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Inserito Lunedì 26 luglio 2004

Narrativa racconto di Andrew Weiner (tit. orig. Rider)

Lo trovarono in un contenitore fisiologico, in un ambiente di fuga abbandonato che dava su una delle tante piazze della parte est della città.

Stava per morire. La flebo aveva terminato il nutrimento già da giorni, nonostante continuasse ancora a distillare regolarmente poche gocce di droga.

"Menspam." Constatò la poliziotta che lo aveva trovato nel contenitore.

Il suo compagno annuì, continuando a fissare l'uomo anziano che fluttuava nella soluzione salina. Era spaventosamente magro e i capelli grigi gli uscivano fuori a grosse ciocche. Gli occhi, spalancati, scattavano velocemente avanti e indietro ma non si fissavano né su di lei né su nient'altro nella stanza. L'espressione era senza dubbio di beatitudine.

Pensò che sarebbe stato veramente un peccato disturbarlo. "Chissà dove si trova adesso... al calduccio, probabilmente."

Fuori, per strada, la temperatura era di meno dieci gradi e solo il pensiero di doverci tornare la fece rabbrividire. Una vacanza al sole non sarebbe stata una cattiva idea, ma le paghe della Securiforce, la polizia privata incaricata del controllo della città di Boston, non permettevano lussi.

"Dovunque sia," disse il primo ufficiale, "non penso che torni."

 

 

2.

Il neurologo dell'ospedale cittadino espresse un parere pressoché analogo.

"Fisicamente non corre alcun pericolo immediato," dis­se a Findlay mentre osservavano i medici della SecTech che lo stendevano sulla barella per trasportarlo alla clinica della Compagnia di là del fiume a Cambridge. "Comunque devo dirle che non ha un buon aspetto: Ha assimilato ogni goccia della droga e si trova ancora in fuga."

"Quando ne uscirà?" gli chiese Findlay.

"Non penso che ne uscirà," rispose il neurologo. "Non succede proprio, non in casi così avanzati. Solo l'anno scorso ce ne sono capitati sei nel suo stato, alcuni molto più giovani di lui. Si tuffano per periodi sempre più lunghi e un giorno vanno tanto in profondità che non riescono a trovare la strada per tornare. Bastano perfino quattro o cinque giorni. E pensiamo che Lerner sia in questo stato da più di due settimane."

"Forse anche tre," disse Findlay. "Ma in un modo o nell'altro lo riporteremo indietro. Non ce lo faremo sfuggire tanto facilmente."

 

 

3.

Come capo della sezione investigativa della SecTech International, Findlay si era personal­mente impegnato nella ricerca dello scomparso vice presi­dente anziano della compagnia, Arnold Lerner.

Sospettando un rapimento, forse con lo scopo di richie­dere un riscatto o, più probabilmente, per gli intricati contenuti del cervello di Lerner, aveva cercato lo scienziato scomparso in cerchi sempre più vasti, consultando liste di passeggeri delle linee aeree e delle autovetture noleggiate, controllando i nastri di telecamere di sorveglianza di banche e aeroporti, mettendo sotto controllo le linee telefoniche di società rivali, mobilitando programmi adibiti alla ricerca di informazioni attraverso tre continenti.

Era stato un serio errore di valutazione, forse addirittura fatale.

Alla fine non erano stati i complessi programmi di ricerca a trovare Lerner, bensì il più goffo e lento lavoro della Polizia; una perquisizione di routine di ogni edificio abbandonato nel raggio di venti miglia dal laboratorio di Lerner, commissionata quasi come un tardivo ripensamento all'operatore locale della compagnia di polizia, aveva rivelato il curioso nascondiglio dello scienziato.

Findlay trovò l'intero caso professionalmente offensivo.

"Dovevamo prevederlo," disse al suo assistente, Chambers. "Dovevamo averlo visto nella sua scheda per­sonale. Ci doveva essere qualche indicazione che avrebbe tirato fuori una cosa del genere."

"Ma noi non compiliamo schede personali," puntualizzò Chambers. "Le leggiamo e basta. Se non c'è, non c'è. Non potevamo sapere che desiderava andarsene."

"In qualche modo è entrato nei suoi dati personali," disse Findlay, "e ha cancellato ogni accenno alla possibilità di una simile azione."

"Beh, è lui il mago della programmazione, no?"

"Già," rispose Findlay.

 

 

4.

Arnold Lerner aveva cinquantasette anni. Divorziato dieci anni prima dalla sua seconda moglie, viveva da solo, in un appartamento al porto. Non aveva avuto figli da nessuno dei due matrimoni.

Era giunto alla SecTech quindici anni prima, come capo della sezione Ricerca e Sviluppo, convinto ad abbandonare la carriera scolastica da una combinazione di equità e denaro liquido. Era, infatti, il pilastro su cui la compagnia era stata creata, come una boutique high tech che riforniva l'industria dell'alta sicurezza.

Era un disegnatore di sistemi esperti per la ricerca. Sintetizzando rapidamente grandi quantità di dati da fonti diverse (rapporti di polizia, trasferimenti elettronici di fondi, conti del telefono, abbonamenti alla CableNet, articoli di notiziari su Fax, nastri di videocamere, virtualmente ogni tipo di informazione che si muoveva elettronicamente e a cui si poteva accedere) i suoi sistemi costruivano una mappa su cui quasi tutti i movimenti di un individuo potevano essere ritrovati e monitorizzati.

La SecTech usava i disegni di Lerner per fornire sia i servizi di ricerca che sistemi completi, tutto compreso, a forze di polizia, governi e clienti privati in tutto il mondo. C'erano altri che disegnavano sistemi simili. Ma Lerner, anche se aveva sfondato il muro della mezza età, era ancora considerato ampiamente il migliore. Era proprio una pro­prietà di valore.

Fino alla sua scomparsa, Lerner era stato considerato un servitore leale della compagnia.

 

 

5.

Chambers informò Findlay sull'ambiente di fuga.

"Si dice in giro che sia stata un'operazione standard," disse. "Almeno fino alla fine. Il contenitore affittato ad ore e i soliti sostegni chimici. Viaggetti per uomini d'affari piuttosto che roba a lungo termine, due o tre ore al massimo. Ha aperto in autunno e ha chiuso circa un mese fa. Nessuno ci aveva fatto molto caso. Questi ambienti si spostano conti­nuamente. La polizia li tollera fino a un certo punto, ma non li tollererebbe in continuazione. Anche se la polizia non ha nessuna registrazione su questo qui. E' come se non fosse mai esistito."

"Lerner può aver sistemato anche questa faccenda," disse Findlay. "Si sa chi lo dirigeva."

"Un tizio conosciuto qui intorno come Donald Trevis. Conosciuto alla polizia con una dozzina di nomi falsi."

"Fa parte dell'organizzazione?"

"Un indipendente, apparentemente. Essenzialmente pic­coli affari, spostandosi in nuove nicchie di mercato prima che si affollino. E gli ambienti di fuga sono ancora una novità. Cambieranno, naturalmente. Le organizzazioni sono già immischiate nel lato estremo del rifornimento ma sono sicuro che stanno cercando qualche integrazione verticale."

