un racconto di Sean M. Foster
Per far passare il tempo, Zuizu controllò i dati. Statistiche, sommari e analisi delle prestazioni scorrevano schermata dopo schermata, dopo schermata. D'un tratto colse con un'occhiata il mondo esterno alla navetta attraverso l'unica finestra disponibile. Le stelle brillavano sul vuoto così come avevano sempre fatto, ma oggi, per la prima volta da molto tempo, le davano il benvenuto, invitandola a seguirle.
Incantata, abbandonò il terminale al quale stava lavorando e si arrampicò attraverso la cabina.
Il Dardo Thikshaza si dirigeva a destinazione, a quattro milioni di qaijins al giorno. Tutt'intorno le stelle gravitavano, scorrevano e ardevano. Le galassie ruotavano come mulinelli d'acqua in fiumi di montagna. La nebula Galishegku, nata in un batter di ciglia migliaia di anni prima, fioriva delle tinte rame e vermiglio. Ciononostante il panorama si presentava perfettamente silenzioso, assolutamente immobile, a testimoniare la tremenda dimensione del tutto. Separata da tale vuoto, anche la più grande delle stelle sembrava solo poco più consistente di un cristallo nel gelo mattutino. Era possibile che una tale pochezza potesse opporre così tanto contro la nullità?
Uranio-235: 92 protoni, 92 elettroni, 143 neutroni. Una vita media appena superiore ai 700 milioni di anni. Nonostante fosse estremamente pesante, l'atomo di uranio-235 era per la maggior parte spazio vuoto, così come lo sono la maggior parte degli altri atomi. Zuizu conosceva bene tutto questo; quand'era ragazzina, si soffermò in centro città meravigliandosi con sé stessa del fatto che se le montagne che la circondavano rappresentavano l'orbita più esterna di una nube di elettroni, allora i nuclei dell'atomo, contenenti il 99.9% della massa totale, non sarebbero più grandi di una mano chiusa a pugno. E nonostante tutto quel vuoto, studiosi con risorse sufficienti a dividere l'atomo, a controllarlo e a comprenderne i meccanismi, poterono scoprirne il suo incredibile potenziale. L'atomo avrebbe potuto produrre energia, avrebbe potuto provvedere armamenti, avrebbe potuto consentire a dei velivoli viaggi da un pianeta all'altro.
Zuizu si lasciò scivolare all'indietro. Così facendo il suo sguardo andò a posarsi sulle console che la circondavano. Interruttori, bottoni, quadranti e display: tutte le facce di migliaia di invenzioni, a sua volte tutte un prodotto di altre migliaia di invenzioni più vecchie. Per ognuna di loro molti ostacoli erano apparsi; per tutte loro gli stessi ostacoli erano stati risolti. Sì, le galassie, le stelle e i pianeti sembrano qualcosa di più di delicati puntini di luce quando contrastati all'oscura immensità del nulla.
Il Dardo Thikshaza continuò ad accelerare. Il suo unico occupante immaginava scenari tali che non aveva più immaginato da quando era una giovane donna. All'improvviso la risposta via radio arrivò con un certo anticipo: "tutti le funzioni sono normali, tutto quanto procede secondo i piani, ritornare in stato di ibernazione". Dopo aver accettato l'ordine, Zuizu si affrettò a raggiungere nuovamente il segmento G. Si allacciò al letto, collegando poi l'apparato di ibernazione, e
si agganciò ai biosistemi. La luce divenne soffusa. Diversi minuti sarebbero trascorsi prima che perdesse conoscenza: sognò ad occhi aperti mentre aspettava.
C'era così tanta storia ancora da scrivere.