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Il bacio della Valchiria

Inserito Sabato 16 maggio 2009

Narrativa un racconto di CARLOS GARDINI

Parker non aveva mai visto tante rughe su un solo volto.
— Il signor Reyes? — domandò
— Chi lo cerca? — domandò Rughe
— Parker. James Parker.
— Ah, il giornalista, — Rughe lo studiò con occhi a mandorla senza invitarlo a entrare. — Mi segua, — disse infine, senza un saluto.
Parker lo seguì in un corridoio bianco e si sentì subito soffocare. Fuori la notte era diafana, però in casa l’aria era spessa. Aveva visitato molti posti da brivido, inclusa la nave ospedale dove aveva conosciuto Reyes, ma questo luogo lo disturbava. Rughe zoppicava, e Parker provò l’impulso di imitare il suo passo convulso, ma si trattenne. Improvvisamente ebbe la sensazione che le pareti fossero di fumo e sentì l’istinto di toccarle. Questa volta non poté trattenersi, e gli occhi a mandorla dello zoppo lo sorpresero mentre accarezzava un mattone verniciato.
Parker ritrasse la mano e si sentì obbligato a fare il simpatico.
— Sono venti anni che lo cerco, — disse.
— Al signor Reyes?
Lo zoppo lo prendeva in giro oppure Parker si era espresso male? Si sentiva insicuro, e quando si sentiva insicuro dubitava del suo spagnolo.
— Al signor Reyes, naturalmente.
— Il signor Reyes non riceve mai nessuno, — disse lo zoppo senza guardarlo.
Parker non comprese se Reyes si negava alle visite o se non veniva mai nessuno, però capì che il commento era ostile. Forse il suo lieve accento aveva attivato un allarme. Il suo spagnolo era impeccabile, ma scivolava sulle erre.
Attraversarono una sala da pranzo con un televisore acceso e raggiunsero una porta. Lo zoppo bussò e la porta si aprì. C’era un uomo seduto a un tavolo, sotto la luce flebile di una lampada. Parker stava per entrare, ma lo zoppo lo fermò con lo sguardo.
— Com’era il suo nome, di grazia? — domandò
Parker titubò mentalmente. La domanda era un deliberato tentativo di umiliazione. Cercò idee associate con “grazia”. Thanks, gratitude, funny, grace. Le scartò una dopo l’altra.
— Parker, — disse infine. — Il mio nome è James Parker.
— Aspetti qui, — ordinò lo zoppo.
Lasciò la porta socchiusa, si avvicinò all’uomo seduto e gli sussurrò all’orecchio. L’uomo guardò verso la porta e annuì. Lo zoppo chiamò Parker.
Parker rimase sorpreso quando entrò. L’uomo non arrivava ai cinquant’anni, però aveva i capelli completamente bianchi. Sembrava di fumo, come le pareti della casa. I suoi occhi non avevano colore.
— Tenente Reyes? — domandò.
— Da tempo nessuno mi chiama così.
— Venti anni, — disse Parker.
Reyes sembrò contare a voce bassa; assentì come per confermare che sì, erano passati venti anni dal 1982. Sorrise. Una cicatrice che sembrava un secondo sorriso gli tagliava il volto dalla fronte alla guancia.
— Mi sono congedato da capitano, — commentò. — Però nessuno mi chiama capitano, salvo il mio assistente. — Indicò lo zoppo, che masticò una frase. Parker appoggiò la valigetta come per nascondere una bomba.
Reyes congedò l’assistente con un gesto. Con lo stesso gesto indicò a Parker la sedia. L’assistente uscì dalla stanza.
Parker tese la mano. — James Parker, — si presentò.
Reyes non rispose al saluto.
— A cosa debbo il privilegio?
Parker si accarezzò la fronte. Era disposto a lasciarsi umiliare, se queste erano le regole del gioco. — Come le ho anticipato per telefono, c’è un’organizzazione interessata a pubblicare un libro di testimoni oculari della guerra.
— Ci sono mille libri di testimonianze. Non c’è ammiraglio, politico, giornalista o coscritto che non abbia scritto qualcosa.
— Questo è differente. Si cerca un punto di vista equilibrato, a venti anni dal conflitto, — disse Parker, e subito si pentì di questo slogan pubblicitario.
Reyes ripeté “equilibrato” a nassa voce, e sorrise con la cicatrice.
— Sarà pubblicato contemporaneamente in spagnolo e in inglese, — continuò Parker.
— Perché le interessa la mia testimonianza?
— Mi interessano tutte le testimonianze di veterani.
— Perché la mia?
— Perché no?
— Perché quella guerra non mi interessa più.
Parker temette che la presa gli sfuggisse. Decise di essere più diretto.
— La sua testimonianza è diversa.
— In cosa?
— Il bacio della balchiria.
Reyes socchiuse gli occhi. — Come l’ha saputo? — domandò.
— Un’infermiera che la assisteva nella nave. Conosceva lo spagnolo, e mi riferì che parlava nel sonno. Durante la febbre la sentì menzionare la valchiria, e anche la caverna e i segni.
— Parlava con lei dei pazienti?
— No, al contrario. Non mi tolga le parole di bocca. Era arrabbiata con me. Diceva che la nave era sovraccarica di feriti e io ero un avvoltoio in cerca di notizie sensazionali. Però era così ossessionata con lei che finì per ammorbidirsi. Aveva bisogno di un consiglio, però per qualche ragione non osava consultare il comandante medico. Pensò che potessi aiutarla.
— Aiutarla? In che modo?
— Non ne ho idea, — disse Parker. — In seguito si pentì di questa confidenza. Rifiutò di vedermi. Reyes annuì. — Ricordo questa infermiera. Mi chiese scusa per aver violato la mia fiducia. Soltanto adesso capisco cosa intendesse. La poveretta non sapeva come reagire alle circostanze. Era una principiante. Si sentiva fuori luogo, come la nave.
— Come la nave?
— Prima di essere requisita come nave ospedale, l’Uganda era un incrociatore, — disse Reyes. — Perché le interessano tanto i deliri di un ferito?
— I deliri sono parte della sua esperienza. Parlano del suo dolore.
Altro slogan pubblicitario. Parker si morse la lingua. La cicatrice di Reyes sorrise di nuovo.
Dolore, sì. Sono rimasto molto scosso dall’esperienza.
— Per questo rinunciò all’esercito?
— Furono in molti a rinunciare, Parker. Si sentirono traditi, o scoprirono di non servire.
— E lei?
— Non scoprii che non servivo, al contrario. Ho compiuto il mio dovere. Ho solo scoperto che dovevo condurre la mia guerra personale.
— La sua guerra personale?
— Lei crede all’inferno, Parker?
Parker vacillò. — Metaforicamente parlando.
Il sospiro di Reyes sembrò uscire dalla cicatrice. — L’inferno è una civiltà, Parker. I suoi abitanti sono costruttori. Però non hanno occhi.
Parker estrasse timidamente il registratore. — Posso?
— Perché no? Ho bisogno di un confessore. — Reyes estrasse un crocifisso dalla tasca e lo consegnò al giornalista.
Parker fissò la croce, senza sapere che farne. — Non sono cattolico, — disse assurdamente.
— Neppure la mia valchiria, — disse Reyes, soffiandogli un bacio sarcastico con le labbra della cicatrice.
Parker prese il registratore.

