racconto di Paul J. McAuley
(tit. orig. Karl and the ogre)
I tre
cacciatori, Karl Shem e Anaxander, scovarono la pista dell'orco solo dopo un
giorno che avevano lasciato il villaggio e avevano iniziato a risalire il corso
del fiume verso il posto dove l'unicorno era stato ucciso, in profondità nei
recessi pedemontani del Berkshires. I boschi dei pendii, pieni di guglie e
appuntiti, erano disseminati di felci e massi muschiosi. Alberi snelli, faggi e
aceri da zucchero, pendevano da tutte le parti in una calda luce verde. Giugno.
Il cielo un blu assoluto. Erano andati verso l'acqua per riempire le bottiglie e
là, in una piccola insenatura tra ciottoli bianchi trascinati dalle piene dovute
allo sciogliersi delle nevi, Karl trovò le orme degli scarponi dell'orco nella
ghiaia umida sulla riva del fiume.
Karl, un
esile ragazzo biondo con un’età di venti estati, si asciugò il sudore degli
occhi mentre osservava le orme (piatte, intagliate dallo schema intricato delle
scarpe di un tempo) ma non esultò. Dopo un attimo chiamò ad alta voce gli altri.
Anaxander si
scacciò nervosamente dagli occhi i capelli neri e arruffati e gettò a malapena
uno sguardo alle orme prima di danzare via, trascinando un balbettio acuto e
felice, ulu-la-ulu-la-la, per poi roteare e storcere la testa per ascoltare il
trillo di qualche uccello nei boschi che sorgevano sopra il fiume. Nel frattempo
Shem si poggiò le mani sulle ginocchia dei jeans e si concentrò sopra il segno:
il povero, lento, paziente Shem. Era stato il miglior cacciatore tra tutti
quanti, aveva detto la madre di Karl, prima della trasgressione che aveva fatto
scatenare l'ira dei suppositi. Gli avevano spezzato il filo dell'intelligenza,
allora, lasciandogli solo una realtà ottusa e cieca da cane. Karl non era mai
riuscito a sapere cosa avesse fatto Shem; a nessuno dei cacciatori piaceva
parlarne, e neppure a sua madre anche se spesso era abbastanza schietta... ed
ora se n'era andata, spedita dal truce supposito che aveva il comando della
gilda dei cacciatori, a snidare l'ultimo degli orchi nelle foreste pluviali
della costa del Pacifico del Nord.
Karl disse
con impazienza: "Non è che sia tanto grosso questa volta. Del mio peso, forse un
po' meno."
"...forse"
disse alla fine Shem, e si raddrizzò socchiudendo gli occhi al riverbero del
sole che insaporiva il fiume veloce. Del sudore brillò sul ferro di cavallo
maculato della calvizie che si infilava nei suoi capelli rossi. Disse:
"Facciamo che questa volta sia pulita, ragazzo. Niente chiacchiere. Facciamolo
e basta."
"Parlare dei
vecchi tempi non fa male," disse Karl, sorridendo, sicuro del proprio potere
sull'uomo più anziano. "... forse. Non lo so, ragazzo."
Karl
schiacciò una zanzara. "C'è un'Ondina in questo fiume, giusto? Penso valga la
pena sentirla."
"Penso di
sì," disse Shem, mentre Anaxander estraeva dalla cinta il piccolo flauto di
legno e suonava le note della canzone dell'uccello che aveva appena sentito.
Accoccolandosi nella calda luce del sole, Karl graffiò laboriosamente col
pugnale i segni necessari su un duro ciottolo di granito, poi si sollevò e
lanciò la pietra verso la corrente centrale. Immediatamente in quel punto
l'acqua color verde bottiglia ribollì di schiuma bianca. Un braccio lungo
quanto era alto Karl proruppe in superficie, un'enorme mano si distese a
mostrare le membrane allacciate alle dita; e ad ogni dito sulla punta un
artiglio curvo come la spina di una rosa. Poi la sua faccia inumana, i capelli
arruffati come alghe intorno ad essa, poi le spalle e i seni, levigati e bianchi
come i ciottoli della riva. Con l'acqua che le spruzzava dalle fessure delle
branchie sul collo, l'ondina vagò nella corrente volgendosi verso i cacciatori.
Ma aveva poco
da raccontar loro. Sì, disse in risposta alle domande di Karl, sì, l'orco aveva
bevuto l'acqua del fiume quella mattina, proprio sul far dell'alba. E sì, ce
n'era stata solo una di creatura. Ma dopo aver bevuto a sazietà si era girata e
se n'era andata su per la collina e l'ondina non ne sapeva più nulla. Karl la
ringraziò e lei tornò ad immergersi, i capelli non le si allontanarono
galleggiando dal viso mentre l'acqua le si chiudeva sopra e si dissolse nel suo
elemento. Poi ci fu solo il suono del fiume e il bisbiglio acuto degli uccelli
nei boschi verdi.
"Andiamo,"
disse Karl sollevando la coperta arrotolata. "Ci sarà modo di trovare molte
tracce su nel sottobosco... il terreno è così umido che col tacco si fa uscire
un torrente. Che c'è Ax?"
Anaxander
stava indicando al di là del fiume. Karl si fece ombra agli occhi e vide un
daino passare con grazia sopra un tratto di ghiaia, abbassare la testa e bere.
