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BAIKAL

Inserito Lunedì 03 novembre 2008

Narrativa Un racconto di Claudio Tanari

- Signori, domani l’Armata Europea si coprirà di gloria! Stiamo per spianarci la strada verso il Lago Baikal, la riserva d’acqua più imponente del continente eurasiatico.
Il Generale Goldblatt, Comandante in Capo del Settore Orientale, stava per riavvolgere l’e-map dopo aver delineato nel dettaglio di fronte agli ufficiali i piani di battaglia per il giorno seguente. Il giorno che sarebbe passato alla Storia come quello della Presa di Irkutsk.
- I rapporti dalla rete satellitare e dagli Swords parlano della quasi completa distruzione dei sistemi d’arma dell’Esercito cinese. - I polpastrelli del generale attivavano le aree interattive della mappa illuminandole di bagliori fluorescenti. - I bombardamenti elettromagnetici portati dai nostri droni fino all’altro ieri nei dintorni della città di Irkutsk hanno di fatto neutralizzato la catena di comando del nemico. E’ il momento di vibrare il colpo di grazia... - sorrise compiaciuto.
- Mi perdoni, Comandante: secondo la sua ricostruzione i cinesi sarebbero privi di difese elettroniche, di fatto alla nostra mercè. Cosa li trattiene dal ripiegare disimpegnandosi verso il Gobi? Secondo le stime della DARPA tra Irkutsk e il lago Baikal il nemico schiererebbe ancora circa un milione di uomini in attesa di venire annientati... - interloquì il Colonnello Steiner indicando le fitte icone rosso cremisi che si accendevano al passaggio della sua mano.
- Uomini! - sbuffò infastidito Goldblatt - Un termine del tutto inappropriato se applicato agli ibridi. Che ne dice, Tenente Lisi? Chiamata in causa, l’ufficiale responsabile del Commando scientifico rispose: - Direi che ha ragione, Generale: biologicamente gli ibridi possono essere al massimo definiti... individui.
- Ma è chiaro! Forza prodigiosa ma cervello sottosviluppato: questo spiegherebbe la sacrificabilità di quelle creature da parte di Sun Gao e dello Stato maggiore cinese - chiosò Goldblatt visibilmente sollevato dal parere del Tenente. - Domani, stavo informandovi prima di essere interrotto (il Generale lanciò un’occhiata di superiorità all’indirizzo di Steiner), sferreremo un attacco massiccio via terra alle ultime posizioni difensive intorno a Irkutsk e contemporaneamente bombarderemo le linee e le retrovie nemiche qui e qui - batté le nocche sulla lamina metallica della mappa provocandone il temporaneo sbiadire della definizione - tra la città e il Baikal; l’azione verrà affidata in entrambi i casi a robot teleguidati e ad aerei senza equipaggio. Più delicata l’attività degli incursori umani, poche centinaia, destinati a coordinare il lavoro degli automi e ad aggiornare, se sarà il caso, il software di combattimento. Tenente Lisi, la sua squadra in particolare, composta di umani e androidi, dovrà operare nel settore 570: settore rognoso... Proprio in corrispondenza del ponte di Sedova, praticamente la porta d’ingresso alla città. La DARPA ha localizzato da quelle parti qualche decina di migliaia di ibridi muniti di armi leggere. - “Qualche decina”? A me risultano sessantamila soldati. E non solo ibridi... - Interruppe ancora Steiner.

- Nessun problema, Colonnello: ho visto anch’io i dati del Combat System - tagliò corto Lisi - Maggiore Tomasi, copertura del WarLog...?
- Tutta quella che vuole, Tenente. - rispose il graduato al comando del Net informativo mentre faceva emergere, sfiorando la mappa con un gesto circolare, il reticolo dei nodi su tutta l’area in scala tra il Baikal e lo Enisej.
- Bene, signori! Buon riposo a tutti. Ci aspetta una giornata faticosa ma densa di soddisfazione: per il rapporto di domani sera, appuntamento al cosmodromo di Irkutsk! - concluse con enfasi Goldblatt.

