di Giuseppe Iannozzi
Seee stronziii, il romanzo che
aspettavate con tanta impazienza è arrivato, spegnete dunque la tv e la
lavatrice, spegnete quel diavolo d’un iPod che vi tenete incollato al
cerume delle orecchie e se proprio siete del tutto storditi e non mi
capite allora andate a quel paese e leggete il labiale. Come? Non la
vedete la mia bocca. Eppure vi sto gridando che siete degli stronzi.
Come? Dite di no, in coro per giunta. Mi era sembrato di
capire che lo foste. Forse non è il modo più classico per iniziare una
critica, ma nel caso di “Musica unica” di Thomas Clément
vi posso assicurare che è il migliore. No, non sono impazzito:
continuate a seguirmi e lasciate perdere vostro marito che vi grida
addosso che vorrebbe cenare e lasciate perdere pure quel foruncolo di
vostro figlio che frigna, e non fatevi alcuno scrupolo di lasciarvi
catturare dalla magia, perché devo parlarvi di un romanzo che…
Procediamo per piccoli passi, altrimenti la testa vi scoppia: troppe
informazioni tutte insieme non siete abituate/i a digerirle.
Dunque, stavo dicendo che Thomas Clément ha scritto un romanzo. E allora? Così ribattete. Adesso vi aggiusto io. Ricordate Douglas Coupland, sì, proprio quello lì, già: negli anni Novanta se ne venne fuori con almeno uno scritto che è stato il manifesto per
un’intera generazione, “Generazione X”, ma diamo a cesare quel che è di
cesare, anche “Generazione shampoo” e “Memoria Polaroid”
rivoluzionarono l’immaginario collettivo e il modo di intenderlo, di
adattarlo, di interpretarlo soprattutto. Coupland fece qualcosa di
magnifico per i suoi tempi: con pochi mezzi, con un po’ di sana rabbia
in corpo o meglio nella penna, ci disse senza mezzi termini che la
società ce lo stava mettendo in quel posto e che noi eravamo così tanto
addentro alle regole imposteci dal sistema che manco ce ne accorgevamo.
Ipersofisticati, iperacculturati, iperconsapevoli, iperviaggiatori:
questi erano i giovani degli anni Novanta, cresciuti per appartenere
alla MTV-Generation, maschi e femmine di poco al di sopra dei trenta ricordavano Kurt Cobain,
la sua fine così immediata e per certi versi stupida (senza uno scopo),
però rimanevano i suoi dischi, le sue grida belluine di stomaco di
animale ferito che nel mondo nulla ha trovato non l’amore non l’odio ma
solo l’indifferenza. Che dal mondo ha ricevuto solo la disperata forza
di premere il grilletto e farla finita una volta per tutte. Povero
coglione: che pena. Non poteva certo immaginare che la sua morte
l’avrebbe reso immortale, che l’avrebbe messo accanto a Jim Morrison,
Jimi Hendrix, Janis Joplin. C’è ancora nell’aria Smell like teen spirits.
Angelo benedetto maledetto del grunge che ha attraversato la vita in
una botta sola, lasciando milioni di giovani a piangere la sua
dipartita. In “Generazione X” Coupland ce lo diceva che non c’è nessuno
a questo mondo che plachi le nostre paure, che non c’è nessuno contro
cui sfogare la rabbia e che non c’è nessuna nuova cultura che possa
riempire il vuoto di quella passata, di una cultura lontana, troppo
lontana ormai ridotta a meno dell’ombra di un fantasma. Ce l’ha detto
talmente bene che, dopo, Coupland ha pensato bene d’imbastire un
discorso più professionale, per così dire: con la scrittura è entrato a
far parte del sistema per sfornare romanzi facili a vendersi, facili da
scrivere, come “Miss Wyoming” che segna la fine del Coupland migliore,
di quello against Hollywood. Parecchi dopo di lui, perlopiù inutili
dilettanti allo sbaraglio che sotto l’egida dell’avantpop hanno tentato di dar nuovo lustro alla MTV-Generation disegnata da Coupland.
Entrati nel 2000 d.c. la società muta,
radicalmente si potrebbe azzardare di dire: il vinile, già morto da
tempo, viene seppellito, e i CD ci siamo vicini, gli mp3 diventano la
musica. Files compatti, occupano poco spazio sull’hard disk, e
soprattutto possono essere duplicati all’infinito e portati a tutti
quelli che li vogliono. Il formato mp3 nasce per offrire a tutti musica
gratis: ovviamente le major della musica non ci stanno, si scannano con
i pirati che diffondono gli mp3, alla fine è tutto un gran casino. Ma:
i cellulari, le suonerie, ecco un nuovo mercato, quello delle suonerie
polifoniche. Il business è sicuro: la canzone che ha fatto da colonna
sonora alla nascita del vostro amore in una giornata di primavera
diventa una “polifonica”, che può essere sul cellulare di tutti quelli
disposti a comprarsela. Con le suonerie, il mercato discografico torna
di nuovo a dominare, ma gli mp3 costituiscono un problema. Già. Mi
state seguendo? Spero per voi di sì. Come? Cosa c’entra tutto questo con
Thomas Clément, con
“Musica nuova”.
