un racconto di Claudio Tanari
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2000 / 2100
Temperatura di Terra +1,4 / 5,8° C.
Livello dei mari +8 / 88 cm |
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2000 / 2100
Temperatura di Terra +1,4 / 5,8° C.
Livello dei mari +8 / 88 cm |
2015
Prima base scientifica
permanente sulla Luna. |
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2017
Mar Caspio completamente
asciutto |
2020 / 2035
Otto missioni Ares
NASA-ESA (dal II al X) raggiungono il Pianeta Rosso |
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2025
Cento milioni di rifugiati ambientali |
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2030
Trecentomila morti a
causa del riscaldamento globale |
2040
Manipolazione nucleare del Terbion 11.
Nuovo sistema di
propulsione a velocità Lux 2 |
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2050
La Compagnia EnerTerbion
realizza il monopolio dell’estrazione e del commercio dell’elemento |
2050
Fondazione dell’OSA, Outer Space Agency: aderiscono UE e USA |
2050 / 2070
Stazioni spaziali intorno a Giove e Saturno.
Colonie umane stabili su
Marte e avvio della terraformazione |
2060
Nasce il Consiglio
Interplanetario, un’emanazione del Consiglio Globale |
2070
Prima sonda robotica OSA
su Europa |
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2073
La
Compagnia EnerTerbion viene autorizzata dal Consiglio Globale ad
eseguire le prime trivellazioni robotiche su Europa.
Individuati enormi
giacimenti di Terbion 11 su Europa |
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2075
Seychelles, Mauritius,
Maldive, Fiji, i delta del Sud Est Asiatico e del subcontinente
indiano sommersi: decine di milioni di senzatetto |
2100
Bombardamento nucleare e
primo scioglimento del pack di Europa ad opera dell’EnerTerbion |
2100
75% di New York City
inondato; Venezia completamente sommersa |
2110
Esplorazione dello Spazio Esterno (Missioni OSA Prometheus III –
XIII) verso Urano e Nettuno. |
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2120
Prime missioni umane su Europa, Encelado e Titano.
Scoperte forme di vita monocellulari su Europa.
Anche su Encelado il Terbion 11 è presente in enormi quantità |
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2140
Inizio delle attività
estrattive stabili su Europa ed Encelado |
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2145
“Secessione” inuit su
Europa |
2200
Quarto rapporto del
Consiglio Interplanetario circa il degrado ambientale su Europa ed
Encelado |
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Questa sera lasciamo
Århus Fjord, a un’ora in cui sulla Terra starebbe per calare la sera, almeno nel
Vecchio continente, mentre qui ci sarà luce per tutta la notte.
Quando viene issata
la vela ionica maestra, la barca inizia a inclinarsi verso destra e la drizza
sbatte e vibra. Mi trovo sulla Noorderlicht, un overpack
di 150 piedi provvisto di motore a scissione costruito nel 2710. Viaggiamo in direzione nord
nell’oceano di Barents verso i giacimenti di Terbion 11 di Novaja Kolyma
nell’arcipelago di Spitzbergen, fra 76 e 80 gradi di latitudine nord.
Appena lasciamo la
costa e le cupole di Århus Fjord il mare inizia ad ingrossarsi. La nostra
spedizione è composta da venti persone, un gruppo eterogeneo di scienziati e
naturalisti proveniente da Terra e da colonie dello Spazio Interno. Lo scopo dei
viaggio è cercare di comprendere meglio la ricchezza e la fragilità di Europa.
Vogliamo vedere coi nostri occhi e capire se e in che modo l’ecopoiesi nucleare
che ha in parte disciolto i ghiacci del satellite abbia potuto influire
sull’ambiente globale.
C’è luce per tutto il
pomeriggio, e anche tutta la notte. Il mare si fa sempre più minaccioso.
