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La Sidone nello Specchio

Inserito Giovedì 10 giugno 2004

Narrativa [The Sidon in the Mirror]
Connie Willis



 (NOTA DEL TRADUTTORE: il racconto si svolge in un ambiente saturo di elio. I personaggi, per questo motivo, parlano con voce stridula ed hanno un modo buffo di storpiare le vocali. L'autrice ha inserito questa ambientazione in modo grafico, sostituendo al suono 'a' il suono 'ee'. Una cosa simile era stata fatta nella traduzione  di questo racconto pubblicata nell'edizione cartacea di Intercom e in quella presente nel vecchio sito, ma il risultato è stato piuttosto deludente: la lettura è molto più difficile e sembra che i personaggi parlino in un dialetto simile a quello barese, con evidenti sfumature comiche non desiderate. Poiché questo aspetto non è minimamente interessante ai fini della trama del racconto, si è preferito toglierlo del tutto.)

Siamo quasi alla discesa a spirale. Non posso vedere le luci d'attracco e non ci sono indicatori su Paylay, ma ricordo come apparivano da qui le luci del santuario di Jewell: una fila sottile e spezzettata di lucette dell'albero di Natale, rosse e verdi e d'oro. Più vicino si può vedere la linea rossa sotto le costruzioni, e puoi pensare di scorgere il calore di Paylay, ma è solo il riflesso delle luci sul terreno e la metalcarta che sta sotto i fianchi della costruzione di Jewell e della casa da gioco.

"Non vedi il caldo," aveva detto Jewell mentre tornavamo dalla discesa "ma lo senti. Le tue scarpe sono a posto?"

Le mie scarpe andavano bene, ma erano sgraziate a camminarci. Ci sarei caduto a casa mia, ma qui la gravità più pesante quasi le attaccava al terreno. Avevano suole in plastica di oltre quindici centimetri ricoperte da un materiale in lattice fragile a vedersi, un po' come la torre di atterraggio, ma erano più solide di quanto apparissero e non lasciavano passare calore. Non sentivo proprio niente e a metà della strada verso la casa di Jewell mi ero inginocchiato per tastare il terreno fuligginoso. Si provava un certo senso di calore ma non così forte come avevo pensato che sarebbe stato a camminare su una stella.

"Lasciaci la mano un minuto," aveva detto Jewell. Lo avevo fatto e poi ero schizzato con la mano tutta annerita verso la bocca.

"Diventa subito calda, eh...", aveva detto. "Un drenatore giovane cadde qua attorno o venne fuori senza scarpe addosso e morì nel giro di un'ora per un colpo di calore. Per questo ho pensato che fosse meglio venirti a ricevere su Paylay. E' chiamata così questa stella che stanno drenando. Pensi di poter raccogliere il minerale che sta per terra, ma non è possibile. Devi trapanare un drenaggio e costruirci un compressore attorno e pregare Dio che non esploda mentre lo fai."

Quello che non disse, con quello squittio acuto che tutti e due avevamo al posto della voce per via dell'elio nell'aria, era che mi aveva aspettato per oltre due ore nella torre di segnalazione in plastica della discesa e che il fondo dei piedi le friggeva nelle scarpe torreggianti. La plastica non è proprio un buon isolatore. Delle costole in metallo scoperto avrebbero funzionato molto meglio a dissipare il calore che fuoriesce dalla crosta sottile di Paylay, ma qui non si possono permettere niente più metallo di quanto non sia assolutamente necessario, non con tutto l'idrogeno e l'ossigeno pronti ad esplodere alla minima scintilla.

Il pilota della discesa avrebbe dovuto togliermi qualsiasi potenziale accendino o qualsiasi metallo che portavo prima di permettermi di uscire dalla spirale di discesa, ma Jewell lo aveva interrotto prima che potesse chiedermi cosa portavo. "Mettici un doppio drenaggio, eh?" aveva detto. "Vorrei tornare prima che inizi il prossimo turno. Avevate un'ora di ritardo."

"Mi spiace, Jewell," aveva risposto il pilota. "Abbiamo toccato il trenta per cento a un'altezza d'un chilometro e abbiamo dovuto metterci in Fermat." Era tornato a guardare il pezzo di carta in mano. "I seguenti articoli sono ritenuti di contrabbando. Il possesso illegale può portare all'espulsione da Paylay. Ne avete qualcuno? Accendini sonici, elettromagneti, fiammiferi..."

Jewell aveva fatto un passo in avanti e appoggiato il piede come se temesse che la terra cedesse.

"E' naturale che non ce l'ha. E' un suonatore di piano."

Il pilota aveva detto sorridendo: "Okay, Jewell, prendilo" e lei aveva afferrato il mio armamentario e ci eravamo incamminati verso St. Pierre. Mi aveva chiesto di mio zio raccontandomi del suo santuario e delle ragazze e di come aveva dato loro nomi di servizio di gioielli per via del suo nome. Mi disse come Taber, che gestiva la casa da gioco accanto al suo santuario, avesse battezzato con St. Pierre la piccola fila di costruzioni che potevamo vedere in lontananza, per via del nome del santo patrono dei drenatori, e per tutto il tempo la pianta dei piedi le friggeva come carne al fuoco e non ne fece mai parola.

Non potevo vederla bene. Portava una lanterna di nebulosa chimica legata alla fronte e ne aveva portata una anche per me, ma non faceva molta luce e il suo viso era in ombra. Mio zio mi aveva detto che aveva una grossa cicatrice che le correva per tutta la lunghezza del viso fin sotto il mento. Diceva che se l'era procurata in uno scontro con una sidone.

"Era quasi arrivata alla giugulare," aveva detto mio zio. "Ci sarebbe arrivata se non l'avessero tirata via. Ferì anche molti drenatori."

"Ma che ci faceva mai con una sidone?" Avevo chiesto. Non ne avevo mai vista una ma ne avevo sentito parlare, stupendi animali rosso sangue con una pelliccia abbondante e soffice e artigli come rasoi, animali che potevano sembrare addomesticati anche per un anno per poi esplodere violentemente senza preavviso. "Non si possono addomesticare."

"Jewell pensava di poterlo fare," disse mio zio. "Un drenatore la riportò da Solfatara in una gabbia. Qualcuno la liberò e lei scappò. Jewell si sedette a terra e se la tenne sulle gambe finché non arrivò qualcuno in aiuto. Insistette a riportarsela nel santuario per tenerla come un animale domestico. Non volle credere che non sarebbe riuscita ad addomesticarla."

"Ma una sidone non può fare nulla contro quello che è" dissi. "E' come noi, neppure si accorge che lo sta facendo!"

Mio zio non disse niente, e dopo un momento dissi: "Pensa di poter addomesticare anche noi. E' per questo che vuole prendermi, non è così?" Sapevo che ci sarebbe potuta essere una ragione per volermi prendere quando non ci è permesso di stare su Solfatara. "Pensa che può impedirmi di copiare."

Mio zio non rispose di nuovo e lo presi come un assenso. Non aveva risposto a nessuna delle mie domande. Mi aveva detto di punto in bianco che sarei andato, anche se nessuno aveva lasciato il pianeta dopo il divieto, e quando gli avevo fatto qualche domanda aveva risposto con frasi che non rispondevano a niente.

"Perché devo andare?" avevo chiesto. Avevo paura di andare, paura di ciò che sarebbe potuto accadere.

"Voglio che tu copi Jewell. E' una persona gentile, una persona buona. Puoi imparare moltissimo da lei."

"Perché non viene qui? Kovich è venuto."

"Dirige un santuario su Paylay. Non ci sono più di venticinque persone tra drenatori e ragazze per tutta la stella. E' completamente sicuro."

"E se ci fosse qualcuno cattivo là? Che succederebbe se copiassi lui e uccidessi qualcuno, come è successo su Solfatara? Che succederebbe se dovesse accadere qualcosa di brutto?"

"Jewell dirige un santuario pulito. Niente perversi né drogati e le ragazze sono tutte di buone maniere. Non assomiglia per niente alle case di piacere. In quanto a Paylay, non devi preoccuparti che sia una stella: è all'ultima fase di spegnimento. Ha una crosta di circa duemila piedi che vuol dire che non ci sono più quasi per niente radiazioni. Ci si può camminare sopra senza nessun tipo di indumento protettivo. Ci sono della radiazioni dai drenaggi dell'idrogeno, naturalmente, ma tu non ti ci avvicinerai mai."

Mi aveva rassicurato su tutto tranne che su quello che era importante. Ora, affannandomi dietro a Jewell attraverso il carbone polverizzato di Paylay, ero informato su tutti i pericoli tranne che sul peggiore: me stesso.

Non potevo vedere niente che assomigliasse a un drenaggio. "Dove sono?" avevo chiesto e Jewell aveva indicato indietro, verso il punto da dove venivamo.

"Il più lontano che si può da St. Pierre, e l'uno dall'altro, di modo che qualche matto d'un triplo drenatore non possa ammazzare tutti quanti quando esplode... La prima sidone è da quella parte, a circa dieci chilometri."

"Sidone?" avevo chiesto, impaurito. Mio zio mi avevano detto che i drenatori avevano uccisa la sidone e ne avevano fatto un tappeto dopo che aveva quasi ammazzato Jewell.

Si era messa a ridere. "E' così che chiamano i drenaggi. Perché ti esplodono addosso e tu non sai nemmeno cosa t'ha colpito. Li rendono sicuri al massimo, ma l'equipaggiamento di compressione è in metallo e metallo significa scintille. Ogni tanto tutto il cielo lassù s'accende come a Natale. Abbiamo messo St. Pierre il più lontano possibile e non c'è un pezzetto di metallo per tutta la zona, ma ci sono un po' dappertutto fughe di idrogeno. E l'elio. Non sembriamo una coppia di scemi a squittire in questo modo?"