"Lo vedo,"
disse Karl, "Ma è dal lato sbagliato. Potrei infilarlo con una freccia, di
sicuro, ma non potrei attraversare a nuoto e nessuno di noi sa camminare
sull'acqua. O tu lo sai fare, Ax, hu?"
Shem disse in
tono rauco e pressante: "Hanno detto che non era permesso uccidere niente altro
che l'orco. Ricorda, ragazzo, ricordati della vacca. Pronta per noi quando
torniamo. Qui non è permesso."
La placida
vacca di razza jersey, con gli occhi dalle lunghe ciglia che guardavano in modo
fiducioso al macellaio del paese mentre le poggiava una mano sul muso bianco. Il
suo istantaneo collasso di lato. Karl disse amaramente: "Si pensava che saremmo
stati liberi dalle loro dannate regole una volta qui!"
Shem si
strinse sulle spalle: Anaxander suonò un frammento della canzone che aveva
cantato la ragazza. Karl arrossì e affondò i pugni nelle tasche della lunga
giacca di cotone. Non c'era scopo a rimproverare l'idiota, probabilmente con
quello non voleva dire niente. Anche se non eri mai sicuro, mai veramente
sicuro. Anaxander era un'idiota, ma era anche un supposito. Non sapevi mai con
certezza cosa passasse dietro quegli occhi blu chiaro. "Andiamo," disse Karl
dopo un attimo. "Ancora una bella tirata prima del tramonto. Può anche darsi che
quel dannato orco abbia il covo vicino, uh? Perciò metti via quel flauto, Ax.
Potrebbe sentire."
Shem gettò
un'occhiata a Karl e il ragazzo, con le orecchie che gli iniziavano a scottare,
si voltò e si avviò su per il pendio sotto gli alberi. Ma mentre si guardava
attorno in cerca di segni del passaggio dell'orco (muschio staccato dal terreno,
un ramoscello piegato, un ciottolo smosso di fresco) non poté fare a meno di
ricordare la ragazza, la ragazza supposito, mentre si era avvicinata nei pressi
delle sponde del lago con il secchio appoggiato alla sporgenza dell'anca, con le
farfalle che danzavano intorno ai suoi capelli lunghi nel sole. Karl la ricordò
con rabbiosa incapacità mista a disgusto. No. Non era per quelli come lui, né lo
sarebbe mai stata.
Erano
arrivati al villaggio, Karl e Shem e Anaxander, verso mezzogiorno due giorni
prima, coi cavalli stanchi e agitati per il caldo. C'era una siepe di
biancospino alta il doppio di una persona, le punte dure e resistenti come ferro
temprato e così fitta che il cancello, di sbarre e bulloni, stava alla fine di
una specie di tunnel. I tre dovettero aspettare fuori finché il sole non scese
al suo ultimo quarto prima che il villaggio iniziasse a svegliarsi e che lo
gnomo coboldo di guardia al cancello li facesse passare. Karl, assetato e con la
testa intontita per il dormire al caldo, seguì il dinoccolato guardiano con gli
altri conducendo i cavalli su un tappeto erboso rasato con cura. Le pecore si
dispersero lungo il loro percorso.
Il villaggio
si trovava oltre dei campi di fieno recintati, vicino alla riva di un lago che
rifletteva gli alberi scuri che lo circondavano: un mucchio di casette di pietra
dilavata, ciascuna nel proprio giardino e col tetto fatto a cannucciola e con
dietro strisce di orti e recinti di siepi bianche dove i cavalli pascolavano. I
tre cacciatori furono condotti lontano, verso un grosso fienile con un occhio
esagonale dipinto su un lato come un bersaglio, che si trovava accanto ad una
casa sconnessa a un solo piano.
Apparteneva
al macellaio, naturalmente, un uomo nodoso, strano, che licenziò il coboldo e
prese in carico i cacciatori, facendoli entrare nel fienile e dicendo loro di
aspettare che si riunisse il concilio del villaggio. I cacciatori lavarono e
strigliarono i cavalli; poi, mentre Anaxander e Shem si distendevano sulla
paglia pulita per dormire assieme, Karl si sedette al di là della grossa porta
squadrata del fienile, irritandosi per il ritardo anche se ormai doveva essersi
abituato al disprezzo dei suppositi.
Oltre il
fienile un pendio erboso correva verso la riva del lago. In quel momento una
ragazza scendeva dalla casa del macellaio con un secchio di legno e Karl
l'osservò fermarsi a riempirlo e l'osservò tornarsene indietro, la gonna di
pelle morbida le batteva sui polpacci grassocci, la luce del sole che luccicava
sul suo giustacuore di cotone, sui suoi lunghi capelli fluenti e sui pezzetti di
colore che danzavano intorno ad essi. Poi lei era dentro casa sua, la porta
chiusa. Karl vide che, in basso lungo la spiaggia, la delegazione del concilio
dei villaggio si stava incamminando verso il fienile.
Karl si alzò
e scosse la stanchezza dalle gambe, fece alzare Shem e Anaxander. Verdi occhi
che brillavano maliziosamente, il supposito si pavoneggiava tra i due uomini,
soffiando alcune dissonanze dal flauto; Karl si impegnò ad afferrargli il
braccio e spingerlo avanti alla luce del sole mentre gli abitanti del villaggio
si fermavano di fuori.