Oltrepassiamo l'ultimo radiofaro della colonia norvegese di Hinnøya, costruito
su uno sperone, per poi puntare ancora più a nord. Le onde ormai sono alte come
case. In olandese, il nome della nave, Noorderlicht, significa
"Luce del Nord" ma siamo circondati dal cielo grigio scuro e dall'oceano. Dato
che saremo costretti a navigare per almeno due giorni e due notti di fila, i
turni di guardia vengono assegnati dal capitano, Jan e da Kerstin, la sua
ufficiale in seconda, entrambi di Luna City. Il mio turno va da mezzanotte alle
tre.
Quando salgo sul
ponte, l’oceano è talmente agitato che devo imbracarmi. Basterebbe un attimo per
finire oltre il parapetto. E chi se ne accorgerebbe? Tutti soffrono di mai di
mare, anche il mio stomaco sta per arrendersi, maledizione! Procediamo a fatica,
col vento che soffia a 18 nodi. Il Noorderlicht geme, scricchiola,
trema. Sto troppo male per scrivere. Montagne d'acqua mi cadono addosso. Il
pavimento sussulta. Le paratie minacciano di cedere.
Il freddo penetra la
tuta in episint, sto tremando. Ho dormito seduta nella cabina, ma sono tornata
sul ponte appena ho potuto. La prua sbatte violentemente. sballottata dalle
onde, in basso e poi verso l'alto. Riusciremo ad arrivare da qualche parte?
Vento da nord, siamo
costretti ad ammainare le vele. Quando il soffio riprende da nordest, le issiamo
di nuovo. La temperatura è scesa a - 145 gradi. A mezzanotte sono ancora di
turno. Il ponte è ghiacciato. Mi avvicino al servotimone, ma scivolo. La barca
si è tuffata in avanti all’improvviso e cado rovinosamente a terra.
- Nell’oceano di
Barents è sempre così, Carla - spiega ridendo Jarno il “marziano”, come lo
chiamiamo - Si chiama la “danza del diavolo”.
Qualche momento più
tardi i flutti riprendono il loro normale rollìo. Il caos sembra improvvisamente
svanito e la distesa delle acque assomiglia a un enorme torace che respira
placido.
Sono passati tre
giorni e non so più se è mattino o pomeriggio.
- E’ quasi
mezzanotte- dice Mika, occupata sul ponte di manovra. Mika si occupa del
controllo dei giroscopi sulla Stazione Krshna, in orbita intorno a Titano.
Quando le chiedo come
ha iniziato a navigare, mi risponde:
- Sono nata su una
nave – Mio padre comandava overcraft transoceanici su Terra e portava con sé
tutta la famiglia – ridacchia. Poi indica un miraggio bianco davanti a lei.
- Terra! Ecco Narwhal
lsland!
Secondo
la carta nautica, siamo a una latitudine di 74-75 gradi nord. La massa
inconcepibilmente enorme di Giove occupa un quarto abbondante dello spazio
visivo; la Macchia
rossa ci fissa tra le turbolenze gassose della superficie del pianeta come
l’occhio di un ciclope. Il pack qui sembra fatto di linee gialle smembrate e
oblique, capaci di cogliere sfumature e scintillii, nell’onnipresente luce che
non ci abbandona mai.
Lentamente l'isola
prende forma davanti a noi: è contornata di alte creste di ghiaccio; il lato
occidentale è ricoperto di neve e nella parte orientale si schiudono bianche
lingue gelate, ciascuna più bassa di quella sovrastante. Nella debole luce del
sole che illumina le scogliere si intravedono profondi solchi traslucidi.
Il motore ionico
tace, le sue vibrazioni pulsanti non attraversano più la mia tuta e tutto piomba
nel più assoluto silenzio. Il tempo, come lo intendiamo noi, ce lo siamo
lasciato alle spalle.
Sono le tre del
mattino di non so più quale giorno.
Ci lasciamo
trasportare verso occidente, cercando di farci largo nei ghiacci; dove l'acqua
del mare ha eroso i bordi dell'isola, si sono formate enormi caverne.