Trevis aveva aperto un nuovo ambiente di fuga dall'altra parte della città. Avevano fatto irruzione in quel fabbricato proprio quella mattina.

"Niente Trevis," disse Chambers, "ma dovevi vedere chi c'era nei contenitori.."

Fece il nome di una regina del video, alcuni politici di secondo piano e del direttore di un'importante banca commerciale.

"Mi chiedo da cosa scappino," disse Findlay.

"Oh, non credo che scappino," fece Chambers. "A me sembra più come una piccola vacanza."

"Non per Lerner," disse Findlay. "Aveva cercato di emigrare."

 

 

6.

Fermarono Trevis all'aeroporto di Madrid, men­tre era sul punto di imbarcarsi sul volo EuroHOTOL per Sky City. Aveva con se una valigetta di denaro di grosso taglio, senza dubbio era destinato a essere depositato in una delle banche-satellite orbitanti. La dogana di Madrid era notoriamente tollerante nel far rispettare le leggi sull'esportazione di valuta.

"Mi ha rilevato tutto," spiegò Trevis. "Il contenitore, le scorte, la locazione. Baracca e burattini. Quello che ne ha fatto sono affari suoi."

"Lo ha usato per orchestrare il suo suicidio," disse Findlay. "E questo vi rende partecipe di un tentato omicidio."

"E' una questione di definizione," disse Trevis. "Non mi ha mai detto cosa ne volesse fare, non in così tante parole."

Di fronte ad imputazioni criminali così gravi, Trevis tuttavia collaborò come meglio poteva.

Lerner, raccontò a Findlay, era stato un cliente occasio­nale per alcuni anni, in molti ambienti. Un'ora qui, due ore là, mai di più. "Ha sempre pagato in contanti. Lo fanno in molti, veramente, anche se accettiamo pure le azioni principali."

"Dove andava?" chiese Findlay. "Una volta drogato?"

"Non me l'ha detto mai," disse Traver. "Alcuni ne parla­no, altri no. Lui non era di quelli che ne parlano. lo li preferisco, sinceramente. Non avete idea di quanto possano essere noiose alcune persone. Dai loro la possibilità di andare dovunque, di ricordare qualsiasi cosa, di immaginare la roba più fantastica, e dove vanno? Ritornano a succhiare le tette della mammina. Ritornano ad esplorare le cosce della maestra."

"Si ricordano della maestra," disse Trevis, "il resto lo immaginano. La fuga non è soltanto il ricordare, è anche l'immaginare, immaginare come sarebbe potuto essere e far si che accada in quel modo. Detti legge. Ricordare tutto e ricordarlo migliore di quanto sia stato realmente. E' dina­mite. O così dicono, io non mi ci sono mai avvicinato."

"Tornano sempre all'infanzia?"

"Oh, no," disse Trevis. "Era solo per fare un esempio. C'è ne un sacco che torna per ammazzare le ex mogli o al contrario per provare a rappacificarsi. C'è gente che torna per ricordare il miglior pasto che abbia mai fatto o la scopata più bella. Cioè tu esprimi il desiderio e noi te lo diamo. Ma per la maggior parte si tratta di roba proprio noiosa e cerco il più possibile di non ascoltare."

"Dovreste esservi incuriosito," insistette Findlay. "Un tipo vi chiede di sistemarlo per una fuga senza fine e non vi siete chiesto che cosa desiderasse ricordarsi con tanto bisogno."

"lo no," disse Trevis. "Io non mi interesso di tutta questa roba."

"Provate a indovinare."

Trevis si strinse nelle spalle. "Era infelice con la moglie. Voleva cambiare. Cambiare qualcosa che aveva fatto o qualche decisione che aveva preso."

"Ma a che serve?" chiese Findlay. "Non avviene nella realtà, non cambia proprio niente."

"Lo cambia se non torni indietro," disse Trevis. Sembrò che fosse sul punto di dire qualcos'altro, poi esitò.

"Un'altra perla di saggezza?"

"Ci sono quelli che sostengono che cambi le cose," disse Trevis. "Anche se torni indietro: Dicono che viaggi sul serio nel tempo e che puoi cambiare veramente le cose se insisti abbastanza. Ricordati abbastanza insistentemente di qualcosa e quella si avvera. Tranne che non puoi sapere quello che hai combinato perché quando esci dalla fuga sembra che le cose siano sempre state nel modo in cui sono ora."

"E' una pazzia," disse Findlay.

"Non ho detto che ci credo," rispose Trevis. "Ho detto solo che c'è qualcuno che lo dice."

 

 

7.

"Parlami del Memspan", fece Findlay.

"E' una triste storia," disse Chambers. "Molto triste. E' un biosintetico, sviluppato da una delle più grosse compagnie farmaceutiche come uno stimolante della memoria legalizzabile. Ci hanno buttato milioni. Memspan sarebbe stato il nome depositato, tranne che non è mai entrato in commercio. Non legalmente almeno."

Mostrò a Findlay un diagramma con due strutture chimiche quasi identiche poste una accanto all'altra.

"Si supponeva che fosse un elemento analogo al Calpain, è quello a sinistra.. Calpain è un enzima prodotto nel cervello attraverso l'eccitazione delle sinapsi. Sembra che attacchi l'intelaiatura delle proteine ricoprendo le membrane delle cellule nervose. Porta allo scoperto i recettori profondi e in alcuni casi stimola le cellule nervose a dar vita a nuovi rami. L'idea era che il Memspan, copiando questa azione, avreb­be aiutato la gente nel codificare i ricordi a breve termine. Sarebbe stato di grandissimo aiuto per il morbo di Alzheimer ma sarebbe stato un importante prodotto commerciale anche per studenti in preparazione degli esami o cose simili. Questo, comunque, in teoria."

"E in pratica che succede?'

“In pratica, non riescono a ottenere la biosintesi in maniera proprio esatta."

Gli indicò la seconda metà della foto.

"Appare molto simile, vero?" Ma non è l'esatto analogo del Calpain. Ha diversi radicali addizionali che non possono essere tolti. E quando l'hanno sperimentato non funzionava come si supponeva dovesse fare. Invece di stimolare la memoria a breve termine, stimolava il richiamo della memo­ria a lungo termine. E più si aumentava il dosaggio, più forte era il ricordo. E allorché somministrarono dosi abbastanza alte, in condizione di privazione sensoriale, creò un'auten­tica allucinazione in cui il soggetto poteva rivivere scene dal passato in ogni dettaglio.

"Comunque, pensarono di aver ottenuto qualcosa in ogni caso. Tantissime persone desidererebbero ricordare meglio il loro passato. E forse anche gli psicoterapisti l'avrebbero potuto usare per aiutare i pazienti a ricordare traumi rimossi. Ma c'era un problema."

"Non solo fa correre i ricordi del passato," disse Findlay. "Te li fa riscrivere."