Aveva sorriso di nuovo e avevo notato che mentre eravamo stati là a guardare l'orizzonte nero, i miei piedi avevano cominciato a diventare scomodamente caldi.

Era una lunga camminata dall'oscurità alla striscia di luci e per tutta la strada avevo osservato Jewell e mi ero chiesto se avevo già iniziato a copiarla. Non lo avrei saputo, naturalmente. Non mi ero accorto neppure che avevo copiato mio zio. Un giorno mi aveva chiesto di suonare una canzone e io m'ero seduto al piano e l'avevo suonata. "Da quanto tempo sei capace di farlo?" E io non lo sapevo. Solo dopo aver fatto la copia lo avrei saputo e poi solo se qualcuno me l'avesse detto. Mentre mi affannavo nell'oscurità dietro a Jewell provavo, provavo a copiarla.

Ci impiegammo quasi un'ora per arrivare in città e quando ci arrivammo scoprii che non era per niente una città. Quella che Jewell aveva chiamato St. Pierre era solo due alti palazzi coperti in metalcarta arroccati su un'ossatura di plastica alta quasi due metri e un ammasso di pali da tenda. nessuno dei due palazzi aveva un'insegna sopra la porta, solo strisce di luci di nebulchimica multicolore appese lungo le tettoie. Erano piuttosto luminose e si riflettevano sulla metalcarta facendo anche più luce ma Jewell si tolse la lanterna che era assicurata alla fronte e la tenne vicino alle scale in legno traforato, quasi che non potessi salire fino al portone principale sopra di noi senza di essa.

"Perché cammini così?" chiese quando arrivammo in cima alle scale, e per la prima volta riuscii a vederle la ferita. Sembrava quasi nera nella luce colorata della lanterna e dei nebuli e era molto più larga di quanto avessi pensato; una scanalatura di pelle scura raggrinzita lungo tutto un lato del viso.

"Camminare come?" Chiesi, e guardai i miei piedi.

"Come se non potessi sopportare di avere i piedi a terra. Sono io che mi sono scaldata troppo i piedi alla discesa. Tu no. Non camminare così.

"Mi spiace," dissi. "Non lo farò più."

Mi sorrise e la ferita svanì un po'. "Ora vieni dentro ad incontrare le ragazze. Non fare caso se dicono qualche cosa su come sei. Non hanno mai visto uno specchio in precedenza, ma sono brave ragazze." Aprì la porta spessa. Era in metalcarta rinforzata da un foglio spesso di isolante. "Ci togliamo qua fuori le scarpe interne e nel santuario portiamo le pattine."

Era molto più fresco dentro. C'era un ventilatore di plastica a scatto termico posto sul soffitto e circondato da nebulchimiche colorate di rosa. Ci trovavamo in un'anticamera con una rastrelliera per le scarpe alte e le lanterne. Pendevano dalle cinture.

Jewell si sedette su una sedia e cominciò a slacciarsi le scarpe ingombranti. "Non andare mai fuori senza scarpe e senza lanterna," disse. Fece un gesto verso la rastrelliera. "Quelle piccole con gli scuri in carta-soia sono per la città. Durano quasi per un'ora. Se esci per andare ai drenaggi o alla spirale di discesa, prendi con te una di quelle grosse."

Appariva diversa nella luce rosata. La cicatrice non si vedeva quasi per niente. Anche la sua voce era diversa, più profonda. Sembrava più vecchia di quanto fosse apparsa alla discesa. Guardai in giro all'aria.

"Ci immettono azoto e ossigeno da un drenaggio dietro casa" disse. Ai drenatori non piaceva avere le vocette che squittivano a causa dell'elio quando erano con le ragazze. "Non ti liberi dell'elio e nemmeno dell'idrogeno. Spuntano dappertutto. Al massimo li puoi diluire. Dovresti essere grato di non essere stato qui all'inizio, prima che drenassero l'atmosfera. Allora dovevi portare le tute." Si sfilò la scarpa. La pianta del piede era un ammasso di vesciche. Iniziò ad alzarsi, ma poi si risedette.

"Chiama subito Carnie," disse. "Dille di portare delle bende".

Appesi le scarpe da esterno alla rastrelliera e aprii la porta interna. Chiudeva perfettamente anche se si apriva con un piccolo tocco. Era fatta con lo stesso isolante della porta esterna. Dava su una stanza di rappresentanza, tutta tende e tappeti di pelliccia e nebuli appesi che gettavano piccole pozze di luce colorata di verde di rosa e d'oro. Il piano stava appoggiato a un muro sopra un tavolo di plastica intagliato. Non riuscivo a vedere nessuno nella stanza e a causa del rumore dei diffusori non potevo sentire nessuna voce. Passai sopra un tappeto di pelliccia rosso fuoco verso un'altra stanza, piena di tende.

"Jewell?" fece una voce di donna. I diffusori si spensero e lei disse: "Jewell?" di nuovo e vidi che l'avevo quasi superata. Sedeva in una poltrona di velluto bianco in una piccola ansa che sarebbe stata una finestra se questo non fosse stato Paylay. Portava un vestito bianco di carta in seta con una lunga gonna. I capelli raccolti sopra la testa e una collana di perle intorno al lungo collo. Sedeva in modo così tranquillo con le mani sul grembo e la testa leggermente spostata verso di me, che non l'avevo neppure vista.

"Sei Carnie?" chiesi.

"No," disse e non guardò verso di me. "Che c'è?"

"Jewell s'è scottata i piedi," dissi. "Ha bisogno di bende. Sono il nuovo suonatore di piano."

"Lo so," disse la ragazza. Alzò un po' la testa in direzione della scala e chiamò: "Carnie. Prendi la cassetta dei medicinali."

Una ragazza corse giù per le scale vestita di rosso arancio e senza scarpe. "Per chi è? Per Jewell?" chiese alla ragazza vestita di bianco. Quando lei annuì, Carnie corse via verso l'altra stanza. Sentì il suono sordo di una porta isolata che s'apriva. La ragazza non aveva fatto nessuna mossa di andare a vedere Jewell. Sedeva perfettamente immobile nella poltrona bianca, le mani poggiate tranquillamente sul grembo.

"I piedi di Jewell stanno piuttosto male," dissi. "Non puoi almeno venirli a vedere?"

"No," disse e si volse verso di me. "Mi chiamo Perla," disse. "Avevo un amico una volta che suonava le tastiere."

Anche così non avrei capito che era cieca, ma me lo aveva detto mio zio. "La maggior parte delle ragazze sono dei nuovi arrivi che Jewell assume per Paylay proprio appena scendono dalle navi, prima che le case di piacere le possano rovinare," aveva detto mio zio. "Aveva portato solo una coppia di ragazze con sé da Solfatara, ragazze che lavoravano con lei nella casa di piacere da cui se n'era andata. Carnie e credo Zaffiro e Perla, quella cieca."

"Cieca?" avevo detto. Solfatara è un bel po' fuori mano, ma ogni posto ha dei dottori.

"Le ha tagliato... era stato danneggiato il nervo ottico. Fecero degli impianti orbitali e riattaccarono tutti i muscoli ma fu solo un restauro cosmetico. Non può vedere niente."

Anche dopo tutte le storie orribili che avevo sentito su Solfatara, ero rimasto scioccato nel pensare che qualcuno potesse fare qualcosa del genere. Mi ricordo che pensai che l'uomo doveva essere stato incredibilmente crudele per fare una cosa del genere, che sarebbe stato più umano ucciderla sul colpo piuttosto che lasciarla indifesa e menomata a quel modo in un posto come Solfatara.

"Chi glielo ha fatto?" chiesi.

"Un drenatore," disse, e per un minuto apparve proprio uguale a Kovich, era cosi uguale che chiesi: "E' stata la stessa persona che ha spezzato le mani di Kovich?"

"Sì," disse mio zio.

"Lo hanno ucciso?" chiesi, ma non era questa la domanda che avevo intenzione di fare. Volevo chiedere se Kovich lo aveva ucciso, ma avevo detto "lo hanno".

E mio zio, non assomigliando più a Kovich, aveva detto: "Sì, lo hanno ucciso," come se quella, dopotutto, fosse la domanda giusta.

Gli impianti orbitali e la ricongiunzione dei muscoli erano stati proprio buoni. I suoi occhi erano d'un grigio pallido bellissimo e qualcuno le aveva insegnato a seguire le voci. Non c'era proprio niente nell'angolazione della testa o degli occhi o delle mani tranquille a dirmi che era cieca o a farmela compatire, e standomene là a guardare verso di lei ero contento, contento che lo avessero ucciso. Speravo che gli avessero tolto gli occhi, prima.

Carnie ci sfrecciò vicino con la cassetta del pronto soccorso e disse, ancora guardando verso Perla: "Vado a vedere se posso aiutarla." Ritornai fuori, nel vestibolo, e guardai mentre Carnie passava un certo tipo d'olio sui piedi di Jewell e poi un tampone di similrete e glieli fasciava.

"Questa è Carnelian," disse Jewell. "Carnie, questo è il nostro nuovo suonatore di piano."

Mi sorrise. Sembrava molto giovane. Doveva essere solo una bambina quando lavorava nella casa di piacere su Solfatara con Jewell.

"Immagino che faccia cose proprio piacevoli con quelle mani," disse e sghignazzò.

"Non lo portare in giro," disse Jewell. "E' qui per suonare il piano."

"Intendevo dire sul piano. Non sembri proprio come un vero specchio. Cioè, vergognoso e tutto il resto. Chi copierai?"

"Non copierà nessuno," disse Jewell dura. "Suonerà il piano e questo è tutto. Il pranzo è pronto?"