“Buon riposo”... Facile per chi faceva la guerra davanti ai display del Controllo Operazioni. Maya Lisi aveva ancora negli occhi i cadaveri degli abitanti di Irkutsk, morti di antrace diffusa dai cinesi: incalzati dalla fame e dal morbo, respinti dall’Armata, i profughi erano stati costretti a vagare in un territorio devastato capace di offirgli esigue possibilità di sopravvivenza. Le piante sentinella avevano assunto ormai da giorni il loro caratteristico colore bluastro a segnalare la presenza del Bacillus anthracis le cui spore fecero in una settimana più di novantamila morti disseminati in tutto l’Oblast di Irkutsk, dallo Enisej fino al Lago.
Era per quel lago che si combatteva. Il più grande invaso d'acqua dolce del mondo per volume: il 20% delle riserve del pianeta, 23.600 km³ d'acqua, avrebbero potuto dissetare tutta la popolazione del mondo per cinquant'anni. Qualcosa per cui valeva la pena di uccidere e veder morire. Il Tenente Lisi varcò la linea fotoelettrica che recintava il parcheggio degli Sword: gli “Special Weapons Observation Reconnaisance Detection” erano docilmente addossati gli uni agli altri come una mandria addormentata; i cingoli piantati al suolo, telecamere e sensori di prossimità spenti, la mitragliatrice da 750 colpi al minuto rivolta al cielo. La donna appoggiò quasi affettuosamente la mano sul dispositivo di puntamento di uno di loro: “Non dorme, in realtà”, pensò, “non mangia, non ha avuto bisogno di addestramento. Non si spaventa, non dimentica gli ordini. Nessuno piangerà in pubblico la sua eventuale morte. Certo, non torna indietro se un compagno viene colpito... Del resto un soldato dell’Armata costa quattro milioni di Euro, uno Sword - non stipendiato, senza pensione né assistenza sanitaria - pesa sul contribuente per circa un decimo. Un vero affare”...

Il Sergente Luis De Vega, proprio ai margini del piazzale fumava lentamente una sigaretta.

- Salve, Capitano!
- Salve, Luis. Ancora sveglio?
- Come lei, sembrerebbe...
- Bella serata, non trovi? - sospirò Maya alzando lo sguardo verso il cielo stellato.
- Già. Mi ricorda la sera che ho salutato mia moglie, un anno fa...
- Stanco di combattere, Sergente De Vega?
- E lei, Capitano Lisi?
La donna chinò il volto. Gli uomini si erano uccisi da tempo immemorabile per accaparrarsi le risorse più appetibili. Milioni di anni fa si combatteva per l’acqua dei grandi fiumi. Poi per l’oro. Più recentemente per il petrolio. Ora si era tornati all’acqua.
- Questa è una guerra per la sopravvivenza, Capitano - pensò a voce alta Luis. - L’unica guerra meritevole di essere combattuta e per cui valga la pena di morire. Ho appena compiuto 50 anni ma ne dimostro 90. I miei reni hanno smesso di funzionare (o lo faranno molto presto) perché bevo poca acqua. Non credo mi resti troppo tempo, sono una delle persone più vecchie di Granada.
Quando avevo 5 anni era tutto diverso. Gli alberi nei parchi, bei giardini nei cortili delle case; potevo godermi un bagno o stare nella doccia per dieci minuti. E le donne? Tutte sfoggiavano capelli lunghi e morbidi. Adesso dobbiamo rasarci la testa per tenerla pulita senza usare l’acqua. Mio nonno... mio nonno innaffiava le sue ortensie con acqua che usciva da un tubo! Mi guardi, Capitano Lisi. La mia pelle è rugosa a causa della disidratazione.
- Ma c’è il Baikal. - intervenne Maya.
- Come no? Ammesso che le sue acque arrivino fino ai comuni mortali...