Dormo un paio d'ore,
poi mi alzo. Ci stiamo dirigendo di nuovo verso nord, è uscito un pallido e
remoto sole. Ivan e Saleh, i due oceanografi terrestri, misurano i valori di
calore e salinità: è esattamente in questo punto che la calda corrente
artificiale prodotta dai sistemi di ecopoiesi si insinua lungo la costa
occidentale di Narwhal Island, mentre la gelida corrente proveniente da nord,
spazza la costa orientale. Dove le due correnti si incontrano, l'acqua calda,
più densa e salata, si gonfia sotto quella più fredda e gira, dando inizio alla
circolazione. Se il clima dovesse continuare a riscaldarsi e il pack continuare
a sciogliersi, come si attendono i responsabili del Progetto Shiva, l’aggiunta
di enormi quantità di acqua sufficientemente temperata negli oceani
provocherebbe lo sprofondamento progressivo dei ghiacci ed Europa finirebbe per
scongelarsi del tutto, rendendo più semplice, e quindi meno dispendioso, il
prelievo di Terbion 11. Sulla Noorderlicht si discute: a tutt’oggi
la crosta di ghiaccio è disciolta per il venti per cento, ma verso dove stiamo
andando? Ghiaccio e neve riescono ancora a disperdere nello spazio il calore
prodotto dall’energia idrotermica prodotta dalla gravità di Giove e degli altri
satelliti, mantenendo fredda la superficie. Ma se tutto il ghiaccio e la neve
dovessero sciogliersi, Europa potrebbe diventare come una spugna e trattenere il
calore. Le forme di vita ameboidi – che qui qualcuno chiama plancton -
potrebbero evolversi in organismi più complessi. Ma è questo, è davvero questo
che ci riserva il futuro?
Non riesco ancora a
capire quando finisce un giorno e quando ne inizia un altro, l’oceano non ha
punti di riferimento. Forse è mattina. Il termometro dice che siamo 130 gradi
sotto lo zero. A vele spiegate, con una distesa gelata davanti a noi, viriamo ad
ovest. Iniziamo a intravedere l'isola di Spitzbergen. Il mondo ritorna di nuovo
solido, anche se sappiamo bene che si tratta di una solidità illusoria. Il nome
Spitzbergen significa "Montagne appuntite" benché su Europa i rilievi non
superino mai qualche centinaio di metri; mentre seguiamo la costa occidentale,
più a sud vedo picchi e tratti di riva bassa che terminano in punte
spumeggianti.
Io e altri nove
usiamo una scialuppa per sbarcare sull’isola e raggiungere Nunavut, La
Nostra Terra, dove una colonia di eschimesi ha deciso di
insediarsi ormai una cinquantina di anni fa: i primi coloni abbandonarono le
miniere di Terbion 11 a Bjorn Berg 4 in
rotta con la Compagnia
sulle strategie di sfruttamento del sottosuolo di Europa: Il Terbion 11,
rarissimo in tutto il sistema ma presente su Europa in quantità praticamente
illimitata, divenne ben presto il propellente ottimale per i salti a velocità
Lux 2 che avevano reso possibile l’esplorazione e la successiva colonizzazione
dello Spazio Esterno. Dopo anni di forte conflittualità, in cui l’ingegner Disko
Saalik aveva dato voce al malessere degli operai e dei tecnici rispetto a quello
che molti ritenevano lo scempio ambientale sul satellite, gli eschimesi -
scienziati, tecnici e operai specializzati - si scoprirono affascinati dalla
possibilità offerta da Europa di recuperare stili di vita atavici, in una sorta
di patto di non aggressione reciproca con il satellite che generosamente li
ospitava. E se ne andarono, rinunciando ai guadagni di una vita di lavoro in
cambio di attrezzature e materiali ottenuti a prezzo triplo del valore
effettivo. La Compagnia
li lasciò fare, sicura che li avrebbe presto rivisti tornare con la coda tra le
gambe, schiantati dalle condizioni ambientali più che proibitive. Ma glii
inuit – come tornarono a chiamarsi – resistettero: Nunavut prosperò e le sue colture
in serra approvvigionarono persino le basi della Compagnia, costretta ad
acquistare da Saalik e dai suoi piuttosto che rifornirsi attraverso i costosi e
poco frequenti trasporti dallo spazio interno.