* * *

Arrivai a Puerto Argentino a fine aprile, su un aereo Aerolineas Argentinas. Provai un’emozione così forte che quasi scoppiai a piangere. Baciai il suolo. Recitai l’inno nazionale. Cantai la Marcia delle Malvine. Volevo diventare un eroe. Volevo essere un martire. Volevo essere il capitano Giacchino.
Vidi indizi di disorganizzazione e improvvisazione, però non mi lasciai prendere dallo sconforto. Era naturale che ci fosse una certa confusione mentre arrivavano gli effettivi di rinforzo. Quella notte dormii a tre chilometri dall’aeroporto, di fronte a un cimitero di barche. Cento anni prima o anche più, tempeste feroci avevano devastato quelle barche a Capo Horn. Si erano fermate a Port Stanley per riparazioni, e non avevano più potuto abbandonare l’isola. Un paio giacevano sotto tettoie di acciaio arrugginito. Una nave di ferro ossidato conservava i suoi tre alberi. Pensai che quelle navi avevano dato battaglia e le ammirai. Pensai anche che la battaglia non era estranea a quelle isole tranquille. Nel 1914 la marina inglese aveva inseguito e sconfitto l’ammiraglio Graf von Spee nella battaglia delle Falkland. Nel 1939 l’incrociatore Exeter aveva combattuto la corazzata Graf von Spee e gettato l’ancora alle Falkland mentre la nave tedesca affondava nel Río de la Plata.
Di mattina presto iniziai la marcia verso la zona di Fitz Roy con la mia unità del RI3. Prendemmo posizione in una zona sopraelevata. Dormimmo come riuscimmo, sulle pietre, su veicoli e sacchi di patate. Il mattino del primo maggio udimmo un fragore nella nebbia, seguito da esplosioni nella zona di Puerto Argentino. Ore dopo un maggiore dell’intendenza mi informò per radio che avevamo perduto l’equipaggiamento pesante lasciato all’aeroporto.
— Come, perduto, signor maggiore?
— Non ha capito, figliolo? Gli inglesi hanno bombardato la pista.
— Non si è salvato nulla, signor maggiore?
— Le priorità erano altre.
— Era materiale importante, signor maggiore. E con il blocco non arriveranno rifornimenti dal continente.
— Non faccia il disfattista, figliolo. Ci hanno assestato un brutto colpo, ma siamo ancora in piedi.
— Come due lottatori.
— Come dice, figliolo?
— Von Clausewitz paragona la guerra a due lottatori, signor maggiore. Ognuno dei quali ha intenzione di atterrare l’altro per sconfiggerlo.
Dalla radio provenne un evidente sospiro.
— Mi dica, figliolo. Dove ha imparato queste cazzate?
— Nel collegio militare, signor maggiore.
— La smetta di signormaggiorarmi, figliolo. Qui non siamo al collegio militare. Qui non abbiamo bisogno di nessun ebreo che ci parli di lottatori per compere il culo a quei froci di inglesi. È chiaro?
— È chiaro, signor maggiore.
— Lo tenga presente.
Lo tenni presente il 2 maggio, quando un sottomarino inglese silurò l’ARA Belgrano. Lo tenni presente quando l’artiglieria navale ci perforò la cucina, il camion vettovaglie, la batteria di pentole del rancio, le borracce del mate già pronto. Lo tenni presente quando il governatore Menéndez pronunciò il suo discorso del 25 maggio: “Quegli uomini del maggio non pensavano se non alla libertà.” Provai vergogna. Non volevo diventare eroe né martire. Ero un soldato e avrei combattuto l’inglese, però nulla mi obbligava a rispettare gli idioti che comandavano il circo.
Cercai rifugio nella disciplina, cercai rifugio nel mio onore. Cercai rifugio nell’attività manale, confezionando una fondina per la Browning e le munizioni. Cercai rifugio nelle domande del soldato Sánchez.
Il soldato Sánchez era un ragazzo di San Pedro cresciuto in riva al fiume. Viveva abbracciato alla sua 12.7 e un paio di volte respinse attacchi dei Sea Harriers. Non piangeva mai e non si lamentava. Gli inglesi hanno incollato il tappo delle isole, scherzava Sánchez mentre i piedi scalpicciavano in quella vastità spugnosa dove tutto affondava: cannoni, trasporti, cadaveri. Ridevamo come imbecilli. Perfino il sergente Mayorga rideva. Quando ci bombardava l’artiglieria, Sánchez si acquattava nel suo angolo con la 12.7. Tremando di freddo, mi leggeva e rileggeva le lettere della usa fidanzata. Ti desidero, ti amo, ti adoro, mi leggeva. E quando non leggeva, mi crivellava di domande. Che facciamo se si inceppa l’otturatore della mitragliatrice. Che facciamo se si raffredda la polenta. Che facciamo se si bagnano i calzini.
— Che facciamo con Snoopy, signor tenente? — mi domandò quando venimmo a sapere che Puerto Argentino i kelpers1 facevano circolare un poster dove il cagnetto Snoopy ballava con un postino che diceva Happiness is being British.
Le domande di Sánchez mi davano serenità, mi aiutavano a dimenticare la tensione e il mio sogno ricorrente. In questo sogno, il mio cadavere è disteso su un tavolo operatorio. Un paio di medici mi fanno l’autopsia. Uno di questi pratica un’incisione dalla trachea fino all’inguine. L’altro apre con le pinze le labbra della ferita. Io osservo dall’alto, e provo curiosità di sapere di cosa sono morto. I medici frugano nella ferita ma trovano solo vuoto. La causa del decesso è vuoto interiore, determinano scientificamente.
I bombardamenti mi strappavano dal sogno, ma il vuoto cresceva all’interno come un acido. L’acido corrodeva con più forza quando ammazzavano o ferivano uno dei miei uomini, o quando dovevo difenderli dai maltrattamenti degli altri ufficiali.
La notte del 7 giugno l’artiglieria navale ci castigò come la solito. Saltarono in aria la cucina e il camion vivande. Subimmo un paio di feriti. La terra tramava, le alture tremavano, la mia testa tremava. Il soldato Sánchez abbracciava la mitragliatrice pesante come un orsacchiotto di peluche e tramava come tutti gli altri.
— Che succede quando si muore, signor tenente?
— Non si sente nulla. Solo il bacio della valchiria.
— Che cosa sarebbe, signor tenente?
— Un bacio o una valchiria?
— Parlo seriamente, signor tenente.
— Un’antica dea che trasportava in cielo i guerrieri morti, — semplificai.
— Non mi prenda per il culo, signor tenente. Io non sono un guerriero.
— Credimi. Ti sei guadagnato la tua valchiria personale.