"Giusto!" disse Chambers. "Puoi usarlo per creare falsi ricordi che sono quasi impossibili da distinguere da quelli veri. Il che lo rendeva un sacco divertente. La compagnia farmaceutica non sapeva che diavolo farsene ma alcuni ricercatori sì. Iniziarono a darlo ai loro amici e si diffuse da lì. Non è difficile da imitare quando ne conosci la formula. Ma poi iniziarono a ricevere i rapporti sugli effetti a lungo termine e il governo vietò il tutto."

"E per Lerner?" chiese Findlay. "Hai trovato nessun modo per riportarlo indietro?"

"Non è mai stato fatto," disse Chambers. "Ma penso di poter avere un modello. Era in uno dei primi studi di ricerca. Pilota di fuga,"

"Cosa?'

“Era uno di quegli studi in cui veniva sperimentato con pazienti psichiatrici, lavorando su traumi rimossi. Ma la parte interessante stava nel fatto che il terapista si immergeva con loro, divideva la stessa fuga, li aiutava nel percorso."

"E come?"

"Una specie di congiunzione mediata dal computer, una telepatia artificiale."

"Ma è possibile?" chiese Findlay.

"Non lo so," disse Chambers. "Ho parlato con qualche altro ricercatore sul Memspam e pensano che quello sia un fallimento.”

"Ma loro non hanno niente di meglio da suggerire?"

"No," disse Chambers. "Loro non ce l'hanno."

 

 

8.

"Come vi ho detto dal vidlink," disse il dottor Brandon, "Non penso proprio che possiamo aiutarvi."

Il dottor Ruth Brandon era una donna alta e sulla quaran­tina. Aveva una criniera di capelli neri che mostravano le prime striature di grigio. Indossava il camice blu da labora­torio con una targhetta sul taschino con la scritta "Direttore".

Era il direttore dell'Hartley Mind Frontiers Research Center, una piccola struttura di ricerca privata presso San Diego fondata dalla Hartley Mind Frontiers Foundation. La Fondazione, a sua volta, era stata creata dieci anni prima dal lascito del povero Joseph Hartley, un erede del denaro aereospaziale della vecchia California e, come minimo, un eccentrico. La Hardey Mind Frontiers Foundation era stata la sua eccentricità finale.

"Da ciò che mi avete detto sul caso," disse il dottor Brandon, "e dalla mia conoscenza limitata della materia, mi sembra senza speranze."

"Pensiamo che voi potreste essere utile," disse Findlay.

"II Memspam non è per nulla il nostro campo di studio," rispose. " La nostra attenzione è sul collegamento mente-mente. Certe droghe facilitano questa unione, non siamo sicuri come. Pensiamo che abbassino la resistenza della parte cosciente della mente ad accettare la comunicazione."

"E il Memspam è una di queste?"

"Sì," rispose. "Abbiamo ricevuto un piccolo campione per ricerca da coloro che lo svilupparono, quando ancora stavano cercando un modo per commercializzarlo, dovevamo provarlo come elemento terapeutico. Non funzionò, naturalmente; l'elemento fantastico occludeva gli autentici ricordi rimossi. Ma la droga in sé stessa non fu mai il nostro scopo reale. Non ci lavoriamo più sopra. E non abbiamo mai provato niente di simile a ciò che ci state proponendo."

"Da informazioni in nostro possesso voi sareste capace di farlo. Di pilotare una fuga."

"In alcuni casi, sì" rispose. "Ma solo per alcune ore al massimo, immergendosi dal primo momento della fuga. E' molto diverso dal tentare di entrare in uno schema di fuga creato da molto tempo. Ma il punto è che semplicemente non fa parte dei nostri interessi."

"Vi interessate della telepatia in sé stessa, vero?" chiese Findlay.

"Non usiamo quella parola qui, Signor Findlay," rispose rivolgendogli un sorriso annoiato. "Abbiamo a che fare con la trasmissione degli impulsi elettrici, in rappresentazioni mediate dal computer dell'informazione neurale. Ed evitiamo di porci sopra un'interpretazione più sensazionalistica. Abbiamo avuto anche troppi problemi su questo in passato. I media ci hanno lavorato sopra e questo non è d'aiuto per la nostra credibilità nella comunità scientifica."

"Pensano che siate dei ciarlatani," disse Findlay.

"C'è un po' di scetticismo intorno alle nostre attività, sì..."

"E questo non aiuta a finanziare la vostra ricerca."

"Ci piacerebbe farne sempre di più," rispose. "Ma siamo forniti adeguatamente dalla nostra Fondazione."

"Non è quello che ho sentito dire," disse Findlay. "Si dice che la vostra Fondazione abbia preso delle decisioni su degli investimenti piuttosto negativi. Ho sentito dire che i vostri finanziamenti sono stati tagliati due volte negli ultimi due anni."

"Io non devo fare commenti su questo." Rispose, "dato che gli affari della Fondazione sono privati e non ci sono vie legali attraverso cui potete avere accesso a queste informazioni. Che cosa desiderate, signor Findlay?"

"Non penso che abbiate bisogno dei vostri strumenti per leggermi la mente."

 

 

9.

"Certo che è molto importante per voi riaverlo," disse il dottor Brandon a Findlay, mentre guar­davano l'uomo nel letto.

"Soprattutto per principio," disse Findlay. "SecTech: troviamo la gente. E' il nostro lavoro. Non li perdiamo."

"Anche se lo riportassi indietro," disse lei "non potete costringerlo a tornare a lavorare per voi."

"Questa parte," disse Findlay, "non è un mio problema: la mia specialità è ritrovarli. Abbiamo altre persone per rimetterli assieme."

"Tutti i cavalli del re," rispose.

Girò la testa di Lerner sul cuscino per ispezionare la presa a jack che era stata inserita chirurgicamente secondo le sue istruzioni dietro l'orecchio destro.

"Sembra tutto a posto," disse. "Inseriamolo."

Prese un cavetto dal macchinario accanto al letto e lo collegò a Lerner. Accese il monitor e controllò i dati. Le linee dell'EEG mostravano il familiare schema a dente di sega della fuga.

"In comunicazione," disse. "Procediamo."

Si diresse verso il letto accanto a quello di Lerner e ci si sedette sopra. Sollevò i capelli sopra l'orecchio destro e collegò un secondo cavetto dal macchinario nella sua presa. Si allungò sul letto.

"Memspam," disse. "Dosaggio minimo."

Un tecnico le iniettò la droga per la fuga.

Fissò un momento lo sguardo sul grigio soffitto della camera. E poi chiuse gli occhi. "E ora andiamo," disse.

 

 

10.

L’oscuro tunnel familiare si aprì e lei ci si immerse, in cerca delle luci brillanti che lampeggiavano sotto, tuffandosi in un bagno sinestetico di immagini e gusti e suoni. E poi il programma iniziò a decodificare le informazioni che fluivano dalla rete neurale di Lerner verso la sua e lei iniziò a vedere ciò che vedeva lui, a sentire ciò che sentiva lui, a provare ciò che provava lui... Calore, polvere, rumore. Il senso di un'enorme euforia.

Lui se ne stava in piedi da qualche parte in aperta campagna, circondato da una gran confusione di macchi­nari, da una calca di persone. Era mano nella mano con una donna e guardava il cielo, strizzando gli occhi di fronte ad un lampo di luce accecante.