"No. Ero proprio njlla cucina e Sapphire non era njppure là. " Tornò a scrutarmi. "Quando copi qualcuno, sembri come lui?"

"No," dissi. "Stai parlando di un camaleonte."

"Non stai parlando di niente," le disse Jewell e si alzò. Cedette un po' non appena poggiò il peso sui piedi. "Vai a farti dare un paio di pattine da Garnet. Non potrò mettermi le mie. E vai a dire e Sapphire di darsi a doppio drenaggio in cucina."

Lasciò che l'aiutassi fino alle scale ma non di più. "Quando torna Carnie devi farti mostrare le camere. Lavoriamo di otto in otto qui, ed è quasi ora del doppio turno. Puoi fare pratica fino all'ora di pranzo se vuoi."

Salì due scalini e si fermò. "Se Carnie ti fa altre domande stupide, dille di lasciarti stare. Non voglio sentire più sciocchezze sul copiare e sugli specchi. Tu stai qui per suonare il piano."

Riprese a salire le scale e io tornai nella stanza della musica. Perla era ancora là, seduta sulla poltrona bianca e non so se era compresa nelle istruzioni di lasciarmi solo così mi sedetti sulla sedia di legno duro e guardai il piano.

Aveva la tastiera e i ponticelli di legno, ma le stringhe erano di plastica invece che di metallo. Provai alcune note e sembrava che avesse un buon suono nonostante le stringhe. Feci alcune scale e altre note e guardai i nomi sugli spartiti che stavano sul leggio. Non so leggere la musica, naturalmente, ma vidi dai titoli che conoscevo quasi tutte le canzoni.

"Non sono cavolate, vero?" disse perla. "Riguardo al copiare." Parlava lentamente e senza l'accento spezzato che avevano Jewell e Carnie.

Mi girai sulla sedia volgendomi verso di lei. "No," dissi. "Gli specchi devono copiare. Non possono controllarsi. Non sanno neppure chi stanno copiando. Jewell non mi crede. E tu?"

"La cosa peggiore di essere cieca non sta nelle cose che ti vengono fatte, " disse e si rivolse verso di me di nuovo con i suoi occhi ciechi. "E' che non sai chi è che te le sta facendo."

Carnie entrò dalla porta con le tende. "Oh, Perla, se potessi vederlo! Ha otto dita per mano ed è proprio alto. Quasi fino al soffitto. E la pelle di un rosso vivo."

"Come quella di una sidone," disse Perla, guardando verso di me.

Carnie guardò giù al tappeto rosso sangue sopra a cui stava. "Quasi identico," disse e mi tirò su per le scale per mostrarmi la camera e i vestiti che dovevo indossare e per farmi vedere alle altre ragazze. Erano già vestite per il cambio turno in abiti di setacarta lunghi che si abbinavano ai nomi. Garnet portava dei nebulchimici rosa-rossi nei capelli tirati, Emerald un collare illuminato in modo laborioso.

Carnie si vestì di fronte a me, liberandosi della sua roba e mettendosi il vestito rosso arancio come se io non stessi a guardare. Mi chiese di aggiustarle le bretelle di arancio lampeggiante, alzando i suoi ricci rossi così da poter legarle le stringhe dei nebulchimici dietro le spalle. Non potevo decidere, allora, se stesse tentando di sedurmi o far sì che la copiassi o semplicemente di convincermi che era la ragazza ingenua che pretendeva di essere.

Pensai comunque che qualunque cosa stesse tentando, aveva fallito. Era riuscita solo a convincermi di ciò che mio zio mi aveva già detto. Nonostante la sua giovinezza, la sua aria fatua, potevo ben dire che era stata su Solfatara, che l'avevo conosciuta fino in fondo, i perversi, i drogati, tutto il peggio che le case di piacere potessero offrire. Penso ora che non volesse indicare niente, tranne che desiderava essere crudele, che stava semplicemente pungolandomi come se fossi un animale in gabbia.

Durante il pranzo, vedendo Sapphire porre per lei il piatto di Perla tra i segni, mi chiesi se Carnie fosse sempre crudele con Perla come lo era stata con me, spostandole leggermente il piatto mentre lo metteva giù o spostandole la sedia così che non avrebbe potuto trovarla.

Sapphire poggiò il resto dei piatti sul tavolo, gli occhi blu scuriti da qualche vecchia amarezza e pensai che Jewell non avrebbe dovuto condurre nessuna di loro con lei da Solfatara, tranne Perla. Perla è l'unica che non è stata rovinata. La sua cecità l’ha mantenuta integra, pensai. Era stata protetta da tutti gli orrori perché non poteva vederli. Forse la sua cecità la proteggeva anche da Carnie, pensai. Forse questo è il segreto, che lei è salva all'interno della sua cecità e nessuno può farle del male, e Jewell questo lo sa. non pensai allora all'uomo che l'aveva accecata e come non era stata per nulla in salvo da lui.

Jewell fece calmare la tavola: "Voglio che diate il benvenuto al nostro nuovo pianista," disse. Si allungò sul tavolo e batté affettuosamente le mani di Carnie. "Grazie per aver fatto le presentazioni e per avermi fasciato il piede," disse e pensai che Perla dopo tutto era salva. Jewell aveva addomesticato Carnie e tutte le altre. Non pensai alla sidone che aveva addomesticato e che ora giaceva sul pavimento di fronte alla porta della stanza delle carte.

Quel primo turno Jewell mi decorò con vestiti da lavoro e un collare da cane rosso e nero e mi fece stare sulla porta con lei mentre salutava i drenatori. Erano vestiti in modo formale anche loro, sotto le giacche da lavoro annerite di fuliggine. Appesero le giacche piene di tasche e pesanti di attrezzi sulle rastrelliere all'ingresso insieme alle lanterne e si misero a sedere per togliersi le scarpe alte con le mani rosse ormai quasi come le mie. I visi apparivano accaldati e scarniti e tutti avevano una larga banda pallida attraverso la fronte per via della cinghia della lanterna. Uno di loro, che Jewell aveva chiamato Scorch, si era bruciato le sopracciglia e una lunga striscia di capelli in cima alla testa.

"Incontrerai quasi tutti i drenatori questo turno. La casa da gioco chiuderà verso la metà e il resto di loro verrà qui. Taber ed io abbiamo alternato i turni cosicchè qualcosa è sempre aperto."

Non mi presentò, anche se alcuni drenatori guardarono le mie mani con otto dita con curiosità e uno degli uomini apparve sorpreso e poi arrabbiato. Sembrava che stesse per dirmi qualcosa, ma poi cambiò idea, col viso che si faceva più rosso e più scuro finché la linea della lanterna non risaltò come una cicatrice.

Allorché furono tutti dentro la stanza della musica, Jewell mi condusse al piano e mi fece sedere e allungare le mani sulla tastiera, pronte per suonare. Allora disse: "Questo è il mio nuovo pianista. Ditegli ciao."

"Come si chiama, Jewell?" disse uno degli uomini. "Gli darai un nome adatto alle ragazze?"

"Non è che ci abbia pensato," disse. "Che ne dici?"

Il drenatore che era diventato tutto rosso disse a voce alta: "Penso che dovresti chiamarlo sidone e con un calcio mandarlo a bruciare su Paylay. E' uno Specchio."

"Ho già una Carnelian e una Garnet. E una volta ho avuto una sidone. Penso di chiamarlo Ruby." Guardò con calma in faccia l'uomo che aveva parlato. "Va bene per te, Jack?".

Il suo viso era di un rosso scuro come il mio. "Non volevo dire che fosse una cosa sconveniente, Jewell," disse. "Farai ciò che hai fatto con la sidone, ti terrai qualche cosa che ti si rivolterà contro. Non ce li fanno nemmeno stare gli Specchi su Solfatara."

"Penso che probabilmente sia una buona raccomandazione considerato quello che fanno stare su Solfatara," disse Jewell con calma. "Biscazzieri della droga, ruba drenaggi, perversi..."

"Tu l'hai visto quello specchio uccidere il drenatore. Avvenne proprio là, di fronte a tutti quanti e nessuno ho potuto fermarlo. Nessuno. Il drenatore che chiedeva pietà, le mani giunte davanti a lui e quello Specchio che gli si avvicinava con un rasoio da droga, sorridendo mentre lo faceva."

"Sì," disse Jewell. "L'ho visto. Ho visto molte cose su Solfatara. Ma questo è Paylay. E questo è il nostro pianista Ruby. Non penso che un uomo debba essere bandito fino a quando non fa qualche cosa, non è così, Jack?" Poggiò una mano sulle mie spalle. "Conosci Back Home ?" disse. Naturalmente la conoscevo. Conoscevo tutte le canzoni dei drenatori. Kovich aveva suonato in tutte le case di piacere su Solfatara prima che qualcuno gli spezzasse le mani. Aveva definito 'Back Home' il suo cavallo di battaglia.

"Suonala, dunque," disse. "Fagli vedere quello che puoi fare, Ruby." La suonai con un sacco di variazioni all'ottava superiore, tutte le cose alla moda che Kovich poteva fare con cinque dita invece di otto. Poi mi fermai ad attendere. I diffusori d'azoto si spensero e anche i ventilatori non fecero più rumore. Durante la canzone Jewell era andata a mettersi accanto a Jack, poggiando le mani sulle sue spalle, cercando di ammansirlo. Mi chiedevo se aveva avuto successo. Jack guardò verso di me e poi verso Jewell e poi di nuovo verso di me. Le mani andarono alla sua giacca da lavoro e il cuore quasi mi si fermò prima che la tirasse di nuovo fuori.

"Jewell ha ragione," disse. Non devi giudicare un uomo finché non vedi quello che fa. E’ stata una bella suonata," disse porgendomi un sigaro incartato nella plastica. "Benvenuto a Paylay."

