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TEMPO DEL SOGNO

Inserito Mercoledì 27 luglio 2005

Narrativa un racconto di Claudio Tanari

Le odio le dune. A guardare le immagini trasmesse dalle sonde che gli ronzano attorno, gran parte del pianeta sembra fatto di morbida sabbia. In realtà, le dune coprono meno della metà dell’intera superficie: tutto il resto sono sassi più o meno demoliti dall'erosione. Il fatto è che le dune sono fotogeniche, appaiono come curve di donne nude. E poi, oramai, tutti amano il deserto marziano visto dall'olovisione.  Provate a camminarci dentro. I nostri piloti fanno spesso ogni sorta di giri pur di stare lontani dagli erg, i mari di sabbie. L’immaginario collettivo sul Pianeta Rosso, quando ci si è in mezzo, tende a ridursi a polvere densa sulla visiera del casco o sul parabrezza del “cammello”.  Mi si chiede quale sia il prototipo di esploratore che vada bene in queste lande desolate: chiunque, purché sia umile e non vada a cercare se stesso, o Dio.  Su Marte, a parte voi, non c'è niente.

George Lester non sembrava troppo preoccupato l’altro ieri in occasione della seduta del Consiglio. Infastidito, piuttosto.

- Buonasera, signori. Come sapete circa due settimane fa abbiamo inviato una squadra di trivellatori per effettuare carotaggi nella Valle dei Monumenti di Cydonia. – aveva esordito – L’intera area è in questo momento interessata da fenomeni meteo imprevisti e da terremoti di una certa intensità. Inutile aggiungere che quest’ultimo aspetto della faccenda è del tutto anomalo… Dottoressa Theodoros, vuole continuare lei?

- Molto volentieri, Professor Baker. – Irene aveva indossato l’espressione assorta e seduttiva delle migliori occasioni - Un vento da nord, teso, una bufera proveniente dritta dal Mare Cimmerium attraversa Chrise, Xanthis per arrivare nel cuore di Cydonia. In più nella zona della Valle, da tredici giorni ormai, registriamo una pronunciata attività sismica: scosse di magnitudo variabile da 3,5 a 4,8 Richter, distanza epicentrale compresa tra 200 e 1500 Km; profondità ipocentrale inferiore a 90 Km.

- Ma il pianeta non era fermo da millenni? – ero intervenuto esprimendo l’incredulità degli altri consiglieri.

- Esatto, Dottor Lucas! – cantilenò Irene - In effetti, come aveva anticipato il Professor Baker, stiamo parlando di fenomeni completamente nuovi.

- Siamo sicuri che i rilevatori funzionino, George? – avevo ripreso scettico, ignorando lo sguardo impertinente della sismologa.

- Sì, Marco. Abbiamo confrontato più volte i dati… Anche i droni spediti in zona li hanno confermati.

La sala elaborò in silenzio le informazioni mentre Lester si massaggiava stancamente con una mano gli occhi chiusi.

- Bisogna innanzitutto evacuare il cantiere di Cydonia – proposi - poi…

- Beh, Marco: c’è un altro problema. Il responsabile dei lavori, a Cydonia, il signor Wagiman, da un paio di giorni non segue il programma di carotaggi e… insomma ha cominciato a fare discorsi strani…

- Stress da superlavoro? Non sarebbe la prima volta… - intervenni – Laggiù i ritmi sono piuttosto serrati; le condizioni ambientali non aiutano certo…

- Kassoum, può relazionare? La prego. – mi interruppe Lester con una certa impazienza.

- Vede, Dottor Lucas, stavolta non è così semplice – prese la parola l’antropologo. A Cydonia abbiamo impegnato un gruppo di operai Djalu, originari dell’Australia nord-occidentale. Come lei sa, da psicologo del lavoro, qui su Utopia tendiamo a rispettare i desideri dei componenti delle squadre tecniche. Wagiman aveva espresso la preferenza per un gruppo di lavoro formato esclusivamente da operai di quel clan…

- Può arrivare al punto? – fece Lester.

- Ci arrivo subito, George. – sorrise quasi divertito Kassoum - La mitologia degli aborigeni è talmente radicata nella loro natura che nessun antropologo è mai riuscito a comprenderla pienamente. Per la loro cosmogonia religiosa, il paesaggio e la natura sono paragonabili per rilevanza alla Bibbia nella cultura cristiana. Rocce sporgenti, canyon, fiumi, cascate, isole, spiagge e tutto ciò che appartiene alla natura, come il sole, la luna, le stelle visibili e gli animali, possiedono miti di creazione tra loro collegati. Per il costume aborigeno tutto è sacro: l'ambiente è l'essenza del credo di quel popolo.