Uno di quei vecchi esperimenti nucleari? Ebbe il tempo di chiedersi mentre il panorama veniva investito da bande di ombre bianche e nere che sfarfallavano stroboscopicamente. E poi le ombre scomparvero con la stessa velocità con cui erano apparse e la gente attorno a lui iniziò a festeggiare e ad applaudire e un'immensa onda d'oscurità correva verso l'orizzonte.

Sentì che l'eccitazione di lui lasciava il posto ad un immenso disappunto. Teneva ancora la mano della donna. Lei fissava il muro nero che si allontanava da loro. Lui guardò verso di lei per un momento, iniziò il movimento di una parola con le labbra: "Martha, io..." stava per dire, solo che non lo disse. E poi il quadro si dissolse e stavano cadendo, l'uomo e il suo pilota, cadendo attraverso l'oscurità costellata di fiammate di colore, cadendo all'indietro, verso l'inizio...

 

 

11.

Che era in un piccolo caffé all'aperto in una piazza di mercato affollata, con la notte che scendeva.

La notte messicana, pensò lei ad un tratto, senza essere sicura se la stava riconoscendo dai viaggi che aveva fatto o se la stava prendendo dal soggetto: a volte era difficile da dire.

Era pure in Messico, si rese conto, in quella scena dileguata precedentemente, quello strano tafferuglio di luce e ombra. Messico del sud. Tranne che la scena precedente doveva ancora avvenire, questa era in qualche modo il preludio ad essa.

In questo tempo e in questo luogo lui era ancora giovane. Lei poteva sentire la forza del suo corpo, la potenza della sua sessualità.

Lui non aveva coscienza della sua presenza nella sua mente. Era troppo sprofondato nella fuga, troppo preoccupato con la scena che gli si sbrogliava, che stava sbrogliando per se stesso.

Sedeva a un tavolo da solo bevendo tequila. Era in questa città con degli amici, o compagni di lavoro, ma se ne erano andati da qualche parte (un bordello al di là della città, forse) e lui aveva rifiutato di accompagnarli, non ricordava più il perché tranne che voleva starsene seduto qui da solo a guardare la gente, ad ascoltare i musicisti girovaghi e ad aspettare lei.

Ricordava la lunga veste paesana bianca, lo sfoggio delle lunghe gambe abbronzate, occhi scuri che lo brucia­vano dentro, penetrandolo fin nel suo intimo più profondo... E più tardi, come si sarebbe mossa contro di lui nella sua stanza d'albergo sulla piazza, con le celebrazioni carnevalesche della folla di indiani che si stavano ammas­sando di sotto che alimentava la loro eccitazione.

Celebrazioni di che cosa, si chiese Brandon? Qualcosa di veramente grande eppure non riusciva ancora ad affer­rarlo, i pensieri di lui sulla donna che avrebbe incontrata si frapponevano. Qualcosa che riguardava il sole...

Era la stessa donna che era stata con lui, là in quel campo, mano nella mano a guardare il sole, tranne che ancora non l'aveva incontrata. Ovviamente era un vecchio ricordo e uno che doveva amare molto, rivisitandolo spesso. E, senza dubbio, rielaborato, limato, reso ancora più perfet­to.

Brandon non poteva collegare il viso con nessuna delle foto che Findlay le aveva fornito: non era una delle mogli conosciute di Lerner o una fidanzata o una collega o una conoscente. Naturalmente, poteva aver dimenticato le sue vere sembianze oppure aver idealizzato la sua immagine. Quasi certamente col passare degli anni aveva fatto en­trambe le cose, più o meno.

Ed era anche possibile che l'avesse semplicemente inventata, anche se Brandon lo dubitava. II livello dei dettagli era molto più grande nelle memorie reali che in quelle fabbricate, dopo un po' riuscivi a notare la differenza. Questa qui, con la mosca morta che galleggiava nella tequila e con la polvere in fondo alla gola appariva reale, reale in partenza almeno.

Reale o no, era questo che cercava Lerner? Era questo tutto l'affare? Brandon non rimase sorpresa. Eppure era delusa, in qualche modo, delusa dalla banalità essenziale di tutto quanto, di questo vecchio che rivisita ossessivamente la scena di qualche avventura romantica presumibilmente da tempo finita.

Eppure, come sapeva dalle passate esperienze, poteva essere stato anche più disgustoso di così.

C'era una copia accartocciata dell'lnternational Herald Tribune sul tavolo di fronte a lui. Il mese e l'anno erano chiari anche se il giorno era appannato, non ricordava le cose precisamente fino a questo punto. Era un qualche giorno di marzo del 1970 e Lerner doveva avere (quanto?) ventidue anni.

C'era una buona ragione perché si ricordasse dei quo­tidiano: era un pilone importante nella scena. In un attimo la donna (Martha, era così che l'aveva chiamata prima, o piuttosto in seguito) si levava sopra al tavolino, guardando in basso verso di lui, aggrottando le ciglia ai titoli chiedendogli se poteva leggerlo. E poi stava seduta al tavolo e loro parlavano della guerra (era forse la guerra del golfo, si chiese Brandon? No, quella del Vietnam) e dei bombarda­menti e delle proteste e del suo rinvio alla chiamata alle armi e del fatto che sarebbe andato in Canada se si fosse arrivati a lui...

Nonostante i vestiti era americana e una studentessa come lui, studiava filosofia alla UCLA. D'altra parte era diversa, molto diversa, si preoccupava di cose diverse o almeno si preoccupava di loro più intensamente.

Questa guerra, per esempio. Lui era contro, natural­mente, aveva firmato le petizioni e partecipato alle manife­stazioni, pensava che fosse sbagliata ed era sicuro che non si sarebbe potuta vincere. Ma in tutto questo si sentiva un osservatore estraneo, non lo prendeva, non nel modo in cui lo coinvolgeva la scienza, era al massimo un soldato a piedi occasionale nell'esercito di protesta. Laddove la donna (Martha Danning, era così che si era presentata), la donna era uno dei generali, un veterano di attività sia legali che illegali, non era sicuro di voler sapere quanto illegali. E lei parlava non solo di fermare la guerra ma di buttare giù il governo stesso, di costruire un nuovo tipo di società.

"La Rivoluzione," disse. "Sta arrivando, proprio fra poco."

Aveva conosciuto mille persone come lei a casa, natu­ralmente, la parte più estremista dei militanti, i vecchi tipi dell'SDS, quelli che parlavano consapevolmente di Bernardine e Jeff e Jane, e di solito li evitava. E se avesse incontrato Martha a casa, l'avrebbe evitata... e senza dubbio lei avrebbe avuto proprio lo stesso poco tempo da dedicargli.

Ma mentre parlavano si rese conto che non era come loro, non proprio. Parlava con lui piuttosto che a lui, parlava della guerra e del governo e delle multinazionali, del ruolo delle università nelle ricerca militare, delle implicazioni degli interessi di lui nella ricerca nel campo nascente dell'intelli­genza artificiale. Era delicata e tranquilla ed era abbastanza convincente.