Jewell mi fece un cenno d'assenso e stesi la mano per prendere il sigaro. Mi ci volle un po' a togliere la plastica e poi dovetti scrutare il sigaro per un minuto per essere sicuro di mettere la parte giusta in bocca. Lo infilai in bocca e cercai il mio accendino nella giacca. Non sapevo cosa sarebbe potuto succedere allorché avrei acceso il sigaro. Per tutto quello che avevo capito su ciò che stava succedendo, il sigaro poteva essere pieno di polvere da sparo. Jewell non appariva preoccupata ma, comunque, aveva giudicato male anche la sidone.

La mano si chiuse sull'accendino della giacca, i diffusori d'azoto si accesero all'improvviso e Jack disse pigramente: "Ora con che cosa lo accenderai, Ruby? Non c'è nemmeno un fiammifero su Paylay!"

Jewell rise e gli uomini sghignazzarono rumorosamente. Estrassi dalla giacca la mano vuota quasi con un senso di colpa e tolsi il sigaro dalla bocca per guardarlo. "Avevo dimenticato che non si può fumare su Paylay," dissi.

"Tu insieme a ogni altro drenatore che arriva dalla discesa," disse Jewell. "A quanti nuovi arrivati ho visto Jack fare quello scherzo?"

"Ad ogni altra persona," disse Jack che appariva soddisfatto di se stesso. "Ha funzionato perfino su di te, Jewell, e tu non eri una nuova venuta."

"Non è vero, bugiardo di un drenatore a triplo drenaggio," disse. “Ma ascoltiamo qualche cos'altro, Ruby," disse. "Che cosa volete che suoni Ruby, ragazzi?"

Scorch urlò una canzone e io la suonai, e poi un'altra, ma io non sapevo che cosa erano. Era stato uno scherzo, offrire ad un nuovo arrivato un sigaro e poi guardare che provava ad accenderlo su di una stella, dove nessuna fiamma libera era permessa. Un bello scherzo, e Jack lo aveva fatto nonostante ciò che aveva visto su Solfatara per far vedere a Jewell che non pensava che fossi una sidone, che avrebbe aspettato di vedere ciò che avrei fatto prima di giudicarmi.

E questo potrebbe essere stato troppo tardi. Che cosa sarebbe potuto accadere se avessi acceso il sigaro? Sarebbe saltata in aria la casa in una palla di fuoco, oppure tutto St. Pierre? La miscela di idrogeno-ossigeno era stata abbastanza alta nell'atmosfera esterna che avevamo dovuto spegnere i motori oltre un chilometro prima e scendere a spirale, e qui i diffusori stavano pompando ancora più ossigeno. Mezzo Paylay avrebbe potuto saltare.

Sapevo come era successo. Jewell aveva interrotto il pilota prima che potesse fare domande sugli accendini ed ora, perché le si erano rovinati i piedi, c'era un accendino funzionante nella sua casa. E lei aveva appena convinto Jack che non ero pericoloso.

Avevo smesso di suonare, standomene là, seduto con lo sguardo fisso sulla tastiera, il sigaro spento serrato tra i denti in modo così stretto che col morso l'avevo quasi reciso. Gli uomini strillavano ancora i nomi delle canzoni, ma Jewell si mise tra loro e me e posò uno spartito sul leggio.

"Niente più richieste," disse. "Perla canterà per voi."

Perla si alzò e si diresse senza aiuto dalla sua poltrona bianca verso il piano. Si fermò a non più di un centimetro da me e poggiò le mani con sicurezza alla fine della tastiera. Guardai la musica. Mostrava una serie di note prima che iniziasse la parte di lei, ma non conoscevo quella versione, solo la canzone che Kovich aveva conosciuto, e quella iniziava alla prima nota del verso. Non potevo farle un cenno e lei non poteva vedere le mie mani sui tasti.

"Non conosco l'introduzione," dissi. "Solo il verso. Che faccio?"

Si piegò verso di me. "Appoggia la mano sulla mia quando sei pronto ad iniziare e io conterò a tre," disse e si rialzò lasciando la mano dov'era.

Guardai la sua mano. Carnie le aveva parlato delle mie mani e se l'avessi toccata leggermente, con solo le dita centrali, non avrebbe potuto distinguerlo dal tocco di un umano. Desideravo sopra ogni cosa non impaurirla. Penso che non l'avrei sopportato se si fosse ritratta da me.

Ora penso che sarebbe stato meglio se lo avesse fatto, che l'avrei preferito a tutto questo, a stare seduto qui con la sua testa sulle mie gambe ad aspettare. Se si fosse ritratta Jack l'avrebbe vista, l'avrebbe vista allontanarsi da me e questo sarebbe stato sufficiente per lui per tirarmi il collare e buttarmi fuori della porta, con un calcio mi avrebbe fatto volare oltre i gradini di legno così forte che l'accendino mi sarebbe schizzato via e mi avrebbe lasciato ad arrostire sulla faccia di Paylay.

"E ora perché l'hai fatto?" Jewell avrebbe chiesto. "Non ha fatto niente altro che toccarle la mano."

"E non le farà niente altro," avrebbe detto allungando l'accendino a Jewell. E io non avrei potuto farle niente altro.

Ma lei non si ritrasse. Fece un piccolo respiro che non durò più a lungo di quanto ci volle alla mia mano per tornare sui tasti e iniziò la prima nota dopo contato a tre e partimmo insieme. Non feci nessun trillo o allungamento d'ottava. La sua voce era dolce e tenue e vera. Non aveva bisogno di me.

Gli uomini applaudirono dopo la canzone di Perla e iniziarono a urlare i nomi di altre canzoni. Alcune non le conoscevo e mi chiedevo come avrei potuto spiegarglielo, ma Jewell disse: "Calma, calma ragazzi. Non consumiamo il nostro pianista in un turno. Lasciamo che se ne vada a letto. Sarà qui il prossimo turno. Chi vuol fare una partita a Katmai?" Si allungò per stendere la coperta sulla tastiera. "Usa le scale sul fronte," disse. "I drenatori usano le scale sul retro per portare su le ragazze."

Perla si piegò verso di me e disse: "Buona notte, Ruby," e poi prese il braccio di Jack come se sapesse di preciso dove stava e attraversò la porta con le tende per andare nella sala delle carte. Gli altri seguirono, a due a due, fino a che tutte le ragazze non furono accompagnate e poi, in ordine sparso, Jewell sciolse i drappi pesanti cosicché caddero a coprire la porta dietro a loro.

Salii le scale e mi tolsi i mascheramenti di carta e lo scomodo collare e mi misi a sedere sul bordo del letto che Jewell mi aveva preparato mettendo un tavolinetto alla fine per allungarlo. Pensai a Perla e a Jack e a come avrei fatto per dare l'accendino a Jewell all'inizio del prossimo turno, e mi chiesi chi stessi copiando. Mi guardai nel piccolo specchio di plastica sopra il letto, cercando di scorgere Jewell o Jack nel mio viso.

Avevo lasciato il sigaro sul leggio. Non volevo che Jack lo trovasse là e pensasse che l'avevo rifiutato. Mi rimisi i mascheramenti e scesi di sotto. Non c'era nessuno nella stanza della musica e i tendaggi erano ancora tirati sulla porta della sala delle carte. Mi diressi verso il piano e presi il sigaro. L'avevo quasi troncato col morso e staccai del tutto la parte penzolante. Iniziai a succhiare l'altra estremità e mi sedetti sullo sgabello del pianoforte allungando le mani il più possibile sulla tastiera.

"Si capisce che sei uno Specchio," fece una voce d'uomo dalle profondità della poltrona di Perla. "Ho conosciuto una volta uno Specchio. O lui ha conosciuto me. Non è così che succede?"

Quasi dissi: "Non siete tenuto a sedere in quel posto" ma scoprii che non potevo parlare.

L'uomo si alzò in piedi e si diresse verso di me. Era vestito come gli altri uomini, con un largo collare da cane, ma le mani e il viso erano quasi bianchi e non c'era nessuna banda più chiara attraverso la fronte. "Mi chiamo Taber," disse con una voce cantilenosa e lenta, diversa dall'accento veloce che accorciava le vocali degli altri. Dubitai che venisse da Solfatara. Tutti gli altri, tranne Perla, accorciavano le vocali, se le mangiavano come io avevo mangiato il sigaro. Soltanto Perla sembrava non avere accento, come se la sua cecità l'avesse protetta anche dalla parlata di Solfatara.

"Benvenuto a St. Pierre," disse, e provai un'ondata di paura. Aveva mentito a Jewell. Non sapevo chi fosse St. Pierre, ma appena parlò capii che St. Pierre non era il santo patrono dei drenatori e che il fatto di chiamare così la città da parte di Taber era un qualche scherzo crudele e irripetibile che solo lui comprendeva.

"Devo andare di sopra," dissi e la mano mi tremava mentre tenevo il sigaro. "Jewell è nella stanza delle carte."

"Oh," disse distrattamente prendendo un sigaro per la testa e scartandolo. "C'è anche Perla?"

"Perla?" chiesi così impaurito da non poter respirare.

Si tastò le tasche della divisa e vi infilò una mano. "Sì, lo sai, la ragazza cieca. Quella carina." Tirò fuori un accendino dalla tasca interna, sollevò il coperchio e guardò verso di me.

"Che peccato che sia cieca. Mi piacerebbe sapere cosa successe. Sai, non l'ha mai detto a nessuno," disse e azionò l'accendino.

Non era un vero accendino. Potei vedere, dopo un attimo di gelo, che non c'era nessun liquido dentro. Lo fece scattare altre due volte, lo tenne alla fine del sigaro in una spiacevole pantomima e se lo ripose in tasca.

