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DOVE RIPOSANO GLI ANGELI
Inserito Giovedì 23 giugno 2005
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un racconto di Giuseppe Iannozzi
alla memoria di P.K. Dick
Point blank, right between the eyes
Point blank, right between the pretty lies you fell
Point blank, shot right through the heart
Yea point blank, you've been twisted up
till you've become just another part of it
Point blank, you're walkin' in the sights
Point blank, livin' one false move
Just one false move away
Point blank, they caught you in their sights
Point blank, did you forget how to love,
Girl, did you forget how to fight.
Point blank they must have shot you in the head
Cause point blank, bang bang baby you're dead.
Point Blank, Bruce Springsteen - The River, 1980
“La morte non esiste, è un’illusione. Il tempo stesso è un’illusione. Ogni
istante che viene non passa mai. Sarebbe a dire che non viene mai a compiersi;
era lì da sempre.”
da “In senso inverso” - Philip K. Dick
“Questo è un mondo irreale. Siamo in un labirinto vivente, non in un mondo. […]
lo spazio e il tempo sono le condizioni mediante cui il labirinto ci lega e ci
condiziona.”
da “Valis” - Philip K. Dick
Questo racconto è per
Philip K. Dick, 1928 - 1982
Ingollò l’ultimo sorso di birra: era ubriaco, completamente andato. Traballò
sbattendo il boccale vuoto sul bancone, cadde quasi in ginocchio fra
l’indifferenza totale degli ultimi avventori, si trascinò lontano ma lentamente
per respirare una boccata d’aria fresca.
Una volta che fu all’aria aperta, bestemmiò a squarciagola. E il suo grido
belluino si perse nel vuoto della notte. Le stele brillavano in cielo, ma non
una era per lui.
Un camionista lo avvicinò: era il classico, pancia gonfia e occhi cisposi, la
tipica faccia che si fa presto a dire quella d’uno stronzo.
“Amico, ce l’hai una cicca?”
Larry lo guardò storto, distrattamente, poi sbottò: “Cazzo vuoi?”
Prima che avesse tempo di rendersene conto, quello gli aveva rifilato un pugno
nello stomaco. Larry si scoprì in ginocchio a reggersi il dolore al di sotto
dello sterno: rimise anche l’anima, ma non servì a farlo stare meglio. La testa
gli pulsava d’un dolore sordo: un’aureola di piombo lo teneva ben radicato
nell’inferno che lui stesso aveva partecipato a creare a suo solo uso e consumo.
Non sarebbero bastati mille pugni a fargli vomitare via per sempre il marcio che
era diventato. I giorni felici non li ricordava se non come orribili spettri:
l’alcool non riusciva ad anestetizzarli.
Quando fu di nuovo in piedi, barcollante, si voltò giusto il tempo d’un momento
per vedere se c’era ancora il tizio che l’aveva costretto a baciare l’asfalto,
ma quello era scomparso: i suoi occhi obnubilati solo incontrarono una stanca
luce al neon, quella del bar. Si disse che non ne valeva la pena e si portò via
lungo la strada. Una puttana lo chiamò tesoro, ma lui non le rivolse una sola
parola e nemmeno uno sguardo; però lo sapeva che era una puttana. Non aveva
bisogno di saper altro.
Quando al mattino si svegliò l’aureola di piombo non era affatto scomparsa, era
soltanto più pesante: giorno dopo giorno acquistava peso, e Larry aveva finito
col farci l’abitudine. Si mise a sedere sul letto, diede una rapida spazzolata
con gli occhi annebbiati alla stanza, trasse fuori un cavernoso rutto, e si
rilasciò cadere pesantemente sul materasso portando un gran scompiglio tra le
cimici che gli tenevano compagnia.
