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VITA IN LETTERE (maggio)

Inserito Domenica 31 maggio 2009

Autori di Franco Ricciardiello

Libri comprati:

David Trueba, “Quattro amici” (Feltrinelli)
Salman Rushdie, “I versi satanici” (Mondadori)
Haruki Murakami, “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” (Einaudi)
Tariq Ali, “All’ombra del melograno” (Baldini Castoldi Dalai)

Libri letti:

Stieg Larsson, ciclo del Millennium

Sono assolutamente convinto che una parte non secondaria del successo del ciclo di Millennium dello scrittore Stieg Larsson sia dovuta alla inconsueta bellezza del titolo del primo dei tre romanzi, “Uomini che odiano le donne” (Män som hatar kvinnor, 2005). E veramente di successo globale si tratta: ha superato i 3,5 milioni di copie in Europa, 1.800.000 in Svezia (su dieci milioni di abitanti!), centinaia di migliaia persino in Italia; in aggiunta, tre film in corso di produzione, uno per ogni volume della trilogia, il primo in uscita sugli schermi italiani a breve. La folgorante popolarità di questa trilogia di thriller ha raggiunto l’Italia quasi in coincidenza con un deprimente dibattito sulla violenza contro le donne, per il quale non dobbiamo ringraziare la maturità socioculturale della Terra dei Cachi, bensì un’attenzione dei media sfruttata in funzione politica, come un’arma da brandire nel braccio di ferro sull’immigrazione extracomunitaria.
In effetti, un fil rouge sottile e tenace attraversa lo sforzo letterario dello scrittore svedese recentemente scomparso: la condanna della violenza contro le donne; si vedano per esempio le citazioni in epigrafe ai capitoli del primo volume, rispettivamente: “In Svezia il 18% delle donne al di sopra dei 15 anni è stato minacciato almeno una volta da un uomo”, “In Svezia il 46% delle donne al di sopra dei 15 anni è stato oggetto di violenza da parte di un uomo”, “In Svezia il 13% delle donne è vittima di violenze sessuali al di fuori di relazioni sessuali”, “In Svezia il 92% delle donne vittime di violenza sessuale non ha denunciato alla polizia l’ultima aggressione subita”. Ciò non significa ovviamente che la Svezia sia un infermo di abiezione sessuale: al contrario, le citazioni andrebbero corrette in un più credibile “persino in Svezia… etc”
Viste queste premesse, “Uomini che odiano le donne” potrebbe essere il titolo non solo del primo volume, ma di tutto il ciclo, preferibile allo scialbo “Trilogia di Millennium”, peggio ancora nell’ingiustificabile versione anglofona “Millennium Trilogy” utilizzata dalla casa editrice Marsilio — tra l’altro, perché in inglese, visto che l’originale svedese è Millennium-serien oppure il meno usato Millennium-trilogin? Che il lettore italiano sia così poco smaliziato da credere che anche nel resto d’Europa abbiano da tempo rinunciato a qualsiasi evoluzione della lingua, accontentandosi come in Italia di utilizzare vocaboli anglofoni per ogni necessità di nuove parole?
La costruzione narrativa della Millennium-serien è quantomeno originale, almeno nel genere thriller. La vicenda infatti non inizia con il caso da risolvere, né si conclude con la sua soluzione: quasi si trattasse di tre parti di una stessa opera, i tre romanzi seguono un flusso unico di narrazione, le vicende di redazione della rivista di sociopolitica Millennium (presumibilmente ispirata a Expo, periodico effettivamente diretto da Stieg Larsson dal 1999 fino alla morte nel 2004). “Uomini che odiano le donne” inizia infatti con i guai giudiziari del giornalista Mikael Blomkvist, condannato in tribunale per un reportage su uno squalo dell’industria nazionale. La storia si risolverà soltanto nel finale, dopo 650 pagine, ma nel frattempo la trama si sposta su un caso di persona scomparsa, la giovane erede di una dinastia industriale; infine, come in una scatola cinese, all’interno di questa indagine viene a galla un terzo intreccio, incredibilmente una storia di omicidi segreti, che per certi versi ricorda “Le radici del male” di Maurice Dantec (Les racines du mal, 1995).