"Spero di poterlo scoprire," disse. "Potrei sfruttare bene il fatto di saperlo."

"Non posso aiutarti," dissi e mi avvicinai verso le scale.

Mi si pose di fronte. "Oh, penso di si. Non è per questo che sono fatti gli Specchi?" disse e avvicinando il sigaro non acceso mi soffiò sul viso del fumo immaginario.

"Non ti aiuterò," dissi così forte che immaginai Jewell venire a dire a Taber di lasciarmi solo, come aveva detto a Carnie. "Non puoi costringermi ad aiutarti".

"Certo che no," disse. "Non funziona così. Ma naturalmente questo lo sai," e mi lasciò passare.

Me ne stetti seduto sul letto il resto del turno, con il vero accendino tra le mani, in attesa che potessi raccontare a Jewell quello che mi aveva detto Taber. Ma il turno successivo era un turno di sonno e il turno successivo a quello suonai per le richieste dei drenatori per tutte le otto ore. Per la maggior parte del tempo Taber rimase accanto al piano facendo cadere della cenere immaginaria sulle mie mani.

Dopo il turno, Jewell mi venne a chiedere se Jack o qualcun altro mi avesse infastidito e non le parlai per niente di Taber. Durante il successivo turno di sonno nascosi l'accendino tra il materasso e la rete del mio letto.

Durante i turni di veglia mi tenni il più vicino possibile a Jewell, cercando di rendermi utile, cercando di non copiare il modo in cui camminava con i piedi fasciati. Quando non suonavo passavo tra i drenatori coi bicchieri di liquore gelato e annacquato su un vassoio e riempiendo le carte d'acconto per chi voleva portare di sopra le ragazze. Nei fuori-turno imparai a far funzionare il meccanismo che spediva i crediti a Solfatara, a fare il bucato e dopo un paio di settimane Jewell mi fece aiutarla nel controllo del corpo delle ragazze. Controllava che non ci fossero segni di perversione o ferite da droghe insieme ai GHS che ogni casa doveva effettuare. Perla non aveva alcun segno su di lei e mi sentii sollevato. Avevo avuto l'idea che Taber potesse in qualche modo torturarla.

Jewell ci lasciò soli mentre l'aiutavo a vestirsi dopo il controllo e dissi: "Taber è proprio un uomo cattivo. Vuole farti del male."

"Lo so," disse. Stava tesa al massimo mentre allacciavo la fila di bottoni e perle dietro il suo vestito.

"Perché?"

"Non so," disse. "E' come la sidone."

"Vuoi dire che non può controllarsi, che non sa quello che fa?" dissi arrabbiato. "Sa esattamente quello che fa."

"I drenatori erano soliti pungolare la sidone con un bastone quando era in gabbia," disse. "Comunque non arrivavano a farle veramente male e questo Taber non lo sopportava. Si fece dare dai drenatori la chiave della gabbia cosicché poteva entrarci dentro. In modo da poterle fare del male. Ora, perché voleva farle del male?"

"Perché era indifesa," dissi e mi chiesi se l'uomo che aveva accecato Perla era stato così. "Perché non poteva proteggersi."

"Jewell ed io eravamo nella stessa casa di piacere su Solfatara," disse. "Avevamo un amico là, un pianista come te. Era anche molto alto, come te, ed era la persona più gentile che abbia mai conosciuto. A volte mi ricordi lui." Si diresse con sicurezza verso la porta, come se non stesse contando i passi memorizzati. "Una gabbia è un posto sicuro fino a quando nessuno ha la chiave. Non preoccuparti, Ruby. Non può entrare." Si voltò per guardarmi. "Vuoi venire a suonare per me?"

"Sì," e la seguii nella stanza della musica. Prima che iniziassero i turni, mentre le ragazze erano di sopra a vestirsi, le piaceva sedersi nella poltrona bianca ad ascoltarmi suonare. Capiva, più di tutti gli altri, che potevo suonare solo le canzoni che avevo copiato da Kovich. Jewell in fondo pensava che sapevo leggere la musica e Taber mi comprò perfino degli spartiti a Solfatara. Perla diceva solo i nomi delle canzoni e io le suonavo se le conoscevo. Non me ne chiese mai una che non conoscessi, e pensai che fosse perché ascoltava con attenzione le richieste dei drenatori e i miei rifiuti, e gliene fui grato.

Sedevo al piano e guardavo Perla nello specchio. Avevo chiesto lo specchio a Jewell di modo che avrei potuto guardarmi dietro le spalle. Le avevo detto che lo volevo perché poteva segnalarmi le canzoni e le interruzioni e a volte di smetterla se gli uomini diventavano pesanti o rumorosi, ma la verità era che potevo evitare che Taber stesse là senza che io lo sapessi.

"Back Home," disse Perla. Potevo sentirla a malapena sopra i diffusori d'azoto. Iniziai a suonarla ed entrò Taber. Si diresse velocemente verso di lei e poi si immobilizzò e tra il mio suono e il rumore dei diffusori lei non lo sentì. Era fermo quasi a mezzo metro da lei, abbastanza vicino da toccarla ma fuori portata se lei avesse allungato la mano cercando di toccarlo.

Si tolse il sigaro dalla bocca e si piegò come se stesse per parlarle, invece protese le labbra e le soffiò leggermente. Potevo quasi vedere il fumo. All'inizio non sembrò notarlo, poi rabbrividì e si strinse addosso lo scialle di fili luminosi.

Lui s'arrestò e le sorrise per un attimo e poi si sporse per toccarla, con la punta del sigaro, leggermente sulla spalla, come se volesse bruciarla e poi tornò di scatto fiori della sua portata. Lei cercò a tentoni e lui tornò a ripetere ancora e ancora la piccola pantomima finché lei non si alzò e sollevò indifesa le mani contro ciò che non poteva vedere. Appena fece così lui si diresse silenziosamente e velocemente verso la porta cosicché quando lei strillò "Chi è? Chi c'è la?" disse con la sua cantilena tranquilla: "Sono io, Perla. sono appena arrivato. Ti ho spaventata?"

"No," disse e tornò a sedersi. Ma quando le toccò la mano, lei si ritrasse da lui come avevo temuto avrebbe fatto con me. E nel frattempo non avevo perduto una battuta della canzone.

"Sono venuto qua per vederti solo un attimo," disse Taber "e per ascoltare il tuo pianista. Migliora di giorno in giorno, non è vero?"

Perla non rispose. Vedevo nello specchio che le sue mani stavano di nuovo incrociate sul grembo e non si muovevano.

"Sì," disse lui e si diresse verso di me, facendo cadere della cenere immaginaria dal suo sigaro spento sulle mie mani. "Sempre meglio," disse dolcemente. "Posso quasi vedere il mio viso in te, Specchio."

"Che cosa hai detto?" fece Perla impaurita.

"Ho detto che è meglio che vada a vedere Jewell un attimo per alcuni affari e poi tornarmene qua vicino. Jack ha scoperto un nuovo drenaggio d'idrogeno oggi, uno veramente grosso."

Tornò in cucina attraverso la stanza delle carte e io rimasi al piano a guardare nello specchio fino a quando non vidi la porta della cucina chiudersi dietro di lui.

"Taber era rimasto nella stanza tutto il tempo," dissi. "Stava facendo... delle cose."

"Lo so," disse lei.

"Non dovresti permetterglielo. Dovresti fermarlo," dissi con violenza e appena lo dissi mi resi conto che lei sapeva che non lo avevo fermato neppure io. "E' proprio un uomo cattivo," dissi.

"Non mi ha mai rinchiuso," disse dopo un attimo. "Non mi ha mai legata."

"Non ha mai saputo come fare, prima," dissi e capii che era vero. "Vuole che lo scopra io per lui."

Piegò la testa verso le mani che teneva ancora incrociate ai polsi, quasi rilasciate, senza mostrare niente di ciò che pensava. "E tu lo farai?"

"Non lo so".

"Sta provando a farsi copiare da te, non è vero?"

"Sì."

"E tu pensi che possa funzionare?"

"Non lo so," dissi. "Non posso dirlo se sto copiando. Parlo come Taber?"

"No," disse, in un modo così definitivo che mi sentii sollevato. Mi ero ascoltato con orecchio ansioso, sperando nelle vocali abbreviate e nel dialetto dei drenatori, aspettando con paura la parlata lenta e stanca di Taber. Non pensavo di aver sentito né l'una né l'altra, ma avevo paura di non poterlo sapere se l'avessi fatto.

"Sai chi sto copiando?" dissi.

"Cammini come Jewell," disse, e sorrise un po'. "La rende furiosa."

Arrivò la fine del turno prima che realizzassi che, come mio zio, in verità non aveva risposto a ciò che le avevo chiesto.

Il nuovo drenaggio di Jack risultò così grande che ebbe bisogno di una squadra per aiutarlo a montare i compressori e per molti turni non ci fu quasi nessuno nella casa, nemmeno Taber. Poiché il lavoro era così scarso, Jewell lasciò perfino che alcune ragazze andassero alla casa da gioco. Taber non si avvicinò al drenaggio, ma non venne più neppure tanto spesso e quando lo faceva passava il tempo di sopra con Carnie, parlandole a voce bassa e facendole scattare l'accendino in continuazione, come se non potesse controllarsi. Poi, una volta che i compressori furono piazzati e la sidone iniziò ad operare, gli uomini si riunirono a St. Pierre e Taber fu troppo occupato per venire.

Quella volta che venne trovò Perla sola con me. "E' Taber, Perla," disse molto prima che avessi fatto una nota acuta sui tasti e avessi detto: "Taber è qui." Non aveva il sigaro con sé e neanche l'accendino e non mi parlò nemmeno. Osservando Perla parlargli, la testa girata con grazia dalla parte opposta alla sua, le mani in grembo, potevo quasi credere che non avrebbe avuto successo, che nulla poteva farle del male, in salvo nella sua cecità.