* * *

L’8 di giugno la vidi per la prima volta. Avevamo avvistato navi inglesi a sudest della nostra posizione e avevamo lanciato l’allarme radio. Quella sera sbattei le palpebre quando un riflesso di luce mi arrivò in faccia dai picchi innevati. Chiusi gli occhi, e nel riaprirli vidi un albatro che batteva le ali sopra la roccia. Richiamò la mia attenzione perché il fuoco d’artiglieria aveva allontanato gli uccelli da tutta la zona. L’albatro batteva la testa contro la cresta di un monte, come intontito. Spiccò il volo con uno schiamazzo. Un frastuono soffocò il gracidio, e gli Skyhawks dell’aviazione argentina passarono a volo radente sopra il settore di Bluff Cove. Il riflesso di esplosioni lampeggiò sulla neve. Subito dopo udimmo scoppio seguiti da esplosioni secondarie. Colonne di fumo nero volteggiarono sopra la baia. Uno Skyhawk in fumo si schiantò sopra un monte. Fiamme rosse salirono dal pendio.
Dalle fiamme e dal fumo nacque la mia valchiria.
La mia valchiria non era scandinava.
Sembrava la Vergine.
Il suo mantello era nero.
Il suo sorriso bruno era innocente e sanguinario.
Si agitò nella foschia quando gli Harrier si lanciarono a difesa delle navi inglesi. Si volatilizzò nel mezzo della battaglia aerea, ma il suo sorriso era una promessa di ritorno.
Ricevemmo informazioni. Nel tentativo di sbarcare, un reggimento di guardie gallesi aveva subito gravi perdite che avevano demoralizzato l’avanzata dei britannici. I nostri aeroplani avevano bombardato le navi Galahad e Tristram. Questi nomi guastarono la mia allegria. La mia nascita era stata triste, come quella di Tristram, e da bambino avrei voluto essere puro come Galahad.
Quella notte, mentre dividevamo un piatto d’arrosto in uno delle poche gavette che l’artiglieria e l’aviazione inglese avevano lasciato intatti, il soldato Sánchez mi domandò: — Che facciamo se gli inglesucci si riprendono le isole, signor tenente?
Abbassai lo sguardo. — Perché non riposi? Approfitta della tregua, non ci lasceranno dormire a lungo.
— Non ha risposto alla mia domanda, signor tenente.
— Non fare la piattola, Sánchez, — intervenne il sergente Mayorga. — Cosa vai a domandare al tenente? Contro di noi non vinceranno.
— A Darwin hanno vinto, — disse Sánchez.
— E allora? Hai paura? — ribatté il sergente.
— Certo che ho paura, — replicò Sánchez.
La sua sicurezza zittì il sergente.
— Per la mia patria morirei, — disse Sánchez.
— Preferisco eroi vivi, — gli dissi, segnalando al sergente di tacere.
Eravamo nervosi. Gli inglesi erano sbarcati a San Carlos, avevano trionfato a Darwin e Goose Green e preparavano l’offensiva contro Puerto Argentino.
Il 9 di giugno la mia valchiria mantenne la promessa. Tornai a vederla tra le nubi, però uno strombettio la fece svanire.
Un Harrier apparve dietro una cima e si approssimò alla nostra posizione. Volava così basso che potei vedere il pilota in volto. Non arrivai a dare l’allarme. Il soldato Sánchez già impugnava la 12.7 e sparava senza tregua. Il nastro di munizioni strisciava lentamente mentre i bossoli volavano per aria. Il sergente Mayorga sparò con il suo FAL. I proiettili morsero la fusoliera grigia tambureggiando. L’Harrier si sollevo eludendo il fuoco, agitò le ali e proseguì il volo vero sud.
— Ci ha salutati, disse Mayorga. — L’inglesuccio figlio di puttana ci ha salutato.
— Tranquillo, sergente. Dopo tante bombe, siamo quasi amici.
Il sergente Mayorga mi guardò con disprezzo. Rideva alle barzellette di Sánchez, però il suo senso dell’humour finiva lì.
L’Harrier non causò danni, però dovetti lamentare la scomparsa della mia valchiria. Dividemmo una caraffa di mate bollito per scaldarci. Per non pensare al freddo, cercai di ricordare momenti della mia infanzia, però mi sfuggivano. In cambio ricordai la moltitudine di isolotti visti dall'aria all'arrivo. Ricordai il tre-alberi che arrugginiva nel cimitero del porto. Ricordai la musica ripetitiva della Marcia delle Malvine. Brille oh patria en tu diadema la perdida perla austral. Ricordai una storia udita un paio di settimane prima.
Un commando incaricato di pattugliare la zona costiera per prevenire sbarchi mi aveva raccontato di inglesi divorati lungo la costa.
— Divorati? — Domandai.
Il commando si fece il segno della croce.
— Alcuni erano affondati fino al torace, come se la terra li avesse inghiottiti. Avevano gettato le armi nel tentativo di liberarsi.
— Il suolo era così molle?
— Non tanto da affondare a quel modo. Non so cosa sia accaduto, e preferisco non appurarlo.
Il suo compagno assentì in silenzio e si segnò a sua volta. Erano tipi capaci di mangiare fango e bere orina per sopravvivere. Non si facevano il segno della croce senza un buon motivo.
— Il suo mate si raffredda, signor tenente, — disse il sergente Mayorga. Tentò di sorridermi, però era ancora irritato con il pilota inglese.
Il giorno seguente giunse l'ordine di trincerarsi a Two Sisters e Harriet e ingaggiare combattimento da lì. Alcune nostre formazioni ripiegavano dal monte Kent pestando i talloni agli inglesi. Il disastro di Bluff Cove li aveva demoralizzati, però l’avanzata era inesorabile. Avremmo dovuto dispiegarci per la difesa di Puerto Argentino. Le molestie degli Harriers erano sempre più intense. Le batterie nemiche ci castigavano continuamente. Ci bersagliavano con tutto, malgrado i nostri Sofma da 150 millimetri li frenassero. I nostri comandi si erano approssimati per aggiustare il tiro dei pezzi, e il monte Kent finì seminato di buche mentre arretravamo sotto le bombe, sparando con i Mag e le 12.7. Tutto volava in pezzi sulle perdute perle australi. Mortai, casseruole, pentolini, cannoni, soldati, macerie.
Dio, una fine rapida, invocai.
Non terminò rapidamente.
Nella nuova posizione vidi un vecchio compagno, il tenente Aguilar. Eravamo stati amici e compagni di studi. La carriera militare ci aveva separato e ora tornava a unirci. Baciò il suo crocefisso d’argento, mi salutò con la mano e si mise a lavorare con i suoi uomini per installare un lanciarazzi. Tipico di Aguilar. Aveva recuperato il lanciarazzi da un Pucará rovesciato e lo aveva adattato come terra-terra. Lo chiamavano Aguilar l’Aquilotto. Era ingegnoso, molto cattolico e aveva un volto da bambino.