A prima vista
quella mezza dozzina di uomini e donne non era eccezionale, ma qualcosa nel loro
portamento, una certezza pura e calma, intimidiva sempre Karl così che si rese
conto in maniera non confortevole della camicia appiccicata alla scapole, dello
sporco sotto le unghie delle dita, dell'odore rancido del suo sudore mischiato a
quello del cavallo. Il loro portavoce, un uomo paffuto di circa cinquant'anni,
iniziò indirizzandosi ad Anaxander e quando Karl sottolineò l'errore si limitò a
scrollare le spalle e a dire all'idiota con solenne cortesia: "Mi spiace,
fratello."
Karl disse:
"Non capisce niente oltre alla musica."
"Capisce,"
disse una delle donne, osservando Karl e Shem con disapprovazione.
E così, come
al solito, cominciava male, Karl arrabbiato eppure allo stesso tempo più
preoccupato di quanto volesse ammettere... perché ciascuno dei suppositi, per
quanto fosse mansueta la loro apparenza, avrebbe potuto rovesciarlo con la
stessa facilità con cui si apre una teca di piselli. Almeno era un lavoro
franco. Il portavoce spiegò come il villaggio avesse da tempo sospettato che
almeno un orco sopravviveva nelle colline oltre il lago e come questo sospetto
fosse stato confermato allorché si scoprì un unicorno ucciso da poco. Karl arguì
che al villaggio avevano di fatto tollerato la creatura per un po' di tempo: gli
orchi di solito erano più fonte di una miriade di noie minori intorno ai
villaggi dei suppositi, sia per odio autentico sia per stupidità sia per
semplice spacconaggine, piuttosto che agenti di un unico affronto. Era più
facile ignorare tali trasgressioni che dare il via alle scomodità che una caccia
comportava evocando la gilda della morte di tutte le genti dei vecchi tempi: ma
l'assassinio di una creatura sacra non si poteva ignorare.
Così disse:
"Unicorno, eh? Bene. Quanto tempo fa è stato ucciso?"
"Dodici
giorni."
Karl fece le
sue considerazioni, calcolando il tempo occorso ad organizzare la caccia e il
tempo impiegato ad arrivare. Disse: "Perché avete aspettato due giorni o più
prima di notificarlo alla nostra gilda? La cosa potrebbe aver lasciato ormai la
zona."
"C'era, come
ora, una sostituzione. Non poteva essere disturbata." Lo sguardo dell'uomo era
lontano e insondabile, senza traccia di colpa. Come sempre, Karl fu costretto a
sentire che, in qualche modo, era LUI nel torto; armeggiò attraverso il resto
della routine, le domande su dove e quando, e si sentì sollevato quando i
suppositi se ne andarono.
In seguito,
la ragazza che Karl aveva visto riempire il secchio d'acqua venne al fienile, un
cesto bilanciato su un'anca sporta in fuori: una caraffa di sidro, un formaggio
stagionato, pane e miele. Karl la ringraziò, poi disse impulsivamente: "Tuo
padre è il macellaio, vero? Penso che abbiamo qualcosa in comune."
La ragazza
abbassò Io sguardo e Karl poté studiare il suo viso rotondo e bello. I lunghi
capelli erano stati legati sopra una spalla. Una farfalla se ne stava sopra la
forma che uno dei piccoli seni faceva nel giustacuore di cotone, le ali chiuse
verso l'alto come mani in preghiera; altre, notò, frullavano nelle calde ombre
del fienile. Lei disse: "Di certo sei troppo giovane per essere un cacciatore.
Ho sentito dire che non gli è permesso avere figli."
Era vero,
naturalmente, e Karl arrossì per il fatto che gli veniva ricordata la
singolarità della sua nascita. I suppositi mettevano qualcosa nel cibo delle
Città dei Cacciatori, si diceva, o nell'acqua o proprio nell'aria, qualche
veleno dei tempi antichi che aveva impedito alle donne di concepire. Fuori delle
Città dei Cacciatori il veleno svaniva, così che le partite di caccia erano
formate solo da uomini o da donne; Ma a volte le squadre di caccia si
incontravano nelle zone selvagge, per caso o per disegno. In uno dei suoi
momenti più ebbri, prima che partisse per la costa del Pacifico del Nord, la
madre di Karl gli disse che suo padre poteva essere stato uno qualsiasi dei tre
uomini: l'aveva odiata per questo. Ora disse con vanagloria alla ragazza: "Sono
cinque anni che sono un cacciatore, uccidendo undici orchi." Capì subito che era
la cosa più sbagliata da dire e si affrettò ad aggiungere: "Non dovresti aver
paura di me. Sono venuto per aiutare il tuo villaggio."
"Oh, non ho
paura per niente di te." Il suo sorriso era dei più semplici e s'incurvava verso
l'alto alle estremità delle labbra deliziose. Quanti anni aveva? Quindici?