Seee stronziii, seee, sempre a lagnarvi. Dicevo
che gli mp3 sono ancora un problema, però ecco che nasce l’iPod. In
pratica, molto all’acqua di rose: vi portate dietro un piccolo hard
disk capace di contenere una o più librerie musicali, centinaia di
files musicali, files che per poter essere suonati devono essere
originali. L’iPod nasce nel lontano 2001, porta la firma Apple ed è
compatibile con i soli sistemi Macintosh. Nel corso di pochi anni,
l’iPod viene adattato ad altri sistemi, e oggi che il 2006 si sta per
chiudere se non hai un iPod per ascoltare la musica vieni considerato o
un primitivo o un disadattato. Coupland l’ha capito e ha scritto
“ipod”: ma la generazione ipod che ci descrive manca di nerbo, non
convince, pare studiata a tavolino, o meglio all’interno di un iPod.
Così non è per
Thomas Clément:
“Les Enfants du Plastique” ti spezza in due dalle risate, risate svagate ma non per questo meno amare. Se uno scrittore è riuscito a ritrarre l’
ipod-generation, questi è
Thomas Clément. Ci siete? Cominciate a capire finalmente. Bene. Allora andiamo avanti:
Thomas Clément è pubblicato in Italia da
Barbera Editore,
“Musica unica”,
questo il titolo, cacciatevelo bene in testa e se siete labili di
memoria prendete un appunto su uno di quei cazzo di foglietti gialli
che usate per fare la lista della spesa.
Dunque, siamo nel 2010. La civiltà non è poi
troppo diversa da come la conosciamo, tranne per il particolare, non
poco importante, che la musica non esiste più, non esistono più
concerti, non esiste più il rock: Lanny Kravitz aveva
dunque ragione a cantare negli anni Novanta che il rock è morto?
Parrebbe proprio di sì, perché il rock non esiste più e non esiste più
nessuna altra forma musicale: esiste solo una musica scritta in
laboratorio e che tutti ascoltano perché è studiata a tavolino per i
gusti della società, che è preconfezionata e che si sfama di desideri
preconfezionati. La nuova generazione parla usando sempre verbi
all’infinito: essi, i giovani non conoscono sfumature di linguaggio né
saprebbero immaginarle. E Franck Matalo, il manager, il moneymaker, il
cost-killer, della multinazionale Musica Unica non potrebbe esser più
felice perché sì, il mondo è tutto nelle sue mani: una società senza
desideri, se non quelli che gli vengono venduti, è una società ben più
che globalizzata, è una massa di schiavi senza né volontà né cervello.
La punta di diamante di Musica Unica è una ragazzina-cantante, che ci
ricorda molto da vicino l’ex lolita Alizée: si sta
per lanciare il suo nuovo successo, prodotto a tavolino, “Frugami nella
cartella”, il cui titolo allusivo ma non volgare non può non
accontentare ogni fascia di età e di perversione. Ma Franck Matalo è un
uomo infelice dopo la morte della figlia di soli quattro anni: un
giorno si sveglia e di punto in bianco decide di produrre un gruppo, un
gruppo rock. E tra i tanti demo inviati alla casa discografica, ne
pesca uno a caso, quello di un gruppo il cui nome è tutto un programma:
Intestino. La loro musica, ammesso che tale la si possa
definire, è più simile all’orgasmo di una coppia di orchi che
scoreggiano durante l’atto… Franck ha deciso: saranno loro a trascinare
a fondo Musica Unica. Produrli significherà abbattere dalle fondamenta
Musica Unica. In questo crede Franck ed è la sola cosa che oramai nella
sua vita ha una reale importanza. Dopo aver creato un impero, l’impero
lo vuole veder naufragare. Entra così in contatto con gli Intestino
mostrando tutti e trentadue i denti, si dice entusiasta della loro
musica, gli fa un contratto sicuro che saranno un perfetto disastro
sotto ogni punto di vista: ma le cose non vanno proprio come Franck
aveva immaginato. Cominciano così i veri guai di questo moneymaker
dilaniato dal ricordo della figlia morta a soli quattro anni: colonna
sonora del suo dolore “Stairway to Heaven”, Led Zeppelin. Oltre
ovviamente a quella degli Intestino, gruppo che si spinge ben oltre la
volgarità e l’incapacità. Però, contro ogni previsione, gli Intestino
iniziano un’ascesa inarrestabile, distruggendo inconsapevolmente
l’ipod-generation, forse una volta per tutte.
Che c’è stronziii? Volete sapere
come prosegue la storia: compratevi il libro. Io sono stanco di
raccontare, e poi come narratore faccio più schifo degli Intestino.
Lo stile di Thomas Clément è
feroce, diretto, senza giri di parole: colpisce dritto alla bocca dello
stomaco. C’è ironia amara e divertita, c’è un pizzico di cattiveria e
cosa più importante lo stile di Clément è dissacrante: ci parla dell’ipod-generation,
di cervelli lobotomizzati, di quelli che amano frugare nelle cartelle
delle lolite, e lo fa in una maniera energica come se avesse fra le
mani la chitarra di Van Halen. Ma non mancano le stonature, quelle che hanno fatto la storia dei Sex Pistols. Così è lo stile di Thomas Clément: un pugno alla bocca dello stomaco. In bilico tra il migliore Douglas Coupland e lo spirito grottesco di Roald Dahl, “Musica Unica”
s’impone sulla scena editoriale contemporanea per la sua forza
devastante, che non guarda in faccia nessuno e che ricusa il
perfezionismo. Periodi brevi, veloci come le note pizzicate dal plettro
sulla chitarra. E irriverente, a ritmo di rock’n’roll: il linguaggio è
quello della gente e non dei letterati stronzi. Seee stronzi,
adesso avete capito, avete intuito quale grande congiura si sta
consumando a tutto vostro danno: ed allora, che fate, tergiversate, o
vi sparate finalmente una buona dose di sano rock’n’roll insieme agli
Intestino?
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