Eravamo così occupati che difficilmente Jewell mi parlava, ma quando lo fece mi disse con durezza che se non avevo niente di meglio da fare che copiarla, avrei potuto servire al bar e mettermi a smerciare il liquore annacquato che aveva tirato fuori in onore della nuova sidone. Lei stessa fece i pasti per la settimana mentre io facevo i controlli sui corpi.

Perla, nuda durante il controllo, appariva serena e senza ferite. Carnie aveva cicatrici da droga sotto le braccia. Non la denunciai. Se l'avesse scoperta Jewell, avrebbe rispedito Carnie su Solfatara e io volevo che Taber si desse da fare con Carnie, procurandole droghe e cercando di ottenere che l'aiutasse perché così avrebbe potuto credere che avesse smesso con me. Non osavo credere che avesse smesso con Perla, ma non pensavo che lui e Carnie da soli potessero farle del male, qualsiasi cosa le avessero fatto. Fino a quando non avrebbero ottenuto il mio aiuto. Fino a quando io avrei continuato a copiare Jewell.

Dissi a Perla di Carnie. "Penso sia sotto le droghe." Eravamo soli nella stanza della musica. Jewell era di sopra a rimettere ordine nella pensione. Carnie era in cucina, di turno alla cena. "Ho visto come erano le cicatrici"

"Lo so,” disse Perla e mi chiesi se c'era qualcosa che non vedeva nonostante la sua cecità.

"Penso che tu debba stare attenta. E' Taber che gliele procura. La sta usando per farti del male. Non dirle niente."

Non disse niente. Dopo un po' mi voltai verso il piano attendendo che mi dicesse il titolo di una canzone.

"Sono nata nella casa di piacere. Mia madre lavorava là. Lo sapevi questo?" disse tranquillamente.

"No," risposi tenendo le mani sulla tastiera come se mi potessero sorreggere. Non guardai verso di lei.

"Mi sono detta in tutti questi anni che finché nessuno sa cosa è successo, io sono in salvo."

"Jewell lo sa?"

Scosse la testa. "Non lo sa nessuno. Mia madre le disse che lui l'aveva minacciata col rasoio da droga, che non c'era stato niente da fare."

I diffusori d'azoto attaccarono proprio allora e sobbalzai per il rumore e guardai nello specchio. Potevo vedere la sidone nello specchio e sopra la sua pelle rosso assassino c’era Taber. Carnie lo aveva introdotto in cucina e acceso i diffusori, e ora lui stava tra i diffusori rumorosi, sorridendo e scuotendo della cenere immaginaria sul tappeto accanto alla poltrona di Perla. Tolsi le mani dalla tastiera e me le posi in grembo. "Carnie è in cucina," dissi. "Non so se la porta è chiusa."

"Ci fu un drenatore che venne nella casa," disse Perla. "Era un uomo proprio malvagio ma mia mamma lo amava. Lei diceva che non poteva farci nulla. Penso che fosse vero." Per un attimo guardò direttamente nello specchio con i suoi occhi ciechi e desiderai che Taber facesse scattare il suo accendino che sapevo stava girando tra le dita in modo che Perla lo avrebbe sentito e si fosse ritirata nella gabbia, al sicuro e nel silenzio.

"Era il periodo di natale," disse, e i diffusori si arrestarono. Nel silenzio disse: "Avevo dieci anni e Jewell mi aveva dato un piccolo girocollo d'oro con una perla. Avevo quattordici anni, ma già lavoravo nella casa. Avevamo un albero nella stanza della musica e c'erano su delle piccole luci, tutte di colore diverso appese a un filo. Hai mai visto luci come quelle, rosse verdi e d'oro tutte legate assieme?"

Pensai alle file di neonchimici che avevo visto dalla discesa a spirale, proprio la prima cosa che avevo visto su Paylay. Nessuno glielo ha detto, pensai, in tutto questo tempo nessuno glielo ha detto e al pensiero dell'immensa gabbia di dolcezza costruita tutto intorno a lei la mano mi scattò e colpì il bordo della tastiera. Lei sentì il rumore e guardò su.

"C'è Taber?" chiese, e la mano mi si arrestò al di sopra della tastiera.

"No, certo che no," dissi, e la mano si risistemò in grembo come la discesa a spirale che si va ad arrestare nei propri ormeggi. "Se arriva te lo dico."

"Il drenatore mandò a mia madre un vestito con le luci addosso, rosse verdi e d'oro, come l'albero," disse Perla. "Quando arrivò disse 'Sembri un albero di Natale,' e la baciò sulla guancia. 'Che vuoi per Natale' chiese mia madre. 'Ti darò qualsiasi cosa.' Ricordo che lei se ne stava nel vestito illuminato sotto l'albero." Si fermò un attimo e quando guardai nello specchio aveva voltato la testa, cosicché sembrava che stesse guardando dritto verso Taber. "Chiese me."

"Che cosa ti ha fatto?" domandai.

"Non ricordo." Le mani si agitarono e si immobilizzarono e io sapevo che cosa aveva fatto lui. L'aveva rinchiusa e lei non era più fuggita. Le aveva legato le mani e lei non si era più liberata. Mi guardai le mani, incrociate ai polsi come le sue e che non si agitavano neppure.

"Non venne nessuno ad aiutarti?" chiesi.

"Il pianista. Abbatté la porta. Gli ruppe le mani in modo che non potesse più suonare. Fece chiamare il dottore da mia madre. Le disse che l'avrebbe uccisa se non l'avesse fatto. Quando cercò di aiutarmi scappai via da lui. Non volevo che mi aiutasse. Volevo morire. Corsi e corsi e corsi, ma non potevo vedere per fuggire."

"Lo hanno ucciso il drenatore che ti ha accecato?"

"Mentre lui cercava di trovarmi, mia madre fece uscire il drenatore dalla porta posteriore. Io corsi e corsi e poi caddi. Il pianista venne e mi tenne tra le sue braccia finché non arrivò il dottore. gli feci promettere di uccidere il drenatore. Gli feci promettere di finire di uccidermi," disse in modo così tenue che quasi non la udivo. "Ma non lo fece."

I diffusori scattarono di nuovo e guardai nello specchio: Taber non c'era. Carnie lo aveva fatto uscire dalla porta posteriore.

Non ritornò per molti turni. Quando lo fece fu per dire a Jewell che andava a Solfatara. Disse a Perla che le avrebbe portato un regalo e mi sussurrò: "Che vuoi per Natale, Ruby. Ti sei guadagnato un regalo."

Mentre era via, Jack era arrivato a un altro drenaggio, quasi sopra al primo e Jewell mise al sicuro il liquore. Gli uomini non volevano musica. Volevano parlare della possibilità di mettere su un doppio o un triplo drenaggio. Fui grato per tutto questo. Non ero sicuro di poter suonare con le mani legate.

Jewell mi disse di andare incontro a Taber agli ormeggi ma poi cambiò idea. "Sono preoccupata per quei pazzi ubriaconi alla sidone di Jack. Doppiare il drenaggio. Potrebbe far esplodere l'intera stella. E' meglio che stai qui ad aiutare me."

Taber venne prima del turno. "Ti porterò il tuo regalo stanotte, Perla," disse. "So che ti piacerà. Ruby m'ha aiutato a sceglierlo." Guardai all'improvviso scatto delle mani di Perla, ma le mie non si mossero neppure.

Taber attese quasi fino alla fine del turno, passandone quasi la metà nella stanza delle carte con Carnie appoggiata pesantemente sulle spalle. Lei aveva avuto già il suo regalo. Gli occhi erano luminosi per la dose di droga, e una volta inciampò contro di lui e quasi cadde.

"Portami un sigaro, Ruby," mi strillò. "E guarda nella tasca interna della giacca. Ho riportato un regalo per tutti."

Perla se ne stava tutta sola al centro della stanza della musica. le mani di fronte a lei. Non la guardai. Andai dritto di sopra nella mia stanza, presi ciò che mi serviva e poi tornai giù nell'anticamera dove la giacca da drenatore di Taber stava appesa e presi il regalo dalla tasca. C'era anche il suo accendino.

Il regalo era un pacco piatto avvolto in carta rossa e verde e portai quello e il sigaro a Taber. Era venuto nella stanza da musica e sedeva nella poltrona di Perla. Carnie gli sedeva sulle gambe con le braccia intorno al collo.

"Non hai portato l'accendino, Ruby," disse Taber. M'aspettai che mi dicesse di andare a prenderlo. "Non fa niente, disse. "Sai che giorno è questo?"

"Lo so io," disse Carnie sorniona e Taber sollevò le mani per prendere le sue che stavano abbandonate sulle spalle.

"E' il giorno di Natale," disse lui pronunciandolo con l'accento di Solfatara. Tolse le sue mani da quelle di Carnie cosicché da potersi appoggiare indietro e soffiare sul sigaro e Carnie si prese la mano rossa e ammaccata nell'altra e se la tenne al petto, gli occhi luminosi per la droga, pieni di dolore. "Mi sono detto che dovremo avere qualche canzone di Natale. Conosci qualche canzone di Natale, Ruby?"

"No," dissi.

"Non pensavo che l'avresti conosciute," disse Taber. "Così ti ho portato un regalo." Agitò il sigaro verso di me. "Avanti, aprilo."

Tirai via la carta rossa e verde e tirai fuori gli spartiti. C'erano una dozzina di canzoni di Natale. Le conoscevo tutte.

"Perla, canti una canzone di Natale per me, ti va?" disse Taber.

"Non ne conosco nessuna," disse. Non si era mossa da dove si trovava.