Sedici? Tutti i compagni di bevuta di Karl erano almeno vecchi quanto sua madre
o Shem, così come lo erano le sue poche amanti e i più scarsi confidenti. Per un
attimo ebbe il desiderio di scappare con la ragazza, in cerca di un posto tra i
boschi per vivere come gli orchi. A volte i cacciatori lo facevano e per questo
erano cacciati come gli orchi. E poi Anaxander saltellò dentro fischiando dei
frammenti di qualche melodia rammentata col suo flauto e la ragazza fece uno
scatto.
"Non
preoccuparti," disse Karl. "E' innocuo, lo è sul serio."
"Ma perché il
fratello è con voi?"
"E' uno di
noi, va bene, ma è stupido, capisci? Il cervello danneggiato. Tutto quello che
capisce è la musica; qualsiasi canzone senta può rifarla come una delle macchine
dei tempi passati."
La ragazza si
alzò e Karl fu subito preoccupato. Lo sguardo di lei era luminoso e imperioso,
come un'improvvisa lama di luce nel fienile oscuro. Le farfalle svolazzavano
intorno alla sua testa come fiocchi multicolori di fiamma. Disse: "Non dovresti
parlare di queste cose."
"Non avevo
intenzione..."
"Devo andare
ora."
"Mi spiace,"
disse Karl. "Non avevo intenzione di turbarti.”
“Sul serio,
devo andare." Il suo sguardo era un po' più dolce "Mio padre e mia madre devono
mangiare presto. C'è un cambiamento stanotte."
"Che gli
faranno stavolta al mondo?"
"Non siamo
tenuti a saperlo."
E poi correva
via sull'erba striata dalle ombre che s'allungavano. E cantava mentre se ne
andava, una qualche complessa canzone atonale cantata con voce chiara e acuta
che toccava qualcosa in Karl anche se non la capiva per niente.
Ed ora,
mentre i cacciatori seguivano la traccia dell'orco attraverso la foresta
scoscesa in modo ripido, Anaxander suonava tranquillamente frammenti della
canzone della ragazza, mescolati a pezzi e bocconi di altre melodie ricordate, e
Karl borbottava sull'orlo del ricordo di lei, cercando di non pensare alla
terribile cosa che era successa in seguito. No, lei non faceva per lui.
Almeno la
traccia era facile da seguire. Invece di prendere per i blocchi di pietra che
si infilavano nel ricco terriccio del sottobosco, l'orco aveva seguito un
sentiero ventilato e dal suolo soffice che li costeggiava. Era anche troppo
facile, ma comunque tutti gli orchi erano vecchi, ormai. La madre di Karl lo
aveva intrattenuto col racconto di lotte disperate e di difficili inseguimenti
ai vecchi tempi e anche se solo la metà di quelle storie fosse stata vera, gli
orchi che erano rimasti erano indubbiamente dei poveri relitti. L'ultimo che
Karl aveva aiutato a liquidare era stato quasi senza parole, senza dubbio un
ragazzino quando era stato cambiato tutto quanto, e in tutti quegli anni era
cresciuto in maniera selvaggia, non più di un animale impaurito. Era passato
molto tempo da quando Karl aveva imparato qualcosa di nuovo sui vecchi tempi e
allora era stato dai balbettii di un'artritica vecchiaccia rugosa mezza matta
per la quale il coltello di Shem era stata una benedizione.
Si trovavano
in alto sopra il fiume ora, potevano vedere una strada dei vecchi tempi come un
serpente dalla spina rotta tra gli alberi sulla riva opposta. Karl cercò di
immaginare come sarebbe potuta essere, con le MACCHINE che ruggivano via in
nuvole di fuoco e fumo (quello almeno era qualcosa su cui erano d'accordo tutti
gli orchi, il terrore e la maestà delle strade dei vecchi tempi)... Shem s'era
arrestato, stava annusando l'aria. Dopo un momento Karl scovò una traccia
dell'odore, crudo e fetido nell'aria calda. "Ragni," disse Shem.
Avanzarono
con cautela e subito Karl vide delle ragnatele di color grigio e ripugnanti che
erano tese di fronte a loro, da albero a albero, scorse di sfuggita uno scuro
movimento strisciante dentro l'ombra che gettavano. Rabbrividì. "Mi chiedo a
cosa stavano pensando nel mettere al mondo queste cose."
Shem asciugò
il sudore dalla testa che andava pelandosi e disse, lentamente e seriosamente:
"Tutto ha il suo scopo. Non siamo tenuti a comprendere."
"E' un
peccato che non siano riusciti a sognare qualcosa di utile, qualcosa che gli
servisse a inseguire gli orchi."
"Hanno noi,"
disse Shem dopo un attimo.
"Penso di sì,
e cosa faremmo noi se non avessimo da cacciare? Sarebbe proprio odioso
appartenere a una di quelle squadre di lavoro che demoliscono i vecchi palazzi."
Anche se a volte Karl si chiedeva cosa mai ci fosse rimasto in quei chilometri
di mattoni e cemento che le squadre stavano lentamente riportando a terra.
Sospirò e sistemò il rotolo della coperta in maniera più confortevole. "Bene,
non può essere passato attraverso quelle ragnatele, comunque. I ragni
mangerebbero un orco con la stessa allegria che ci metterebbero per te e per me,
o per te, Ax! Non avvicinarti troppo, ora! Guardiamo attorno."