Una volta un vecchio amico gli aveva detto che la vita è una sorpresa
galleggiante e che l’importante è rimanere a galla: detto da lui, a
ripensarci adesso, dopo che di acqua ne era passata tanta sotto i ponti, Larry
provò un senso di ironico fastidio. Dirty Pig - tutti lo chiamavano così - era
morto sulla tazza del cesso che era ancora giovane e probabilmente vergine:
soffriva di stitichezza e sganciare uno stronzo per lui equivaleva a farsi una
sudata immane, qualcosa come fare venti flessioni su un braccio solo. Era morto
sganciando uno stronzo enorme che aveva otturato il cesso, mentre la sacca
dell’aneurisma gli esplodeva nelle budella. Nel giro di venti minuti era morto.
L’avevano trovato i suoi vecchi ancora seduto sulla tazza del cesso con gli
occhi puntati nel vuoto. Quando glielo raccontarono scoppiò in una risata
pensando a uno scherzo di cattivo gusto. Al funerale non tirò fuori una lacrima:
faceva un caldo bestiale e la sua unica preoccupazione era quella di sciogliersi
la cravatta dal collo. Non ricordava quale fosse il nome di battesimo di Dirty
Pig, o forse non l’aveva mai saputo; però sapeva com’era morto, in un modo di
merda.
La prima ragazza che s’era fatto gli attaccò qualcosa di simile allo scolo:
Larry si ritrovò con l’uccello gonfio e dolorante per un mese intero. Fu così
che perse la verginità, maturando l’idea che il grande sogno americano una
grande cazzata, o più semplicemente un profilattico rotto venduto per buono.
Prese a ciondolare per casa che era già giorno fatto e strafatto: la bocca
incollata alla bottiglia, e il televisore acceso: un predicatore raccontava di
Gesù, in una televendita uno vendeva coltelli che prometteva affilati e di più,
ed ancora il solito reportage sul Vietnam, le ultime dall’Irak, una
retrospettiva sulla famiglia Kennedy, insomma robaccia così. Larry si fermò su
un canale che proponeva la faccia ottusa d’un tizio che pareva proprio quella
dello scemo del villaggio: il programma era Sick Sad World. Annoiato, con
la sensazione che doveva averlo già conosciuto tanto tempo fa, lasciò che quel
tizio raccontasse la sua storia: “Sono uscito per andare a caccia. Imbracciato
il fucile, mi vedevo già sui giornali come il più crudele, come il migliore,
insomma denunciato come minimo e preso d’assalto dagli strali della CNN e anche
da quelli del WWW. Mi sono intrufolato tra gli invitati e individuata la preda,
ho preso la mira e senza esitazione alcuna ho premuto il grilletto: la
pallottola s’è dipartita dalla canna, ha attraversato la torta nuziale facendo
saltare in aria i due sposini di zucchero, poi è uscita ed è andata a piantarsi
proprio in mezzo alla fronte di Barbie. Che non ha fatto una piega. Soltanto
m’ha guardato storto, quasi volesse fulminarmi, poi è tornata a nascondersi fra
la folla. Capite anche voi che ‘sto fatto m’ha lasciato non poco perplesso e che
per tutto il giorno ho avuto più d’un pensiero a riguardo. Alla sera, il
crepuscolo s’è tinto di sangue, mi sento le sirene della polizia in lontananza,
avverto il sapore della morte consumata; non posso fare a meno di tornare sui
miei passi, per capire, per vedere. Barbie giace in una pozza di sangue, il
cervello gl’è schizzato via come quello di Kennedy, e una donna glielo raccoglie
in mano cercando malamente di ricomporlo; copiose lagrime le lavano via il
mascara, lasciandole sulle gote lunghe impronte nere come graffi del diavolo.
Chiedo ai presenti: no, niente, non un lamento dalla bocca di Barbie, molto
semplicemente è caduta per non rialzarsi mai più. E’ forse questo un caso di
colpo mortale in ritardo? Tutti voi siete morti e io soltanto sono vivo, e io
sognerò anche per voi un’altra identità che con le prime luci dell’alba si
spegnerà.”