Quando mi addormentai tornò il sogno, con una variazione. Sognai che mi operavano a cielo aperto mentre l’intero tavolo chirurgico affondava lentamente nella torba delle isole. Un Harrier si manteneva in volo verticale per scattare fotografie aeree del mio torace aperto, poi gli esperti delle flotta inglese analizzavano de foto del mio corpo vuoto e chiedevano alle navi di bombardarmi. Quando i cannoni navali spararono contro il mio addome, sentii un urto e aprii gli occhi.
— Si svegli, signor tenente, — mi disse Sánchez
Eravamo nel mezzo di un fuoco incrociato. Eravamo incappati in una pattuglia inglese. Alla mia sinistra, Aguilar rispondeva con il suo lanciarazzi. Gli inglesi retrocessero, però poco dopo ricevemmo fuoco di artiglieria localizzato. Udii un grido alla mia sinistra, la voce di Aguilar. Mi trascinai verso di lui. L’Aquilotto era una massa di carne viva. La faccia da bambino era intatta, ma coperta di sangue. Gli rimaneva il fiato per chiedermi di conservare il suo crocifisso d’argento e restituirlo alla madre.
— Attento al crocefisso, — mi supplicò.
Gli giurai che l’avrei difeso con la vita.
— È l’unico che mi abbia protetto, — ansimò.
Sotto la pioggia di granate, gli accarezzai la testa insanguinata e gli chiusi gli occhi. Piansi. Dondolai il cadavere con tenerezza e rancore.
— Da cosa ti ha protetto? — Domandai. — Sei morto.
Sfregai il crocifisso e lo riposi nella borsa di tela dove tenevo le munizioni e le bombe a mano.
Era il 12 giugno, ma sembrava capodanno. Il sibilo dei traccianti pugnalava il cielo, Il fuoco dell’artiglieria inglese raddoppiava quando i nostri mortai rispondevano, poi i radar li tracciavano e la mitraglia li faceva immediatamente a pezzi. Il rumore delle pale di elicottero era sempre più intenso. Alla luce dei bengala, li vedevamo scaricare uomini e equipaggiamento per occupare le posizioni abbandonate dai nostri. Un Sea King che trasportava pezzi d’artiglieria cadde crivellato dal fuoco dei 150.
Un paio di volte estrassi il crocefisso per baciarlo. Notai che era bagnato, vidi che era sangue. Sangue di Aguilar, pensai, e lo lustrai. Lo estrassi una seconda volta, però il crocifisso era ancora insanguinato.
È l’unico che mi abbia protetto.
Non avevo tempo di pensare al crocefisso. Paracadutisti o Royal Marines si avvicinavano a piedi o in elicottero. Prendemmo una cassa di munizioni e ripiegammo ancora una volta. Combattevamo lateralmente per guadagnare quota. Uno sparava e copriva la ritirata dell’altro. Arrivammo a un poggio dove riuscimmo a prendere posizione. L’offensiva era inarrestabile, e la nostra confusione aumentava, però resistevamo. Mayorga sparava con il suo Mag, e un paio di graduati e coscritti usavano il FAL. Udivo su un fianco il tamburellare della 12.7 di Sánchez. Sapevo che la situazione non poteva protrarsi troppo. Decisi di recarmi al posto di comando, che era a settanta metri, per spiegare che il mio fianco non poteva resistere perché gli inglesi avanzavano sopra il saliente. Mentre mi arrestavo nel fango, un albero natalizio di bengala di incendiò sopra il posto di comando. Seguirono potenti esplosioni. Mi coprii il capo. Quando alzai gli occhi, il comando era vaporizzato. Non rimaneva nessuno cui spiegare nulla, così decisi di ritornare alla mia posizione. Ero retrocesso di una quarantina di metri quando incontrai con uno dei graduati che resistiva dal dosso con due soldati. Chiamai il graduato, ma non mi udì o si allontanò pensando che fossi un inglese.
Seguì una lunga pausa. Il fuoco cessò bruscamente da ogni parte. Mi distesi su una roccia cercando di non pesare a Aguilar né alla sua croce. Quando il fuoco si riannodò, distinsi degli involti al chiarore dei traccianti. Mi trascinai fin là. I mucchi di vestiti erano cadaveri.
Riconobbi uniformi inglesi e argentine. Aguzzai gli occhi per vedere se ci fossero feriti cui prestare attenzione.
Sentii un sospiro da un lato. Mi voltai e puntai la Browning. Era Sánchez abbracciato alla sua mitragliatrice.
— Sono tutti morti signor tenente. Mi sono salvato solo io.
— E Mayorga?
— L’ho perso di vista, signor tenente.
Mentre lo diceva scoppiò a ridere. Lo imitai. Mayorga era così piccoletto che era facile perderlo di vista.
— Spero che sia vivo, — disse Sánchez.
Una pattuglia inglese, spiegò, si era imbattuta in un gruppo dei nostri e avevano ingaggiato un corpo a corpo. Nel mezzo dello scontro li aveva sorpresi una salva di artiglieria, Sánchez non sapeva se nostra o nemica. La mitraglia li aveva spazzati tutti indifferentemente. Guardai di nuovo i morti, cercando Mayorga. Battei le palpebre, strofinai gli occhi.
Alla luce dei traccianti, i morti mi strizzavano l’occhio.
— Hai visto? — Dissi a Sánchez. — Mi stanno strizzando l’occhio.
Lo guardai come per chiedergli una spiegazione. Sánchez mi diede una manata sulla spalla.
— Tranquillo, signor tenente. È la Caligine.
— La cosa?
— Nulla.
— Hai detto la Caligine.
— Non è nulla. L’ho inventato io. Per i nervi.
— Non puoi avere inventato quella parola.
Sánchez sospirò. — Hanno bisogno di adepti. Solo questo ho capito.
Chi necessita adepti?
Sánchez ignorò la mia domanda.
— Se muoio e le strizzo l’occhio, — disse, non pensi male di me.
— Nessuno rispetta i morti più di me, anche se mi strizzano l’occhio.
— Le credo, signor tenente. Lei non è come gli altri ufficiali.
— Perché lo dici?
— Lei non maltratta i coscritti, — disse fissandomi negli occhi, poi guardò avanti.
— Ho visto anche la valchiria, — aggiunse improvvisamente, — non ho più paura.
Un’esplosione sconvolse il suolo. Mi spostai al riparo, caddi in un pozzo. Il pozzo era inondato, ma rimasi accovacciato. Tremavo di paura. Avevo perso di vista Sánchez. L’esplosione mi aveva stordito. Mi sentii affondare nell’acqua del pozzo.
Mi addormentai o svenni.
Mi svegliai circondato di oscurità. Provai una soffocante sensazione di reclusione. Mi toccai l’uniforme e notai che era bagnata, coperta di fango. Non era solo fango. Una materia vischiosa mi copriva i capelli, il volto, la divisa. Sfregai gli occhi, mi toccai la faccia. Trovai tracce di ferite. Temevo che un impatto mi avesse lasciato cieco. Tastai più volte. Toccai la parete, e sulla parete trovai lettere o segni. Li seguii con il dito, e scoprii con sollievo che l’oscurità si dissipava.