Dopo una
breve ricerca, Shem fece un richiamo sottovoce e Karl si diresse verso di lui,
coi jeans che strofinavano sulle felci. L'uomo più anziano indicò il ramoscello
spezzato da poco, l'impronta della suola poco sotto.
Karl scacciò
i moscerini che gli svolazzavano attorno alla testa. "E' strano, "disse. "L'orco
è abbastanza agile, ma qui ha rotto il ramoscello come se ci fosse passato sopra
apposta. Come se volesse che lo seguissimo."
"Stupido,
forse," suggerì Shem. "Dopotutto ha ucciso l'unicorno."
"Quello è
stato sciocco, non stupido. C'è differenza. Procederemo con cautela, non credi?
Osservare ogni passo. Hai sentito Ax?"
Sogghignando
apertamente il supposito idiota scrollò i capelli dalla fronte bianca. Ci furono
altri segni mentre salivano il pendio, fronde spezzate, terra rossa raschiata
via del muschio. Karl, seguendo l'esempio di Shem, si tagliò un ramo robusto e
lo usò come un'asta per saggiare il terreno di fronte a lui, ma fu Anaxander che
sentì la trappola, dove la traccia dell'orco passava tra due sporgenze lichenose
di roccia.
La punta
dell'asta di Karl affondò in profondità nei rifiuti delle fronde spezzate e li
spinse di lato. Sotto c'era una buca scavata di fresco, poco profonda e forse
larga un braccio a alta il doppio. Una dozzina o più di pali dalla punta
affilata erano infilati sul fondo, le punte tagliuzzate imbrattate di merda.
Shem la
guardò per un bel pezzo. "I survivalisti usavano questo trucco, molto tempo fa.
Penso siano tutti morti. Volevano combattere, non nascondersi. I ragazzi avevano
degli arsenali dai loro genitori, sai. Non credo che..."
Anaxander li
stava osservando con occhi ansiosi e spalancati e Karl disse: "Non preoccuparti,
Ax, è andato via da un bel po'. Questa trappola, vedi, sperava che ci
cascassimo."
Shem si
grattò la barbetta del mento.
"Ora
procediamo veramente piano," Karl disse loro.
Ma non
c'erano altre trappole. Le tracce dell'orco, che si mantenevano quasi sempre su
uno stretto sentiero di daini che tagliava tra gli alberi, salivano la china
attraversata qua e là da piccoli torrenti. Gli stivali di Karl iniziarono a
scivolare sulla schiuma del muschio e dell'erba epatica che copriva l'argilla
umida. Qua e là c’erano cespugli con foglie scure che erano in fiore, ogni
piccolo boccio bianco a forma di stella intenso come un'apparizione di un essere
soprannaturale nell'ombra verde. Poi gli alberi lasciarono il posto alla
boscaglia e all'erba e alla fine i tre cacciatori guadagnarono la cresta ventosa
dalla cima, scorgendo altre cime distendersi in lontananza sotto un cielo blu.
In lontananza una piccola forma attraversava il cielo da est a ovest. Facendosi
ombra agli occhi, Karl poté scorgere che era un cocchio tirato da una falange di
enormi uccelli e provò una fitta acuta di sorda invidia: c'era là qualche
Signore o Signora dei suppositi e lui qua a procedere con fatica attraverso la
sporcizia del mondo.
L'orco aveva
lasciato un sentiero di tracce attraverso l'erba alta e asciutta. I cacciatori
lo seguirono per il pendio opposto e non si erano addentrati per molto tra gli
alberi quando raggiunsero il limite di una spianata dove un rudere dei vecchi
tempi aveva ceduto in un raggio di luce, la conchiglia crollata di una casa di
legno a un piccolo ruscello ombreggiato da fitte felci. C'era un buco nero
sbrindellato alla base del rudere, una piccola spianata di terra calpestata di
fronte ad esso; fuori da un lato c'era una pila di assi annerite e altri
rifiuti.
Ormai i
cacciatori avevano stabilito una routine; piuttosto che provare a costringere
l'orco a uscire allo scoperto, era più sicuro (anche se più noioso) aspettare
che emergesse di sua spontanea volontà. Shem strisciò in tondo verso il retro
del rudere e trovò un posto per nascondersi in un mucchio fitto di felci vicino
al ruscello mentre Karl e Anaxander si acquattarono in attesa sul davanti,
osservando l'entrata sbrindellata del covo. Una volta Anaxander fece per
estrarre il flauto e Karl colpì la mano dell'idiota sussurrandogli di stare
zitto e calmo. II supposito lo osservò con occhi spalancati, poi si voltò
dall'altra parte a guardare tra gli alberi. Inconsciamente, mentre aspettava,
la mente di Karl ruotava intorno al ricordo della ragazza nel villaggio e di ciò
che era successo in quella notte, la notte del rimodellamento.
Aveva preso
un tozzo di pane dal cibo che lei aveva lasciato, si era versato una vigorosa
dose di sidro e s'era ritirato verso il fondo del granaio a rimuginare sulle
piccole umiliazioni della giornata. E dovette essersi addormentato, perché si
svegliò con una luce fosca che si accumulava attraverso la porta, con la calda
notte dietro. Shem e Anaxander russavano su diverse tonalità. Coi muscoli
induriti per la cavalcata della giornata, Karl si diresse alla porta. L'aria
sembrava fremere per l'attesa, piccole scariche statiche e si ricordò di ciò che
la ragazza aveva detto: un cambiamento.