Verso le cinque, un cannoneggiamento: il preludio. Gli uomini hanno il cuore stretto. Sembrano calmi. Scambiano qualche parola veloce, verificano l’equipaggiamento; siamo davanti al ponte di Sedova, una foschia densa si sta alzando dalla traccia titanica di pietra che un tempo era il letto del fiume Angara. Un rumore familiare ci spinge a guardare alla nostra destra: il gruppo di Sword - il nostro gruppo - sbuca fuori dalle retrovie. Li catturiamo col palmare e li facciamo sfilare in avanti. - Buona fortuna, piccoletti! - dice qualcuno. Gli uomini, le dita sulle tastiere flessibili in silicone, cominciano a ricevere immagini dai robot che continuano ad avanzare. Rovine e nebbia. Niente nemici. Risuonano i comandi e la strada trema, l’orizzonte vomita fiamme: i droni bombardano le posizione di Sun Gao verso Putinova. Attraverso il fumo delle esplosioni e la polvere dei muri che crollano, cominciano ad intravedersi gli ibridi attraversare di corsa la Surinova. Le mitragliatrici pesanti degli R-Gator, che affiancano gli Sword, iniziano la loro incessante e monotona litania; annaffiano gli incroci e prendono di infilata le strade trasversali sparando mille colpi al minuto. I miei uomini, a circa un chilometro di distanza, armeggiano con il pad dei computer modificando tempestivamente i programmi. Le telecamere ci rimandano la videata di un intero battaglione di ibridi massacrato proprio all' angolo della via Rabosnaya. Alla vista del sangue i superstiti si lanciano all'assalto ululando grida che, per un istante, dominano il frastuono della battaglia. Un nemico umano morto, sull’asfalto, di traverso alla strada: colpisce soprattutto la sporcizia dei piedi di quel cadavere già depredato delle scarpe e che non ha più indosso che un cattivo paio di pantaloni imbrattati di sangue. Una pallottola, penetrata presso il naso e uscita dalla tempia opposta ha sfigurato il cadavere rimasto con un occhio aperto.
La visiera mi restituisce la visione di un Coguar che distende il lungo cannone da 90 mm, simile ad un braccio lucente dal pugno dell’antivampa proteso: colpisce, al di sopra di un muro sbrecciato, colpisce ancora teleguidato dalla mia interfaccia cerebrale.
Adesso avanziamo anche noi, i cingoli dei robot strappano l'asfalto della Kievskaya. Altri trenta metri e potremo dire che il ponte di Sedova è al sicuro.
Il tuono dell’artiglieria cresce e sembra avvicinarsi. I colpi non più intervallati cominciavano a intonare un rumore continuo di basso profondo e su questo mugghio si distinguono nettamente le scariche della fanteria.
Il piazzale di fronte al ponte è ricoperto di cadaveri... no! Quasi tutti i “cadaveri” sono ancora in vita: gridano per essere soccorsi ma nessuno si ferma.
Il terreno di un’aiuola sterrata ribolle in modo curioso. La terra forma creste selvagge che volano via in spruzzi scuri scagliatii a grande altezza. Un grido acuto, proprio di fianco: due dei nostri stramazzati, colpiti da schegge; le stesse che piovono come una grandinata di metallo sull’aiuola. Uno dei due si dibatte nella terra fangosa di sangue, impigliandosi con le gambe nelle proprie viscere, sforzandosi per alzarsi e raggiungere gli altri.
Luis De Vega sul marciapiede sbrecciato taglia a sinistra per ritrovare il campo di ricezione satellitare che fa i capricci. - Capitano, il mio visore è buio. Riesce a vedere qualcosa? Eccoli, gli ibridi! File lunghissime di soldati vestiti di rosso: sembrano di bassa statura... Il fumo impedisce a tratti di distinguere le loro linee; dalla cortina nebbiosa vedo staccarsi sagome veloci.
- Sono piuttosto vicini, Luis. Direi di sganciarci, per il momento! - I pixel fiammeggiano purpurei in avvicinamento, rimbalzando dall’Eagle in orbita bassa fino alla mia visiera. - Unità 5, ripiegare immediatamente! - conferma gracchiando il WarLog.
Siamo soli ma non sembra esserci nessuno davanti a noi. E’ proprio ora che, sulla destra, facendo fuoco con le mitragliatrici dalle rovine incendiate in fiamme, dal fumo di quest' inferno, irrompono dei veri demoni, insanguinati e coperti di polvere, che mitragliano a bruciapelo, attaccano all'arma bianca o con le bombe a mano. I commissari politici, pistola in pugno, spingono gli ibridi che uno Sword invisibile continua a falciare. Una decina di loro si scaglia dritta su Luis, che tenta una manovra diversiva per evitarli. La sua tuta in tensoprene si irrigidisce per parare i colpi. Troppo tardi. Lo colpiscono alla nuca col calcio del mitra. Gli sono addosso. In fuga, il visore rimanda la panoramica della zona che l’elicottero di supporto mi fornisce: sono nei guai, i compagni a più di cento metri alle mie spalle. Io e Luis ci eravamo spinti troppo avanti. Il primo, il volto scimmiesco schiacciato, mi è già addosso come una bestia da preda. Un brutale cambio di direzione gli tende i muscoli delle gambe tarchiate sotto il tessuto della sua divisa. Il corpo a corpo del mostro si prolunga per qualche secondo; l’alito ferino e il grugnito ansimante su di me; versi rabbiosi che l’innesto del gene FOXP2 non ha contribuito a rendere comprensibili, riesco a pensare. Stringo i denti mentre cerca di strangolarmi: poi, tra nugoli di polvere, un denso fumo nerastro sale al cielo...

