei corridoi.
Toq non aveva mai visto polvere, sporcizia, frammenti di materiale marcio mischiarsi per lungo tempo e ricoprire un muro, e non capiva. Per un breve momento si fermò incerto, ma non riusciva a riflettere chiaramente. Così alla fine si lanciò violentemente contro il muro con la forza della disperazione e della fame, mosso da una frenesia che non osava essere speranza, e spazzò via tutto mettendo a nudo la superficie rovinata di una serie di porte. Ma si fermò nuovamente. Rimase immobile a contemplare una forma che pareva disegnarsi sul metallo di una porta, mentre la polvere le sagomava intorno piccole cascate, folgorato dal ricordo. Rivide nella mente se stesso bambino, vicino all’uomo caduto dall’alto con la testa aperta da cui zampillava una fontana di liquido denso e corposo che lui non conosceva, di un rosso che non pensava potesse esistere, suo padre imbrattato da quella sostanza calda, appiccicosa, dall’odore pungente, con le mani grinzose che stringevano l’impianto dell’uomo, incerto se tentare l’unica cosa che il suo istinto dei corridoi poteva suggerirgli: reinserire l’impianto dentro la carne, per ricongiungere il Dio e il figlio. Il quel momento aveva visto bene l’impianto: piatto, sottile e grande come metà del suo dito più piccolo. Da quel giorno il padre era cambiato, si distraeva pensando a come aiutare i figli del Dio, mentre lui si sforzava di allontanare la cruda e orrenda visione che lo aveva spaventato molto. In realtà dentro di sé ricordava benissimo il disegno che luccicava sull’impianto come inciso nel sangue. E adesso lo stesso disegno modellava le sue linee sottili nella polvere, quasi in rilievo, sulla porta.
Passarono ore nervose in cui Toq provò a forzare la dura lastra che entrava nel muro, usando gli strumenti trovati nella sacca di Lal, e dopo aver lasciato sul metallo il sangue e la pelle delle sue mani riuscì a creare uno spiraglio e successivamente una piccola apertura sufficiente per un corpo.
E poi un tempo indefinito, scandito dai colpi di tosse per la polvere soffocante che rendeva difficile respirare, in cui le mani ferite di Toq tastarono sistematicamente, con delicatezza, tutto il contenuto della stanza che si era aperta davanti a lui.
Ottenne dapprima una blanda illuminazione, poi piccole luci pulsanti, infine rettangoli lattiginosi che parevano prendere vita da soli. Con le ultime energie, usando i brandelli dei vestiti, provò a ripulire dalla polvere tutti gli strani oggetti. Si accorse solo allora del filo d’aria proveniente dalla grata di aerazione appena tornata in funzione. Lasciò entrare Noa quando la stanza divenne più ventilata, e voleva sorridere con un galante inchino ma era troppo stanco per farlo.
Lei entrò in punta di piedi, si guardò intorno timorosa e si abbandonò ad un sussurro liberatorio. «Gli Antichi dicevano il nome di Dio con le dita.»
Toq individuò subito gli oggetti piatti, pieni di simboli della scrittura disposti con evidente ordine su più file. Fece accomodare Noa e le tenne delicatamente ferma la mano che tremava esitante al di sopra dei piccoli e traballanti quadratini.
Lei li toccò, più volte, riproducendo i simboli che aveva isolato nei sui ricordi ma che si presentavano alla coscienza ancora disordinati, senza un’univoca disposizione. I simboli apparvero nel rettangolo lattiginoso. Riprovò, ma non accadde niente.
Per un attimo Noa tentennò a bocca aperta nella confusione, senza ricordare più nulla. Si girò appena verso Toq rabbrividendo, e forse fu proprio il desiderio di non incrociare più lo sguardo dell’amato così spento per la delusione a dargli una nuova forza. Quella di affrontare e accettare fino in fondo la sensazione che l’aveva accompagnata negli ultimi giorni. Anche ritrovando il Dio, il mondo, per come lei l’aveva conosciuto, stava finendo. Il Dio era stato troppo lontano, e gli uomini non sarebbero stati più gli stessi.