Fuori la luna
si muoveva come un occhio livido e funesto in fasce di luce verde e gialla che
lavavano il cielo intero. Le piccole luci del villaggio brillavano intorno alle
anse della spiaggia del lago come stelle scese a terra. Anche se l'aria notturna
era tiepida, Karl rabbrividì, chiedendosi che cosa si stava operando sul mondo,
quali nuove cose vi si stavano portando o che cosa si stava cambiando dal volere
collettivo dei suppositi operanti giù nel vortice delle particelle elementari
dove ciò che è si sfoca e si apre ad una miriade di possibilità.
Pure le luci
della casa del macellaio erano accese e dal chiarore che emanavano Karl vide una
forma pallida sull'erba vicino al filo d'acqua.
La ragazza.
Col cuore che
batteva velocemente ma leggermente si diresse verso di lei. A metà strada tutte
le luci del villaggio e le luci dietro a lui si spensero, ma poteva vedere
abbastanza bene con la luna e con i freddi tremolii dell'aurora.
La ragazza
sedeva a gambe incrociate, sporta verso l'incavo formato dalle ginocchia.
Sembrava che non respirasse.
Karl disse:
"Neppure io potevo dormire." Non ci fu risposta. Quando si inginocchiò accanto a
lei vide il bianco degli occhi che si scorgeva da sotto le palpebre socchiuse.
"Ehi," disse dolcemente e si azzardò a toccarle una spalla.
Lei
rabbrividì e allo stesso tempo Karl provò una specie di freddezza che tendeva a
contrarsi per tutta la pelle. Il cambiamento. La bocca della ragazza era
spalancata e pensò di aver visto la sua lingua scattare fuori. No, qualsiasi
cosa fosse, era come un paio di piccole fruste. Poi le ali polverose si
liberarono delle labbra di lei e la grossa farfalla notturna cadde svolazzando.
La ragazza
stava facendo una specie di gorgoglio sordo. Qualcos'altro si stava spingendo
fuori dalle sue labbra con un moto lento verso l'alto. Karl fuggì, cadendo una
volta e imbrattandosi d'erba e di sporco sulle ginocchia dei jeans, accumulando
ancora più sporco sotto le unghie mentre si alzava e riprendeva a correre. Nel
caldo soffocante e fastidioso del granaio, se ne stette sveglio per lungo tempo,
vedendo e rivedendo il farfallone uscire dalla bocca di lei verso il mondo. E
ora, acquattato tra le fronde polverose delle felci, guardando l'entrata della
tana dell'orco, rabbrividì nonostante l'aria calda per il ricordo, un senso
freddo nauseante alla bocca dello stomaco. Sua madre aveva proprio ragione
quando diceva, come faceva spesso, che i suppositi non erano umani.
Il sole si
abbassò pettinando con la luce ramata la punta della macchia di felci dove si
nascondeva Shem. Alla fine Karl vide un movimento nel buco sbrindellato alla
base del rudere e l'orco sporse la testa irsuta, fermandosi come ad annusare
l'aria prima di tirarsi lentamente e dolorosamente all'aperto. Istantaneamente
Karl balzò in piedi e dopo un attimo anche Anaxander spuntò, tremando
leggermente. L'orco sollevò il fucile e ci fu un semplicissimo click.
"Maledizione," disse con una voce acuta e spezzata e Shem si lanciò dal suo
nascondiglio e lo atterrò tra lo sporco.
Era una
donna, naturalmente, Karl l'aveva immaginato già dall'uccisione dell'unicorno.
Una donna vecchia e smunta, fasciata in una specie di mantello di pelle di
daino conciato male sopra a dei jeans sbrindellati e scoloriti dei tempi passati
e una camicia da lavoro, più rammendi che stoffa, i capelli intrecciati a
formare trecce unte. Ma sapeva parlare e una volta realizzato che non sarebbe
stata uccisa subito divenne garrula, disse a Karl che l'unicorno le aveva dato
la caccia per posare il suo grande corno dorato nel suo grembo. Fu allora che
lei gli aveva tagliato la gola.
Le pieghe del
suo viso si risistemarono intorno ad un sorriso. "Pensava di trafiggermi su due
piedi."
"Lo avrebbe
fatto, se voi non foste stata... giusta." Karl provò un'esaltazione fredda e
chiara, potendo controllare a malapena l'avidità a spremere tutto ciò che
conosceva quella creatura.
"Una vergine,
oh, sì! Non c'è stato altro che qualcuna di noi ragazze, he-he." Poi aggrottò le
ciglia e disse: "Odio tutte le cose che hanno fatto. Odio loro."
Ebbe solo
bisogno di un piccolo stimolo da parte di Karl per tirare fuori la storia della
sua vita. Il suo nome era Liza Jane Howard, disse, ed era vissuta lì quasi tutta
la vita. "Quando ci fu il cambiamento, babbo mi nascose qui. Era un biologo,
sapeva che stava morendo, tutti coloro che avevano superato la pubertà stavano
morendo. Ma non sapeva che lo avevano fatto i superbright. Non l'ho saputo
neppure io, per un bel pezzo. Cambiarono i batteri degli intestini, vedi, così
da uccidere tutti gli adulti. Dopo un paio d'anni, tutto era finito e allora
credo che abbiano cambiato come prima i batteri, così da poter crescere, eh?"