Maya si risvegliò all’interno di una bolla bianca di luce. Da una distanza infinita le arrivavano parole frammentarie: - L’alterazione dei mitocondri... più resistenti... i muscoli e i tessuti...
- I microchip... danneggiati?

- I nanorobot non evidenziano lesioni serie... somministrando... da ieri... principi attivi.
- Stasera... già spegnere la luce Led...
- E’ vaccinata contro il dolore, no?
Vero, non provava alcuna sofferenza fisica. Per la prima volta era rimasta ferita. Per la prima volta aveva potuto toccare il nemico. Strana sensazione... Possibilmente da non ripetere. Provò a parlare cercando di attirare l’attenzione del medico dietro alla parete trasparente del bozzolo di rianimazione.

- Bentornata fra noi, Capitano. Dimitri, è uscita dalla sedazione! Puoi avvisare il Comandante, ora.
- Com’è... finita? - Riuscì a sillabare la Lisi.
- Irkutsk presa. Il Baikal è nostro: l’Eurasia avrà da bere per decenni! - Rispose trionfalmente l’ufficiale medico.

Una settimana dopo respirava l’aria umida e fredda della sponda nord del Baikal.
All’orizzonte, lo spettro dell’isola di Olkhon emergeva piatto dalle brume della sera. I discendenti degli antichi abitanti del territorio del Baikal credevano all'esistenza di due demoni maligni nelle acque profonde più di mille metri proprio intorno all'isola di Olkhon, pronti a prendersi le anime dei pescatori colti dalle tempeste. Sopra i cespugli quella gente poggiava da sempre dei nastrini colorati, i semelga, come portafortuna. A cinquecento metri da lì, fino a vent’anni prima l’Angara sgorgava da quello che sembrava un mare dirigendosi verso lo Enisej.
Le avevano riferito che prima di morire, De Vega aveva immaginato di parlarle: - Quando mia figlia chiederà di me, provi a descriverle i boschi. Le parli della pioggia, dei fiori, di come era bello immergersi nei fiumi e pescare e bere tutta l’acqua che si voleva...
La Roccia dello Sciamano spuntava appena dalle acque proprio laddove il vecchio emissario lasciava il lago in direzione di Irkutsk il cui rog, laggiù, stava continuando ad ardere. Secondo una leggenda il Grande Uomo Baikal giunse in questa regione con le sue figlie e decise di fermarsi; mentre dormiva una delle figlie, cui i gabbiani avevano raccontato le prodezze di Enisej, decise di fuggire per correre verso l'uomo-fiume di cui si era innamorata; svegliatosi, il Baikal scagliò verso la fuggitiva una pietra, la Roccia dello Sciamano appunto. In un passato remoto chi era accusato di un crimine veniva posto la sera al di sopra della roccia. Se al mattino era ancora lì e la corrente gelida e impetuosa dell’Angara non l'aveva trascinato via, era ritenuto innocente e veniva liberato.
“Chissà se supererei la prova...?” Pensò Maya rabbividendo. Soffiò tra le mani un po’ di calore avviandosi verso l’entroterra. Dei passi leggeri dietro di lei la costrinsero a volgersi di nuovo verso l’enorme distesa d’acqua.
Una bimba vestita di stracci, i piedi scalzi e la pelle annerita dal fumo degli incendi le veniva incontro sorridendo, i denti bianchi scintillanti per contrasto sul volto tinto di fuliggine, la mano tesa verso la donna in uniforme: tra le dita una sottile striscia di stoffa colorata, animata dal vento.


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