Non si sentiva a suo agio, comunque, e neppure lei lo era. In realtà lei era qui per la sua stessa ragione, aveva la sua stessa eccitazione su ciò che sarebbe accaduto l'indomani. Era in questa piccola città messicana (a Miahuatlan, era così che l'aveva chiamata) da due giorni.

"Io sono col gruppo del MIT," disse lui. "Tu con chi sei?"

"Gruppo?" disse. "lo sono venuta sola."

C'era, allora, un altro lato di lei, un lato che l'aveva spinta a lasciare tutto, il suo lavoro organizzativo così come i suoi studi troppo a lungo trascurati, per venire qui, nonostante le critiche che avrebbe dovuto fronteggiare al ritorno. Ed era questo lato che lo attirava, comunque, anche se dentro di sé lo avrebbe disapprovato.

"Fritz mi ucciderà" disse.

Fritz era uno dei suoi compagni a Berkeley e uno dei suoi compagni nella rivoluzione e anche, forse (non approfondì questo punto), il suo amante o uno dei suoi amanti. Ma comunque lei non credeva, come gli disse a un certo punto durante la conversazione, nella monogamia, era un'altra istituzione destinata a sparire, come il Congresso, la Corte Suprema e il Pentagono.

E così parlarono e bevvero e parlarono e alla fine salirono le scale della sua stanza sulla piazza e si stesero sulla coperta ruvida sul suo letto stretto mentre la musica conti­nuava a suonare e l'eccitazione degli indiani saliva verso di loro dalla piazza quasi per alimentare la loro.

 

 

12.

"Martha Danning," disse Brandon, mentre estraeva il conduttore e si sedeva sul letto. "Studentessa alla UCLA, filosofia, primi anni settanta. Un tipo rivoluzionario, deve essere schedata da qualche parte. E' lei che sta cercando laggiù."

"Dove si sono incontrati?" chiese Chambers prendendo appunti.

"Una piccola città nel Messico dei Sud, Miahuatlan. Marzo 1970, è la data che ricorda, anche se potrebbe essere un'altra. Era laggiù con qualche gruppo di ricerca, MIT, non so per che cosa. All'inizio avevo pensato per qualche test nucleare, ma non si adatta a tutto il resto."

"Farò i controlli" disse Chambers. "Siete entrata in contatto con lui?"

"No," disse. "Voglio rendermi conto della situazione, prima."

"Vi reimmergerete?"

"Domani," disse. Si stropicciò gli occhi. "Lui può non avere bisogno di dormire, ma io sì."

 

 

13.

Di fianco alla strada sul taxi che lo porta all'aeroporto, nella giungla lussureggiante, l'apparizione fuggente di una zebra impaurita.

Riconobbe alcuni visi nel bar dell'Hotel, si unì alla loro conversazione, organizzò un'escursione nell'entroterra verso nord. Ma non era più uno di loro, era qui semplicemente come turista da adesso in poi.

Nella sua stanza, la data sulla copia omaggio della Kenian Gazette era un qualche giorno del giugno 1973.

Una serie di transizioni rapide e impazienti. In viaggio su un retro di un camion che sobbalza. Equipaggiamento da lotta attraverso la pianura polverosa. A sorseggiare acqua polverosa e tiepida da una borraccia. Guardando intorno a lui piuttosto che su mentre le ombre incominciano a diventa­re stroboscopiche, in cerca di lei...

Lei non c'era qui, lui non c'era qui, non sarebbe stato in Kenya per altri dieci anni e non si sarebbe mai avventurato in queste terre desolate del nord. Nessuno di loro è mai stato qui, tutto si staccò via da lui e lui affondava di nuovo attraverso il buio che lampeggiava di luci, affondava di nuovo verso l'inizio.

 

 

14.

E di nuovo la piazza, i musicisti ambulanti, il quotidiano sul tavolino. Tranne che questa volta stava correndo attraverso i dettagli piuttosto che assaporarli. Parlarono, bevvero, ballarono, andarono in camera sua, fecero l'amore, parlarono ancora.

"... guardarla," lui diceva, e ora il film stava rallentando a velocità normale, c'era qualche cosa in questo scambio che voleva ascoltare o cambiare. "Non puoi guardare l'eclissi direttamente."

L'eclissi, penso Brandon. Un'eclissi totale. Era questo che stava per accadere al sole qui, domani. E in seguito, senza dubbio, in Kenya.

"Stronzate," disse Martha. "Non posso credere che lo dica tu. Questa non è scienza, è propaganda. Certo, non puoi guardare al sole senza protezione durante la fase parziale. Anche con solo una piccola parte di sole in vista, sarebbe come se guardassi ancora la luce del sole normale... e questo può danneggiarti gli occhi, qui non ci sono discussioni. Ma durante la fase totale la corona non può farti del male. Devi sapere solo quando guardare. Osserva gli indiani, domani, guarderanno di sicuro.

"Il governo messicano li ha messi in guardia di non..."

"I governi lo fanno sempre," disse. "Non gli va che la gente la guardi direttamente. Attraverso un vetro affumicato, forse, o ancora meglio riflessa su un pezzo di cartone. Ma non direttamente."

"Ma perché?"

"Perché ricorda alla gente dove ci troviamo veramente. Seduti qui, su questa palla di sporcizia, imprigionati in questa danza eterna con la luna e con il sole. Ci costringe a guardare oltre noi stessi, per guardare a leggi e mete più alte di quanto i nostri governi tutta saggezza possano offrirci. In fondo, un’eclissi è un'esplosione di qualche legittima energia rivolu­zionaria."

"Stronzate," disse lui. "Voglio dire, sento la sua spettacolarità, ma rimaniamo a quello che è, è soltanto la luna che si mette fra di noi e il sole. Come in un meccanismo, nient'altro."

"Un potentissimo meccanismo," rispose. "Ricordati della danza degli spettri."

"Degli spettri?'

"L'ultimo rantolo dei vecchi indiani d'America" disse lei.

"L'ultimo tentativo di scacciare l'uomo bianco. Iniziò con un'eclissi come questa verso la fine degli anni ottanta dell'ottocento. Questo vecchio indiano ebbe lui stesso una specie di rivelazione e dette il via a una specie di rivoluzione."

"Ed è per questo che sei qui?"

"Oh, no," disse. "Sono qui per divertirmi. Ma è un simbolo pulito. E la corona, cocco, non vedrai mai niente altro di simile."

"Hai già visto un'eclissi totale?"

"Oh, sì," disse. "Questa è la terza. Sono quella che puoi definire una divoratrice di eclissi. Mi ricordo mentre guarda­vo la prima col babbo nel giardino dietro casa quand'ero solo una ragazzina. Da come me l'aveva spiegato avevo pensa­to che sarebbe stato spaventoso, sai, il sole che va via. Avevo pensato che avrei dato tutto affinché tornasse e avevo paura che per qualche motivo non sarebbe tornato. Ma quando accadde non fu per niente spaventoso. Fu un successo, un successo naturale. Pieno di stranezza e di bellezza. E non volevo che finisse. Vedi, a volte..."

"A volte cosa?"