Una specie di cascata
ghiacciata precipita a poche centinaia di metri da noi, in assoluto silenzio: su
entrambi i lati ampie vallate bianche si confondono col ghiaccio dei fiordi: la
terra e il mare appaiono indistinti, completamente avvolti dalla circolazione
dell’acqua e dai campi magnetici. Come è possibile definire Europa una terra
desolata, quando davanti ai miei occhi vedo la grande potenza del ghiaccio, la
sua bellezza dalle ali sfrangiate?
Un iceberg blu notte
va alla deriva; per la prima volta niente turni di guardia: sento un po’ la
mancanza dell’isolamento di quelle ore adesso che c’è da condividere lo spazio
esiguo dell’igloo ad espansione che si è sviluppato come un’escrescenza dalla
scialuppa. Mi sento come se avessi tradito
la Noorderlicht e l’oceano. Dormiamo sulla superficie solida del pack: strana sensazione, dopo
giorni di navigazione: sembra di cadere, non ci sono più le onde a tenermi in
piedi. Riconosciamo i nostri corpi, per qualche ora liberi dalle ingombranti
tute termiche. Respiriamo aria meno viziata. Finalmente riusciamo a rilassarci,
dieci persone legate da una cameratesca convivialità dopo una cena rischiarata
dalle fotocellule di un caldo colore arancio. Mi affaccio all’oblò della tenda:
il buio assoluto è un muro impenetrabile e vagamente opprimente. Domani dovrò
cominciare il carotaggio dell’area ai piedi di Nunavut.
Appena poggio la
testa sul cuscino, all’improvviso lo sento: un muggito, o piuttosto un ululato o
tutt’e due insieme… La scienza dice che si tratta del lamento dei ghiacciai che
si sciolgono lacerandosi; gli inuit raccontano invece dei richiami
d’amore di giganteschi leviatani, che giurano di aver visto – benché molto
raramente – nelle acque di fronte all’isola. Eccolo ancora, un po’ più distante:
un gemito profondo e struggente che fa vibrare a lungo la banchisa. Non abbiamo
idea della sua provenienza, tanto la melodia è diffusa e apparentemente ubiqua.
I suoni continuano ad attraversare il velo di fibre sintetiche che ci separa
dall’esterno e dal una morte pressoché istantanea, forti e chiari: note che
partono basse e ascendono la scala tonale lentamente, seguite da altre
modulazioni e altre ancora. I leviatani. Che si staranno dicendo? Parlano forse
di solitudine e di passione, come noi.
La mattina dopo
arriviamo a Nunavut: veniamo
accolti da due uomini su slitte a impulsi dalle tute variopinte, armati di
fucile (per difendersi dai provocatori della Compagnia, ci diranno poi)
- Iiaali,
uvanga Kaujajuk! (Benvenuti, il mio
nome è Kaujajuk!), ci saluta sulle nostre frequenze in lingua
inuktitut quello che sembra il capo.
Arranchiamo a fatica
nella neve fino alle prime cupole dell’abitato. Ci accolgono ristorandoci con
caffè bollente, tè, vodka e biscotti.
Mi consegnano con
cortese fermezza i risultati recenti dei loro carotaggi, facendomi notare con la
stessa decisione l’inutilità di eseguirne di nuovi. E’ evidente che – nonostante
le nostre ripetute dichiarazioni di neutralità - ci vedono come emissari della
Compagnia. I carotaggi evidenziano mutazioni di alcuni organismi unicellulari
indotte – afferma il loro biologo con un’espressione severa – dall’irradiazione
nucleare eccessiva del Progetto Shiva e delle deiezioni industriali degli
stabilimenti estrattivi.