Una luce fangosa raschiò le tenebre. La luce sembrava fuoruscire dalle pareti di torba. Mi trovavo in una caverna con un paio di cadaveri che strizzavano gli occhi. Ricordai cosa mi avevano raccontato i commando sugli inglesi affondati fino alla cintura nel suolo costiero. Nella massiccia oscurità udii un gocciolare di fogna.
La Caligine ti dà la luce, disse una voce paludosa.
Nella luce fangosa vidi delle creature.
Sembravano statue di argilla. Non avevano occhi, ma mi guardavano come se tentassero di vedermi. Erano come esseri umani incompiuti. Dalla bocca secernevano una liquido con cui scolpivano i segni che avevo visto nella parete. Dai segni fuoriusciva la luce fangosa.
Tentativi falliti, dissero le creature indicando i cadaveri. Non gli servivano gli occhi.
Frugai nel tascapane e ne estrassi il crocefisso. Sanguinava.
Non gli servivano gli occhi, ripetei.
La Caligine ha bisogno di occhi.
Tesero le braccia verso di me.
Gli occhi, gli occhi, gli occhi, cantarono.
Arrivarono a toccarmi gli occhi. Temetti che mi li strappassero, me li affondassero, me li bruciassero. Si limitarono a carezzarli con dolcezza.
Potrai conservarli, però abbiamo bisogno della tua vista. Comprendiamo il mondo di sotto, però quello di sopra ci disorienta.
È l'unico che mi abbia protetto
. Anche Aguilar aveva visto le creature? Accarezzai il crocefisso nel silenzio umido. Desideravo ardentemente di sentire il fragore dell’artiglieria, qualunque cosa tranne trovar in quel pozzo.
I miei occhi in cambio di cosa?
Esiste un patto
Non ho firmato alcun patto.
Però ti abbiamo dato la valchiria. Possiamo darti molto altro. Siamo sempre disposti a dare, però non tutti vogliono ricevere
.
Tossii. Quasi affogai nella tosse. Rotolai. Il canto pluviale, terroso, minerale delle creature mi soffocava. Tentai di resistere. Il canto evaporò in gargarismi.
Mi trascinai e arrampicai su una pendenza. Toccai fango, escrementi, una mano e una narice gelate. Vidi lo sfarfallio del cielo e respirai con sollievo l’odore di polvere. Mi alzai. I traccianti tagliavano l’oscurità. Il soldato Sánchez si trovava a pochi metri. Riuscii a vederlo alla luce di un bengala. Aveva una ferita al costato. Diversi fucilieri gli sparavano da un’altura, lui rispondeva con un FAL. L'esplosione lo aveva separato dalla 12.7 e il fuoco dei fucilieri gli impediva di recuperarla.
— Non mi lasci solo, signor tenente.
Corsi verso Sánchez sparando con la browning e schivando i proiettili. Ero disposto a affrontare qualsiasi cosa pur di allontanarmi dal pozzo. Sotto il diluvio di piombo, raccolsi la 12.7 sostenendola a due braccia. Sparai verso le posizioni inglesi. Udii insulti e ululati, i miei spari strapparono scintille dalle rocce dove erano appostati. Vidi cadere un paio di ombre, sentii un attrito bollente sul viso e un pugno nella coscia. La gamba si piegò, caddi senza smettere di fare fuoco. Sentii un altro pungo nella spalla, e sul fianco. Le pallottole mi bruciavano la carne.
La mitragliatrice si inceppò. Il mio corpo si inceppò. L'anima si inceppò.
La valchiria apparve nella foschia e mi avvolse con la sua coperta.
Sentii il suo bacio sulle labbra. Sentii la pace.
Il cantico della Caligine interruppe la pace. Gli occhi, gli occhi, gli occhi. Ero disposto a morire, ma il canto me lo impediva. La mia anima si separava, ma mani fangose la afferravano, me la premevano sugli occhi. Il canto cessò.
Sentii le convulsioni di un orgasmo. Con vergogna e spavento, compresi che ero vivo.
Svenni.
Quando ripresi conoscenza era giorno. Ero disteso al suolo, avviluppato in una coperta. Tremavo di febbre. A pochi metri da me c’erano cadaveri inglesi e argentini. Un’unità dei Royal Marines li stava impilando e ricomponendo. Alcuni facevano la guardia ai prigionieri. Riconobbi il soldato Sánchez. Mi strizzava l’occhio, ma non era morto. Mi gridò che gli avevo salvato la vita. Mi gridò che il sergente Mayorga era ferito a una gamba, ma vivo. Un Royal Marine gli abbaiò un ordine in inglese di tacere or else...
Un sottufficiale mi avvicinò e mi domandò se fosse quello della mitragliatrice. Tardai a comprendere, ma alla fine risposi di sì. Si mise la mano nella giberna, ne estrasse un vetro di forma irregolare e lo tenne in mano. Pensai che mi avrebbe sgozzato. Forse avevano l’ordine di sbarazzarsi dei prigionieri.
Un sole pallido si riflesse sul vetro.
Era uno specchio, senza dubbio osato per radersi. Il sottufficiale si accovacciò accanto a me e mi avvicinò lo specchio.
Mi vidi riflesso, uno spettro con i capelli imbrattati di sangue e terra, un volto con la barba ispida e coperta di ecchimosi con un taglio profondo dalla fronte alla guancia. Lo sfregio assomigliava ai segni della Caligine. Vidi dietro di me l’ombra della valchiria.
— Grazie, dissi, — non al sottufficiale ma a lei.
Il sottufficiale estrasse una sigaretta, l’accese e me la pose fra le labbra senza chiedermi se fumavo. Dividemmo in silenzio un paio di boccate, un istante di gloria malinconica tra due uomini affratellati dal dolore.
Non era gloria di bandiere, né di marce trionfali.
Era la gloria dell’orrore.
Era la gloria dell’onore.
Era la gloria della valchiria.
Il sottufficiale mi diede una manata sulla spalla.
You'll be just fine, mate.
Detti un'altra boccata e mi addormentai.
Mo svegliai su una barella a bordo di un elicottero. Sorvolavamo la costa dell’arcipelago. Sotto il fragore dei rotori, vidi una colonna di fumo e una colonia di pinguini. Vidi onde bianche cavalcare nel vento antartico. Vidi il l’abitato di Puerto Argentino. Vidi ferite di bronzo tra le nuvole.
Scendemmo. Ebbi di nuovo l’incubo in cui i medici esaminavano le mie viscere vuote. Una luce ramata entrava dall’oblò. Battei le palpebre, un’infermiera si stagliò davanti alla luce.
— È sveglio! — Esclamò in inglese.
Mi chiese di attendere e andò a chiamare un’altra infermiera, che mi spiegò in spagnolo che ero a bordo della nave ospedale Uganda nella baia di Port Stanley.
Le chiesi se avevano trovato qualcosa nelle mie interiora vuote. Sorrise. Mi mostrò i proiettili che avevano perforato il torace e la gamba.
— Forse vorrà tenerli come ricordo, — mi disse.
La guardai con disprezzo. Non aveva un sorriso innocente ma nemmeno sanguinario.