“Certo che le conosci. Le cantavano durante tutte le feste di Natale nelle case di piacere di Solfatara. Dai, Ruby suona per te."

Mi sedetti al piano e Perla venne vicino a me, con le mani all'estremità della tastiera. Poggiai gli spartiti sul leggio e sistemai le mani sulla tastiera.

"Lo sa," disse in modo così tenue che nessuno degli uomini poteva sentirla. "Glielo hai detto tu."

"No, è una coincidenza. forse è proprio Natale su Solfatara. Nessuno tiene il conto dell'anno su Paylay. Forse è Natale."

"Se glielo hai detto tu, se sa come è successo, non sono più al sicuro. Potrà afferrarmi. Potrà farmi del male." Fece un passo barcollante via dal piano come stesse per scappare. Le afferrai il polso.

"Non gliel'ho detto," dissi. "Non gli permetterei mai di farti del male. Ma se non canti la canzone capirà che c'è qualcosa di sbagliato. Ti suonerò tutta la prima canzone." Lascia andare il suo polso e la sua mano cadde senza vita fermandosi all'estremità della tastiera.

Suonai tutta la canzone e mi fermai. La versione che conoscevo non aveva un'introduzione, così distesi le dita della mano destra per un'ottava e mezza delle note d'apertura e le toccai la mano con la sinistra.

Si scosse. Non scostò la mano e neppure fece qualche movimento che gli uomini, riuniti attorno a noi, potessero scorgere. Ma un tremore le attraversò la mano. Attesi un attimo e poi la toccai di nuovo, con tutte le dita, con forza e iniziai la canzone. Cantò tutta la canzone e le mie mani che non erano state capaci di produrre una nota di avvertimento, erano sicure e leggere sulla tastiera. Quando fu terminata gli uomini ne chiesero un'altra e io la misi sul leggio e poi sedetti mentre lei rimaneva in silenzio e immobile, risoluta in attesa di ciò che sarebbe venuto.

Taber guardò su in modo curioso, quasi casuale e Jewell aggrottò le ciglia e si voltò a metà verso la porta. Scorh entrò con violenza dalla fragile porta interna e si fermò cercando di riprendere fiato. Aveva ancora la lanterna legata alla fronte e quando si piegò per cercare di respirare attraverso i singhiozzi di dolore, la striscia dove i capelli erano stati bruciati era rossa come il viso e iniziava a formare una vescica.

"Una delle sidoni è esplosa, vero?" disse Jewell e la sua cicatrice si stagliò nera come una crepa attraverso la guancia.

"Quale?"

Scorch non poteva parlare ancora. Annuì con tutto il corpo, si piegò ancora due volte e cercò di raddrizzarsi. "E' Jack," disse. "Ha cercato di drenare triplo ed è saltato tutto quanto."

"Oh, dio mio." Disse Sapphire e corse in cucina.

"Quanto è grave?"

"Jack è morto e ci sono due bruciati di brutto... Paulsen e il drenatore che è arrivato con Taber l'altro turno. Non so come si chiama. Erano proprio sopra quando è saltata, ci mettevano sopra il compressore."

I drenatori erano stati in movimento per tutto il tempo che aveva parlato, infilandosi le giacche e cercando le scarpe. Taber tirò via Carnie dalle sue gambe e si alzò. Sapphire tornò dalla cucina vestita con i pantaloni e con la cassetta di pronto soccorso. Garnet mise il suo scialle sulle spalle di Scorch e lo aiutò a sedersi nella poltrona di Perla.

Taber disse con calma: "Ci sono alte sidoni là vicino?" Sembrava disinteressato, quasi divertito, con Carnie appoggiata debolmente a lui, ma la mano sinistra era serrata col pollice che si muoveva su e giù come se stesse azionando l'accendino.

"La mia," disse Scorch. "Non è stata presa, ma il compressore ha preso fuoco e i vestiti di Jack stanno ancora bruciando." Guardò verso Jewell per scusarsi. "Non avevo niente con cui spegnere il fuoco. Ho trascinato gli altri due sulla piattaforma del mio compressore così non si sarebbero arrostiti."

Perla ed io non ci eravamo mossi dal pianoforte. Guardai Taber nello specchio, aspettando che dicesse: "Starò qui, Jewell. Mi prenderò cura delle cose qui," ma non lo disse. Si staccò da Carnie. "Vado a prendere le barelle nella casa da gioco e ci rivediamo qui."

"Vado a prenderti la giacca," feci io, ma era già partito.

I drenatori si riversarono fuori della porta e Sapphire con loro. Garnet corse di sopra. Jewell andò nell'anticamera. "Fammi venire con te," dissi.

"Voglio che rimani qui a prenderti cura di Perla," disse. Non riusciva a infilare il piede fasciato nelle scarpe. Si piegò a sciogliere le fasce.

"Può rimanere Garnet. Hai bisogno d'aiuto per riportare gli uomini."

Lasciò cadere le bende sul pavimento e lasciò il piede nella scarpa facendo una smorfia. "Non conosci la strada. Puoi perderti e cadere in una sidone. Sarai più al sicuro qui." Provò l'altra scarpa, si alzò per assicurarsi il piede fasciato e tornò a sedersi per fissare i lacci.

"Non sono al sicuro da nessuna parte," dissi. "Per favore non lasciarmi qui. Ho paura di quello che può accadere."

"Anche se esplodessero tutte le sidoni, il fuoco non può arrivare così lontano."

"Non è di quelle sidoni che ho paura," dissi con rabbia. "Hai già lasciato una volta una sidone libera in questa casa e guarda che è successo.”

Si sollevò e mi guardò, la cicatrice nera e bollente come lava sul viso rosso. "Una sidone è un animale," disse. "Non può controllarsi." Stette su con cautela, provando i piedi senza bende. "Taber verrà con me."

Non era così cieca come avevo temuto, ma ancora non capiva.

"Non capisci?" dissi dolcemente. "Anche se verrà con te sarà ancora qui."

"Sei pronta, Jewell?" disse Taber. Aveva una lanterna assicurata alla fronte e portava un grosso involto incartato di rosso e verde.

"Devo andare a prendere un'altra lanterna di sopra," disse Jewell. "Non sono rimaste che lanterne da città." E salì di sopra.

Taber mi allungò il pacco. "Dovrai dare a Perla il regalo di Natale al posto mio, Ruby."

"Non lo farò."

"Come fai a saperlo?" chiese.

Non gli risposi.

"Eri così ansioso di andarmi a prendere la giacca quando sono partito. Perché non vai a prendermela ora? O pensi di non fare neppure questo?"

Tolsi la giacca dal gancio aspettando che Jewell tornasse di sotto.

"Possiamo andare," disse Jewell, quasi senza zoppicare mentre scendeva le scale. Gli porsi la giacca in attesa che palpasse l'accendino nella tasca per essere sicuro che ci fosse. Jewell gli porse un'altra lanterna e un involto di bende. "Possiamo andare," disse di nuovo. Aprì la porta esterna e scese le scale di legno verso il calore.

"Prenditi cura di Perla, Ruby," disse Taber e chiuse la porta.

Tornai nella stanza da musica. Perla non s'era mossa. Garnet e Carnie cercavano di aiutare Scorch ad alzarsi dalla poltrona per fargli fare le scale, anche se Carnie si reggeva a malapena. Tolsi il peso da Garnet e lo sollevai.

"Siediti, Carnie," dissi e lei crollò nella poltrona, le gambe allargate e la bocca spalancata, addormentata di colpo.

Portai Scorch di sopra nella stanza di Garnet e rimasi là a tenerlo smorzando il peso contro la porta mentre Garnet passò un telo per ustionati sul letto per appoggiarcelo sopra. Era svenuto sulla poltrona, ma mentre lo sistemavo sul telo rinvenne. Il suo viso rosso cominciava a gonfiarsi così aveva dei problemi a parlare. "Devo spegnare il fuoco," disse. "Acchiapperà le altre sidoni. L'avevo detto a Jack che era troppo vicina." Garnet saggiò il telo e mi annuì. Ce lo posai gentilmente e iniziammo il terribile compito di staccargli i vestiti dalla pelle.

"Era quel nuovo drenatore che è arrivato con Taber stamattina. Era fatto. E aveva un accendino con sé. Un accendino. Poteva esplodere tutta la stella."

"Non preoccuparti," dissi. "Andrà tutto a posto." Lo girai da un lato e iniziai a tirare la camicia. odorava di carne fritta. Svenne di nuovo prima che gli togliessimo la camicia e questo rese più facile portargli via il resto. Garnet collegò il polso alla soluzione salina e iniziò gli antibiotici. Mi disse di tornare di sotto.

Perla era ancora attaccata al piano. "Scorch migliorerà," dissi ad alta voce per coprire il rumore fatto per prendere il pacco di Taber e la superai per andare in cucina. I diffusori erano alla massima potenza per il troppo apri e chiudi della porta, ma dissi comunque: "Garnet vuole che le vada a prendere dell'acqua."

Ero quasi arrivato alla porta della sala delle carte. Poi Carnie si tirò su dalla poltrona bianca e disse assonnata: "Quello è il regalo di Perla, non è vero Ruby?"

Mi fermai sotto i diffusori, fermo sulla sidone.

Si sollevò a sedere, passandosi la lingua sulle labbra. "Aprilo Ruby. Voglio vedere cos'è."

Le mani di Perla si indurirono a formare due pugni di fronte a lei. "Sì," disse guardando dritto verso di me. "Aprilo Ruby."

"No," dissi. Andai verso il piano e poggiai l'involto sullo sgabello.