Makivik, il
responsabile delle coltivazioni, ci accompagna a visitare le serre idroponiche,
spiega con una certa dose di orgoglio la tecnica delle colture, la manutenzione
degli impianti e lo stoccaggio dei raccolti. Le risorse idriche consistono
nell’acqua ottenuta attraverso la fusione e il filtraggio dei ghiacci. Le serre
si estendono a perdita d’occhio, illuminate e riscaldate da sfere che abbacinano
alimentate dal Terbion 11 – si rammarica sospirando la nostra guida - sospese a
diversi metri di altezza da un dispositivo ad antigravità. L’aria – siamo stati
invitati a toglierci il casco – è tiepida, umida e piacevolmente profumata di
frutta; restiamo muti, sopraffatti dalla distesa lussureggiante, dalla estrema
varietà di colori, dopo settimane di bianco e di blu.
Quando viene il
momento di andarcene, bambini e donne dagli occhi a mandorla ci fissano,
divertiti e curiosi. Una bimba paffuta e rosea mi guarda negli occhi con una
buffa smorfia: ci scambiamo un saluto imbarazzato, a distanza. Poi prende
coraggio e grida: – Tavvauvusi! (Arrivederci
a tutti voi!).
Sono le 3 del mattino
e sono di turno. A volte di notte mi è capitato di dover tenere sotto controllo
gli iceberg, e oggi è una di quelle notti: l’orizzonte qui ne è letteralmente
pieno. Il paesaggio in disgelo si articola in lingue di ghiaccio e blocchi
grandi e piccoli separati in forme poligonali. Seduti sul ponte, la costa si
svela allo sguardo. Novaja Kolyma, vecchia città mineraria russa, la prima,
fondata sessant’anni fa, ancora attiva grazie agli introiti colossali del
commercio del Terbion 11.
Un iceberg capovolto
e morente spinge malinconicamente le onde oleose e iridescenti verso la riva
gremita di moduli abitativi e infrastrutture industriali ed estrattive.
Ogni attimo della
vita è in fragile equilibrio: siamo giunti alle porte della Nuvola di Oort ma
continuiamo ad ignorare la fragilità della terra, del ghiaccio, dell'aria,
dell'acqua. Persino di noi stessi.
Durante i prelievi
Jason, australiano, esoceanografo e gran viaggiatore, dice:
- Qui il ghiaccio si
conserva ancora meravigliosamente bene, ma l'oceano no. E senza un mare in
perfetta salute, l’ecosistema di Europa rischia il tracollo. I leviatani – dice
sorridendo - hanno bisogno del plancton. Il plancton ha bisogno di acque pulite.
Devono essere lasciati in pace.
Chissà che ne pensano
gli alti papaveri della Compagnia…?
Siamo al termine dei
nostro viaggio. In due settimane avremo percorso oltre 1000 miglia. Ormai ci siamo abituati al moto ondoso.
Discutiamo ancora delle variabili legate al riscaldamento e alla modificazione
dell’ambiente di Europa. In che misura è un processo controllabile? Quanto è
legato alle sostanze inquinanti create dall'uomo derivanti dagli imponenti
scarichi industriali di Novaja Kolyma che abbiamo campionato? Ted ha calcolato
quanto i ghiacciai delle Spitzbergen si sono sciolti soltanto da quando abbiamo
iniziato la nostra navigazione, e il risultato è impressionante.
Radiofaro di Belisund.
Latitudine 78 gradi nord. Acqua cristallina. Gli iceberg sono grandi vassoi
argentati che ci riportano a casa. Cominciamo a navigare nell’ampia frattura di
Århus Fjord.
D’un tratto una
vibrazione leggera, una nota che… parte bassa e ascende la scala tonale,
lentamente. Tendiamo l'orecchio e restiamo in ascolto, guardandoci stupiti ed
emozionati negli occhi.
Dan, il navigatore, scruta lo
schermo, ma poi si precipita all’esterno, come tutti noi. Gli occhi degli
uomini sono attratti dal candore venato d’azzurro del pack, percorso da
sguardi febbrili. Sulla strada che ci riporta a casa le melodie incantate ci
accompagnano fino ad un passo dagli attracchi. Yumiko, la giovane addetta
alle comunicazioni, ha le lacrime agli occhi. Le appoggio sul casco la
cuffia dell’ecoscandaglio che rimanda tristemente l’eco del nulla sotto di
noi; poi lo spengo e la lascio ad ascoltare il canto dei leviatani.