* * *
Ad essere sincero non ho idea da dove iniziare questo racconto, forse dovrei
risalire tanto tanto indietro, ma temo sarebbe in ogni caso inutile, quindi mi
limiterò a dire degli ultimi anni, quelli che mi hanno ridotto… Me ne stavo
accucciato - sì, si può dire così - in un angolo a tracannare una Devil’s Kiss:
fuori era l’estate e le risate delle ragazze rinfrescavano l’aria. Io, invece,
me ne stavo in solitudine, godendo di quelle risate. Ero vergine al tempo, in
tutti sensi. Cazzo di confessione, c’è di che ridere a crepapalle. Ad
ogni modo, non è che fossi per la castità, anzi tutt’altro: ce l’avevo sempre
duro e solo la timidezza - se di timidezza si trattava - m’aveva trattenuto dal
saltare addosso alla prima sbarbina. In fin dei conti sarebbe stato meglio, e
quasi sicuramente avrei avuto meno noie; e oggi la mia vita sarebbe diversa,
forse col culo rotto e non più vergine, ma senza questa cazzo d’aureola di
piombo. Dirty Pig aveva da poco tirato le cuoia, ma io ero giovane e la morte
lontana; ammetto però che la fine di Pig non fu delle più divertenti, fu
grottesca. A pensarci adesso a Dirty Pig e al suo stronzo, be’, non posso non
provare un senso di ironico quanto grottesco fastidio, almeno questo. Rimanere a
galla: Dirty non c’era riuscito - forse il tipo più sfigato che abbia conosciuto
dopo di me. Però a Dirty la morte prematura gli ha risparmiato tante umiliazioni,
mentre io me le sono dovute prendere tutte. Dicevo che le risate delle ragazze
rinfrescavano l’aria, ma fu un errore uscire dal mio angolo per guardarle. Bob,
il gestore del locale, un tipo in carne con una faccia da bulldog, mi fissava in
cagnesco anche se i soldi per la birra ce li avevo: semplicemente gli stavo sul
cazzo, ma l’antipatia era reciproca. Fu forse propria questa a indurmi a
scollare le chiappe da quel diavolo d’un bar. Tre, una bionda, una bruna,
l’altra rossa: me le sarei fatte tutte e tre, però quelle ridevano, troppo
sicure perché uno timido come me potesse avvicinarle e attaccare bottone e poi
sbottonare le loro camicette debolmente sudate. Mi portai la mano destra al
collo nel tentativo di sciogliere un invisibile nodo: provavo la stessa uguale
preoccupazione che m’aveva preso davanti alla cassa da morto di Pig. Lo sentivo
ben duro sotto i pantaloni, peccato che la mia lingua fosse moscia e ruvida come
una tavola di tenero legno marcio. Quella coi capelli rossi forse mi parlò,
forse mi disse che ero carino o qualcosa del genere, ma io rimasi semplicemente
come uno stupido a fissarla senza nulla dire; ed allora lei prese a ridere di
me. Vidi rosso: vergogna e timidezza e livida rabbia impotente, in pratica un
vero disastro. Abbassai il capo e mi portai lontano.
Mentre attraversavo le vie, incontrai Daryl: aveva la fama d’essere uno
scoppiato e un po’ tutti in città lo evitavano o comunque cercavano di averci a
che fare il meno possibile. A Daryl non lo potevi mandare a quel paese né gli
potevi mettere sotto al naso un no. Era uno scoppiato, e a quel tempo credevo
che gli scoppiati sapessero restare a galla meglio di tutti gli altri, quindi
quando mi si parò davanti non potei fare a meno di seguirlo così come m’aveva
chiesto. Lo seguii in silenzio come un cane attaccato alle chiappe del padrone.
Mi resi conto di quanto stava effettivamente accadendo - si fa per dire, perché
a tutt’oggi ben poco m’è chiaro -, ma solo nel momento del non ritorno.
