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V for Vendetta

Inserito Giovedì 02 marzo 2006

Comics di Danilo Santoni

Corto Maltese, la rivista di fumetti, nel numero di aprile del 1991 iniziò la pubblicazione a puntate di V for Vendetta. Ricordo che accolsi la notizia con entusiasmo, ero appena entrato nel mondo dei fumetti e avevo da poco scoperto Watchmen rendendomi conto che Alan Moore era un genio. Su Interzone avevo appena letto una recensione che ne parlava molto bene e che presentava un’immagine molto bella in bianco e nero: un uomo di spalle che si allontana su una grossa autostrada affiancata da lampioni e una maschera appesa all’angolo di destra in basso (l’immagine finale del graphic novel).

Comprai quel numero di Corto Maltese con vero entusiasmo e rimasi profondamente deluso. Sì, venendo, come detto, da Watchmen, un’opera dal tratto preciso e pulito e con colori decisi e luminosi, mi ritrovai in mano un’opera dall’aspetto slavato e sporco. E poi, l’immagine che avevo visto su Interzone mi faceva pensare a tavole in bianco e nero e devo dire che preferisco i fumetti in bianco e nero a quelli a colori perché credo che il colore riesca in qualche modo a nascondere imperfezioni che il bianco e nero non ammetterebbe mai. (Seppi solo dopo molto tempo che V for Vendetta era stata iniziata in bianco e nero e poi la pubblicazione si interruppe. In seguito la DC Comics riprese le pubblicazioni dall'inizio colorando le tavole iniziali in bianco e nero)

L’opera, in Italia, sarebbe stata pubblicata in sei parti, fino al numero di settembre del 1991 di Corto Maltese, ed io ero dell’idea di fermare la mia ‘avventura’ con V con quel primo fascicolo di 48 pagine. Iniziai, comunque, a leggerlo.

Subito mi resi conto che l’aspetto delle tavole era altamente funzionale alla narrazione, quel disegno sporco e quei colori slavati non facevano altro che mettere in risalto un mondo tetro e snaturato, illuminato da una luce malata che portava in primo piano i difetti dei personaggi.

Un’umanità disumanizzata, una società desocializzata, una cultura deculturalizzata…

Inutile dire che poi, dopo il primo impatto negativo, l’ho trovato stupendo.

La storia è breve e semplice: in un’Inghilterra oppressa da una dittatura di stampo fascista c’è un uomo mascherato che combatte contro il sistema adottando metodi terroristici. Nel frattempo egli allena un’ignara ragazza a vestire i suoi panni una volta che verrà eliminato, alimentando la sua aurea di immortalità.

Come si può notare da questa sintesi, se la storia alla fine degli anni 80 poteva avere un certo tipo di impatto sul pubblico, a metà del primo decennio del XXI secolo si presenta con tutto un altro tipo di referenze e problematiche.

V, il personaggio principale, colui che combatte per la giustizia e per la libertà, che è un terrorista e che usa una violenza inaudita su Evey (la ragazza che lui sta allenando) come può essere definito e inquadrato nella società attuale?

Essere un terrorista che lotta per una causa giusta può farti diverso dall’essere terrorista per una causa sbagliata? E chi è che decide quale causa sia giusta e quale sbagliata?

Solo ora, forse, in questa nostra società, riusciamo completamente a renderci conto quanto problematica sia la situazione che Moore ci pone di fronte e quanto difficile sia trovare qualcosa o qualcuno che possa dirsi nel giusto.

Profeticamente l’apice della storia si avrà nella metropolitana di Londra (quella metropolitana degli attentati a Londra), su un marciapiede di una Victoria Station chiusa al traffico e la colonna sonora di quelle vignette sarà una canzone dolcissima di Ralph McTell, Streets of London:

Have you seen the old man
In the closed-down market
Kicking up the paper,
with his worn out shoes?
In his eyes you see no pride
And held loosely at his side
Yesterday's paper telling yesterday's news

So how can you tell me you're lonely,
And say for you that the sun don't shine?
Let me take you by the hand and lead you through the streets of London
I'll show you something to make you change your mind

Have you seen the old girl
Who walks the streets of London
Dirt in her hair and her clothes in rags?
She's no time for talking,
She just keeps right on walking
Carrying her home in two carrier bags.

In the all night cafe
At a quarter past eleven,
Same old man is sitting there on his own
Looking at the world
Over the rim of his tea-cup,
Each tea last an hour
Then he wanders home alone

And have you seen the old man
Outside the seaman's mission
Memory fading with
The medal ribbons that he wears.
In our winter city,
The rain cries a little pity
For one more forgotten hero
And a world that doesn't care

E forse la spiegazione di tutta la storia sta proprio negli ultimi tre versi, in quel “po’ di pietà per un altro eroe dimenticato e per un mondo che non se ne cura” in quanto, nel momento in cui V lascia il proprio posto a Evey dirà: “Ecco. Credeva di uccidermi? Sotto questa cappa non ci sono né carne né sangue da uccidere. C’è solo un’idea. E le idee sono a prova di proiettile. Addio.


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