* * *

— L’ha vista ancora? — Domandò Parker.
— L’infermiera?
— La valchiria.
— Certo che l’ho rivista. Solo lei mi ha permesso di sopravvivere alla mia guerra personale.
Guardò fisso Parker, che distolse gli occhi.
— Ha conosciuto altri adepti?
— Forse. Evidentemente le creatura tentarono di comunicare con Auilar e con Sánchez. Entrambi opposero resistenza. Sánchez con la sua innocenza e la mia valchiria. Aguilar con il suo ingegno e il crocefisso. La Caligine ci ha dato quello che chiedevamo nei momenti d’angoscia. All’Aquilotto concesse in dono che il crocefisso sanguinasse in prossimità del male.
— Glielo concedettero anche se era uno svantaggio per le creature?
— Sono ottuse. Fanno regali che possono danneggiarle. La Caligine non capisce che le nostre fantasie possono essere la nostra condanna, ma anche la nostra redenzione. Se lo capisse non avrebbe bisogno dei nostri occhi.
Lo zoppo si affacciò alla porta. Parker si voltò. Le immagini di un notiziario passavano sulla tv della sala pranzo. Un presidente improvvisato, picchetti, picchetti, il cacerolazo. Lo strepito della vita argentina affascinava Parker, ma Reyes guardò le immagini con disprezzo.
— Prima neppure Mayorga mi credeva, — commentò.
— Mayorga? È tornato a vedere il sergente?
— È l’unico che abbia rivisto. Lo avevano promosso, ma non era suo agio nell’esercito, Fu felice di trovare un altro lavoro.
— Cosa fa ora?
— È il mio assistente.
Parker guardò interrogativamente lo zoppo dagli occhi a mandorla. Reyes assentì.
— Mi ha aiutato a mettere in piedi un piccolo istituto di vigilanza, tra le altre cose. Di questo viviamo. Il fatto che io mi occupi della sicurezza degli altri ha una sua bellezza.
Mayorga si allontanò richiudendo la porta.
— Si occupa di me, come vede, — disse Reyes.
— Non gli piacciono i gringos.
— Ha i suoi motivi. I gringos gli hanno rovinato la gamba.
— Mi parli della sua guerra personale. Il nemico chi è?
— La Caligine, naturalmente.
— Lontano dalle isole?
— Non sono solamente alle Malvine. Come le ho detto, l’infermo è una civiltà. I suoi abitanti sono dei costruttori.
— Però non hanno occhi.
— Non hanno occhi e non sempre trovano quelli giusti. Per cercarli hanno bisogno di situazioni estreme in cui le nostre anime siano vulnerabili. La guerra è una di queste... Non crede a una parola, vero?
Parker si strinse nelle spalle. Reyes sorrise, e la cicatrice con lui.
— Meglio continuare con la mia storia, — disse.