"Lo aprirò io, allora," disse Carnie, e si sporse dalla sedia. "Sei così meschino, Ruby. Povera Perla, non può aprire il suo regalo di Natale, da quando è diventata cieca." La voce le si stava impastando. Potevo capire a malapena quello che diceva e si dovette afferrare due volte al pacco prima di sollevarlo e ridistendersi nella poltrona di Perla tenendolo stretto al petto. Le droghe stavano prendendo proprio ora il sopravvento. In poco tempo avrebbe perso coscienza. "Per favore," dissi senza emettere un suono, pregando come Perla doveva aver pregato in quella stanza chiusa, a dieci anni, le mani legate e lui che le si avvicinava con un rasoio da droga. "Svelta, svelta."

Carnie non riusciva ad aprire il pacco. Tirava debolmente il fiocco, strattonava la carta senza neppure strapparla e si calmò, chiudendo gli occhi. Iniziò a respirare profondamente, con la bocca aperta, sprofondata nella poltrona bianca con le braccia gettate sopra i braccioli della poltrona.

"Ti porto sopra, Perla," dissi. "Garnet può avere bisogno con Scorch."

"Va bene," disse, ma non si mosse. Rimase con la testa protesa, come se stesse ascoltando qualcosa.

"Oh, che bello!" Disse Carnie, la voce chiara e forte. Se ne stava seduta dritta sulla poltrona, le mani sul pacco aperto. "E' un vestito, Perla. Non è bello, Ruby?"

"Sì," dissi guardando Carnie, di nuovo debole nella poltrona e che russava lentamente. "E' pieno di luci, Perla, verdi e rosso e d'oro, come un albero di Natale."

Il pacco scivolò via dalle mani deboli di Carnie e finì sul pavimento. I diffusori scattarono e Carnie si voltò nella poltrona, tirando su i piedi sotto di sé e sistemando la testa contro il bracciolo. Iniziò a russare di nuovo, più forte.

"Ti piacerebbe provarlo, Perla?" E mi voltai a guardarla, ma se n'era già andata.

Mi ci volle quasi un'ora per trovarla perché la lanterna di città che m'ero legato alla fronte era così debole che non potevo vedere bene. Giaceva a faccia in giù accanto agli ancoraggi.

Mi tolsi la lanterna e la poggiai sul terreno accanto a lei così da poterla vedere meglio. La coda del vestito stava bruciando. La pistai fino a quando non si frantumò sotto i piedi e mi inginocchiai accanto a lei e la voltai.

"Ruby?" La voce era abbastanza stridula per l'elio nell'aria e molto rauca. Si riconosceva appena. Non si poteva riconoscere neppure la mia. Se le avessi detto che ero Jewell o Carnie o Taber venuto per ucciderla, non avrebbe riconosciuto la differenza. "Ruby?" disse. "C'è Taber?"

"No, dissi. "Solo la sidone."

"Non sei una sidone," fece. Le sue labbra erano secche e aride.

"Allora cosa sono?" Spostai più vicino la lanterna di città. Il suo viso appariva arrossato, rosso quasi quanto quello di Jewell.

"Sei il mio buon amico, il pianista che è venuto ad aiutarmi."

"Non sono venuto ad aiutarti," dissi, e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Sono venuto per finire di ucciderti. Non posso farci niente. Sto copiando Taber."

"No," disse. Ma non era un no di protesta o d'orrore o di sorpresa, era un dato di fatto. "Tu non hai mai copiato Taber."

"Ha ucciso Jack. Ha fatto esplodere la sidone di un povero drenatore per avere un alibi per il tuo assassinio. Mi ha lasciato ad ucciderti."

Le mani le pendevano ai fianchi, palme verso il suolo. Quando gliele sollevai e gliele posi sulla camicia come le aveva sempre tenute, incrociate ai polsi, non si scosse e pensai che forse aveva già perso conoscenza.

"I piedi di Jewell stanno molto meglio," disse, e si leccò le labbra. "Non zoppichi più quasi per niente. e io sapevo che Carnie era drogata già prima che entrasse nella stanza, da come camminavi. Ho sentito che li copiavi tutti, perfino il povero Jack che è morto. Non hai mai copiato Taber. Neppure una volta."

Mi raccolsi intorno a lei e le presi la testa sulle gambe. Le si sciolsero i capelli cadendole intorno al viso mentre la sollevavo, le punte che le si arricciavano in punte incenerite. Le suole dei piccoli tagli delle scarpe mi entrarono sul retro delle gambe come ferri infuocati. Inghiottì e disse: "Sfondò la porta e andò a chiamare il dottore e poi venne a uccidere l'uomo, ma era in ritardo. Mia madre lo aveva fatto uscire dal di dietro."

"Lo so," dissi. Le mie lacrime le cadevano sul collo e sulla gola.. Cercai di asciugargliele, ma erano già evaporate e la pelle si sentiva calda e secca. Le labbra erano screpolate e le muoveva appena mentre parlava.

"Poi tornò e mi tenne tra le sue braccia mentre aspettavamo il dottore. In questo modo. E io chiesi Perché non l'hai ucciso? e lui disse Lo farò e poi gli chiesi di finire di uccidermi, ma lui non lo fece. Non uccise neppure il drenatore, perché le sue mani erano spezzate e distrutte.

"Lo uccise mio zio. E' per questo che siamo stati in quarantena. Lui e Kovich lo uccisero," dissi, anche se Kovich era già morto allora. "Lo legarono e gli tolsero gli occhi con un rasoio da droghe." Era per questo che Jewell mi aveva fatto venire a Paylay. Era un dovere verso mio zio perché aveva ucciso il drenatore. E mio zio cosa mi aveva mandato a fare? A copiare chi?

La lampada diventava sempre più fioca e la banda per la fronte di cartasoia si stava bruciacchiando, ma non cercai di spegnerla. Stavo in ginocchio con la testa di Perla in grembo sulla terra infuocata, senza muovermi.

"Sapevo che mi copiavi fin dall'inizio, ma non te l'ho detto perché ho pensato che avresti ucciso Taber per me. Ogni volta che suonavi per me, io sedevo e pensavo a Taber con una sidone che gli squarciava la gola, sperando che avresti copiato l'odio che provavo. Non ho mai visto Taber e neppure una sidone. Mi spiace averti fatto questo, Ruby."

Le tolsi i capelli dalla fronte e dalle guance. La mia mano lasciò un segno fuligginoso, come una cicatrice lungo il fianco del suo viso. "Ucciderò Taber," dissi.

"Mi ricordavi così tanto Kovich quando suonavi. Sembravi proprio come lui. Credevo di starmene a pensare di uccidere Taber, ma non era vero. Non so neppure come è fatta una sidone. Pensavo solo a Kovich e lo aspettavo che venisse per uccidermi.” Respirava leggermente ora e molto velocemente, prendendo aria quasi ad ogni parola. "Come sono le sidoni, Ruby?"

Cercai di ricordare a cosa assomigliasse Kovich quando venne a trovare mio zio, le mani spezzate che erano infette, il viso rosso dalla febbre che lo avrebbe consumato. "Voglio che tu mi copi," aveva detto a mio zio. "Voglio che impari da me a suonare il piano prima che muoia. Voglio che uccida un uomo per me. Voglio che gli tagli via gli occhi. Voglio che tu faccia quello che non posso fare io.”

Non potevo ricordare come appariva, tranne che era molto alto, alto quasi come mio zio, quanto me. Mi era parso che sembrasse proprio come mio zio, ma di certo era la cosa opposta. "Voglio che tu mi copi," aveva detto a mio zio. “Voglio che tu faccia quello che non posso fare io.” Perla gli aveva chiesto di uccidere il drenatore e lui aveva promesso di farlo. Poi Perla gli aveva chiesto di finire di ucciderla e lui aveva promesso di fare anche questo, anche se non avrebbe potuto ucciderla più di quanto avrebbe potuto suonare il piano con le mani rovinate, anche se non sapeva neppure quanto copi bene uno specchio, o quanto ciecamente. Così mio zio aveva ucciso il drenatore ed io avevo finito di uccidere Perla, ma era stato Kovich, Kovich che aveva commesso i delitti.

"Le sidoni sono molto alte e suonano il piano." Dissi.

Non rispose. La cinghia di cartasoia della lanterna prese fuoco. La guardai che bruciava.

"Va benissimo che tu non uccida Taber, ma non devi permettere che getti su di te l'accusa di avermi ucciso."

"Ucciderò Taber. Gli ho dato l'accendino vero. Glielo messo nella giacca prima che uscisse per andare alle sidoni."

Cercò di sedersi. "Di' loro che mi copiavi, che non potevi farci niente," disse, come se non mi avesse sentito.

"Lo farò," dissi, guardando nell'oscurità.

Là, all'orizzonte, da qualche parte c'è Taber. Sta guardando da questa parte, chiedendosi se l'ho già uccisa. Presto tirerà fuori il sigaro e appoggerà il pollice alla rotella dell'accendino e le sidoni esploderanno una dopo l'altra; una striscia di luci. Mi chiedo se avrà il tempo di accorgersi che è stato assassinato, di chiedersi chi lo avrà ucciso.

Me lo chiedo anch'io, in ginocchio qui, con la testa di Perla sulle ginocchia. Forse ho copiato Perla. O Jewell, o Kovich, o anche Taber. O tutti quanti. La cosa peggiore non è che ti vengano fatte delle cose. E' che non sai chi te le sta facendo. Forse non ho copiato nessuno, e sono io quello che ha ammazzato Taber. Spero che sia così.

"Dovresti rientrare prima di bruciare," dice Perla, così piano che riesco a malapena a sentirla.

"Lo farò," dico. Ma non posso. Mi hanno legato, mi hanno chiuso dentro ed ora sto solo aspettando che vengano a finire di uccidermi.



Connie Willis, The Sidon in the Mirror, Isaac Asimov's Science Fiction Magazine, #4, 1983
tr.it. Santoni Danilo



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