"A volte sogno che ci sia un'eclisse e che non finisca mai. Semplicemente continui, continui... Come se stessi surge­lando quel momento. So che non finirà mai e provo questa felicità sorprendente dentro di me. E poi..."

"Poi cosa?"

Si strinse nella spalle. "Poi mi sveglio."

 

 

15.

"Abbiamo controllato," disse Findlay mentre lei si scollegava. "Era in Messico per un'eclissi, stavano prendendo qualche tipo di misura. In fondo era là come portarobe, dava una mano con l'equipaggiamento." "E la donna?" Chiese Brandon alzandosi dal letto.

"Non la ritroviamo da nessuna parte della sua vita," disse Findlay.

"Nessuna vecchia lettera, foto o qualcosa dei genere. Ma c'è stata una Martha Danning, uno di quei tipi radicali come avete detto voi. Era anche sotto sorveglianza, ma non è possibile localizzarla in Messico allora o in seguito. Natural­mente la sorveglianza allora era abbastanza abborracciata. Comunque abbiamo rintracciato un vecchio ubriacone che era nello stesso gruppo e si è ricordato di Lerner che si incontrava laggiù con un tipo hippy e radicale. Così quadra, almeno sembra, tranne che dovrebbe essere stata una cosa piuttosto secondaria nella sua vita." Le consegnò una foto in bianco e nero dalla grana grossa. Brandon vide che Lerner l'aveva ricordata abbastanza bene.

"A chi spetta dire quello che è secondario?" chiese. "E che volete dire con c'era una Martha Danning?"

"Ha pagato il conto circa trent'anni fa," disse Findlay, e Brandon provò una sorprendente fitta di rammarico. Martha le era piaciuta. C'era stato qualcosa di elementare intorno a lei, la sua energia, la sua rabbia, la sua fame di vita. Era difficile immaginarla come polvere da tanto tempo." "Come?"

"C'è stata una guerra, allora, e lei era contro di essa, contro tutto quello che puoi nominare ora. E la guerra divenne sempre peggiore e le proteste divennero così feroci che il governò iniziò a sparare ai ragazzi in patria. E lei abbandonò la scuola e si unì a una specie di gruppo underground di insensati e scomparve per anni finché alla fine si fece sparare in un assalto qualsiasi ad una banca andato in malora."

"E Lerner non la rivide più, dopo Miahuatlan?"

"No, secondo quello che possiamo rintracciare. Tornò alla scuola, si laureò, si sposò per la prima volta, ottenne una cattedra, ottenne contratti di ricerca, tutta roba da buon cittadino solido. Beh, ha firmato una petizione o due, ma ci hanno fatto un taglio dopo un po', era pulito per la ricerca militare sull'intelligenza artificiale. Dopotutto non sembra in alcun modo che abbia cambiato la sua vita." "Forse è stato questo il problema," disse Brandon. "Che lei non cambiò la sua vita. O piuttosto che non lo fece lui." "Perché dovrebbe averlo fatto?" chiese Findlay. "Basan­dosi su che cosa? Si sono incontrati, hanno avuto una relazione sessuale, ecco come è stata. Fine della storia." "Tranne che non lo è stata."

"Volete dire che è questo che sta facendo laggiù?" chiese Findlay facendo un cenno verso Lerner. "Inseguire qualche strascico attraverso trent'anni?" "Penso che sia più di tutto questo," disse Brandon. "Penso che stia cercando di fermare il sole."

 

 

16.

Stavano facendo colazione fuori, sulla piazza, pane e marmellata e caffé torbido. Attraversò la piazza verso di loro.

"Salve," disse, sedendosi al tavolo. "Vi dispiace se mi unisco a voi?"

Guardarono verso di lei stupiti. Nel caso di Lerner, più che stupito. Appariva terribilmente confuso e poi preoccupato. "Sono Ruth Brandon," disse tendendo la mano per salutare. Notò con divertimento che la propria mano era senza rughe, la mano di una ventenne. Un'auto-proiezione idealizzata, un tentativo di mescolarsi con questo mondo più giovane? Lerner non le strinse la mano, se ne stette seduto a fissar­gliela.

"Lei non mi conosce," disse. "Io non sono da nessuna parte nella sua memoria. Non siete voi che state facendo tutto questo, ma io."

"Cosa..." iniziò "Come..."

"Siete in fuga, Lerner," disse. "E siete andato così in profondità che vi siete dimenticato quanto siete lontano. E sono venuta a riportarvi indietro di nuovo." "Andate via," disse. "Andatevene e basta." La mano, che ancora teneva verso di lui, sparì. Sentì il suo corpo che diventava trasparente.

Contrattaccò, forzando il corpo a solidificarsi, ripristinando la sua mano. "No," disse. "Non è più la vostra fuga. E' la nostra . E sono forte quanto voi. Forse più forte." Gli schioccò le dita davanti al viso e il tavolo fu circondato da una squadra della polizia SWAT del 1970 circa armata fino ai denti.

"Devo fargliela portare via ora?" chiese. "Potrebbero non volerla ancora, ma la vorranno molto presto." Martha, confusa, in preda al panico, si ritrasse nella sedia. I suoi lineamenti, notò Brandon, stavano diventando sfocati, come se Lerner stesse perdendo la presa sulla scena.

"O potremmo parlare?" chiese Brandon, schioccando via la squadra SWAT.

"Andate via," disse di nuovo. "Per favore ve ne volete andare? Non abbiamo niente da dirci."

La Danning ora stava riacquistando definizione. Si sporse sulla sedia.

"Che succede, Arnold?" chiese a Lerner. "Chi è questa donna. Come fa a fare tutto questo? E che cos'è una fuga? Lerner guardò Brandon. Lei scosse la testa. "Non sono io. Siete voi. O è lei che agisce secondo le caratteristiche che le avete attribuito."

"E'... un ricordo," disse a Martha, controvoglia. "Un ricordo indotto con la droga. Il mio ricordo di te e di questo luogo, e di questo tempo. Questa donna è entrata in qualche modo nella mia fuga."

"Non mi sento come un ricordo," disse Martha. "Mi sento reale."

"Lo sei," le disse Lerner. "Ora."

Guardò l'orologio.

"La fase parziale inizia fra mezz'ora. Dobbiamo incammi­narci."

Si alzò dal tavolo. Anche Martha si alzò.

"Mi spiace," disse a Brandon. "Non ritorno, ancora non ho finito."

Circondò col braccio Martha e se ne andarono attraverso la piazza polverosa.

 

 

17.

Era una mattinata calda e senza nuvole. Le strade della città erano affollate da migliaia di indiani provenienti dall'area circostante per celebrare l'eclissi, e da centinaia di bianchi, tutti membri della varie spedizioni scientifiche arrivate qui per osservarla e misurarla. Brandon seguì Lerner e Martha verso un accampamento su una collina nel deserto proprio fuori città. Qui i membri del suo gruppo stavano già muovendosi precipitosamente in­torno alle loro faccende. Un uomo bianco più anziano rimproverò Lerner per il ritardo e guardò Martha con un misto di lussuria e disprezzo.