- Vada avanti – fece Irene, attenta.

- Bene. Prima della comparsa dell'uomo, - recitò Kassoum in tono parodisticamente ispirato - prima che ogni cosa fosse creata, esisteva l'Altierjinga, ovvero il “Mondo del Sogno”: un luogo misterioso che esiste fisicamente ma che nessuno, esclusi naturalmente – sottolineò con malizia - gli Aborigeni australiani, è in grado di vedere.

In un'epoca remotissima i Kundingas, strani esseri metà uomini e metà animali avevano sognato (questo verbo non ha il significato che noi gli attribuiamo ma è una via di mezzo tra “creare” e “cantare”); dei che creavano il mondo attraverso la semplice parola: bastava nominare una cosa perché questa si concretizzasse, e iniziasse a esistere. Fu il “Tempo deI Sogno”: il mondo, l’universo intero, con tutte le sue creature, le sue rocce, i suoi alberi, furono creati attraverso epifanie sonore, scaturiti dalla voce stentorea delle divinità, che attraversavano il mondo seguendo i percorsi invisibili di una cartografia astratta, presente solo in quanto eco di quei canti. Poi i Kundingas erano ripartiti, o, in alternativa, si erano addormentati all'interno di alberi e rocce, lasciando il ricordo del sogno nelle menti dei loro figli, gli aborigeni.

- Ma che centra tutto questo con il nostro problema? - interloquii - Gli operai di Cydonia si ammutinano per….

- No, no! Nessun ammutinamento, Lucas! – fece Kassoum continuando insopportabilmente a sorridere – Il fatto è che Wagiman e i suoi sono convinti di assistere a una nuova Genesi, proprio qui, su Marte. Non sono più disposti ad eseguire gli ordini, sono caduti in una specie, è lei l’esperto no?, di delirio mistico.

Lester emise un lungo sospiro – Per farla breve, Marco: il Consiglio ti incarica di recuperare il controllo della squadra di operai a Cydonia e di riportarli qui, a Utopia. Partirai dopodomani. Tu e il tuo equipaggio sarete… accompagnati da una decina di militari della base, per ogni evenienza.

Aprii la bocca tentando istintivamente di discutere la missione.

- Buona fortuna, Dottor Lucas! – mi prevenne tagliando corto.

Ci troviamo, Kassoum, Thoorga il pilota, Irene e il sottoscritto, su una duna desertica battuta dal vento, a bordo di un “cammello” a cinque posti. Ho subordinato l’accettazione

dell’incarico al rifiuto della scorta: non sopporto quei gorilla carichi di sistemi d’arma all’ultimo grido. Il Capo non aveva fatto una piega: l’essenziale per lui era che gli risolvessi quella fastidiosa grana, senza ulteriori complicazioni. Vincent, il geologo francese che doveva unirsi a noi ha dato forfait all’ultimo momento: sindrome influenzale. In realtà lui preferisce le missioni che finiscono nei notiziari della sera, del tipo “Scoperto un lichene nella Valles Marineris” o “Acqua allo stato liquido nel sottosuolo di Isidis Planitia”. Cose così. Niente a che vedere con la passeggiata di quattrocento chilometri verso Cydonia, alla scoperta di un’anomalia probabilmente registrata da rilevatori guasti o impazziti, come gli operai aborigeni. Il buon Vincent è quindi rimasto al caldo di Utopia, a godersi la vista dell’ennesima, interminabile tempesta di sabbia davanti a un buon caffè.

Come se mi avesse letto nel pensiero, Kassoum prepara il tè secondo un rituale antico e immutato, fatto di mille travasi, mentre il silenzioso Thoorga lo sostituisce ai comandi: vagamente inquietante, anche lui appartenente al clan Djalu come si è orgogliosamente presentato alla partenza, è piovuto su Marte con l’ultima ondata di immigrazione tecnica del Terraforming Mars Institute. Kassoum sta amabilmente intrattenendo Irene, la sismologa, con le sue astrusità tuareg. La “Dottoressa Thedoros”, nativa di Ios, ha trascorso la sua giovinezza tra le isole dell’Egeo, a studiare l’Arco Ellenico per conto dell’International Seismological Society. Alla non più tenera età di trentanove anni, per motivi incomprensibili, ha pensato bene di chiedere il trasferimento da noi, su Utopia. Una sismologa su un pianeta da tempo immemorabile senza terremoti… Per questo, probabilmente, aveva preso così a cuore la storia di Cydonia.