Karl annuì. Questo lo sapeva già, soprattutto dai brevi interrogatori degli
altri orchi che aveva aiutato a scovare. "Rimasi qui," continuò, gli occhi
sfuocati, quel tempo della cernita molto più vicino a lei della sera blu. "Mi
sono nascosta, così da poter sopravvivere. Oh, ho parlato con qualcuno come me,
ma non ho mai lasciato che sapessero dove vivevo. Ho avuto una ragazzina qui una
volta, verso i primi giorni, povera cosetta malata, morì di polmonite nel giro
di un mese. Non ho mai saputo il suo nome, penso fosse una benedizione, eh? Non
ho visto più nessuno da un paio d'anni. Presto ce ne saremo andati tutti e non
ci saranno altro che i superbright."
"Quelli sono
i suppositi," suggerì Karl.
"Non lo sai
ragazzo? Vedi, allora, durante i vecchi giorni, c'era un modo di migliorare
l'intelligenza di un bambino prima che nascesse, tutte le persone ricche lo
hanno fatto. Ma non sapevano di preciso quanto stavano cambiando quei dannati
ragazzini finché i ragazzini non incominciarono a cambiare il mondo. La partenza
di tutti gli adulti fu la prima cosa." Guardò da presso Karl, "non lo sapevi?"
"Non tutta la
storia." La madre non gli aveva insegnato niente di storia; ma sua madre era
solo una bambina quando era successo, una bambina ordinaria.
Dall'altra
parte della spianata, Shem tossì e sputò, come sempre disapprovando questo
discutere, desiderando di finire il lavoro. Anaxander stropicciò i piedi
sull'erba, osservando l'orco con un misto di paura e fissazione.
Lei disse:
"Mi meraviglio di essere rimasta viva così a lungo, con tutti i cambiamenti che
si sono succeduti. Svegliandomi e scoprendo RAGNI giganti appesi agli alberi, o
piccoli draghi che si nascondevano sotto le pietre e fischiavano come teiere. E
il ritorno dei lupi, senza mai essere sicura se fosse naturale o opera loro. Eh.
Abbastanza presto avranno cambiato il mondo da dividerlo dall'universo, allora
dove sarai, eh, ragazzo? Pensi mai a che accadrà quando abbatterete l'ultimo di
noi?"
Karl ricordò
la mucca uccisa in fretta per il loro ritorno, il modo fiducioso con cui aveva
seguito il macellaio, il suo istantaneo e debole collasso al tocco della sua
mano.
L'orco parlò
con voce stridula. "Sai perché l'hanno cambiato così come hanno fatto? Hai mai
letto i libri dei vecchi tempi? Babbo me ne ha lasciati a migliaia."
Karl non
sapeva leggere, ma aveva sentito dei libri da uno o due degli orchi. La
curiosità gli formicolò sotto la pelle. Non aveva mai incontrato prima d'ora un
orco che conoscesse così tanto come erano andate le cose prima che cambiassero.
"Vieni
dentro, ragazzo. Te lo mostro," disse lei. "Ti mostro da dove viene tutto
questo."
"Certo, OK"
Shem rimase
in piedi, la mano sul coltello nel fodero all'anca. "Ascolta, ragazzo, è una
cattiva idea, una pazza idea."
"Non può
farmi del male," disse Karl con amarezza. Doveva sapere, conoscere. Anaxander lo
guardò, guardò Shem, occhi spalancati. Karl disse all'idiota: "Va tutto bene,
non è vero, Ax?" Ma l'idiota guardò altrove con indifferenza.
"Non ho un
dente nascosto nella testa," disse l'orco, "e tu hai là il mio fucile. Voglio
solo farti vedere com'era."
Shem premette
le mani sulle orecchie, scosse la testa.
"Andiamo,"
disse Karl, e spinse l'orco verso il buco sbrindellato.
Dentro
puzzava, un misto di urina stantia e sudore e sego scaldato delle candele che
bruciavano nelle nicchie sul muro sbriciolato di mattoni. Una catasta di vestiti
marci formava una specie di nido; altri coprivano il pavimento lacerandosi sotto
gli scarponi di Karl. Dovette fermarsi sotto il soffitto pieno di ragnatele.
Borbottando l'orco frugò in una pila di rifiuti, disturbando degli insetti che
starnazzarono via nell'ombra. Alla fine sollevò qualcosa di grosso e squadrato,
lo aprì per mostrare delle immagini ancora luminose. "Vedi," disse, scorrendo le
pagine in faccia a Karl, "vedi?".
Le immagini
non si muovevano, come uno degli orchi aveva detto a Karl, ma attirarono
comunque la sua attenzione: disegni di draghi, di grifi, di un unicorno con
zoccoli sollevati su qualche impossibile pergola frondosa, di un villaggio ...
Afferrò il libro, si curvò su di esso nella luce incerta delle candele. Un
grappolo di casette bianche coperte da cannucciola circondato da un'altra siepe
di biancospino in una spianata in una foresta scura. "Cos'è questo?" disse. Non
poteva capire come un libro dei vecchi tempi potesse contenere immagini del
qui-ed-ora.