Sorrise a Toq e si sentì stranamente più serena.
Invece di soffrire, si scoprì contenta di poter lasciare tutto alle spalle. Ormai il mondo dei corridoi la ingabbiava, era diventato solo una lenta, sofferente agonia che si trascinava senza più una ragione d’essere, e portava con sé tutti gli uomini. Era finalmente libera.
Aveva capito dove cercare il Dio e adesso era tutto più facile. Ma sapeva cosa sarebbe accaduto
Già sentiva agitarsi dentro di lei, quasi come un formicolio sulla pelle, la nostalgia, i rimpianti, il dolore che l’avrebbero tormentata a lungo nel futuro, ma che adesso scivolavano via senza toccarla, lambendola appena, ritirandosi informi oltre l’orizzonte.
Perché era sicura che loro, nati e cresciuti nei corridoi, non si sarebbero mai adattatati pienamente all’Esterno, l’inevitabile destino che li attendeva. Erano condannati ad una vita che probabilmente non avrebbero compreso e apprezzato.
Lo aveva letto negli occhi di Toq, umidi, sporchi e stretti per la fatica, che aspettavano una sua mossa senza quasi aver il coraggio di guardarla. Vi aveva visto una certezza che la spingevano verso una nuova, lucida determinazione.
Toq non comprendeva e lei avrebbe dovuto proteggerlo in futuro. Forse i loro figli avrebbero potuto apprezzare una vita diversa e doveva recuperare il Dio per loro, perché non erano ancora in grado di colonizzare il mondo fuori della Città con le proprie forze, senza i doni del Dio.
Adesso che il suo tradizionale modo di vita era svanito, adesso che non aveva più niente da difendere, nulla poteva legarla e riportarla indietro. Era più facile fuggire, allontanarsi, evadere definitivamente dai corridoi , e inseguire il Dio nella sensazione di assoluta liberta della notte in cui aveva immaginato l’Esterno.
Perché non avrebbe mai trovato il Dio se fosse rimasta in quei luoghi desolati che non gli appartenevano più, sopravvissuti per troppo tempo tanto da diventare consunti.
Anche i suoi splendidi corridoi di provenienza apparivano nel ricordo ormai spogli, inutili e sconosciuti, e il loro luccichio si perdeva inevitabilmente tra le ombre silenziose, così irriconoscibili che lei stessa stentava a credere di averci passato la sua giovinezza.
Gli balenò improvvisamente in mente un’immagine che aveva visto in una delle pagine nascoste del Dio: un foglio di antica carta degli Antichi offriva il suo candore per alimentare una fiamma che lentamente lo consumava.
Chiuse gli occhi e vide i corridoi nella sua mente trasformarsi in qualcosa di rugoso, stropicciato, contorto, annerito, simile a quell’antica carta.
Come quella carta i corridoi si accartocciavano su se stessi, consumando la propria essenza dall’interno, e la circondavano, si stringevano a lei, sempre più vicini ma inevitabilmente anche più fragili e sottili.
Bastava ormai poco per disgregarli, per lacerare il velo che la separava dall’Esterno.
I corridoi deformi provavano ugualmente a richiudersi su di lei, ma lei li scacciava via, uno alla volta, con decisione.
Quando la parete stava per crollare un’ ondata di angoscia gli mordeva le carni unendo le tempie e il petto in una pulsazione dolorosa e accecante, e l’abbandonava poi quando gli ultimi contorni di muro si disperdevano in frammenti svolazzanti.
Finché intorno a lei non rimase più nulla e per purificarsi definitivamente e arrivare al Dio pensò agli animali e provò a fare il loro canto.
Con la testa ciondoloni e dopo tanti goffi singulti che le scuotevano il corpo riuscì ad emettere quelle voci gutturali fino a provare nuovamente il medesimo dolore alla gola e scivolare poi verso altri suoni diversi, più puliti e gentili.
Solo allora il nome del Dio si ricompose chiaramente nella sua mente.
Noa aprì gli occhi di scatto e lo digitò.
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