- La tradizione impone che vengano offerte tre tazze: – la sta erudendo Kassoum - la prima è amara come la vita. La seconda dolce come l'amore. La terza soave come la morte.

Kassoum si definisce, con una buona dose di autoironia, il nostro amanar, parola tuareg che viene tradotta con "guida”; come altri scienziati, piloti e tecnici di origine berbera, è venuto su Marte per ritrovare il sahara, lo "spazio vuoto" dei suoi primordi. In realtà per la gente come lui Marte è un organismo vivente. Per loro, ci ha rivelato con apparente distacco, il "deserto dei deserti" è un ciclope stramazzato da chissà quale condanna. E’ lì da milioni di anni, sul dorso, la testa canuta a sud, la capigliatura bianco latte a formare i ghiacciai del polo. I piedi, allungati a nord, sono i bassopiani della Syrtis. Ha organi interni, il gigante: talvolta ne escono gli umori, acque improbabili. Il ventre, nudo e irsuto, è costituito dalle distese centrali, in cui le pietraie si alternano ai crateri, come pori sulla pelle. Il titano talvolta si muove: alza vulcani come l’Olimpo e monti come i Tharsis.  Ha cicli biologici che provocano il vento e il palpito della sabbia, il tenue calore delle rocce e la condensa della rugiada nelle caverne.

- Talvolta la sua pelle si squama sul torace, quando suda - mi diceva il vecchio Hassan indicando le lastre piatte ed erose attorno a Utopia, l’hammada.

Adesso costeggiamo con prudenza le sponde del Lacus Niliacus: una depressione che, a dispetto del nome, è più simile alla Valle della Morte; lì i cervelloni della terraformazione hanno piantato, ormai cinquant’anni fa, centinaia di pini di Orizaba, abituati alle condizioni avverse dei vulcani messicani: alberi abituati stoicamente a fare i conti con il gelo e la scarsa presenza di ossigeno. L’asso nella manica del TMI, insieme ai batteri Chrococcidiopsis e al bombardamento delle calotte polari si è finora rivelato un imbarazzante spreco di risorse: tutti ricordano le parole ispirate del discorso di Fred Rainey, Direttore del TMI, nel Gennaio del 2046 ad Atlanta: - Un giorno i figli dei nostri figli, guardando in alto la luce rossastra di Marte, penseranno alle romantiche pinete di quel pianeta; che già da tempo non sarà più un deserto arrugginito, ma una piccola Terra, dove qua e là acqua, piante e microbi copriranno la sua superficie riportata alla vita.

Solo dieci anni più tardi poche centinaia di quei pini sopravvivevano a stento, i tronchi ulcerati e ritorti dal vento gelido, gli aghi estenuati alla ricerca brancolante dell’ossigeno prodotto dalle colonie batteriche, anch’esse ridotte a chiazze in agonia in fondo ad avvallamenti e crepacci.

- …per i miei antenati berberi si trattava solamente di sahara, "spazio vuoto" – ha ripreso Kassoum rivolgendosi a Irene - Per loro esistevano due strategie di sopravvivenza: la pista e la tana. Il continuo movimento delle carovane e il rifugio umido delle oasi.  Saieh sid Ahmed, mio nonno, che conduceva ancora vent’anni fa le carovane del sale da Tombouctou, mi diceva: "Il Sahara non si abita: lo si attraversa"...

Le pose sapienziali del tuareg mi irritano; forse avverto con fastidio la responsabilità di una missione non facile, anzi decisamente insidiosa.

Lo interrompo: - Dovremmo quasi esserci, vero Kassoum?

- Sì, oltre quella cresta saremo in vista della piana di Cydonia – risponde veloce.

- Visibilità? – Chiede Irene.

- Ancora accettabile – Anticipa Kassoum portandosi al vasto oblò frontale del “cammello” - «Se il tuo cammello muore, tu muori», ridacchia. Piuttosto, Theodoros, che mi dici dell’attività sismica?

- Persistente, magnitudo in aumento – consulta il sismografo Irene

- Continuo a non crederci! Quelli di Utopia non sbagliavano allora… Che ne dici?