* * *

Lo psichiatra che mi aveva in cura all'ospedale militare mi assicurò che la valchiria, gli adepti, la Caligine, tutto era prodotto dal DSPT. Marcava le maiuscole della sigla nel pronunciarla.
— Il Disturbo da Stress Post-Traumatico le fa vedere cose che non esistono. Tipico del suo stato. Ci lavoreremo sopra.
Lavorammo sopra il mio stato. Lavorammo sulle mie allucinazioni. Lavorammo sopra il mio senso di colpa.
Mo psichiatra non credeva nelle colpe individuali, sono in quelle della società. Non ero responsabile della sconfitta, né della morte degli inglesi che avevo mitragliato, né della morte degli uomini che avevo perduto. Avevo solo obbedito agli ordini. Per riabilitarmi, dovevo diventare una vittima. Gli rispondevo con citazioni di von Clausewitz inventate da me. Fingeva di capirle e mi stimolava con messaggi ottimisti.
Con il tempo dimenticai il canto delle creature.
Quando mi sentii riabilitato, trovai il coraggio di visitare la madre di Aguilar per portarle in crocifisso. Era una donna austera e affettata.
— Suo figlio è morto da eroe, — le dissi. — Morì pensando a lei.
— Sapevo che non sarebbe tornato.
— Ha dato la vita per i compagni.
Non trovai il coraggio di dire “per la sua patria” né “per la sua bandiera”. Suonava falso, benché quasi certo nel caso di Aguilar, e forse era ciò che lei avrebbe voluto sentire.
— Non mi consoli, — disse la donna. — Mio padre era militare di carriera e mio marito anche. So come stanno le cose.
No, non sa come stanno le cose, pensai.
— Non le ha dato nulla? — Domandò la madre di Aguilar.
Rifiutai prontamente di darle la croce. Il crocifisso era una prova testimoniale, non potevo perderlo.
— Ha menzionato un crocifisso, ma non l’ho trovato, — mentii.
La madre di Aguilar tacque. La sua pelle incartapecorita si spaccò. Le lacrime infangarono i suoi occhi vetrosi.
— Però io ne ho bisogno, — gemette infine.
Rannicchiai testa. Sentivo il suo sguardo sulla sommità della testa. Mi perforava il cranio.
— Tutti abbiamo bisogno di qualcosa, — mormorai.
Quando alzai la testa, il suo sguardo mi implorava. Sapeva che le avevo rubato il crocifisso. Non capiva perché e non poteva fare nulla, tranne accusarmi con gli occhi.
Mi sentii contagiato dalla sua sensazione fulminante di perdita. Nell’uscire da quella casa, pensavo solo a aggrapparmi a quello che avevo. Però non avevo nulla, perché avevo perduto la mia valchiria.
Tornai a casa in metrò come al solito. Estrassi la croce dalla borsa. Notai che sanguinava. Non l’avevo più vista sanguinare dal ritorno dalle isole. La guardai, un passeggero mi osservava con la coda dell’occhio. Guardai dal finestrino e vedi che il treno si addentrava in un altro tunnel. Il secco rumore dei binari si zittì di colpo e il treno iniziò a scendere. Improvvisamente l'angolo di discesa divenne ripido, quasi 45 gradi, e il treno aumentò di velocità. Subito dopo non c’era più tunnel. Le pareti si espansero fino a formare una volta di roccia opaca. Viaggiavamo sotto un cielo di pietra. Incollai la faccia al finestrino. I binari attraversavano un ponte angusto, arcuato sopra un fiume di fango. I passeggeri non guardavano neppure. Erano paralizzati come se gli avessero iniettato curaro, e l’unico a vedere ero io. Sul ponte distinguevo segni simili a quelli visti nella grotta del monte Harriet. Creature cieche cantavano nel fango. Un acanto pluviale, terroso, minerale.
Chiusi gli occhi fino a che cessai di udire il canto e ascoltai di nuovo lo sferragliare del treno e dei miei ricordi.
Gli occhi, gli occhi, gli occhi.
Abbiamo bisogno che la tua vista guidi le nostre mani.
Comprendiamo il mondo di sotto, ma quello di sopra ci disorienta
.
Compresi.
L’inferno è una civiltà, e scava tunnel in ogni direzione. Le creature della Caligine si governano con una logica propria e una loro geografia, ma hanno dei limiti. Il mondo di sopra le disorienta, e necessitano di adepti per continuare a espandersi.
Guardai gli altri passeggeri. Nessuno sapeva. Stavano recuperando poco a poco, mentre il treno tornava al suo percorso normale. Erano ciechi alla presenza dell’inferno. Io stesso ero stato cieco fino al giorno prima. Concedevo i miei occhi alle creature, e non sapevo cosa stessero costruendo. La riabilitazione, compresi, mi aveva intorpidito. La visita alla madre di Aguilar mi aveva restituito alle isole, e mi aveva restituito la lucidità. I tunnel proliferavano perché io lo permettevo. Io, e come me altri, che avevano ceduto i propri occhi in un momento di debolezza. Con il tempo tutti avrebbero saputo, ma sarebbe stato troppo tardi. Il nostro mondo sarebbe un mondo di tunnel e segni di terra.
Scesi alla stazione di Pueyrredón.
Guardai la croce. Non sanguinava più, e questo mi incoraggiò. Il male era dentro di me, però il male non ero io. Devo resistere, pensai. Sulle isole avevo resistito. La nostra era una causa delirante, però avevo compiuto il mio dovere. Avevo combattuto. Avevo protetto i miei uomini. Avevo resistito al freddo e alla paura. Avrei continuato a farlo. Sarei rimasto soldato, però espiando il male fatto in nome della mia divisa. Avrei combattuto le voci, ma senza cessare di udirle.
E in quel momento tornai a vederla, in piena stazione Pueyrredón. La vergine guerriera si avvicinava nel tunnel con il suo lenzuolo funebre. Mi sorrise, e seppi che mi avrebbe aiutato a riprendermi gli occhi. Decisi di rinunciare all’esercito per scatenare la mia guerra personale.
E decisi di rinunciare allo psichiatra. Cosa potevo aspettarmi da un uomo che attribuiva la valchiria a una sigla?

