un racconto di Lanfranco Ferrario
Sono morto una mattina d'aprile, di noia e di
nessun desiderio.
Dalla vita avevo avuto tutto: belle donne, belle
macchine e un mucchio di soldi.
Il successo era arrivato senza alcuno sforzo da
parte mia, quasi appartenesse al mio destino per diritto e non per merito.
Non avevo mai amato dawero quindi non avevo mai
provato dolore.
Non avevo desiderato nulla quindi non avevo mai
perso niente.
La mia vita così si era fatta via via sempre più
incolore, sempre più inutile e senza significato. Un vago senso di tristezza si
era impadronito di me.
Fu per questo che decisi di chiudere con le cene
galanti e le vacanze dieci mesi all'anno. Alle nove e trenta del mattino di un
giorno di primavera trattenni il respiro fino alla morte.
Arrivai all'lnferno verso mezzogiorno.
Dopo le solite lungaggini burocratiche mi fu
notificata la condanna: sarei vissuto in eterno nella Città Infernale lavorando
al bancone di uno dei bar destinati al ristoro dei Demoni.
Alle 14.00 in punto avevo già preso servizio.
Il tirocinio non fu dei più semplici perchè
preparare, conservare e servire acqua ghiacciata in un posto dove la temperatura
si aggira attorno ai 100 gradi centigradi è cosa che richiede una certa tecnica.
Dopo un paio di mesi però me la cavavo già molto
bene, tanto che molti Demoni preferivano attraversare il traffico infernale
della Città pur di venire a bere nel locale dove servivo, “Il Girarrosto”.
Fu la sera in cui si festeggiava l’arrivo del
miliardesimo peccatore che conobbi Ahassamath.
Era un Demone di 17° grado, il livello più basso
nella graduatoria dei Diavoli Stigiani e sovrintendeva alle Somministrazioni
Corporali nel girone dei golosi.
Non era molto alto, non più di due metri e mezzo
corna comprese, poco muscoloso e dall’aspetto decisamente dimesso.
Chiedeva sempre acqua frizzante con molto
ghiaccio e beveva spesso da solo, cosi capitò presto che iniziammo a fare due
chiacchiere.
In gioventù, mi disse, aveva frequentato il Liceo
delle Seicentosessantasei Diavolerie con scarsissimi risultati, tanto che suo
padre, un Demone dalle Cinque Leghe pluridecorato, sfinito dall' incredibile
sequenza di cattive figure guadagnate dal figlio, lo aveva trasferito al Corso
Stigiano per Punitori, un istituto dove, grazie alle sue numerose conoscienze,
riusci a fargli conseguire almeno la Diciassettesima Qualifica Infernale.
Da allora Ahassamath aveva svolto il suo lavoro
senza infamia e senza lode al Girone dei Golosi.
Nell'aria fumosa del “Girarrosto” iniziammo a
discutere del senso delle cose, del valore e del significato di tutto ciò che
accade.
Scoprii che il desiderio di nulla aveva percorso
la mia vita con un movimento insolitamente parallelo al disinteresse che
Ahassamath aveva sempre dimostrato nei confronti del suo essere Diavolo: da una
tale affinità non poteva non nascere un'amicizia.
Contro gli ordinamenti regolamentari dell'lnferno
iniziammo a parlare del Paradiso.
Ahassamath me ne parlava come di un posto dove
ogni essere trova il suo fine, un luogo magico che accende e coltiva il fuoco
delle passioni, un luogo magico che spinge chi lo abita verso sempre nuovi
traguardi rendendone l'anima più leggera e più ricca.
Il Paradiso, stando a quanto gli aveva raccontato
un Demone imparentato alla lontana con un Angelo della Nuova Aureola, era la
logica destinazione di chi, come noi due, non aveva mai trovato nessuno stimolo.
Giorno dopo giorno, raccolti nel nostro
discorrere, pregustavamo l’insolito piacere dell’entusiasmo.
Sul bancone del “Girarrosto” iniziò a prendere
forma il nostro piano di fuga, piano che attuammo tre mesi dopo approfittando
della confusione creata dalla celebrazione del Dodecamillenario della Congrega
di Sehemeth.
Io e Ahassamath, badando bene a non farci notare,
ci tuffammo nell’immensa folla diabolica che si era riversata per le strade e
con molta cautela arrivammo al Molo Stigeo.
Partendo da lì superammo il Fiume Sacro a nuoto,
quindi attraversammo le Paludi Sulfuree e le CollineTremanti.
Evitammo con cura i punti di guardia delle
sentinelle e, in un paio di giorni, arrivammo al confine.
La mappa territoriale che Ahassamath aveva
sottratto ad un suo collega della Sezione Gecinfernale ci permise devitare anche
le numerose trappole disseminate dall'esercito dei Diavoli nei pressi del Ponte
al Purgatorio.
Arrivammo in Paradiso verso le 17, secondo le
Divine e Superiori Convenzioni Interdimensionali, chiedemmo asilo alle Autorità
Cherubine.
In breve ci fu assegnata una nuvola a pochi passi
dall'Arcobaleno Ovest.
L'aria era diversa, piacevolissima, impregnata di
una luce viva e soffice, saporita dal profumo di fiori celesti e percorsa
dall'incessante fruscio delicato delle ali degli Angeli.
Le notti scendevano suonando melodie lontane
nella memoria e ci facevano sognare di paesi mai visti mentre le mattine
salivano da oltre lo sguardo fino a colpirci morbidamente nei cuori, invitandoci
a fare, a creare, a trovare ciò che nemmeno immaginavamo potesse esistere.
Ahassamath prese ad interessarsi di botanica,
iniziò a frequentare dei corsi di ricamo con petali quindi si iscrisse all'lstituto
Celeste delle Sacre Piante e dei Muschi Quotidiani. Inaugurò con due suoi
colleghi la Prima Serra del Settimo Cielo di cui fu in seguito nominato curatore dalla
Commissione Angolica.
Tra l'altro durante una conferenza sui semi di
Geranio Catecumenico conobbe Astridia, una Custode Ricercatrice che da un paio
di millenni si occupava di innesti tra diverse specie di Gerani del Paradiso.
Presto si innamorò di lei e, ricambiato, la sposò
entro pochi mesi.
Ebbero due figli che chiamarono uno Falstaff,
come me, e l'altro Neve, come la madre di Astridia.
Per quanto mi riguarda ho aperto un locale tutto
mio, la “Griglia Battesimale”, dove servo specialità esclusive come il pollo
alla diavola o gli spaghetti all'indemoniata e potrei giurarvi, se qui non fosse
peccato, che ci sono Arcangeli e Cherubini che sarebbero disposti a dannarsi
l’anima pur di venire a mangiare da me.
La sera tardi chiudo il ristorante e torno alla
mia nuvola fischiettando una canzone sempre diversa.