- Non lo so, Marco… E’ come se il pianeta si stesse… stiracchiando, dopo un sonno di milioni di anni. Vorobiov pensa di aver scoperto che lungo le faglie non c’è solo attività sismica, ma anche sprigionamento di attività elettromagnetica con espulsione di forme energetiche di enorme potenza; lui crede che la litosfera marziana, abitata ora in parte dall’uomo, sia stata sconvolta da campi di onde luminose, termiche, sismiche, magnetiche che ne stanno alterando l’equilibrio…

… e provocano i terremoti attuali – concludo.

- Proprio così. Se vogliamo fermarci alle spiegazioni meno suggestive, però, potrebbe trattarsi della formazione di un reticolo di fratture provocate da una maggiore circolazione idrica nelle faglie: stiamo lavorando da almeno vent’anni per questo, no? – Sorride Irene.

- Già… Kassoum, tu come la vedi?

- Mah… Nel deserto l'oggetto più importante per la sopravvivenza è un cordino di almeno 50 m: si può morire di sete guardando furibondi l'acqua di un pozzo profondo. Nel Sahara, la tolleranza del sistema è zero. Un dattero ti deve durare tre giorni: il primo giorno lecchi la buccia; il secondo mordi la polpa, il terzo succhi il nocciolo.

- Fuor di metafora? – Lo incalzo dissimulando a stento l’irritazione.

Thoorga sembra insolitamente attento e solleva il volto dal monitor di guida.

- Ricordi la faccenda dei semi d’orzo? I primi, piantati nei campi di Arcadia, morirono tutti. Per il TMI non fu un dramma: avrebbero fatto arrivare sementi più moderne e vigorose dalla Terra.  Ma la terraformazione non è una faccenda così semplice: è stato un errore pensare che un'agricoltura industriale, con acqua, fertilizzanti, erbicidi e pesticidi in abbondanza, potesse fornire piante adatte a crescere in regioni brutalmente desertiche, senza un fiume o un acquedotto… Chi ti dice che le nostre attività non stiano provocando risposte impreviste da parte di un ecosistema finora addormentato?

- Eccoci! – Lo interrompe Irene. Cydonia, fonte di infinite speculazioni pseudo scientifiche solo qualche decennio fa, argomento di dissertazioni spericolate da parte di sedicenti archeologi spaziali. Bizzarrie dell’erosione scambiate per rovine di edifici eretti da civiltà perdute che non trovarono mai, però, il loro Schliemann. La celebre Faccia, tra i turbini dell’incipiente tempesta di sabbia appariva, più informe che mai, ciò che non poteva non essere: un’altura rocciosa morsa dal vento, così come gli altri “Monumenti” della Valle.

- Ah, dimenticavo – interviene Irene – l’ipocentro è giusto sotto la Piramide D&M…

Sfioriamo con prudenza la collina massiccia, una grande piramide a base pentagonale, di quasi 900 metri ed un volume di due chilometri cubi. La affianchiamo sul lato destro, lungo all’incirca due chilometri: a metà della sua estensione si apre un cratere che, pur essendo di diametro ridotto, risulta di notevole profondità: la luce radente del tramonto impedisce di scorgerne il fondo. Sull'orlo della voragine due formazioni dunali, sinuose e lisce. Più avanti una struttura geologica simile a due muraglioni che s'incontrano ad angolo retto. La visione satellitare ci mostra dall’alto il pentagono inscritto in un altra figura, una specie di scudo, di quadrilatero in forma di rombo.

- Thoorga, le coordinate per la manovra di avvicinamento. – scandisce Kassoum portandosi ai comandi manuali.

 - Dieci gradi Sud - Est. Attenzione a quella formazione rocciosa a venti metri! – rompe il suo silenzio il pilota.

- Che fine hanno fatto i tuoi amici? Non dovevano trivellare proprio davanti alla Piramide? – eslamo brusco all’indirizzo di Thoorga.

- Con questo vento, avranno avuto difficoltà. A un centinaio di metri dietro la montagna c’è il campo: saranno là, al riparo – risponde appena risentito.

- J/130 a Campo, rispondete, prego – chiamo via radio. Nessuna risposta, se non la carezza ruvida della sabbia sulla corazza del “cammello”.

- J/130 in avvicinamento, ripeto. Rispondete!

- Eccolo! – avvisa Kassoum.

- Che diavolo è successo?! – sussurro con voce strozzata. Delle due cupole una è squarciata e il vento ne sventola con violenza parte del rivestimento argenteo; l’altra, in apparenza intatta, espone il faro rotante: la lama di luce verdastra descrive un cerchio che fende la foschia della tempesta e le prime ombre del crepuscolo marziano. In prossimità del campo, le attrezzature per il carotaggio e i mezzi di trasporto, parzialmente insabbiati.