* * *

Parker aprì la mano con cui sosteneva il crocifisso. Saltò sulla sedia nel vedere che la croce sanguinava. Si libero del crocifisso lasciandolo sul tavolo.
— Dov'è il trucco?
— Non c'è trucco, Parker.
Deve esserci un trucco.
Reyes si strinse nelle spalle. — Chi sono io per convincerla?
Parker affondò nella sedia. — Perché sanguina? — Domandò
— Perché lei è un messaggero della Caligine, Parker. E credo che in questo caso sia lecito ammazzare l’ambasciatore.
Parker sussultò, però il tono di Reyes era più amabile che minaccioso. La cicatrice sorrideva. Parker pensò di difendersi, ma quegli occhi incolore lo dissuasero. Aprì la valigetta e estrasse delle foto.
— Anch’io ero sulle isole, — disse umilmente. — Ero con i paracadutisti a Darwin. Ho scattato queste.
Reyes guardò le foto. Gente del 2° paracadutisti che sorrideva alla macchina fotografica. Un Pucará smontato in pezzi. Un Harrier rovesciato. Coscritti argentini prigionieri, terrorizzati dal freddo e dall’angoscia. Un raggiante crepuscolo sul mare.
Impilò le foto come in un mazzo.
— Mi racconti, — disse. — Credo che anche lei abbia bisogno di un confessore.
Parker chinò la testa e parlò senza guardarlo negli occhi.
— Ho sentito il canto delle creature una notte, ero uscito a piedi nell’accampamento. Pensai fossero animali. Consultai un isolano che collaborava con le nostre truppe, gli descrissi quel suono ripugnante, gli domandai che animali potessero essere. Saranno argentini, rispose. Odiava gli argentini.
Happiness is being British, — disse Reyes.
Parker si strinse nelle spalle. — La Caligine non mi ha offerto nulla, — continuò. — Ho udito il canto, ma i miei occhi non servivano. Non ho mai visto le creature, però ho chiesto loro cosa potessi fare per essere d'aiuto. Non mi risposero. Feci delle indagini. Ho udito anch’io la storia dei Royal Marines inghiottiti dal terreno della costa, e altre simili, ma non trovai conferme di nulla. Quando l’infermiera dell'Uganda mi parlò dei suoi deliri volli parlare con lei, ma l’infermiera si pentì di avere tradito la fiducia di un paziente. Ho vissuto venti anni ossessionato da quelle voci.
— Capisco perfettamente, Parker. Le sento tutte le notti.
— Come lo sopporta?
— La mia valchiria mi protegge. Però ho pagato il mio prezzo. Poco per volta mi sono trasformato nell’ombra di me stesso.
Parker alzò lo sguardo. — Sono anch’io un’ombra! E tutto perché i miei occhi non servivano! — Esclamò istericamente.
Reyes non rispose.
— Sarà davvero orgoglioso, — gridò Parker. — Almeno, io non ho ammazzato nessuno!
— Tutti ammazziamo qualcuno. Non le hanno mai spiegato cosa fare per essere d’aiuto?
Parker si calmò, sospirò. — Alla fine, dopo venti anni, sì. Me l’hanno spiegato. Ho sentito di nuovo il canto in sogno.
Reyes lo inchiodò con i suoi occhi incolore.
— E le hanno ordinato questa missione. Dissuadere l’adepto dal resistere.
Parker stava per negare, ma rinunciò. — Ho accettato solo per convincermi che era un delirio personale. — Tornò a chinare il capo. — Per dimenticare la mia ossessione. La guerra ci mette in testa cose strane.
Reyes si alzò in piedi. Camminò fino alla finestra, scostò appena una tenda. Il chiaro di luna scalfì la penombra della stanza. — Siamo entrambi ombre, — disse. — Però in modo differente.
Contro la luminosità della finestra, Parker notò di nuovo che Reyes sembrava fatto di fumo. Sentì un formicolio nel corpo. Provò paura.
— Dei due, soltanto io vorrei dimenticare, Reyes. Non ci ho mai creduto davvero.
— Lei vorrebbe essere ciò che io contro la mia volontà sono, — disse Reyes voltandogli le spalle. — Non gli concederò i miei occhi, Parker, anche se dovessero sciogliere il mio corpo. E conserverò la mia valchiria.
Parker ripose le foto e il registratore nella valigetta. — Cosa si crede? Un angelo custode? E' solo un miliziano frustrato.
La cicatrice sorrise. Parker comprese che la parola miliziano era comica sulle labbra di uno straniero. Reyes fece schioccare le dita. Parker si allarmò, ma comprese che il gesto non significava nulla. Anche lui schioccava le dita nei momenti di tensione. Era solo un modo di sentirsi meno ombra.
— Mayorga la accompagnerà alla porta, disse Reyes.
Parker si alzò tremante e si lasciò condurre da Mayorga. Uscì e camminò sino all’automobile. Aveva parcheggiato a mezzo isolato dalla casa. Salì ma non si decise a accendere. Colpì il volante. Voleva dimenticare quell'individuo che sembrava evaporare. Ricordò le isole, ricordò altre guerre che aveva fotografato. Solo sulle isole aveva udito le voci. La Caligine possedeva una logica propria. No, si disse, non esiste Caligine. È solo un delirio personale. Ero troppo giovane.
Aprì il finestrino e aspirò l’aria della notte. Prese il registratore per verificare se fosse tutto a posto. Non sapeva cosa avrebbe fatto di quel materiale, però non voleva perderlo. Riascoltò la monotona conversazione. Provò sollievo. Nell’udire la voce di Reyes dimenticava quel canto nel quale non credeva. C'era un rumore di fondo nel nastro, ma la registrazione era chiara.
Il rumore aumentò.
Il rumore era un coro.
Il coro ripeteva Gli occhi, gli occhi, gli occhi.
Parker appoggiò la testa al volante,
— No, — mormorò. — Deve finire qui.
Avrebbe gettato la registrazione, Avrebbe perduto il materiale raccolto, il reportage di un ufficiale di marina inglese, la testimonianza di un sergente dei Marines, dichiarazioni di Margaret Thatcher. Avrebbe perso tutto. Non gli importava.
Non arrivò a toccare il nastro. Un’ombra infangò la luce nella via. Parker scostò la testa dal volante, guardò attraverso il parabrezza. Un velo oscuro si stagliava contro la luna. La valchiria scendeva.
È lecito uccidere il messaggero, disse il registratore.
Parker si sentì soffocare, come una rigidità dei nervi e delle vene. La valchiria atterrò nella via.
Parker ansimò, singhiozzò. La valchiria avanzò verso l’automobile.
Parker tremò. I muscoli si indurirono. Fori di dolore gli pugnalarono le ossa. Si guardò le mani e vide una ragnatela di crepe. Il suo corpo si frantumava come vetro. Soffocato, guardò la valchiria.
Sembrava la madonna.
Il suo manto era nero.
Il suo sorriso scuro era innocente e sanguinario.


1 kelpers: così gli inglesi chiamano, in slang, gli abitanti delle isole Malvine o Falkland [NdT]


trad.ital. Franco Ricciardiello





Lo scrittore argentino Carlos Gardini è nato a Buenos Aires nel 1948. Il suo racconto “Prima línea” vinse nel 1982 il concorso del Círculo de Lectores; nella giuria figurava anche Jorge Luís Borges. Il suo “El libro de la Tierra Negra” (1993) è considerata da alcuni come uno dei migliori romanzi della fantascienza argentina. Il romanzo è stato ripubblicato in Spagna e la traduzione italiana vedrà la luce presso Mondadori.


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