Martha indugiò al limite dell'accampamento mentre Lerner si unì per fare gli ultimi preparativi all'equipaggio. "Vi dispiace se guardo con voi?" chiese Brandon. "No," disse Martha. "Penso di no." Chiaramente, però, Martha non si sentiva a suo agio con lei presente, davanti a ciò che significava. Come per calmarsi, frugò nella borsa, che era grande e fatta di una pelle poco rifinita. Estrasse un mazzetto di negativi, ne raggruppò tre e li porse a Brandon. "Per guardare la fase parziale," le disse. "Dovrebbe iniziare presto." Guardando il sole a occhio nudo Brandon non poteva vedere niente. Ma dando un'occhiata attraverso la pellicole esposta, poteva vedere la luna che lentamente, molto lentamente mordeva il sole.

Guardarono in silenzio per un po'. Poi Martha disse: "E' vero, non è così? Non sono reale. Sono soltanto un... ricordo." "E' una questione di definizione," disse Brandon. "Qui siete reale. O almeno solo parzialmente reale. Per lui." "Ma non sono una persona," disse Martha. "Sono solo un fantasma di qualche tipo che lui ha richiamato. Ecco per­ché..."

"Perché cosa?"

"Perché questo continua a succedere di nuovo in continua­zione."

Un ricordo può ricordare? L'idea fece venire le vertigini a Brandon.

"Proverà a fermare il sole," disse Martha. "Di nuovo." "Lo so," disse Brandon.

Lerner aveva smesso di lavorare e stava fissandole. Come incontrò lo sguardi di Brandon distolse gli occhi. "Perché?" chiese Martha. "Perché sta facendo tutto que­sto?"

"Non lo so," disse Brandon. "Forse perché non è mai stato così vivo come oggi. Forse perché glielo avete chiesto voi. Non lo so. Non sono neppure sicura che lo sappia lui."

Tacque. La fase parziale era visibile ora anche senza la pellicola, anche se stava attenta a non guardare il sole direttamente. E la luce stava mutando in modo apprezza­bile. Poteva ancora vedere la propria ombra a terra, netta e decisa, eppure la densità del sole stava mutando in modo apprezzabile. Con l'accelerarsi di questi cambiamenti si sentì sempre più disorientata. L'ombra della luna si trascinò in avanti riducendo il sole a una falce sottile. Ci fu un improvviso brivido dell'aria. I cani ulularono alla rinfusa, gli uccelli sciamarono per appollaiarsi sugli alberi e la gente intorno a loro due mormorava con eccitazione.

Martha lasciò Brandon e si diresse verso Lerner. I due si presero per mano e stettero a guardare mentre una parte d'oscurità si profilava ad ovest correndo verso di loro. Era il limite avanzato dell'ombra, del cono d'ombra che presto li avrebbe inghiottiti.

E poi ci furono grida di stupore allorché il paesaggio fu sommerso da bande d'ombra tremolanti di nero e di bianco. Era la stessa manifestazione che Brandon aveva testimo­niato nell'entrare la prima volta nella fuga di Lerner, nella parte finale dell'eclissi. Questa volta, comunque, era stata istruita e la riconobbe per quello che era: schemi d'interfe­renza generati dall'interazione dei raggi di luce dai punti estremi della falce solare che andava scomparendo. E poi, con la stessa velocità repentina di come erano apparse, le ombre scomparvero. La calma scese in cima alla collina. Il sole era ora un disco nero circondato da una corona argentea di luce fiammeggiante. Mercurio e Venere brilla­vano chiaramente accanto ad esso. Il cielo era un profondo tramonto, con una banda di luce intorno all'orizzonte. Totalità. La gente torse lo sguardo dal cielo per guardarsi l'un l'altro e poi riguardò il cielo, mormorando sommessamente o senza parlare per niente, gustando questo strano interval­lo nei cicli del sistema solare e delle loro vite. Totalità. E' qui che sono arrivata, pensò Brandon. O quasi. In pochi secondi ci sarà un lampo di luce accecante, seguito da un bis nella rappresentazione degli effetti d'ombra. Poi il cono d'ombra si sarebbe allontanato verso est. Gli uccelli confusi avrebbero lasciato i loro alberi. La gente avrebbe applaudito e poi sarebbe tornata a casa e avrebbe continuato la sua vita. E il sole e la luna e la terra avrebbero continuato la loro danza intricata. E Lerner sarebbe rimasto deluso di tutto ancora una volta, anche se, certamente, avrebbe continuato con i suoi sforzi, ritornando ancora e ancora a questa scena. Presto, certo. Ma non ora. Per ora lei aveva la possibilità di gloriarsi sotto il ricordo di questa corona.

 

 

18.

Tre minuti e mezzo, ecco quanto sarebbe durata la totalità, qui e ora a Miahuatlan ad Oaxaca nel Messico meridionale. O così aveva letto nei brani scoloriti di notizie di giornale che le erano stati fornito da Chambers. Tre minuti e mezzo, tranne che non sarebbe sembrato più di un minuto, secondo quanto riferito da un testimone oculare.

Eppure già sembrava molto più di un minuto, o tre e mezzo, o anche dieci. Sembrava allungarsi sempre di più. Questa volta, forse, Lerner stava vincendo. O ce n'erano altri di questi successi parziali nel passato, e tutti che alla fine gli erano sfuggiti?

Cinque milioni di dollari. Era quello che le avevano già pagato solo per provare. Altri venti milioni se fosse riuscita a riportarlo.

Cinque milioni significavano molto per il Centro. Altri venti milioni gli avrebbero garantito il futuro, in modo indipendente dalla Fondazione che andava declinando. Il problema stava nel fatto che non era convinta di poterlo riportare indietro. E anche se avesse potuto, non era più sicura di volerlo fare.

 

 

19.

Permettendo al suo io proiettato di ridissolversi nel paesaggio oscurato, ritornò alla prospettiva di Lerner degli avvenimenti.

Questa volta si accorse della sua presenza immediatamente. Ma era troppo occupato negli sforzi di mantenere i cieli al loro posto per fare commenti.

"Non potete mantenere tutto questo," gli disse.

"Sì che posso," disse dopo un po'. "Sto ottenendone il controllo ora. Posso sentirlo."

Ed era vero. La scena stava guadagnando in stabilità, senza che lui si adoperasse continuamente per mantenerla. "lo posso sfasciarla," disse.

"Allora la rifarei ancora," disse, "E ancora, finché non vi stancate e mi lascerete solo. Perché io non torno. Questo lo dovete capire. Non c'è niente là per me, non c'è mai stato niente là..."

Volse lo sguardo verso Martha che lo teneva per mano in modo deciso e guardava con attenzione rapita la corona.

"Non è veramente per Martha," disse Brandon. La conoscevate a malapena e quello che conoscevate lo avete dimenticato. L'avete idealizzata, probabilmente non era per niente così."

"Forse avete ragione," disse. "Ma questo che differenza fa? lo mi ricordo delle cose importanti."

"E' morta," disse Brandon. "Tanto tempo fa. Assalendo una banca."