Tuttavia, anche se originale e interessante il primo volume è superato — e di molto — dal secondo, “La ragazza che giocava con il fuoco” (Flickan som lekte med elden, 2006), perché qui Stieg Larsson scommette con il lettore più onestamente, a carte scoperte: finalmente si capisce che il vero primus motor della Millennium-serien non sono eventuali casi criminali che il giornalista Mikael Blomkvist si trova a risolvere in ognuno dei tre romanzi, bensì il profondo mistero che circonda Lisbeth Salander. Già nel primo romanzo Lisbeth si è rivelata il personaggio più “letterario”, il più accattivante e al tempo stesso il più discutibile, apparentemente costruito apposta per piacere alle lettrici: perché impersona la capacità di autodifesa della donna senza l’intervento del maschio né della società, e forse anche perché è in grado di costruirsi uno “scudo” psicologico per sopravvivere alle situazioni più violente (si veda la scena dello stupro). Lisbeth Salander sembra impersonare la vittima perfetta: 1,50 di statura, 40 kg, legalmente interdetta, ogni cosa alla fine di “Uomini che odiano le donne” sembra preludere a una sua débacle, compreso il titolo del secondo romanzo.
Lisbeth è l’anti-supereroina, studiata per sublimare la volontà di rivincita femminile: fragile all’apparenza ma estremamente pericolosa, una Pippi Calzelunghe noir letale per i suoi nemici. Lisbeth è “la donna che odia gli uomini che odiano le donne.” Tuttavia, mente nel primo romanzo aleggiano fastidiose ambiguità, per esempio una strisciante apologia della “giustizia fai-da-te”, nel secondo il registro della narrazione cambia dal giallo puro al thriller, con colpi di scena veramente notevoli; il tema di fondo che ha catturato i lettori (la violenza contro le donne) è ancora presente, anzi acquista nuova forza. Si vedano per esempio due citazioni che non lasciano ombra di dubbio sulle opinioni di Larsson; a pag. 114: “Il tema del numero di maggio sarà il mercato del sesso. Quello che dovrà risultare è che il trafficking è un crimine contro i diritti umani e che chi si macchia di questo crimine deve essere individuato e trattato come qualsiasi criminale di guerra o squadrone della morte o torturatore.” E ancora a pag. 122: “Non esiste nessun’altra forma di criminalità in cui i ruoli sessuali stessi siano un presupposto del reato. Non esiste nemmeno un’altra forma di criminalità in cui l’accettazione sociale sia così vasta e la società faccia così poco per reprimere l’illecito.”
La buona volontà dell’autore si spinge forse troppo oltre, non certo nell’ideologia ma nella costruzione drammatica. Non c’è un solo protagonista femminile che appaia negativo, nessuno degli antagonisti affrontati lungo la strada è una donna. Anzi, il fatto stesso che si tratti di donne colloca “automaticamente” il personaggio nel campo di Lisbeth.
Nel terzo volume di nuovo tutto cambia; dopo il giallo e il thriller ecco a sorpresa una intricata storia di servizi segreti, ricca di colpi di scena. L’edizione italiana ammicca decisamente al lettore, il titolo “La regina dei castelli di carta” è una chiara allusione a Lisbeth, mentre l’originale Luftslottet som sprängdes si tradurrebbe con un più sobrio “Crolla il castello d’aria”; ma a questo punto è chiaro che la stella della Millennium-serien è lei, Lisbeth Salander. Mikael, alter-ego dell’autore, si ritrova nel ruolo di comprimario: non più protagonista ma semplice deuteragonista. È chiaro che tutti i lettori parteggiano per lei. Le scomode ambiguità morali di Lisbeth si risolvono con il progredire della narrazione, verso il finale il suo carattere comincia a arrotondarsi: probabilmente la coalizione di amicizie che le fanno quadrato intorno la convince di non essere un corpo estraneo alla società.