- Capocantiere Wagga a J/130, passo. – udiamo con un sobbalzo la voce tranquilla di uno dei tecnici.

- Vi riceviamo forte e chiaro! – risponde Thoorga visibilmente sollevato strappandomi l’auricolare. Lo recupero con rabbia:

- Era ora! Dove eravate finiti? Qui il Comandante Marco Lucas, ufficiale scientifico del J/130: siamo in prossimità della Cupola B.

-Ah, Comandante… non siamo nella cupola…

- Come?! Da dove cavolo mi parli, Wagga?!

- Dalla Piramide, Comandante.

- Non dire sciocchezze! Ci stiamo sotto e non vi vediamo!

- Dall’interno della Piramide…

- Ma che, mi prendono per il culo? – faccio rivolgendomi all’equipaggio. Noto che Thoorga ha recuperato in pieno la sua laconicità. Irene e Kassoum mi guardano perplessi.

- Wagga, la Piramide non ha… ingressi. Dove siete?

- Gliel’ho detto Comandante Lucas. Non preoccupatevi per noi, comunque. Stiamo benissimo, nessun ferito: la Cupola A è stata danneggiata mentre eravamo… al lavoro.

- Non avete lasciato qualcuno nella B?

- No… non pensavamo fosse importante…

- Cazzo, Wagga! Ti ha dato di volta il cervello? Questa è roba da deferimento al Consiglio disciplinare del TMI!!

- Buona sera, Dottor Lucas. Sono Wagiman: è tutto sotto controllo. La squadra è al completo: Mandawui, Yunupingu, Gurruwiwi, Wonggaranda, Gumbainggiri, Gooreenggai… Potete andare, ora…

- Buona sera, Wagiman. Mi spiega quello che sta succedendo? – rispondo cercando di dominare l’esasperazione.

- Lucas, sarebbe troppo lungo e forse per lei incomprensibile… Solo qualche cumbo, è in grado di sognare…

- Cumbo vuol dire “bianco” il lingua Djalu – mi informa premuroso Kassoum.

Sento il sangue pulsare all’altezza delle tempie per la rabbia e l’impotenza: il silenzio dei miei compagni amplifica il rumore del vento che sfiora la lamiera del “cammello”, simile al passaggio di un serpente dalle squame di silicio.

- Wagiman, perdio! – urlo a vuoto – Wagiman!! Mi risponde solo un suono profondo e vibrato.

- Stanno celebrando il kadajingera, un rito magico che permette di vedere il Mondo dei Sogni… - dice fra sé Kassoum – Quello che sentiamo è con ogni probabilità una registrazione del suono del didgeridoo, uno strumento a fiato utilizzato dagli sciamani…

- Basse frequenze, diciamo dai 50 ai 200 Hz – commenta Irene dal campionatore acustico - Siamo sotto le onde cerebrali Alpha, al limite dell’induzione di stati di coscienza alterati.

- Andiamo - dice Kassoum con calma irreale. Stranamente, mi trovo d’accordo con lui.

A un mio cenno di assenso, indossiamo le tute, tutti tranne Thoorga, che rimarrà ad attenderci sul “cammello”.

- Vede, Lucas – riprende all’improvviso Wagiman dalle viscere della Piramide - Ci sono lezioni che Marte ci può insegnare se solo sappiamo cosa cercare, se solo diamo a noi stessi la possibilità di porre le domande alle quali gli dei che prosperavano originariamente qui avevano saputo dare le risposte, se ci lasciamo ispirare…

Non rispondo, arrancando furiosamente insieme agli altri nella sabbia in cerca del varco tra cumuli di pietre scabre.

- … è qui, nel più arido degli aridi dei luoghi, che questi e altri segreti del passato possono essere svelati, semplicemente perché in un luogo come questo non sono mai veramente andati perduti.  Essi attendono solamente la mano giusta, l'occhio giusto, la domanda giusta che li riporti in vita…

La tempesta rinforza e rende problematico l’orientamento. Leggo negli occhi dei miei compagni sul multidisplay all’interno del casco preoccupazione e fatica. Ne ascolto l’ansimare che fa velo alla ragione, insieme alla sferza del vento e della sabbia.