Ero nel mezzo d’una festa, un matrimonio, almeno così sembrava: tutti ridevano,
tutti cantavano e pisciavano tra i cespugli. La torta nuziale sarà stata alta
almeno quanto Notre Dame e in alto campeggiavano due sposini di zucchero,
perfetti come in un fermo immagine stile Dallas. La musica, non ci avevo quasi
fatto caso ma c’era: “People do you hear me, just gimme the sign/ It
ain’t much I’m asking, if you want the truth/ Here’s to the future for the
dreams of youth” * La sposa non era delle più giovani: da lontano
m’era sembrata una ragazzina, ma adesso che la guardavo bene, adesso che era a
un tiro di schioppo dal mio naso, ecco era soltanto una donnetta sulla
quarantina i cui occhi dicevano Non chiedo poi molto, ho sofferto abbastanza,
non chiedo niente, solo una vita normale. Il marito doveva essere più giovane di
lei di almeno una decina d’anni: pensai che se l’era sposata perché gli
conveniva, magari lei era ricca o lo sarebbe diventata. In fondo non
m’interessava granché sapere.
Daryl mi prese sottobraccio, allontanandomi dalla coppia, mi sussurrò qualcosa
in un orecchio, e ci fui dentro fino al collo, irrimediabilmente.
Quando mi svegliai, ero tutto nudo, nudo e sporco. Mi tastai i coglioni: c’era
del sangue, viscoso. Il cuore mi perse un colpo. Dov’ero? Abituai gli occhi al
buio di quello che doveva essere un boudoir, trovai quattro teste addormentate:
una era quella di Daryl - ne ero sicuro -, l’altra d’una ragazza dai capelli
rossi - che mi sembrò essere quella della tipa che aveva riso di me -, poi c’era
quella dello sposo… e quella della sposa. Mi avvolsi in un lenzuolo legandomelo
ai fianchi, inciampai, caddi con la faccia in mezzo ai seni della sposa: era
freddo marmo quel petto. Preso dall’orrore invano cercai di cacciar fuori un
urlo: ma non venne. Mi rialzai confuso, arrabbiato, terrorizzato. Scavalcai -
non so bene come - quell’intreccio di membra e mi trascinai via. Non c’era più
nessuno, il party doveva esser finito da un pezzo: la casa era vuota. Scesi
dabbasso tenendomi il lenzuolo ben legato alle reni, rischiando di rompermi
l’osso del collo, perché inciampavo ad ogni gradino della scala. Finalmente
riuscii ad urlare. Il lenzuolo cadde per terra. Non lo raccolsi, né cercai i
miei vestiti. Aprii la porta e una volta all’aria aperta presi a correre senza
curarmi di capire se fosse notte o giorno.
La incontrai qualche giorno dopo: viva, più che mai viva nel fiore dei suoi
quarant’anni. Una visione! Fu un colpo al cuore trovarmela davanti. Lei sembrava
dimentica di ogni cosa, solo mi sorrise ma per lei ero un estraneo:
evidentemente non ricordava niente e anche se ricordava, faceva finta di non
sapere. Una volante della polizia: mi lessero i miei diritti e prima che potessi
capire, mi ritrovai ammanettato. Non ci rimasi per molto in gattabuia: mi
rilasciarono due giorni dopo spiegandomi che s’era trattato d’un caso… Be’, non
mi spiegarono un cazzo, però ero libero: capii soltanto che non ero colpevole e
che avevano preso un abbaglio. L’ispettore fu molto reticente: non mi fornì
particolari in merito al perché del mio arresto, mi fece le sue scuse
stringendomi la mano e mi offrì una sigaretta in segno di pace.
Uscito di prigione, Daryl lo incontrai due giorni dopo, ma la testa aveva già
preso su di sé quella pesante aureola di piombo che m’avrebbe tenuto molesta
compagnia per il resto della vita. Lo avvicinai, e Daryl, sprezzante, mi mandò
subito a farmi fottere. Dalle sue labbra non riuscii a sapere un’acca. Lo cercai
ancora, ma Daryl scomparve. Provai a chiedere in giro, alla gente, ma nessuno ne
sapeva niente: per tutti Daryl era come se mai fosse esistito. Cercai la casa
dei neosposi, ma niente di niente: scomparsi nel nulla. Tuttavia ebbi maggior
fortuna con la rossa, se così si può dire: le raccontai tutto per filo e per
segno. Scoppiò a ridermi in faccia: “Io con te? Io l’avrei fatto proprio con te…?”