La tensione narrativa aumenta da un romanzo all’altro, per un totale di 2.287 pagine (!). Nell’ultimo volume, la costruzione narrativa raggiunge un ammirevole livello di complessità. Per qualche ragione non completamente razionale, la progressiva entrata in scena di alleati di Lisbeth e di suoi antagonisti, forze che si fronteggiano e si elidono come pezzi su una scacchiera, mi ha ricordato il complesso scenario della serie Eclipse di John Shirley, affresco di un futuro punk (Eclipse, 1985; Eclipse penumbra, 1988; Eclipse corona, 1990), nel quale l’Europa è devastata da una guerra tra una coalizione di forze fasciste e progressiste: anche qui i due fronti avversi si spezzano e si ricompongono, ogni gruppo o individuo appare come il pezzo di una partita di scacchi. Il paragone con Eclipse non è così fuori luogo se si considera che Stieg Larsson era non solo appassionato di fantascienza, ma anche presidente della Società scandinava di science-fiction.
Tra numerosi pregi, La Millenniu-serien ha anche difetti: innanzitutto è carente di un antagonista visibile. Le minacce sono reali e letali, il complotto si stringe intorno a Lisbeth, ma i suoi avversari si nascondono nell’ombra, e questo non sempre funziona in letteratura. Quando la controffensiva dei “buoni” finalmente scatta, i “cattivi” rimangono paralizzati. L’effetto è senz’altro realistico, ma è poco drammatico. E dire che la vita stessa di Stieg Larsson sembra la trama di un romanzo: nato nel 1954 e cresciuto in un’area rurale presso Umeå nella Svezia settentrionale, prima della fortuna della Millennium-serien, era conosciuto soprattutto per le sue campagne contro il razzismo e l’estremismo di destra, che gli valsero anche minacce di morte. L’idea iniziale per la trilogia avrebbe origine già negli anni Novanta, ma la stesura vera e propria risale a partire dal 2001; iniziò a scrivere di notte per divertimento personale, durante il lavoro redazionale presso Expo, senza preoccuparsi di ottenere un contratto con un editore fino a quando era già impegnato nella scrittura del terzo romanzo. Purtroppo non avremo più il piacere di leggere altre pagine scritte da Stieg Larsson, che non ha fatto in tempo a godersi l’enorme successo dei suoi romanzi: è morto di attacco cardiaco nel 2004, nei locali della redazione di Expo. Il testamento, nel quale lasciava tutto al Partito comunista svedese, è stato invalidato per intervento del padre e del fratello.
Infine, una curiosità: i protagonisti della trilogia di Stieg Larsson sono ispirati ai personaggi di Astrid Lindgren (1907-2002), la più famosa tra gli autori di letteratura per bambini del XX secolo (un nome per tutti: Pippi Calzelunghe). A volte il gioco di Larsson è decisamente scoperto: fin dall’inizio del primo romanzo sappiamo che Mikael è soprannominato “Kalle Blomvist” come il piccolo detective dell’omonimo romanzo di Lindgren “Kalle Blomkvist, il ‘grande’ detective” (Mästerdetektiven Blomkvist, 1946); Lisbeth Salander è, naturalmente, Pippi (Pippi Långstrump, 1945) per chi avesse qualche dubbio è l’autore stesso a confermarcelo: “Ha rubato tre miliardi di corone. Non dovrebbe soffrire la fame. Proprio come Pippi Calzelunghe, ha un forziere pieno d’oro” (“La ragazza che giocava con il fuoco”, pag. 664), e ancora: “Dove altro Kalle Blomkvist avrebbe potuto cercare Lisbeth Salander se non a Villekulla, la Villa Villacolle di Pippi Calzelunghe? ” (ibid., pag. 685). Persino la sorella di Mikael si chiama Annika, come la sorella del piccolo Tommy di Pippi Långstrump.

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