L'orco
starnazzò, ombre profonde nelle linee del viso. "Un libro per bambini. Capisci?
Qualcosa fatto per essere guardato dai bambini. Racconti di posti inventati per
divertirli. Quando cambiarono il mondo, i superbright erano solo dei bambini, i
più vecchi avevano la mia stessa età. Otto anni, credo. Difficile da ricordare.
La maggior parte era molto più piccola. Questo era tutto quello che conoscevano,
così fu per questo che il mondo fu cambiato. Tutto tratto da un libro di
racconti e di fate. Solo che ora è reale, l'Utopia costruita sulle ossa di quasi
tutti quelli che vivevano allora. Guarda questo, ti faccio vedere
qualcos'altro."
Mentre
rovistava, Karl girava le pagine umide e chiazzate, ammiccando ripetutamente
alle illustrazioni fantastiche della familiarità. L'orco si voltò di nuovo verso
di lui e vide che teneva in mano una piccola pistola. Qualcosa in lui si
rilassò. Si era aspettato un inganno del genere.
"Il mio
fucile maledetto può aver non funzionato," disse lei con calma, "ma questo sarà
sufficiente per te e per i tuoi amici. Senza offesa.”
II click
mentre il cane scattava fu piccolo nello spazio vuoto. Nessun altro suono.
Karl disse
gentilmente: "E' Anaxander. E' un idiota, ma è anche un supposito. Ha un potere
che blocca il funzionamento delle armi contro di lui e i suoi amici. Non deve
nemmeno pensarci su: è come il battere delle ciglia."
L'orco
strillò per la rabbia e tirò la pistola a Karl. Lui si abbassò e andò a sbattere
contro i mattoni mentre lei correva via, s'infilava attraverso il buco
dell'ingresso. Poi il silenzio. Una dopo l'altra le candele tornarono al loro
livello di fiamma. Karl con calma cercò la pistola e la infilò nella sua
cintura, poi si arrampicò fuori. Shem stava sopra il corpo pietosamente minuto
dell'orco, leccando il sangue dalla lama del coltello.
Con grande
disgusto di Shem, Karl si ostinò a voler seppellire il corpo. L'uomo più anziano
si mise seduto su un masso tondeggiante mentre Karl andava scavando il terriccio
con un'asse e disse con un tono imbronciato: "Non risolve niente. Tanto i lupi
verranno a scavarla."
Karl attaccò
la terra furiosamente e non replicò. Per quando ebbe finito la luce della sera
era quasi del tutto svanita. Sudando, rotolò il corpo dell'orco nel buco,
scalciò il terriccio sopra, lo calpestò. Shem osservava impassibile; Anaxander
suonava pigramente dei frammenti di melodia. Karl raccolse un ciottolo e vi
tracciò un incantesimo, lo lanciò nell'aria. Una fiamma scaturì subito. Le
uniche invocazioni che gli erano state insegnate erano quelle che invocavano gli
elementali, ma erano sufficienti.
Con Anaxander
in testa (che guardava indietro di tanto in tanto per vedere le forme che faceva
il fumo mentre si rotolava nel cielo), i tre cacciatori si arrampicarono
attraverso la foresta. Allorché uscirono dagli alberi sulla cresta della cima,
videro che il cielo era animato da vessilli di luce tremolanti e Anaxander
indicò con il dito, ghignando felicemente. Mentre avanzarono il supposito
estrasse il suo flauto e suonò una melodia che rotolava lentamente in solenne
celebrazione del cambiamento.
Shem disse a
Karl, la voce bassa: "Buttala via, ragazzo."
Automaticamente, la mano di Karl andò alla pistola infilata nella cintura.
"Non ti farà
nessun bene. Se LUI..." Shem indicò l'idiota che suonando il flauto procedeva a
mo' di parata in testa a loro... "può arrestare il funzionamento delle cose del
vecchio tempo, ognuno di loro può farlo. Dovresti saperlo, uh?"
"E' proprio
ciò che ti hanno fatto parlando."
"Forse è
così. Non vedo come dirtelo. Non voglio vederti nei pasticci, ragazzo, è tutto."
"Che
accadrà?" gridò Karl. "Che accadrà quando non avranno più bisogno di noi?"
Shem si
strinse nelle spalle. Più avanti, lungo la pista, Anaxander guardava intorno,
verdi occhi luminosi, poi proseguì suonando la sua canzone lenta. Karl soppesò
la pistola, reale quanto qualsiasi unicorno o drago, poi di colpo la lanciò
lontano nel sottobosco. La perdita non interessava. Sapeva ora che una parte dei
vecchi tempi viveva immobile, sarebbe sempre vissuta, nelle favolose bestie che
erano state invocate, proprio nelle pietre, bianche come ossa, delle casette del
piccolo villaggio presso il lago, di tutti i piccoli villaggi del mondo
cambiato.
"Andiamo,
ragazzo," disse Shem, e Karl si affrettò a raggiungerlo.
Insieme
seguirono il supposito giù nell'oscurità.
vedi l'illustrazione originale di
SMS per Interzone
© J.P.McAyley, tr.it. D.Santoni
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