- … devi essere tu a chiedere alla terra come far ricrescere quegli alberi che una volta fiorivano qui. I laghi sono qui, sugli altipiani, ma non abbiamo mai chiesto loro che tipo di vita riescono a sopportare. Noi pensiamo solo a prosciugare i loro bacini per inviare acqua alle miniere e ai porti dai quali parte il frutto di ciò che viene estratto dalle miniere stesse…

- Guarda, Marco! Irene indica un crepaccio lungo il crinale scosceso della Piramide, probabilmente il passaggio di cui si sono serviti Wagiman e gli altri per entrare nelle cavità della collina. Mi getto dentro quella che si rivela la porta d’ingresso di un enorme antro, debolmente illuminato dai dispositivi luminosi dei caschi. La frustata della tormenta cessa provvidenzialmente consentendoci di recuperare concentrazione e lucidità.

- Allora? – chiedo dopo una lunga pausa ai miei compagni.

- Non ne ho idea – risponde Irene – Sembrano impazziti. Non mi sorprende: si trovano qui da venti giorni e…

Irene, credo che le condizioni di lavoro non c’entrino – intervenne serio Kassoum. Hai ipotizzato un paio d’ore fa che il pianeta stia… com’è che hai detto?

- “Stiracchiandosi” – conferma Irene.

- Proprio così. Era un tentativo di spiegare le recenti anomalie meteo e sismiche del pianeta, vero?

- Continua – lo incoraggio.

- Ebbene, c’è un’altra spiegazione, non del tutto in conflitto con la tua: Marte sta tornando a vivere…

Dalle profondità abissali dell’antro, me ne rendo conto solo ora, una vibrazione appena percettibile ma in rapido crescendo risuona sulle pareti rocciose che ci circondano, riempiendo il vuoto di una nota prolungata che sale lentamente di tono: una voce antica, potente, dalle variazioni ipnotiche.

- Milioni di anni fa su Marte esistevano oceani, verdi pianori, corsi d’acqua imponenti. Probabilmente forme di vita evolute. Ma, dopo centinaia di milioni di anni, il clima si raffreddò, l’acqua fuggì nel sottosuolo, l’oceano boreale si svuotò e Marte divenne il freddo deserto che conosciamo noi…

- Non era l’ipotesi di Victor Baker, il geologo dell’Arizona University…? – domando lentamente.

- Firenze, 32° Congresso geologico internazionale, Agosto 2004…- ricorda Irene.

- … il calore di Marte si accumula per centinaia di milioni di anni – spiega Kassoum - Fino a quando il pianeta si… sveglia, non è così Irene? I vulcani eruttano, i ghiacciai sotterranei si sciolgono. L’anidride carbonica emessa dalle eruzioni e dal terreno crea l’effetto serra. Alle piogge iniziali subentrano le nevicate e, dopo qualche migliaio di anni, il clima si raffredda di nuovo e l’acqua viene riassorbita.

- Cicli che si ripetono, ogni volta meno intensi, perché il nucleo di Marte continua a raffreddarsi… - rifletto a bassa voce travolto dalla suggestione – Ma oggi è il Tempo del Sogno…

Da qualche minuto il basso continuo è diventato assordante: a tratti sembra avvertibile lo scroscio di canali ipogei, la risacca di laghi da troppo tempo immoti. Sistole e diastole di un pianeta richiamato alla vita, i passi possenti dei kundingas redivivi, il respiro profondo del didgeridoo… Sotto la trama sonora, pervasive, le cantilene del rito Djalu, da qualche parte, sul fondo degli abissi.

Non riusciamo più a distinguere le nostre voci, sopraffatte dalla potente vibrazione da cui lo stesso corpo roccioso della Piramide sembra ormai innervato; o è il vento, che riprende a soffiare nel microfono frantumando le parole e coprendole, come se la portante fosse fatta di sabbia. Riesco a cogliere un lungo gemito, un sabba di fantasmi sta usando questo strumento per farmi udire ciò che un orecchio umano non riesce normalmente a percepire. Forse è questo il richiamo che agitava Kassoum da bambino, sapendo che avrebbe lavorato nel deserto per svelarne i segreti; la stessa voce che aveva svegliato Irene nel cuore della notte, sull'Egeo, spingendola a cambiare il suo destino.

Forse il vero motivo che ci ha condotto su Marte sta in quella musica, in quello che sta cercando di dirci e che non siamo ancora in grado di comprendere.

- Dobbiamo solo aspettare, adesso. E imparare ad ascoltare.


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