“Credo di sì.”
“Non ne sei certo. E fai bene, perché io con te manco morta.”
Buttai via i Durex che tenevo in tasca, una confezione da sei meno uno.
L’uccello mi divenne gonfio e arrossato. Per un mese, il mio povero cazzo fu
un’appendice schifosa: l’avevo fatto con una che mi diceva che non era vero, e
per giunta con un profilattico bucato. O forse avevo scopato in un’orgia con una
quarantenne che però non era mai esistita.
Alla fine la trovai la quarantenne, al cimitero sepolta insieme a suo marito più
giovane di lei di almeno dieci anni. Chiesi a un becchino delle informazioni:
“Una brutta storia: il marito le ha sparato alla testa il giorno stesso del loro
matrimonio. Un colpo che le ha trapanato la fronte. Qualcuno, un’amica forse, ha
persino tentato di raccattare i brandelli di materia grigia… Sai, come con
Kennedy quando l’hanno assassinato. Ma la cosa più strana è che il marito non
aveva un pistola, almeno così disse la polizia. Per tutti è stato il marito a
spararle. Ma c’è qualcuno che insinua che fu la mano del diavolo a mettere il
colpo in canna. Sì, qualcuno dice che in mezzo alla folla, tra gli ospiti, c’era
il diavolo in persona. Il marito s’è tolto la vita subito dopo. E’ stata la
famiglia di lei a decidere che i due coniugi venissero sepolti insieme per
l’eternità. Una storia di merda che ci insegna che la verità non galleggia come
uno stronzo.”
Gettai un’occhiata alla lapide, all’epitaffio: “Dove riposano gli Angeli.”
E l’aureola di piombo sulla mia testa si fece così tanto pesante che
rischiò di seppellirmi lì in quel preciso momento.
Ci volle un mese perché il mio cazzo guarisse. Tornai al cimitero, ma la tomba
non c’era più; e il becchino con cui avevo parlato anche lui scomparso.
Se ci penso adesso, provo pena per me, per me che… ‘Fanculo!
* * *
Larry spense la tv, spense Sick Sad World.
“Ne hai avuto abbastanza?”
Larry si voltò verso la donna: “Sei pesante.”
“Sono nella tua testa. O meglio, sulla tua testa.”
“Sì. Ma perché io?”
“Non c’è un perché. Tu o un altro, non avrebbe fatto differenza. Questa volta è
toccato a te sperimentare che la vita è una sorpresa galleggiante e che
l’importante è rimanere a galla. Ma la verità non galleggia come uno stronzo
dove riposano gli angeli.”
Larry si ritrovò con una pistola in mano: era già carica. Puntò la fredda canna
alla tempia: con lo sguardo spazzolò l’ambiente, la sua casa, posò gli occhi
sulla bottiglia. “’Fanculo!”, sibilò fra i denti.
Come al solito tutto l’alcool della bottiglia non era servito a niente. Essa era
maledettamente pesante. Accese di nuovo la televisione: andava in onda la
replica della puntata che aveva già visto di Sick Sad World: lasciò che
quel tizio faccia da scemo del villaggio ripetesse per l’ennesima volta
la sua storia. Gli puntò contro l’indice a mo’ di pistola e schioccò fra la
lingua un sonoro bang. Lo schermo fu invaso da un mare di nevischio. ‘Ho
proprio bisogno d’una puttana. Non ho bisogno di altro. Di nient’altro. Di
nessun altro. Solo d’una puttana, perché tutti voi siete morti e io soltanto
sono vivo.’, pensò sorridendo in maniera grottesca orribilmente pesante.
Chiuse gli occhi e prese a massaggiarsi, lentamente, la fronte.
* I Want It All, Queen - The Miracle, 1989
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