"Lo so, questo. Lo sapevo, questo. E allora? Anch'io sono morto, per tutto quello che conta. Certo, non avrebbe mai funzionato, non avrei mai potuto vivere con Martha, non nel mondo reale. Lo sapevo questo allora, lo so ancora adesso. E certamente non avrei potuto seguirla, darmi alla clandestinità, fare quegli attentati, tutta quella roba. Non è mai stato per me, anche se avevo capito perché lo facesse. "E da una parte aveva ragione, aveva ragione completamente. Mi disse la macchina ci uccide, è senza controllo, dobbiamo fermare la macchina. E sapevo che aveva ragione. E che ho fatto? Sono andato a lavorare per costruire macchine migliori."

"La gente fa delle scelte," disse Brandon. "Scelte buone e scelte cattive, per ragioni buone o cattive. Si possono sempre cambiare."

"No," disse. "Sono rimasto senza scelte." Guardò verso la corona che brillava in alto.

"In seguito, nel lasciare la città, mi disse ci vediamo alla prossima in Kenya nel 73. Tranne che io non ero là, sono sicuro che non ci fosse neanche lei. Già allora era in clandestinità, anche se non lo sapevo ancora." "Non siete stati più in contatto?" "Esatto," disse. "Avevo pensato di telefonare, scrivere, saltare su un aeroplano per vederla, ma non feci mai nessuna di queste cose e lei neppure. Immagino che entrambi sapessimo che era insensato, che non ci fosse un futuro. Così non la vidi mai più, dopo questo.. Ma pensai a lei e alla corona. Ricordo nel 73, una volta alzai il microfono per chiamare le linee aeree sui voli per il Kenya. Mia moglie era seduta nella stanza accanto a guardare la TV (mi ero appena sposato, avevo iniziato da poco ad insegnare) ma chiamai. Avevo pensato di andare, lasciare tutto e andare, ma naturalmente non lo feci.

"E alcuni anni dopo aprii il giornale e lei era là. Una foto dalla videocamera all'interno della banca, poco prima della sparatoria. Si era tagliata i capelli, era ingrassata, ma sapevo che era lei, sapevo che era morta. E fu allora che iniziai a realizzare che lo ero anch'io. Una parte di me, comunque, la più importante."

"E quale parte era," chiese Brandon.

"La mia libertà," disse. "La mia spontaneità. La mia gioia. Tutta questa roba. E' quello che era morto, è quello che uccisi dentro di me. O così il mio terapista era solito dirmi, prima che abbandonassi la terapia come una perdita di tempo."

"Martha era un simbolo di qualcosa che voi sentivate che avevate perso?"

"O mai avuto," disse. "Tranne molto brevemente, in momenti come questo. E mai più dopo questo. Fui morto per tutto il tempo, ma ci volle molto tempo per capirlo. E anche allora continuai le pose, presi un sacco di pose. Nessuno sembrò notarlo. Beh, mia moglie lo notò, perché alla fine mi lasciò e così fece la seconda moglie. Ma nessun altro sembrò vederlo, o se lo fecero allora non gli interessava. Forse gli piacevo di più in quel modo. E io continuai semplicemente a costruire macchine migliori." "Che farete?" chiese. "In questo vostro mondo gelato?" "Fare?" disse. "Oh, non so. Pensavo che forse potevamo continuare a guardare tutto questo per un altro paio d'anni. E dopo questo, forse avremmo potuto pranzare e tornare a guardarne ancora un po'."

"Ma sicuramente è speciale solo perché è così breve," disse lei. "Vi stuferete di tutto questo. Vorrete andarvene." "No," disse. "Non credo. E' stato l'andarsene da qui che mi ha ucciso, e anche Martha. Penso che saremo felici qui."

 

 

20.

E poi iniziò a sfuggirgli. Forse era diventato troppo sicuro, forse si era distratto, ma immediatamente il panorama iniziò a ondeggiare e poi ci fu un lampo di luce accecante.

Lei provò la sua disperazione, perfino più acuta di prima, il suo senso di perdita.

"Oh, merda," disse a se stessa.

E lei si allungò nel paesaggio della fuga riversando le proprie energie per riplasmarlo. Tirò indietro l'ombra della luna, la fece rotolare nella posizione precedente, la fissò al posto suo.

Lo sforzo le esaurì, ma la scena appariva stabile. Con precauzione la lasciò andare.

"E' questione di allenamento," disse. "Penso che ora duri, anche dopo che me ne sono andata. Anche se non posso promettervelo."

"Potete rimanere anche voi," disse. "C'è tanto posto." "No," disse. "Non ora."

"Comunque non aveva fretta di tornare. Sapeva che Finley non si sarebbe certo divertito.

Così si attardò un po' dentro a quel tempo e a quello spazio, crogiolandosi al bagliore della corona.

 

 

21.

Se ne stava seduta sul letto a bere un bicchiere di spremuta quando il campanello dall'allarme iniziò a suonare. Guardò al grafico sull'EEG sul monitor. Come si era in qualche modo aspettato, la linea era piatta.

Poi i dottori e le infermiere si riversarono nella stanza e iniettarono all'uomo nel letto dell'adrenalina e lo collegarono a un congegno per la respirazione. Ma la linea rimase piatta e alla fine rinunciarono.

Fu solo allora che lei notò che le pareti della stanza erano verdi invece che grigie e che la stanza stessa era più lunga e più stretta di prima.

"Dov'è questo posto?" chiese al dottore.

"Dove è sempre stato," disse il dottore sorpreso. "A Boston, nel Massachusetts."

"Ci avete spostati?" "Spostati?"

"Non è il centro medico della SecTech?"

"Questo è l'ospedale cittadino," disse. "Dovete essere ancora disorientata. Deve essere stata una cosa terribile, con lui che vi è morto addosso in qual modo. Ma avevamo sempre saputo che era una scommessa impossibile." Ci stava ancora meditando sopra quando Findlay entrò nella stanza e notò la scena.

"Peccato," disse.

"Peccato?" gli fece eco lei. "E' tutto quello che avete da dire su tutto ciò."

Sembrò sorpreso. "Che altro c'è da dire? Conoscevo appena questo tipo, dopotutto."

"Avrei pensato che la SecTech sarebbe stata abbastanza contrariata," disse. "Dopo aver affrontato tutti questi problemi."

"La SecTech?" disse. "Chi diavolo è la SecTech?" "Quelli per cui lavorate," disse, anche se sapeva ora che non era vero.

"Per cui lavoro? lo lavoro per il dipartimento di polizia, Dr Brandon, lo sapete. Sono quello che vi ha fatto entrare in tutto questo, per vedere se si poteva ottenere un'identificazione di questo signor Rossi e anche di tirarlo fuori. Non vi ricordate?"

"Certo," disse, mentre il dottore sussurrava qualcosa nell'orecchio di Findlay. "Certo che me lo ricordo." Si alzò e sollevo il lenzuolo dal viso di Lerner. Tranne che non era il viso di Lerner.

Si diresse alla finestra e sollevò la tendina per guardare il sole. Era un normale sole d'inverno, deciso e brillante in un cielo duro come il diamante.

"Sì," disse di nuovo. "Me lo ricordo."

 


© Andrew Weiner, titolo originale Rider

traduzione italiana Danilo Santoni


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